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PACE SIGNIFICA PANE 

COMMENTO DEL 28 SETTEMBRE 2022

NEL GIORNO DI STANISLAV PETROV, L'UOMO CHE NEL 1983 HA SALVATO IL MONDO DALL'OLOCAUSTO NUCLEARE

NEL MOMENTO IN CUI NATO E RUSSIA COMBATTONO SUL TERRITORIO UCRAINO RISCHIANDO L'ESCALATION DI UNA GUERRA ATOMICA

RICORDIAMOCI CHE:

NON SIAMO IN GUERRA

NON PAGHIAMO NESSUNA GUERRA!

INCONTRO DI DIALOGO E SENSIBILIZZAZIONE
LUNEDI 26 SETTEMBRE 2022
PIAZZALE DELLA STAZIONE DI PORTA GENOVA
ORE 17:00-19:00

26 SETTEMBRE PETROV DAY: PACE SIGNIFICA PANE

Di Alfonso Navarra - Portavoce dei Disarmisti esigenti

Cell. 340-0736871  - alfiononuke(at)gmail.com  - www.disarmistiesigenti.org

La prima e fino ad adesso disgraziatamente unica manifestazione contro le sanzioni economiche (in particolare energetiche) alla Russia si è tenuta il 26 settembre, Petrov Day, giornata ONU contro le armi nucleari.

L’abbiamo organizzata a Milano, in piazzale Stazione di Porta Genova, noi Disarmisti esigenti, insieme alla Lega Obiettori di Coscienza e a Mondo senza guerre e senza violenze.

L’abbiamo chiamata, nella sua forma espressiva, “dialogo e risveglio”: non abbiamo, alcuni di noi più di altri, la presunzione di rivoluzionare l’anima dei soggetti popolari. Intendiamo invece fare riflettere i cittadini maggiormente consapevoli che i loro valori magari non coincidono con quelli degli idealisti nonviolenti (l’I Care di Don Milani non è sicuramente al primo posto per tutti) ma nemmeno, a livello di massa, sono quelli avidi e super competitivi della élite dei super potenti, cioè l’accumulazione senza limiti di ricchezza e potere.

(L’opinione di chi scrive, per carità, non la metto in bocca a tutti gli organizzatori, è che il sogno prevalente e ignorato dei soggetti popolari potrebbe riassumersi nel motto: “Se potessi avere 5.000 euro al mese”, il corrispettivo delle 1.000 lire al mese di una vecchia canzone del 1939*).

Come mai questo collegamento tra disarmo e economia, che a prima vista può apparire strano e azzardato, addirittura funambolico?

E, ancora più difficile e complesso, con l’ecologia, come testimoniato anche dalla mostra su energia e clima con poster su pannelli che abbiamo esposto? Di questo aspetto ne parleremo in ultimo, anche se non lo consideriamo l’ultimo in ordine di importanza; ma possiamo già anticipare che consideriamo oggi ogni guerra che usi armi pesanti una aggressione tecnicamente, materialmente, concretamente diretta all’unico ecosistema vivente; quindi, in modo lineare contro tutta l’umanità che ne fa parte. La guerra in quanto tale, che è il nostro “nemico”, al di là delle differenziate responsabilità dei suoi protagonisti armati, non sta allora aggredendo solo gli ucraini, ma tutti noi, in senso proprio e non metaforico, offendendo e ferendo nostra Madre Terra.

La spiegazione, quindi, sul no alle sanzioni nel Petrov Day, sta nel nesso tra guerra militare in Ucraina e conflitto economico globale incarnato dalle sanzioni contro la Russia (guerra armata sul campo, sia detto, scatenata, nella fase attuale, colpevolmente e stupidamente da Putin, messe in conto anche le “provocazioni” che può avere subito dalla NATO e dal regime ucraino).

La guerra militare è un confronto tra NATO e Russia con l’esercito ucraino all’interno di esso combattente sostanzialmente per procura (quella di Kiev è una forza militare da distinguere dalla resistenza popolare ad una invasione armata, che può benissimo esercitarsi con metodi nonviolenti).

La guerra economica globale è un tentativo da parte americana di distruggere economicamente la Russia: come effetto neanche tanto collaterale ha quello di ridimensionare il concorrente europeo, formalmente alleato nel “blocco occidentale”. Specularmente, il regime di Putin, coltivando l’ambizioso sogno di restaurare l’impero russo, gioca d’azzardo sulla possibilità di ribaltare l’ordine mondiale dollarocentrico sperando di trascinare dietro sé le potenze emergenti, in primo luogo la Cina.

Anche qui però mi permetto di avanzare una impressione personale che non pretendo sia condivisa da tutto il mio ambito politico-culturale. Non penso che Putin sia un grande ed astuto stratega ma al contrario che abbia proprio sbagliato tutto con la sua mossa di invadere l’Ucraina senza disporre della forza militare per prevalere nello spazio di un blitz: avrebbe dovuto nell’immediato invece cedere territorialmente privilegiando l’asse economico con la Germania attraverso l’inaugurazione operativa del Nord Stream 2.

La NATO era già in stato vegetativo, secondo la definizione di Macron, ed invece questa guerra, se sognata e fomentata dagli americani da considerare una provocazione in cui il leader russo non sarebbe dovuto cadere, la ha risuscitata e l’ha ampliata a Svezia e Finlandia. Ora le evidenti difficoltà militari lo stanno portando a una “mobilitazione parziale” e ai referendum nel Donbas che veicolano la deriva delle minacce atomiche non controllabili razionalmente. Sembra realistico pensare che la stessa oligarchia russa si stia rendendo conto di essere stata cacciata da una guerra - mal concepita e mal gestita dallo stesso punto di vista imperialista - in un pericolosissimo vicolo cieco e che quindi la deposizione del leader che sta mal guidando il Paese possa entrare nel novero delle possibilità che consentiranno una via di uscita, cioè una brutta pace come tregua militare che è sempre meglio di una bella guerra totale.

Uscendo da queste analisi sicuramente discutibili e tornando però ai fatti odierni, la guerra militare, la guerra in senso proprio, sta registrando delle escalation e la logica del progressivo salto di scala della violenza può portare all’uso, già minacciato, dell’arma atomica e di conseguenza, se si sbagliano i calcoli sul suo impiego “tattico”, alla guerra nucleare per errore: quella che appunto il colonnello sovietico Stanislav Petrov evitò il 26 settembre del 1983.

Quindi nel Petrov Day ci riferiamo all’attualità della guerra per errore, che diventa probabile grazie alle vicende belliche in Ucraina e alle esplicite minacce di impiego “tattico” delle armi nucleari in essa.

Solleviamo con maggiore convinzione, di fronte a questa prospettiva spaventosa, la necessità urgente del disarmo nucleare, riferendoci al percorso umanitario che ha dato vita al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ratificato per il momento da 68 Stati, tra i quali manca l’Italia in quanto facente parte della condivisione nucleare NATO (ed in procinto di ammodernare le B-61 nelle basi di Ghedi ed Aviano).

E, contrastando la guerra militare anche come rischio di escalation nucleare, contrastiamo anche la guerra economica che la affianca proponendo che si rifiuti l’uso dell’energia come arma bellica anziché come ponte di cooperazione e di pace.

La piccola manifestazione del 26 settembre di piazzale della stazione di porta Genova ribadiamo, per quanto sopra argomentato, che non va sottovalutata. Il tema delle sanzioni, che per primi abbiamo sollevato in una iniziativa pubblica in presenza, tra la gente, diventa, a nostro parere, decisivo se si vuole dare uno sbocco appropriato alle proteste che esploderanno in seguito all'aumento dei prezzi dell'energia, le cui dinamiche speculative vanno appunto agganciate all’intreccio che abbiamo individuato tra conflitto militare localizzato e guerra economica globale.

Le vicende economiche che promuovono il carovita e la disoccupazione (per il tramite soprattutto dei maxi-rincari delle bollette) mettono insieme la fine del mese con la fine del mondo, a partire da ciò che più preoccupa il popolo italiano.

In questo momento l'ecopacifismo può ridursi alle sue scadenze autocelebrative e di didattica tra gli addetti ai lavori nonviolenti oppure tentare di contribuire a dare una alternativa alla esplosione sociale incombente, che rischia di esprimersi come sfogo rabbioso con le modalità che abbiamo già visto nei gilet gialli e nei forconi: petardi che fanno tanto rumore per poi dissolversi rapidamente nel nulla.

Per ottenere l’alternatività efficace una pista di lavoro che proponiamo è inserire nello sciopero generale del 2 dicembre, convocato dalle organizzazioni sindacali di base, appunto la revoca delle sanzioni che deve diventare anche lo sbocco appropriato e risolutivo di una campagna di autoriduzione delle bollette (al posto dei diversivi demagogicamente attraenti ma inattuabili del “tetto al prezzo del gas” e degli “extraprofitti da tassare”).

Ci convince, in questo ambito, quanto ci suggerisce una riflessione di Federica Fratini, di Mondo senza guerre e senza violenza, sulla rabbia che deve essere guidata dalla intelligenza con la nonviolenza attiva:

Organizziamo campagne di disobbedienza civile consapevolmente nonviolente (…): dall’autoriduzione delle bollette, all’aumento degli orti condivisi e delle relazioni dirette tra produttori e consumatori locali; boicottiamo prodotti specifici di varie aziende che affamano i popoli dei paesi più poveri; spegniamo la TV; organizziamo una rete di trasporti condivisa e rafforziamo le reti di solidarietà per i più sfortunati; diamo vita nei quartieri alle banche del tempo dove ognuno mette a disposizione la sua competenza per il tempo che può: una rete di medici, avvocati, insegnanti, fiscalisti, artisti di ogni tipo, panettieri, calzolai, aiutanti domestici, cuochi, contadini…”

Altro punto politicamente decisivo, più legato allo specifico pacifista, è la lotta perché la UE apra le frontiere agli obiettori e disertori russi (invece le sta chiudendo). Questo nel quadro della campagna, promossa tra gli altri dalla WAR RESISTERS INTERNATIONAL, a cui è collegata l’iniziativa STOP THE WAR NOW, che oggi vede un nuovo convoglio di attivisti recarsi in Ucraina per stringere più strette relazioni con la società civile e sostenere chi rifiuta di combattere o critica la guerra.

Qui si innesta il nostro vecchio lavoro sull’obiezione di coscienza alle spese militari ed il suo tentativo di allargamento e potenziamento con una nuova campagna di opzione fiscale.

La pace, a nostro parere, non si fa limitandosi al lavoro culturale sulla nonviolenza teorica (ad esempio la celebrazione nelle scuole del compleanno di Gandhi, visto come il santino dei “Sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”) ma cercando l'aggiunta nonviolenta ai conflitti in cui la gran massa del popolo è impegnato (Gandhi, che festeggeremo il 2 ottobre, si applicò a offrire una strategia nonviolenta alla lotta di liberazione del popolo indiano dal dominio coloniale inglese).

L'azione nonviolenta è stare dentro la resistenza popolare che si svilupperà per sopravvivere alla crisi offrendo la soluzione di una Italia che lavori per la pace invece di affiancarsi alla NATO nella guerra contro la Russia con misure rigettate, secondo tutti i sondaggi, dalla maggioranza degli italiani: l’invio delle armi allo Stato ucraino, l’aumento delle spese militari al 2% del PIL, le sanzioni contro la Russia…

Nei prossimi giorni le fasce deboli della società lotteranno letteralmente per sopravvivere. L'antifascismo, in questa situazione, non sarà occupare le scuole o qualsiasi altro tipo di edificio per contestare il voto popolare (per quanto da noi mal giudicato visto il successo delle forze post-fasciste) ma fare capire, per dirla con uno slogan, che “pace significa pane”. Questa verità, un po’ la scoperta dell’acqua calda, va fatta capire a chi? Ecco la nostra risposta: alle moltitudini popolari, rintronate e confuse da una propaganda massiccia, cui dobbiamo rivolgerci. A questo dovrebbe servire la convergenza degli attivisti sociali che si propongono per un ruolo di animazione, di stimolo, di riferimento solido e organizzato.

A questo proposito riprendiamo infine un ultimo ragionamento, già accennato. Questa guerra sicuramente impatta in modo decisivo sugli equilibri ecologici globali, con le distruzioni sul campo (ogni giorno si bombardano raffinerie, depositi di carburante, impianti chimici, oltre che edifici e infrastrutture) foriere di inquinamenti che possono investirci direttamente. Se potessimo effettuare delle stime, non ci sarebbe affatto da meravigliarsi che si stiano già facendo saltare fisicamente gli accordi di Parigi sul clima; ma c'è anche il rischio di una possibile contaminazione radioattiva da ZaporizhJa o da altre centrali nucleari nel mezzo delle sparatorie.

Il ruolo di “aggiunta nonviolenta” che dobbiamo ritagliarci da attivisti sociali, come ci ricorda Patrizia Sterpetti di WILPF Italia, nostra stretta partner operativa nelle iniziative nazionali ed internazionali, è anche quello di denunciare l’intreccio tra guerre, militarismo e crisi ecologica. Dobbiamo portare alle COP sul clima (la numero 27 si tiene a novembre in Egitto) l’obiettivo di inserire l’attività militare nel calcolo ufficiale delle emissioni di CO2. Per chiudere il cerchio: la pace è pace con la natura, lottare insieme contro il riscaldamento globale è il terreno per costruire la pace e questa è la condizione per assicurarci, nella giustizia sociale, il pane quotidiano e la ricerca delle rose per la felicità.

Segnaliamo l'appello online che esige la revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Questo il link: https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni

 

  • 1000 lire al mese di Gilberto Mazzi. Dal testo di questa canzone del 1939: “Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovar tutta la felicità! Un modesto impiego, io non ho pretese, voglio lavorare per poter al fin trovar tutta la tranquillità! Una casettina in periferia, una mogliettina giovane e carina, tale e quale come te. Se potessi avere mille lire al mese, farei tante spese, comprerei fra tante cose le più belle che vuoi tu!

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NEL GIORNO DI STANISLAV PETROV, L'UOMO CHE NEL 1983 HA SALVATO IL MONDO DALL'OLOCAUSTO NUCLEARE

NEL MOMENTO IN CUI NATO E RUSSIA COMBATTONO SUL TERRITORIO UCRAINO RISCHIANDO L'ESCALATION DI UNA GUERRA ATOMICA

RICORDIAMOCI CHE:

NON SIAMO IN GUERRA

NON PAGHIAMO NESSUNA GUERRA!

INCONTRO DI DIALOGO E SENSIBILIZZAZIONE
LUNEDI 26 SETTEMBRE 2022
PIAZZALE DELLA STAZIONE DI PORTA GENOVA
ORE 17:00-19:00

Proponiamo anche di partecipare ad un nostro incontro on line, con inizio alle ore 20:00, sempre il 26 settembre.
Intendiamo riflettere sulle possibilità di costruire un'opposizione sociale che punti ovviamente a dei NO necessari ma pensando globalmente alla pace come nuovo modello di ecosviluppo, per una umanità di liberi ed eguali nella "terrestrità"; ed anche commentare insieme i primi risultati elettorali.

Questo il link per partecipare all'incontro su piattaforma Google Meet: 

meet.google.com/pqf-ffxs-oct

Segnaliamo infine l'appello online che esige la revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Questo il link: https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni

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DISARMO "ATOMICO" A PARTIRE DALLA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI (L'ITALIA RATIFICHI IL TRATTATO ONU A CUI HANNO ADERITO 67 PAESI)
NO ALLE SANZIONI - NO ALLA GUERRA (CHE RISCHIA DI USARE ARMI NUCLEARI) - NO AL RIARMO
NO ALLA SPECULAZIONE E AI RINCARI SPROPOSITATI DI BOLLETTE, AFFITTI E MUTUI CHE SI INNESTA SULL'INFLAZIONE CAUSATA DALLA GUERRA
SI ALLA RICERCA DELLA PACE USANDO L'ENERGIA COME PONTE DI COOPERAZIONE NELLA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
(TUTTI GLI STATI HANNO FIRMATO GLI ACCORDI DI PARIGI!)

Le elezioni daranno la vittoria sicuramente a uno schieramento atlantista, comunque denominato, perché sia la Meloni che Letta, ufficialmente di idee opposte, sono stati espliciti in campagna elettorale: tutti e due seguiranno l'Agenda Draghi, non ritoccata sul punto fondamentale.
Quale è questo punto? Ma è chiaro! La guerra voluta non certamente dai cittadini italiani, dalla base popolare, ma dalle élites nutrite dalla globalizzazione finanziarizzata, protette dal militarismo transnazionale.
A Milano i maggiordomi di queste élites, come Sala e la sua Giunta, ma anche quasi tutta l'opposizione in consiglio comunale, tengono ovviamente il sacco alla rapina: essa parte dal caro bollette, ma si estenderà al caro affitti e al caro mutui, lasciandoci alla fine in mutande.
Le sanzioni, in particolare, che sono una forma di GUERRA ECONOMICA (chi le contesta, secondo il premier ex BCE, sarebbe un "Pupazzo prezzolato da Putin"), stanno da subito portando ai cittadini europei carovita, restrizioni, disoccupazione.
COSI' NON POSSIAMO ANDARE AVANTI, DOBBIAMO SVEGLIARCI ED ESIGERE CHE SI CAMBI STRADA.
IL GOVERNO, DA CHIUNQUE FORMATO, DEVE CAPIRE CHE NON VOGLIAMO LA GUERRA, NE' MILITARE NE' ECONOMICA, QUINDI NON SIAMO DISPOSTI A PAGARE SITUAZIONI IN CUI NON ABBIAMO DA ESSERE TRASCINATI CON IL PRETESTO CHE SIAMO (MA CHI CI CREDE?) CROCEROSSINI DI POPOLI OPPRESSI!
VOGLIAMO IL DISARMO NUCLEARE, CHE L'ITALIA ADERISCA AL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI ATOMICHE, CHE NON INSTALLI A GHEDI AD AVIANO NUOVE BOMBE USA TRASPORTABILI DAI COSTOSISSIMI CACCIABOMBARDIERI F35!

PER OTTENERE QUESTI (E ALTRI OBIETTIVI) CHE CI STANNO A CUORE
NON DELEGHIAMO SEMPRE AGLI ALTRI, MA ORGANIZZIAMOCI PER FARCI SENTIRE IN PRIMA PERSONA!

Promuovono:
Disarmisti esigenti - Mondo senza guerre e senza violenza

Il materiale qui proposto è

  1. appello "Salviamo la terra, blocchiamo la guerra", sia nella versione più sintetica, sia nella versione di documento più analitico ed esteso
  2. dal sito istituzionale del Consiglio della Unione Europea: "Spiegazione delle sanzioni UE contro la Russia"
  3. i partiti in campagna elettorale: le posizioni sulle sanzioni (articolo su "Pagella politica"
  4. De Magistris di Unione Popolare per la "revisione delle sanzioni"
  5. Melenchon a Roma contro le sanzioni (ed in appoggio a UNIONE POPOLARE)
  6. Ferrero di Rifondazione Comunista contro le sanzioni alla Russia in adesione a "NON PAGHIAMO!"
  7. Analisi difesa riflette sul sabotaggio di Nord Stream 1 e Nord Stream 2: gli USA i maggiori indiziati secondo il criterio del cui prodest. Il bersaglio comunque è l'Europa

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https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni (link per aderire on line)

INIZIATIVA 

SALVIAMO LA TERRA – BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA - PORTAVOCE DEI DISARMISTI ESIGENTI

MILANO 11 SETTEMBRE 2022

Si propone di inviare il seguente appello, redatto in bozza dal sottoscritto, con una versione più lunga e una versione sintetica, su cui raccogliere adesioni online, ai capi di partito delle liste impegnate nella campagna per il voto del 25 settembre, diciamo una settimana prima, max il 20 settembre.

Se convochiamo, in altre città come a Milano, manifestazioni il 26 settembre, giornata ONU contro le armi nucleari, con l’invito alla partecipazione di politici sensibilizzati, potrà essere letto in esse nel contesto della reiterazione della richiesta della ratifica del TPAN da parte dell’Italia.

Il tema delle sanzioni non va trascurato perché la stessa stampa mainstream avverte che si sta preparando una esplosione sociale, come a Praga (70mila persone sono scese in piazza il 3 settembre), nel momento in cui arriveranno le prossime bollette e comunque saranno chiari gli effetti di rovina economica (inflazione e recessione) delle sanzioni, cioè della guerra globale economica che si è deciso di affiancare al conflitto militare in Ucraina.

C’è bisogno di un riferimento ecopacifista (per così dire rosso-verde e di sostanza, non puramente retorico) per la gente impoverita e spaventata, perché nel contesto politico che viviamo è facile che le mobilitazioni tipo forconi/gilet gialli che si prospettano siano alla fine strumentalizzate dalla destra estrema, in un clima politico che la favorisce.

Il problema è: grazie al nostro disinteresse dobbiamo permettere che l’opposizione popolare alla guerra, non rappresentata coerentemente da alcuno (proprio il mancato riferimento alle sanzioni ce lo dimostra), che dovrebbe naturalmente avere connotazioni e sbocchi democratici e progressivi, finisca invece nelle mani delle destre e vada ad alimentare nuove guerre di civiltà (contro l’Islam e contro la Cina), secondo lo spirito non domo ma crescente del trumpismo mondiale?

E' logico e facile prevedere che si cercherà un capro espiatorio per il collasso sociale che le élites ci stanno predisponendo. La bilancia dell’opinione pubblica può pendere individuando Putin e i nemici dell’Occidente oppure, al contrario, come è giusto, la guerra e la logica della potenza, da superare. Quell’oppure dipende anche da come, noi "avanguardie sociali", sapremo organizzarci, lavorare, mobilitarci, a partire da subito…

Un interlocutore importante possono essere le organizzazioni sindacali che hanno dato vita, l'8 maggio 2022, allo sciopero generale contro la guerra e contro l'economia di guerra. Sono scese in piazza in varie città italiane (Roma, Milano...) contro l’invio di armi e l’escalation militare, contro i tagli alla spesa pubblica e alle condizioni salariali, per la garanzia di un reddito dignitoso per tutte e tutti. Mancava però un obiettivo esplicito per la revoca delle sanzioni energetiche. Il prossimo sciopero generale potrà rimediare!

Ma bisogna proporre un approccio radicale e risolutivo, non solo richiami a forme di lotta (sciopero generale, autoriduzione delle bollette), che oltretutto presi a sé possono suonare demagogici. La soluzione vera rispetto al caro bollette non sta, come già propongono i vertici UE, nel tassare gli extraprofitti - oltre ad altre misure derivate e secondarie - ma nel revocare le sanzioni, determinanti nel panorama odierno. Non dimenticando di promuovere nella pratica, nelle iniziative territoriali di autodifesa collettiva, la diffusione dell’ALTERNATIVA RINNOVABILE!

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VERSIONE SINTETICA DELL’APPELLO

SALVIAMO LA TERRA  - BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace.

Indirizziamoci verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Abbiamo elaborato il presente appello a favore della abrogazione unilaterale delle sanzioni alla Russia, interpretando la precisa volontà in questo senso della maggioranza del popolo italiano: 53%, secondo gli ultimi sondaggi. Si tratta di una opinione pacifista inascoltata e disattesa nelle decisioni politiche, governative e parlamentari, seppure, per l'appunto, maggioritaria. Allo stesso modo non sono esauditi a livello di politiche istituzionali, che si pretendono democratiche, i temi collegati, sui quali gli italiani hanno una opinione maggioritaria riconosciuta o addirittura indiscutibile, del non inviare armi all'Ucraina, della riduzione delle spese militari, del disarmo "atomico" e della denuclearizzazione attraverso la ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, il rifiuto di nuovi euromissili, il rispetto dei referendum dei 2011 sui beni comuni (acqua pubblica e no all'energia nucleare).

Lo lanciamo – l’appello – per l’intanto a livello nazionale rivolgendoci a associazioni, movimenti e singoli cittadini al fine di esercitare pressioni sulle forze politiche, dentro e oltre la campagna elettorale in corso in Italia, affinché desistano dal proseguire sulla strada pericolosa di affiancare una guerra economica ad una guerra militare per procura. Una strada che le nostre élites hanno imboccato con riflessi automatici di fedeltà atlantista distruttivi ed autodistruttivi. Cercando di illudere che la "pace attraverso la vittoria (militare)" sia qualcosa di diverso da un impegno bellico di lunga durata, al di là delle avanzate e ritirate momentanee di questo o quel contendente sul teatro dei combattimenti. Non ci soffermiamo sulla strumentalità e sull'ipocrisia di fondo di un atteggiamento che, se si rispettasse un minimo di coerenza, avrebbe dovuto indirizzarsi contro comportamenti del tutto analoghi da parte di autocrati come Erdogan per le sue ingerenze militari in Siria e le sue provocazioni nel Mediterraneo Orientale. O addirittura, da parte della NATO, contro sé stessa, per i bombardamenti nell'ex Jugoslavia e le vicende che hanno portato alla separazione del Kosovo dalla Serbia.

La distruzione bellica in Ucraina, ben al di là delle macerie e delle vittime prodotte localmente, è soprattutto attacco all'ecosistema terrestre globale: una bomba che cade può colpire dei bimbi che vanno a scuola, ma oramai, in senso tecnico proprio, con la CO2 emessa, soprattutto quando fa saltare in aria - e succede quotidianamente! - raffinerie, depositi di carburante, impianti chimici (per non parlare di centrali nucleari!), senza ombra di dubbio ferisce direttamente tutti noi, che dobbiamo considerarci e siamo parte della Madre Terra come unico sistema vivente.

La guerra, che oggi è sempre guerra contro la Natura, il corpo vivente di tutti noi, è il nostro principale e impellente "nemico"; ed è per toglierle l'ossigeno che la alimenta e la fa sviluppare che, con i nostri mezzi di società civile internazionale organizzata, ci stiamo impegnando per sostenere obiezioni e diserzioni, soprattutto dalla parte dell'esercito russo "aggressore", ma anche di quello ucraino "aggredito". (Mettiamo le virgolette perchè in senso profondo chi aggredisce è la GUERRA e i veri aggrediti siamo tutti noi: l'umanità intera e la Terra cui apparteniamo). Perchè dopo Gandhi non possiamo più permetterci di ignorare che la resistenza nonviolenta funziona ed è necessariamente preferibile: al di là dei meriti etici, non danneggia materialmente innocenti ed estranei al conflitto particolare e localizzato in corso.

La necessità, in questo scenario, di una mobilitazione ampia per opporsi alle sanzioni e alla rovina cui, con ogni evidenza, conducono va riconosciuta in nome innanzitutto della pace, che esige la cessazione di ogni aiuto militare all’Ucraina, al di là di ogni considerazione sulla sua efficacia contingente sul campo, e pur nella condanna della aggressione militare decisa da Mosca e nella solidarietà da non fare mancare, come ci ricorda Papa Francesco, alle sofferenze del popolo ucraino.

L’Europa, sollecitata dall’Italia, potrebbe essere indotta ad una inversione a U rispetto alla direzione della lunga guerra per procura che ha intrapreso, per indirizzarsi invece a un lavoro di ricostruzione diplomatica delle condizioni della pace e della stabilità. Andrebbero rimessi al centro i negoziati diplomatici (da dove erano stati interrotti: i protocolli di Minsk) insieme a una nuova riflessione sulla sicurezza dell’area da compiersi di concerto con Mosca, mai dimenticando i diritti di Kiev (nella complessità delle questioni in campo, considerando ad esempio i problemi delle popolazioni russofone fuori dalla Russia).

In nome della pace, quindi; ma anche, per quanto riguarda italiani ed europei:

- Della difesa del potere d’acquisto e dei livelli occupazionali, rifiutando di pagare e subire i costi delle politiche “atlantiche”, consentendo l’azzeramento degli aumenti, anche speculativi, nelle bollette di luce e gas

- della salvavaguardia degli equilibri ecologici globali, pregiudicati dalle distruzioni sul campo foriere di inquinamenti che possono investirci direttamente (gli accordi di Parigi sul clima saltano fisicamente per le vicende ucraine, ma c'è anche il rischio di una possibile contaminazione radioattiva da ZaporizhJa)

- del ripristino di un minimo di correttezza informativa e di pluralismo democratici, estromessi dai media mainstream asserviti alle élites dominanti. Siamo o non siamo in guerra? Se lo siamo lo dicano almeno apertamente e ci parlino con chiarezza della mobilitazione e dei sacrifici che ci vengono eventualmente richiesti!

Poiché, fino a prova contraria, la guerra contro la Russia non è stata dichiarata, e – a parole - si starebbe praticando da parte italiana solo un sostegno alla resistenza ucraina, ecco che pensiamo si debba fare a Vladimir Putin – sempre chiamando in causa con rispetto Zelensky - un discorso molto semplice, chiaro e dialogante. Possibilmente costruendo il presupposto che questo discorso lo renda credibile: un piano italiano, e anche un piano europeo, –condiviso e costruito con tutti gli interlocutori economici, commerciali e industriali dei Paesi dell’Unione – che indichi chiaramente qual è il beneficiario della transizione energetica: non, come adesso, le grandi multinazionali, ma i cittadini, gli utenti e i lavoratori. E, infine, che metta in discussione il modello economico generale: basta affidare in buona misura ai mercati finanziari, e alla loro vocazione speculativa, le politiche energetiche, inclusa la determinazione dei prezzi.

Con questi impegni perseguiti nelle politiche concrete, ecco cosa proponiamo di offrire a Putin:

Noi italiani con il nostro Stato non siamo in guerra con te e soprattutto con il tuo popolo, ma vogliamo proporci come mediatori di pace in questo conflitto insensato con l’Ucraina, per far sì che smetta di minacciare il mondo intero. Siccome consideriamo l’energia “terreno di cooperazione tra i popoli", contro la cultura del nemico, ti proponiamo di continuare a venderci la medesima quantità di petrolio e gas allo stesso prezzo che facevi prima. Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme (insieme anche agli ucraini) per fare la pace con la Natura, il compito principale della intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.

Hanno firmato al momento (in attesa di risposte da vari contatti che abbiamo avviato):

Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti

Massimo Aliprandini - Antonio Amoruso - Daniele Barbi – Luciano Benini - Ennio Cabiddu - Sandra Cangemi - Sandro Ciani - Mario Di Padova – Giuseppe Farinella - Cosimo Forleo - Abramo Francescato – Angelo Gaccione - Teresa Lapis – Roberto Maggetto - Antonella Nappi – Giuseppe Natale- Franca Niccolini - Elio Pagani - Renato Ramello - Fabio Strazzeri - Marco Zinno

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DOCUMENTO ESTESO

SALVIAMO LA TERRA - BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace.

Indirizziamoci verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Facciamo la solita premessa ormai di prammatica: nessuno tra gli ecopacifisti nonviolenti pensa che Putin non porti responsabilità ingiustificabili nell’aggressione di febbraio all’Ucraina e dunque nessuno pensa che l’Ue non abbia tutto il diritto di agire e reagire. Il problema vero è con che scopi lo fa (serve gettare benzina sul fuoco del conflitto?) e come lo fa (serve aggiungere alla guerra militare quella economica?).

Non può sfuggire al nostro riflettere una situazione che appare paradossale: le sanzioni comminate contro la Russia, ancora in una fase embrionale del loro sviluppo, nei loro effetti visibili, colpiscono al momento più i sanzionatori “occidentali” che i sanzionati “orientali”, in barba alla loro pretesa di “mettere rapidamente in ginocchio il regime di Putin”.

Qui non ci interessa fare dei calcoli su quanto tempo può resistere economicamente e socialmente la Russia senza vendere petrolio e gas all’Occidente. Ci pare del tutto fuori luogo giocare a “chi fa crollare per primo chi”, nel momento in cui il conflitto militare combattuto sul territorio ucraino rischia di attraversare varie scalate, non escluse l’impiego circoscritto di armi nucleari tattiche (e la guerra nucleare globale per errore è sempre sullo sfondo!).

Diamo pure per scontato che le valutazioni dell’Economist siano giuste: le decisioni di blocco delle esportazioni che si stanno prendendo contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina avranno conseguenze devastanti entro qualche anno. “Il futuro del Paese sarà segnato da una produttività in calo, da una scarsa innovazione e da un’inflazione strutturale. (..) Quello che la Russia ha ottenuto è un biglietto di sola andata verso il nulla”. (Si veda l’Internazionale 1476 del 2 settembre 2022).

Non ci sembra utile opporre a questo ragionamento bellicoso, brandente soldi ed energia come armi, che, se pure Putin con queste sanzioni resiste tre-cinque anni, già però stiamo vedendo che il nostro Paese – e la Germania (e l’intera Europa) –sono sul punto di “sbattere il muso”: le loro economie possono franare nei prossimi mesi, a causa di varie dinamiche, cominciando con i meccanismi speculativi (la compravendita dei futures) che formano i prezzi del gas.

Il punto, secondo la nostra opinione decisivo, non è se queste sanzioni funzionano o meno, anche se al nostro popolo, che non le digerisce (i sondaggi indicano un 53% di contrari), appare evidente dal carovita crescente che non funzionano. Il punto è che queste sanzioni esprimono un’ottica di fatto cobelligerante con lo Stato ucraino, cioè una collocazione rifiutata dalla popolazione italiana per stessa ammissione dei “media con l’elmetto”, ed esclusa dal nostro dettato costituzionale: una prospettiva opposta alla ricerca della mediazione e della pace nel tragico conflitto esploso con l’invasione decisa da Putin, ma risalente a cause complesse di lunga durata e di larga portata.

Il popolo italiano – e noi ecopacifisti gli siamo in questo caso a fianco senza riserve – simpatizza con la causa ucraina, è disposto ad alleviare le sofferenze dei bombardati e ad accogliere a centinaia di migliaia chi fugge dalle bombe, ma non vuole che l’Italia sia trascinata direttamente nel conflitto armato contro la Russia. Per questo vede malissimo l’invio di armi all’esercito di Zelensky; e in generale desidera una riduzione drastica delle spese militari. Nel suo pacifismo istintivo e spontaneo resta antinucleare come al tempo dei referendum vinti nel 2011 sul tema dei beni comuni (energia nucleare e acqua pubblica).

Se questo popolo fosse più informato non avremmo dubbi sul fatto che vorrebbe che il nostro Paese aderisse al Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Il popolo italiano non vuole essere spinto a sparare, e a fare sparare, con bazooka, cannoni, missili, e quanto altro; e non vuole nemmeno che, in modo analogo, dalla competizione sui prodotti e sui prezzi si passi alla guerra economica con la Russia e con chicchessia. L’energia e l’economia possono essere terreno di mercanteggiamenti e contenziosi anche aspri, persino terreno di scelta consapevole di boicottaggi consumeristi da parte di attivisti sociali, ma non certamente armi di ricatto bellico, confondendo gli scambi di beni sul mercato con le mazzate distruttive dei conflitti strategico-militari.

Il popolo italiano, con i suoi imprenditori, artigiani e consumatori, vuole potere esportare i beni che produce in Russia e importare da questo Paese il grano e il gas, perché inteso a coltivare la prosperità con le attività economiche nell’interesse reciproco: non è affatto nelle sue intenzioni, per colpire un militarista invasore, punire un intero popolo massacrandolo con la chiusura di officine e campi a creare letteralmente macerie allo stesso modo che si bombardasse.

Il potere consumerista, che pure piega le scelte economiche a esigenze politico-sociali, mira a fare pressione organizzata, da parte dell’associazionismo sociale, per affermare diritti dal basso contro le discriminazioni: sicuramente lascia fuori la logica dell’amico-nemico che pretende di “continuare la guerra con altri mezzi”, lo sterminio e il massacro punitivi mediante la penuria organizzata.

Gli impatti economici e sociali causati dalla rinuncia al mercato russo per l’export sono sempre più avvertiti, specialmente in Europa, ma toccano anche gli USA, e persino il Terzo Mondo; ed oggi diventa palesemente gravoso sino alla insopportabilità l’aumento dei costi dell’energia e la sua carenza stessa, che stanno determinando inflazione a due cifre (da subito) e recessione (inesorabilmente in arrivo).

Le sanzioni promosse dagli Usa e adottate dai Paesi europei, come forma di guerra praticata e non dichiarata, sono inaccettabili sul piano etico e strategico. Fanno parte di uno scontro bellico portato avanti in modo antidemocratico, nel momento in cui sostanziano una scelta di guerra per procura da parte della NATO che non è esplicitata ai popoli come tale.

Il popolo italiano però, meno stupido di quanto le élites governanti non credano, ha “mangiato la foglia”. In fondo Draghi aveva avvisato gli italiani, pure se in modo contorto: “Volete la pace o l’aria condizionata?”. Si capisce che non stiamo avendo la prima, e che la seconda ce la stanno togliendo insieme al riscaldamento!

Per di più, a ben guardare non solo da noi ma ovunque nel mondo (questo aspetto è da sottolineare), nel loro obiettivo ufficiale di non finanziare l’aggressore russo, si stanno rivelando un boomerang che avrà effetti disastrosi di fame, freddo e recessione sui settori sociali più deboli. Per la nostra economia in genere, significano carrelli della spesa mezzi vuoti, difficoltà a pagare affitti e mutui, chiusura di negozi e alberghi, fabbriche fallite, un apparato industriale prossimo al collasso: l’anticipazione a noi stessi dei disastri che si vorrebbero provocare alla Russia.

Per questi motivi abbiamo elaborato il presente appello a favore della abrogazione unilaterale delle sanzioni alla Russia.

Lo lanciamo – l’appello – per l’intanto a livello nazionale rivolgendoci a associazioni, movimenti e singoli cittadini al fine di esercitare pressioni sulle forze politiche, dentro e oltre la campagna elettorale in corso in Italia, affinché desistano dal proseguire su questa strada, che le nostre élites hanno imboccato con riflessi automatici di fedeltà atlantista distruttivi ed autodistruttivi. Cercando di illudere che la "pace attraverso la vittoria (militare)" sia qualcosa di diverso da un impegno bellico di lunga durata, al di là delle avanzate e ritirate momentanee di questo o quel contendente sul teatro dei combattimenti. Non ci soffermiamo sulla strumentalità e sull'ipocrisia di fondo di un atteggiamento che, se si rispettasse un minimo di coerenza, avrebbe dovuto indirizzarsi contro comportamenti del tutto analoghi da parte di autocrati come Erdogan per le sue ingerenze militari in Siria e le sue provocazioni nel Mediterraneo Orientale. O addirittura, da parte della NATO, contro sé stessa, per i bombardamenti nell'ex Jugoslavia e le vicende che hanno portato alla separazione del Kosovo dalla Serbia.

La distruzione bellica in Ucraina, ben al di là delle macerie e delle vittime prodotte localmente, è soprattutto attacco all'ecosistema terrestre globale: una bomba che cade può colpire dei bimbi che vanno a scuola, ma oramai, in senso tecnico proprio, con la CO2 emessa, soprattutto quando fa saltare in aria - e succede quotidianamente! - raffinerie, depositi di carburante, impianti chimici (per non parlare di centrali nucleari!), senza ombra di dubbio ferisce direttamente tutti noi, che dobbiamo considerarci e siamo parte della Madre Terra come unico sistema vivente.

La guerra, che oggi è sempre guerra contro la Natura, il corpo vivente di tutti noi, è il nostro principale e impellente "nemico"; ed è per toglierle l'ossigeno che la alimenta e la fa sviluppare che, con i nostri mezzi di società civile internazionale organizzata, ci stiamo impegnando per sostenere obiezioni e diserzioni, soprattutto dalla parte dell'esercito russo "aggressore", ma anche di quello ucraino "aggredito". (Mettiamo le virgolette perchè in senso profondo chi aggredisce è la GUERRA e i veri aggrediti siamo tutti noi: l'umanità intera e la Terra cui apparteniamo). Perchè dopo Gandhi non possiamo più permetterci di ignorare che la resistenza nonviolenta funziona ed è necessariamente preferibile: al di là dei meriti etici, non danneggia materialmente innocenti ed estranei al conflitto particolare e localizzato in corso.

La necessità, in questo scenario, di una mobilitazione ampia per opporsi alle sanzioni e alla rovina cui, con ogni evidenza, conducono va riconosciuta in nome innanzitutto della pace, che esige la cessazione di ogni aiuto militare all’Ucraina, pur nella solidarietà da non fare mancare, come ci ricorda Papa Francesco, alle sofferenze del popolo di questo Paese.

L’Europa, sollecitata dall’Italia, potrebbe essere indotta ad una inversione ad U rispetto alla direzione della lunga guerra che ha intrapreso, per indirizzarsi invece a un lavoro di ricostruzione diplomatica delle condizioni della pace e della stabilità. Andrebbero rimessi al centro i negoziati diplomatici (da dove erano stati interrotti: i protocolli di Minsk) insieme a una nuova riflessione sulla sicurezza dell’area da compiersi di concerto con Mosca, mai dimenticando i diritti di Kiev (come pure, nella complessità delle questioni in campo, i problemi delle popolazioni russofone fuori dalla Russia).

In nome della pace, quindi; ma anche, per quanto riguarda italiani ed europei:

-     Della difesa del potere d’acquisto e dei livelli occupazionali, rifiutando di pagare e subire i costi delle politiche “atlantiche”, consentendo l’azzeramento degli aumenti, speculativi o meno, nelle bollette di luce e gas

-     della salvavaguardia degli equilibri ecologici globali, pregiudicati dalle distruzioni sul campo foriere di inquinamenti che possono investirci direttamente (gli accordi di Parigi sul clima saltano fisicamente per le vicende ucraine, ma c'è anche il rischio di una possibile contaminazione radioattiva da ZaporizhJa)

-      del ripristino di un minimo di correttezza informativa e di pluralismo democratici, estromessi dai media mainstream asserviti alle élites dominanti. Siamo o non siamo in guerra? Se lo siamo lo dicano almeno apertamente e ci parlino con chiarezza della mobilitazione e dei sacrifici che ci vengono eventualmente richiesti!

Poiché, fino a prova contraria, la guerra contro la Russia non è stata dichiarata, e – a parole - si starebbe praticando da parte italiana solo un sostegno alla resistenza ucraina, ecco che pensiamo si debba fare a Vladimir Putin – sempre chiamando in causa con rispetto Zelensky - un discorso molto semplice, chiaro e dialogante. Possibilmente costruendo il presupposto che questo discorso lo renda credibile: un piano italiano, e anche di un piano europeo, –condiviso e costruito con tutti gli interlocutori economici, commerciali e industriali dei Paesi dell’Unione – che indichi chiaramente qual è il beneficiario della transizione energetica: non, come adesso, le grandi multinazionali, ma i cittadini, gli utenti e i lavoratori. E, infine, che metta in discussione il modello economico generale: basta affidare in buona misura ai mercati finanziari, e alla loro vocazione speculativa, le politiche dell'energia e la determinazione dei prezzi delle materie prime e dei prodotti e servizi energetici. Sarebbe proprio così strano pensare che i prezzi siano oggetto invece di una programmazione e di una pianificazione pubblica su scala europea?

Con questi impegni perseguiti nelle politiche concrete, ecco cosa potremmo proporre a Putin: -

Noi italiani con il nostro Stato non siamo in guerra con te e soprattutto con il tuo popolo, ma vogliamo proporci come mediatori di pace in questo conflitto insensato con l’Ucraina, per far sì che smetta di minacciare il mondo intero. Siccome consideriamo l’energia “terreno di cooperazione tra i popoli, contro la cultura del nemico, ti proponiamo di continuare a venderci la medesima quantità di petrolio e gas allo stesso prezzo che facevi prima. Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme per fare la pace con la Natura, il compito principale della intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.

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In attesa di risposte da vari contatti presi hanno finora firmato:

Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti

Massimo Aliprandini - Antonio Amoruso - Daniele Barbi – Luciano Benini - Ennio Cabiddu - Sandra Cangemi - Sandro Ciani - Mario Di Padova – Giuseppe Farinella - Cosimo Forleo - Abramo Francescato – Angelo Gaccione - Teresa Lapis – Roberto Maggetto - Antonella Nappi – Giuseppe Natale- Franca Niccolini - Elio Pagani - Renato Ramello - Fabio Strazzeri - Marco Zinno

 

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Dal sito istituzionale del Consiglio della Unione Europea: "Spiegazione delle sanzioni UE contro la Russia

L'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni in risposta all'aggressione militare nei confronti dell'Ucraina. Scopri cosa significa nella pratica.

Infografica - EU sanctions in response to Russia’s invasion of Ukraine

Overview of sanctions taken by the European Union against Russia in response to the war in Ukraine: individual sanctions, economic sanctions, restrictions on media and diplomatic measures.Infografica completa

Dopo il riconoscimento, da parte della Russia, delle zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk il 21 febbraio 2022 e l'invasione non provocata e ingiustificata dell'Ucraina il 24 febbraio 2022, l'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni.

Esse si aggiungono alle misure in vigore imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell'annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi di Minsk.

Questa pagina contiene risposte alle seguenti domande:

  • quali sanzioni ha adottato finora l'UE, chi sono i destinatari delle sanzioni e in cosa consistono in pratica le sanzioni individuali?
  • cosa significano in pratica le misure restrittive contro le banche russe e la Banca centrale nazionale russa?
  • in cosa consistono le sanzioni per il trasporto aereo, stradale e marittimo?
  • che effetto hanno le misure dell'UE sugli scambi commerciali dell'UE con la Russia e che tipo di restrizioni all'importazione e all'esportazione sono in vigore?
  • le sanzioni dell'UE sono conformi al diritto internazionale e sono coordinate con altri partner?

Quali sanzioni ha adottato finora l'UE?

Dopo il riconoscimento, da parte della Russia, delle zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk il 21 febbraio 2022 e l'invasione non provocata e ingiustificata dell'Ucraina il 24 febbraio 2022, l'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni.

Esse si aggiungono alle misure in vigore imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell'annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi di Minsk.

Le sanzioni comprendono misure restrittive mirate (sanzioni individuali), sanzioni economiche e misure diplomatiche.

Le sanzioni economiche mirano a provocare gravi conseguenze per la Russia a causa delle sue azioni e a ostacolare efficacemente le capacità russe di proseguire l'aggressione.

Le sanzioni individuali riguardano le persone responsabili del sostegno, del finanziamento o dell'attuazione di azioni che compromettono l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina o le persone che traggono beneficio da tali azioni.

L'UE ha inoltre adottato sanzioni nei confronti della Bielorussia in risposta al suo coinvolgimento nell'invasione dell'Ucraina.

Che cosa NON prevedono le sanzioni dell'UE nei confronti della Russia?

Le sanzioni non bloccano le esportazioni e le transazioni relative ai prodotti alimentari e agricoli.

Nella riunione del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno 2022 i leader dell'UE hanno sottolineato che la Russia è l'unica responsabile della crisi alimentare mondiale e che le sanzioni dell'UE non colpiscono i prodotti alimentari e agricoli. La sicurezza alimentare e l'accessibilità economica dei prodotti alimentari sono una priorità fondamentale per l'UE e i suoi Stati membri.

Le sanzioni dell'UE non incidono sulla sicurezza alimentare e riguardano solo gli scambi bilaterali tra l'UE e la Russia, non il commercio internazionale.

Le sanzioni dell'UE escludono esplicitamente le forniture alimentari e i fertilizzanti: le esportazioni russe di prodotti alimentari verso i mercati mondiali non sono soggette a sanzioni. Chiunque può utilizzare, acquistare, trasportare e procurare prodotti alimentari e fertilizzanti provenienti dalla Russia.

Le restrizioni all'importazione di alcuni concimi potassici nell'ambito delle sanzioni dell'UE si applicano solo ai prodotti importati nell'UE e non riguardano le esportazioni di tali prodotti verso l'Ucraina dall'UE o dalla Russia.

L'UE ha inoltre introdotto eccezioni nell'ambito delle sue sanzioni: sebbene lo spazio aereo europeo non sia aperto agli aeromobili russi, gli Stati membri dell'UE possono autorizzare il sorvolo del loro spazio aereo da parte di aeromobili russi se ciò è necessario per scopi umanitari. Gli Stati membri dell'UE sono inoltre autorizzati a consentire alle navi battenti bandiera russa di accedere ai porti dell'UE e ad accordare ai vettori stradali russi l'ingresso nell'UE ai fini dell'importazione o del trasporto di prodotti agricoli, compresi fertilizzanti e frumento, che non sono soggetti a restrizioni.

Chi sono i destinatari delle sanzioni?

In totale, tenendo conto anche delle precedenti sanzioni individuali imposte dopo l'annessione della Crimea nel 2014, l'UE ha sanzionato 108 entità e 1 206 persone. L'elenco comprende:

Vladimir Putin e Sergey Lavrov.
Vladimir Putin e Sergey Lavrov figurano nell'elenco delle persone sanzionate dall'UE - © AFP
  • il presidente della Russia, Vladimir Putin
  • il ministro degli Affari esteri della Russia, Sergey Lavrov
  • l'ex presidente filorusso dell'Ucraina, Viktor Yanukovych
  • oligarchi legati al Cremlino, come Roman Abramovich
  • 351 membri della Duma di Stato russa (la camera bassa del parlamento) che il 15 febbraio 2022 hanno votato a favore del riconoscimento di Donetsk e Luhansk
  • membri del Consiglio di sicurezza nazionale
  • personalità politiche locali come il sindaco di Mosca
  • alti funzionari e militari
  • imprenditori di spicco (ossia persone attive nell'industria russa dell'acciaio e altre persone che forniscono allo Stato russo servizi finanziari, prodotti militari e tecnologie)
  • propagandisti e attori della disinformazione
  • persone responsabili delle atrocità commesse a Bucha e a Mariupol
  • persone coinvolte nel reclutamento di mercenari siriani per combattere in Ucraina
  • familiari selezionati di alcune delle suddette persone

In cosa consistono in pratica le sanzioni individuali?

Le sanzioni nei confronti delle persone consistono in divieti di viaggio e congelamento dei beni. I divieti di viaggio impediscono alle persone inserite in elenco di entrare o transitare nel territorio dell'UE per via terrestre, aerea o marittima.

Il congelamento dei beni significa che tutti i conti appartenenti alle persone ed entità inserite in elenco nelle banche dell'UE sono congelati. È altresì vietato mettere a loro disposizione, direttamente o indirettamente, fondi o attività.

In questo modo si garantisce che il loro denaro non possa più essere utilizzato per sostenere il regime russo e che non possano cercare di trovare un rifugio sicuro nell'UE.

Infografica - Impatto delle sanzioni sull'economia russa

Questa infografica descrive l'impatto delle sanzioni sull'economia russa, concentrandosi in particolare sul calo del PIL russo, sugli scambi della Russia, sul tasso di inflazione russo e sull'indice MOEX Russia.Infografica completa

Come vengono sanzionati gli scambi commerciali dell'UE con la Russia?

Nel quadro delle sanzioni economiche, l'UE ha imposto alla Russia una serie di restrizioni all'importazione e all'esportazione. Ciò significa che le entità europee non possono vendere determinati prodotti alla Russia (restrizioni all'esportazione) e che le entità russe non sono autorizzate a vendere determinati prodotti all'UE (restrizioni all'importazione).

L'elenco dei prodotti vietati è concepito per massimizzare l'impatto negativo delle sanzioni sull'economia russa, limitando nel contempo le conseguenze per le imprese e i cittadini dell'UE. Le restrizioni all'esportazione e all'importazione escludono i prodotti destinati principalmente al consumo e i prodotti dei settori sanitario, farmaceutico, alimentare e agricolo, al fine di non danneggiare la popolazione russa.

I divieti sono attuati dalle autorità doganali dell'UE.

In collaborazione con altri partner che condividono gli stessi principi, l'UE ha inoltre adottato una dichiarazione in cui si riserva il diritto di smettere di considerare la Russia una nazione più favorita nel quadro dell'OMC. L'UE ha deciso di agire in tal senso non mediante un aumento dei dazi doganali sulle importazioni, ma attraverso una serie di misure restrittive che comprendono il divieto di importare o esportare determinate merci. L'UE e i suoi partner hanno inoltre sospeso tutti i lavori relativi all'adesione della Bielorussia all'OMC.

Quali merci non possono essere esportate dall'UE verso la Russia?

L'elenco dei prodotti sottoposti a sanzioni comprende, tra l'altro:

  • tecnologie d'avanguardia (ad esempio computer quantistici e semiconduttori avanzati, elettronica e software di alta gamma)
  • alcuni tipi di macchinari e attrezzature per il trasporto
  • beni e tecnologie specifici necessari per la raffinazione del petrolio
  • attrezzature, tecnologie e servizi per l'industria dell'energia
  • beni e tecnologie per i settori aeronautico e spaziale (ad esempio aeromobili, pezzi di ricambio o qualsiasi tipo di equipaggiamento per aerei ed elicotteri, carboturbo)
  • prodotti per la navigazione marittima e tecnologie di radiocomunicazione
  • una serie di beni a duplice uso (beni che potrebbero essere utilizzati per scopi sia civili che militari), quali droni e software per droni o dispositivi di cifratura
  • beni di lusso (ad esempio automobili, orologi e gioielli di lusso)

Quali merci non possono essere importate dalla Russia verso l'UE?

L'elenco dei prodotti sottoposti a sanzioni comprende, tra l'altro:

  • petrolio greggio e prodotti petroliferi raffinati, con limitate eccezioni (con eliminazione graduale nel corso di 6-8 mesi)
  • carbone e altri combustibili fossili solidi (dato che i contratti esistenti prevedono un periodo di liquidazione, questa sanzione si applicherà a partire dall'agosto 2022)
  • oro, compresi i gioielli
  • prodotti siderurgici
  • legno, cemento e alcuni fertilizzanti
  • prodotti ittici e liquori (ad esempio caviale, vodka)

In cosa consiste in pratica il divieto sulle importazioni di petrolio?

Una raffineria di petrolio con fuoco che fuoriesce da una tubazione. Sullo sfondo, un cielo blu con qualche nuvola.
Le restrizioni dell'UE riguarderanno quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa - © AFP

Nel giugno 2022 il Consiglio ha adottato un sesto pacchetto di sanzioni che, tra l'altro, vieta l'acquisto, l'importazione o il trasferimento di petrolio greggio e di alcuni prodotti petroliferi dalla Russia all'UE. Le restrizioni si applicheranno gradualmente: entro sei mesi per il petrolio greggio ed entro otto mesi per altri prodotti petroliferi raffinati.

È prevista un'eccezione temporanea per le importazioni di petrolio greggio fornito mediante oleodotto negli Stati membri dell'UE che, data la loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dagli approvvigionamenti russi e non dispongono di opzioni alternative praticabili.

Inoltre, la Bulgaria e la Croazia nello specifico beneficeranno di deroghe temporanee riguardanti, rispettivamente, l'importazione di petrolio greggio russo trasportato per via marittima e di gasolio sotto vuoto.

Poiché la maggior parte del petrolio russo fornito all'UE è trasportato per via marittima, entro la fine dell'anno tali restrizioni copriranno quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa, riducendo notevolmente i profitti commerciali della Russia.

Quali sono le sanzioni per i trasporti?

Trasporto su strada

L'UE ha vietato agli operatori del trasporto su strada russi e bielorussi di entrare nell'UE, anche per le merci in transito.

Tale sanzione mira a limitare la capacità dell'industria russa di acquisire beni chiave e a perturbare il commercio stradale da e verso la Russia. Tuttavia, i paesi dell'UE possono concedere deroghe per:

  • il trasporto di energia
  • il trasporto di prodotti farmaceutici, medici, agricoli e alimentari
  • finalità di aiuto umanitario
  • trasporti connessi al funzionamento delle rappresentanze diplomatiche e consolari dell'UE e dei suoi paesi in Russia, o delle organizzazioni internazionali in Russia che godono di immunità in virtù del diritto internazionale
  • il trasferimento o l'esportazione in Russia di beni culturali in prestito nel contesto della cooperazione culturale ufficiale con la Russia

Il divieto non riguarda i servizi postali e le merci in transito tra la regione di Kaliningrad e la Russia.

Aviazione

Un aereo Aeroflot atterra in un aeroporto.
A tutti gli aeromobili russi è fatto divieto di sorvolare lo spazio aereo dell'UE - © AFP

Nel febbraio 2022 l'UE ha vietato ai vettori russi di ogni tipo di accedere ai suoi aeroporti e di sorvolare il suo spazio aereo. Di conseguenza gli aerei immatricolati in Russia o altrove e presi a noleggio o in leasing da un cittadino o un'entità russa non possono atterrare in nessun aeroporto dell'UE e non possono sorvolare i paesi dell'UE. Sono inclusi nel divieto gli aerei privati, ad esempio i jet d'affari privati.

Inoltre, l'UE ha vietato l'esportazione verso la Russia di beni e tecnologie nei settori aeronautico e spaziale.

Sono vietati anche i servizi assicurativi, i servizi di manutenzione e l'assistenza tecnica connessi a tali beni e tecnologie. Gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito hanno imposto restrizioni analoghe.

Di conseguenza le compagnie aeree russe non possono acquistare aeromobili, pezzi di ricambio o equipaggiamenti per la loro flotta e non possono effettuare le necessarie riparazioni o ispezioni tecniche. Poiché l'attuale flotta aerea commerciale russa è stata costruita per tre quarti nell'UE, negli USA o in Canada, con il tempo il divieto comporterà probabilmente il fermo operativo di una parte significativa della flotta russa dell'aviazione civile, anche per i voli nazionali.

Trasporti marittimi

L'UE ha chiuso i suoi porti all'intera flotta mercantile russa di oltre 2 800 navi. Questa misura non riguarda tuttavia le navi che trasportano:

  • energia
  • prodotti farmaceutici, medici, agricoli e alimentari
  • aiuti umanitari
  • combustibile nucleare e altri beni necessari al funzionamento delle capacità nucleari a uso civile
  • carbone (fino al 10 agosto 2022, dopo di che le importazioni di carbone nell'UE saranno vietate)

La misura non riguarda neppure le navi che necessitano di assistenza alla ricerca di riparo o le navi che fanno uno scalo di emergenza in un porto per motivi di sicurezza marittima o per salvare vite in mare.

Il divieto si applicherà invece alle navi che cercano di eludere le sanzioni cambiando la bandiera o l'immatricolazione russa con quella di un altro Stato. Le autorità portuali possono individuare un tentativo di cambiare bandiera o modificare l'immatricolazione controllando il numero IMO di una nave (il numero di identificazione unico assegnato per conto dell'Organizzazione marittima internazionale).

In che modo le sanzioni colpiscono il sistema bancario russo?

Blocco dell'accesso a SWIFT per banche russe e bielorusse

Il blocco impedisce a dieci banche russe e a quattro banche bielorusse di effettuare o ricevere pagamenti internazionali utilizzando SWIFT.

Simbolo di divieto con la bandiera russa davanti a una banca. Il testo "SWIFT" è visibile sulla facciata della banca.
Dieci banche russe e quattro banche bielorusse sono escluse dall'utilizzo di SWIFT

SWIFT è un servizio di messaggistica che facilita sostanzialmente lo scambio di informazioni tra banche e altri istituti finanziari e che collega più di 11 000 entità in tutto il mondo.

Di conseguenza, queste banche non possono né ottenere valuta estera (poiché un trasferimento di valuta estera tra due banche è generalmente trattato come un trasferimento all'estero che coinvolge una banca intermediaria estera) né trasferire attività all'estero, il che si traduce in conseguenze negative per le economie russa e bielorussa.

Dal punto di vista tecnico, le banche potrebbero effettuare operazioni internazionali senza SWIFT, ma si tratta di un processo costoso e complesso che richiede fiducia reciproca tra gli istituti finanziari. Un processo di questo tipo riporta i pagamenti all'epoca in cui venivano utilizzati telefono e fax per confermare ogni operazione.

Sanzioni nei confronti della Banca centrale nazionale russa

L'Unione europea ha vietato tutte le operazioni con la Banca centrale nazionale russa relative alla gestione delle riserve e delle attività della Banca centrale russa. A seguito del congelamento dei beni della Banca centrale, quest'ultima non può più accedere alle attività detenute presso banche centrali e istituzioni private nell'UE.

Nel febbraio 2022 le riserve internazionali della Russia ammontavano a 643 miliardi di USD (579 miliardi di EUR). Disporre di riserve in valuta estera contribuisce, tra le altre cose, a mantenere stabile il tasso di cambio della valuta di un paese.

A causa del divieto di effettuare transazioni dall'UE e da altri paesi, si stima che più della metà delle riserve russe siano congelate. Il divieto è stato imposto anche da altri paesi (come gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito) che detengono altresì una quota delle riserve estere della Russia.

Di conseguenza, la Russia non può utilizzare questa riserva di attività estere per fornire fondi alle sue banche e limitare così gli effetti di altre sanzioni. Anche le riserve auree detenute in Russia sembrano ora più difficili da vendere a causa delle sanzioni internazionali che colpiscono entità russe.

L'UE ha inoltre vietato la vendita, la fornitura, il trasferimento e l'esportazione in Russia di banconote denominate in euro. L'obiettivo è limitare l'accesso al contante in euro da parte del governo russo, della sua Banca centrale e delle persone fisiche o giuridiche in Russia al fine di evitare l'elusione delle sanzioni.

Sanzioni analoghe si applicano alla Bielorussia.

Perché l'UE ha sospeso le trasmissioni di cinque emittenti russe?

Da tempo la Federazione russa attua una sistematica campagna internazionale di disinformazione, manipolazione delle informazioni e distorsione dei fatti, nell'intento di rafforzare la sua strategia di destabilizzazione sia dei paesi limitrofi, che dell'UE e dei suoi Stati membri.

Un giornalista televisivo presenta le notizie. Il logo di Russia Today è proiettato sullo schermo dietro di lui.
La trasmissione nell'UE di cinque organi di informazione statali russi è sospesa - © AFP

Per contrastare tale azione, l'UE ha sospeso le trasmissioni nell'Unione di cinque emittenti statali russe:

  • Sputnik
  • Russia Today
  • Rossiya RTR / RTR Planeta
  • Rossiya 24 / Russia 24
  • TV Centre International

La Russia utilizza tutti questi organi di informazione pubblici per diffondere intenzionalmente propaganda e condurre campagne di disinformazione, anche in merito alla sua aggressione militare nei confronti dell'Ucraina.

Le restrizioni nei confronti di Sputnik e Russia Today (insieme alle loro controllate, quali RT English, RT Germany, RT France e RT Spanish) sono in vigore dal 2 marzo 2022, quelle imposte alle altre tre entità dal 4 giugno 2022.

Tali restrizioni riguardano tutti i mezzi di trasmissione e distribuzione negli Stati membri dell'UE o ad essi rivolti, compresi il cavo, il satellite, la televisione via Internet (IPTV), le piattaforme, i siti web e le app.

In linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno a tali organi di informazione e al loro personale di svolgere nell'UE altre attività oltre alla radiodiffusione, come la ricerca e le interviste.

L'UE coordina le sanzioni con altri partner?

Le sanzioni sono più efficaci se è coinvolta un'ampia gamma di partner internazionali. Nelle ultime settimane l'UE ha lavorato a stretto contatto con partner che condividono gli stessi principi, come gli Stati Uniti, al fine di coordinare le sanzioni.

L'UE collabora con il Gruppo della Banca mondiale, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) e altri partner internazionali per impedire alla Russia di ottenere finanziamenti da tali istituzioni.

Per coordinare questo sforzo internazionale, la nuova task force REPO (Russian Elites, Proxies, and Oligarchs) consente all'UE di cooperare con i paesi del G7 — Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti — nonché con l'Australia, al fine di garantire l'applicazione delle sanzioni.

Sebbene l'UE collabori strettamente con molti partner, ciascuno di questi paesi terzi decide unilateralmente quali sanzioni imporre.

Le sanzioni dell'UE rientrano nel diritto internazionale?

Sì. Tutte le sanzioni dell'UE sono pienamente conformi agli obblighi derivanti dal diritto internazionale e rispettano i diritti umani e le libertà fondamentali.

Una volta raggiunto un accordo politico tra gli Stati membri dell'UE, il servizio europeo per l'azione esterna e/o la Commissione europea preparano i necessari atti giuridici, che sono presentati al Consiglio per adozione.

I regolamenti e le decisioni del Consiglio, in quanto atti giuridici di portata generale, sono vincolanti per qualsiasi persona o entità soggetta alla giurisdizione dell'UE, vale a dire qualsiasi persona o entità all'interno dell'UE, qualsiasi cittadino dell'UE in qualsiasi luogo e tutte le società e organizzazioni costituite a norma del diritto di uno Stato membro dell'UE.

Le posizioni dei partiti sulle sanzioni contro la Russia | Pagella Politica

In questa campagna elettorale c’è chi le difende, chi le mette in discussione e chi chiede di eliminarle

di Davide Leo - 08 SETTEMBRE 2022

Negli ultimi giorni, con il continuo aumento dei prezzi energetici, i leader dei principali partiti politici in Italia sono tornati a parlare delle sanzioni che l’Unione europea ha imposto alla Russia a partire dall’inizio della guerra in Ucraina.

Non tutti i partiti la pensano allo stesso modo sul tema: c’è chi sostiene con forza la necessità di continuare con le sanzioni, chi le mette in dubbio e chi vuole cancellarle. Ecco quali sono le posizioni nel dibattito politico italiano.

I favorevoli alle sanzioni

Il Partito democratico è uno dei partiti più favorevoli alle sanzioni contro la Russia, una posizione ribadita più volte dal suo segretario Enrico Letta. «Le sanzioni a Putin devono essere durissime, e tutti i Paesi europei devono imporle», aveva detto Letta a febbraio, subito dopo l’inizio della guerra. Negli ultimi giorni, il segretario del Pd ha definito «senza senso» il dibattito critico intorno alle sanzioni, «che devono essere decise e portate avanti da tutti gli europei».

Della stessa opinione anche gli altri partiti della coalizione di centrosinistra, come Più Europa, la cui leader Emma Bonino il 6 settembre ha affermato che «le sanzioni per funzionare hanno bisogno di tempo e da sempre hanno anche un impatto molto minore sui sanzionatori, ma è indubbio che la Russia, economicamente parlando, è in ginocchio». Il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni ha in passato sottolineato l’importanza dei pacchetti di sanzioni europei, sostenendo che andrebbero inaspriti e aumentati, sostituendoli del tutto all’invio di armi all’Ucraina.

Fuori dal centrosinistra, il 5 settembre il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha espresso la posizione del suo partito, affermando che «le sanzioni stanno facendo molto male a noi, ma dobbiamo tenerle».

Le sanzioni alla Russia sono uno dei temi sui quali convergono schieramenti politici molto diversi tra loro: anche il leader di Azione Carlo Calenda è infatti un sostenitore di lunga data di questi provvedimenti, a cui vorrebbe aggiungere anche l’embargo del petrolio (un accordo di questo tipo, sebbene parziale, è già stato sottoscritto dall’Ue a maggio).

Nel centrodestra, anche Fratelli d’Italia e Forza Italia si sono detti favorevoli alle sanzioni. Il 4 settembre, ospite al Forum di Cernobbio organizzato dal think tank The European House-Ambrosetti, la leader Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha rassicurato gli osservatori internazionali affermando che se il suo partito dovesse vincere le elezioni «non ci sfileremo dalle sanzioni, è una questione di credibilità internazionale». Dello stesso avviso anche il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani, che il 5 settembre in un’intervista con La Stampa ha dichiarato: «Per noi le sanzioni devono rimanere. Punto». Il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi si è detto invece «molto dispiaciuto e deluso che la Russia, invece di entrare nell’Unione europea e renderla più forte, abbia addirittura rafforzato il totalitarismo cinese». Sulle sanzioni però neanche l’ex presidente del Consiglio ha dubbi: «Sono in perfetta linea con il governo, con l’Unione europea e con l’intero Occidente».

I contrari alle sanzioni

Tra i grandi partiti, l’unico a mettere in discussione la validità e l’efficacia delle sanzioni alla Russia è la Lega. Nel suo intervento al Forum di Cernobbio, il leader Matteo Salvini ha infatti criticato la strategia europea, sostenendo che le sanzioni non stanno funzionando, ma al contrario stanno danneggiando i Paesi che le hanno imposte piuttosto che la Russia. Nei giorni precedenti, Salvini aveva già espresso il suo parere negativo, affermando come «ripensare la strategia è fondamentale per salvare posti di lavoro e imprese in Italia» e proponendo quindi di introdurre uno «scudo europeo» che protegga i cittadini italiani dalle eventuali ricadute economiche delle sanzioni.

In ogni caso, Salvini ha ragione quando afferma che la Lega, nonostante le perplessità sulle sanzioni, ha «sempre» votato «tutti i provvedimenti a favore dell’Ucraina», comprese le sanzioni contro la Russia, sia a livello italiano che europeo. «La collocazione dell’Italia a livello internazionale non cambia a prescindere dal voto» del 25 settembre, ha assicurato Salvini a Cernobbio. «Vogliamo andare avanti con le sanzioni? Andiamo avanti ma non vorrei che invece di fare del male agli altri facessimo del male a noi stessi». I co-portavoce di Europa verde Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, alleati con il centrosinistra, hanno criticato Salvini, puntando il dito sul tempismo, definito in una nota «sospetto», tra l’annuncio della Russia dello stop alle forniture in caso di proseguimento delle sanzioni e le dichiarazioni del leader della Lega a Cernobbio.

Chi è invece nettamente contrario alle sanzioni sono alcuni dei partiti “antisistema” presenti alle elezioni. Come mostra indecis.it, un portale per confrontare i programmi elettorali sviluppato in collaborazione con Pagella Politica, i programmi di Italexit, Italia sovrana e popolare e Alternativa per l’Italia propongono esplicitamente di togliere le sanzioni alla Russia.

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“Reddito di cittadinanza a mille euro, zero Iva sui beni alimentari e revisione delle sanzioni alla Russia”: l’intervista a Luigi De Magistris (Unione popolare)

Giacomo Andreoli 14/09/2022 (estratto dell'articolo)

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Secondo De Magistris chi ha governato finora è stato “inadeguato” nell’affrontare le emergenze economiche del Paese. Quindi lancia la “ricetta alternativa” di Unione popolare, a partire da un nuovo rapporto con Mosca, spingendo al “dialogo” con Vladimir Putin, con l’obiettivo di costruire una “proposta di pace italiana” e “scongiurare un peggioramento” della crisi energetica. Quanto alle coperture l’ex sindaco di Napoli cita: una più efficace lotta all’evasione, la riduzione delle spese militari, la tassazione al 90% delle società energetiche, la rinazionalizzazione di chi produce e vende gas e luce e un tetto massimo a 5mila euro per gli assegni pensionistici.

Qual è il primo intervento, quello che ritiene prioritario, che inserirebbe nella prossima legge di Bilancio?

Prima di tutto bisogna intervenire sul costo della vita in generale, che è il caro-bollette, ma anche l’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse. Il quadro complessivo è preoccupante ed è addebitabile anche all’inadeguatezza di chi ha governato finora. Il primo intervento per scongiurare un peggioramento è mutare del tutto la politica estera del nostro Paese e spingere per aprire un canale di trattativa, compromesso e mediazione rispetto al conflitto in Ucraina. Poi bisogna tassare al 90% gli extraprofitti di chi ha guadagnato sulle speculazioni legate all’energia e non sulla libera concorrenza.

Come aiutare quindi famiglie e imprese ad affrontare i prossimi aumenti in bolletta? E come conciliare la necessità immediata di gas con la transizione ecologica?

Dobbiamo calmierare i costi a famiglie e imprese in modo urgente e per farlo recuperare risorse, vista l’emergenza, anche dalle rendite patrimoniali, immobiliari e finanziarie più elevate. Poi si può recuperare anche molto dalla lotta all’evasione, che oggi nel nostro Paese vale 90 miliardi di euro, che va collegata a un piano straordinario di assunzioni nella Pubblica amministrazione perché l’Agenzia delle Entrate ha un personale ridotto. Dobbiamo quindi ridurre le spese militari e rendere di nuovo pubblici tutti i beni comuni, a partire dall’energia elettrica e il gas, che devono tornare allo Stato. Questo sicuramente porterà benefici sui prezzi anche nel lungo periodo. Lo scostamento di bilancio di cui parla Salvini, invece, è un tema solo elettorale: il governo Draghi non credo lo farà. Chi verrà dopo il 25 settembre deve essere in grado di trovare le risorse a partire dalle aree che ho indicato, poi se non ci c’è altro modo e vanno tutelati i diritti, allora il nuovo debito diventa necessario, seppur sintomo di una sofferenza generale. Quanto alla transizione ecologica al momento siamo ai minimi termini: va usato il Pnrr per una svolta ambientalista seria e non usare l’emergenza di oggi per riproporre le solite ricette velenose per gli ecosistemi naturali che hanno portato al cambiamento climatico. Per fare i rigassificatori non ci vogliono pochi mesi, per il nucleare anche di quarta generazione serve almeno un decennio, mentre si può da subito investire maggiormente sulle rinnovabili. Poi certo, nel breve periodo non possiamo fare a meno del gas russo e per questo serve una nuova stagione di dialogo assieme a una ancor maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Il metano liquido (Gnl), però, oggi lo paghiamo cinque volte in più rispetto a quanto paghiamo quello russo.

A proposito di politica estera: volete smettere di inviare armi in Ucraina e superare la Nato, non aumentando e anzi riducendo le spese militari. Quanto alle sanzioni alla Russia pensate stiano funzionando o danneggiano troppo la nostra economia? Insomma: bisogna continuare a infliggerle o smettere?

Bisogna riprendere la via diplomatica con la Russia, per impedire un peggioramento della situazione bellica e di conflitto economico con l’Occidente. Se dovesse arrivare la totale interruzione del gas russo non so come potremmo reggere dal punto di vista imprenditoriale e familiare: non siamo attrezzati e non abbiamo nemmeno un piano di razionamento paragonabile a quelli europei. L’Ue deve essere più autorevole e forte, amica degli Stati Uniti, ma non subalterna com’è in questo momento. Le sanzioni sulla carta sono uno strumento efficace sulla carta, ma oramai è sotto gli occhi di tutti che non hanno fatto finire la guerra o far cadere il governo di Putin. Le sanzioni stanno fiaccando più i popoli, ma oltre a quello russo anche quelli europei, tra cui noi italiani: stiamo pagando un prezzo molto alto. Per questo siamo per rivedere tutta la strategia, comprese le sanzioni, con una proposta di pace italiana di alto livello.

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Melenchon a Roma: "Sono qui per sostenere UNIONE POPOLARE"

dal settimanale LEFT - articolo di Stefano Galieni

A Bruxelles ci sono state interlocuzioni con alcuni deputati del M5s, ma non hanno portato a nulla. Anche loro sono nel sistema». Il leader dei progressisti francesi arrivato in Italia per la campagna elettorale ha espresso il suo endorsement per la lista di de Magistris e ha parlato delle prospettive della sinistra italiana ed europea

Mercoledì 7 settembre in una piazza della periferia sud di Roma a poche centinaia di metri dal Comando operativo interforze, la struttura militare più importante delle forze armate del nostro Paese, e poi il giorno successivo in conferenza stampa in un hotel del quartiere Prati, Jean-Luc Mélenchon, leader de La France insoumise e dell’aggregazione Nupes (Nuova unione popolare ecologica e sociale, ndr) che si è avvicinata alle ultime elezioni legislative a trionfare in Francia, è intervenuto in maniera per alcuni sorprendenti nella campagna elettorale italiana.

Della sua visita si parlava da giorni, alcuni media mainstream avevano lasciato intendere che l’arrivo fosse dovuto alla volontà di fare un endorsment al M5s di Conte, ma questo non è accaduto. Mélenchon ci ha tenuto a dire, sia dalla piazza, da cui ha parlato salendo su una sedia, sia poi davanti ai giornalisti e nelle trasmissioni televisive a cui ha partecipato, che la sua venuta era dovuta al fatto che in Italia è presente una lista elettorale il cui programma politico è identico al suo, ossia Unione popolare, guidata da Luigi de Magistris.

Confermando le proprie capacità di conquistare le folle, pur dovendo rivolgersi ai cittadini con l’aiuto di un interprete, quello che viene definito l’astro nascente della sinistra in Europa, nonostante la non giovane età, ha lanciato messaggi inequivocabili partendo da una parola in italiano: “Resistenza”. «Potevo restarmene nel mio letto in Francia mentre i compagni italiani stanno combattendo contro i fascisti?» ha domandato in maniera retorica.

E da lì, in una piazza attenta, a descrivere con cognizione di causa tanto le ragioni della sua amicizia con il portavoce di Unione popolare, la condivisione della battaglia per i beni inalienabili, primo fra tutti l’acqua, la centralità del pubblico e dello Stato, un’idea di Europa in cui non c’è spazio per le discriminazioni, per le “piccole patrie”, per la xenofobia e il razzismo. Un invito a non farsi ingannare né dalle sirene della destra di Meloni, «ve lo so dire perché noi conosciamo bene Marine Le Pen», né tantomeno dalle forze di sistema che non vogliono far altro che conservare i propri privilegi.

Mélenchon ha poi citato il grande patrimonio storico e culturale italiano da cui dichiara di aver appreso tanto: dall’umanesimo, dal movimento operaio e comunista, da Gramsci e da Pasolini. Ha incantato la folla che aveva già dimostrato di apprezzare de Magistris, raccontando di come la sua forza politica, partita dal nulla, sia riuscita, con un lavoro capillare, e certo lungo nel tempo, a conquistare non solo il voto ma anche il desiderio di partecipare alla vita politica dei giovani, delle classi popolari e delle persone più povere, affrontando temi e bisogni reali con parole chiare e senza accettare compromessi.

Il suo appoggio ad Unione popolare è stato da lui presentato come quasi scontato, naturale, considerando questa forza appena nata come fondata sugli stessi principi della Nouvelle union populaire francese. Ma se l’incontro in piazza è stato un momento dedicato a militanti e simpatizzanti – anche se, chi scrive, di persone venute con opinioni diverse per comprendere e ascoltare ne ha incontrate – è stata nell’atmosfera più pacata e puntuale della conferenza stampa di questa mattina che il leader transalpino ha potuto esplicare meglio il proprio pensiero. Reiterando la scelta di sostegno ad Unione popolare operata e grazie anche alle domande che gli sono state rivolte, ha parlato più approfonditamente sia delle aspirazioni della sinistra francese che delle prospettive della sinistra europea.

«Partiamo dai fondamentali – ha detto nel suo intervento introduttivo – la democrazia è dialogo, confronto, scontro a volte, ma spazio in cui si incontrano le opinioni divergenti. Io ricordo l’Italia in cui c’era un grande Partito comunista e una Democrazia cristiana che dibattevano e che rappresentavano due opzioni diverse per il Paese. Oggi, al di là di alcuni accenti, nessuno discute, tutti la pensano alla stessa maniera che è quella del sistema che sta distruggendo il pianeta intero. De Magistris pensa cose diverse, le vuole discutere. Non dico che debbano essere condivise ma per quale motivo nessuno si confronta con lui sui contenuti? Sulle sue proposte? Perché il Pd o il M5S che si dichiarano di sinistra non discutono con Unione popolare? Questa è la fine della democrazia».

E poi parlando del conflitto in Ucraina e condannando senza appello l’invasione russa ha esclamato, uscendo dagli ambiti italiani: «Intanto a me sembra serva maggiore chiarezza. Si abbia il coraggio di dichiarare di volere la pace oppure la guerra totale. Noi siamo sia contro la guerra totale che contro le guerre piccole, per noi la pace si deve ottenere in Ucraina come nei tanti conflitti che l’Occidente ha provocato. Serve coraggio e serve una scelta intelligente. Ma vi pare possibile continuare ad essere governati da incompetenti che prima applicano le sanzioni alla Russia e sei mesi dopo si preoccupano del fatto che queste mettono in ginocchio le economie dei Paesi europei? Non se lo aspettavano? Pensavano che la minaccia delle sanzioni avrebbe interrotto immediatamente l’invasione? Ora siamo nei guai, per colpa di questi incompetenti che non devono essere votati perché non sanno governare».

Una cartina di tornasole che bene illustra il pensiero di Mélenchon, condivisa dal portavoce di Unione popolare, riguarda il tema delle migrazioni: «Affrontare questa questione non è semplice ma servono dei presupposti condivisi. Il primo è che le persone non possono essere semplicemente respinte, il secondo è che il Mediterraneo non è un mare italiano o greco ma riguarda tutto il continente e non può rimanere un’immensa fossa comune nell’indifferenza di tutti i Paesi a partire da quello in cui vivo io fino a quelli nordici o all’Est Europa fascistizzata. Si possono cambiare le cose acquistando consapevolezza».

«Le persone fuggono dal proprio Paese per le guerre che finanziamo – ha aggiunto Mélenchon – a causa dei cambiamenti climatici di cui l’Occidente è principale responsabile e a causa dell’atteggiamento predatorio delle nostre economie nei Paesi nord africani e dell’Africa Sub Sahariana. Ma vi pare possibile che l’Europa decida quanto debbano essere larghe le maglie delle reti per la pesca per i Paesi del Nord Africa, in maniera tale che peschino solo alcuni pesci mentre altri li possono pescare solo le navi dei Paesi ricchi? Inevitabile che anche scelte del genere costringano le persone a migrare. Creiamo le condizioni per cui si possa scegliere di restare nel proprio Paese».

Il leader di Nupes ha poi ricordato come la Francia sia responsabile per la propria storia coloniale di tanti danni nel passato e nel presente. Ha parlato dei diversi Paesi interessati dal colonialismo francese, dal Mali al Chad, al Camerun, al Burkina Faso denunciando le interferenze nella loro vita democratica, le missioni militari a cui si succedevano bruschi ritorni a casa dei soldati senza nessun passaggio parlamentare o dibattito, i colpi di Stato che avvenivano senza che gli stessi servizi francesi impegnati in quei territori sembrassero accorgersene.

«Da francese mi vergogno enormemente della politica dei nostri governi in Africa – ha dichiarato – da francese vorrei che agli abitanti di quei Paesi venisse garantita la libertà di scegliere i propri governi senza interferenze economiche o politiche».

Tanti, insomma, i temi toccati e tante le proposte su cui Mélenchon ha chiesto di discutere partendo dal presupposto che la sinistra in cui lui era nato e cresciuto ha bisogno di rinnovarsi e di comprendere il XXI secolo con tutte le sue contraddizioni. Su una questione ha voluto essere netto: «Non so chi e perché abbia messo in giro la voce che sarei venuto ad appoggiare il signor Conte. Chi lo ha fatto non mi ha interpellato perché sarebbe stato smentito sin dall’inizio. Al Parlamento europeo ci sono state interlocuzioni con alcuni deputati del M5s ma non hanno portato a nulla. Anche loro sono nel sistema, non hanno una bussola e stanno con i potenti con cui hanno governato e con cui continuano a votare leggi anche in campagna elettorale. Non conosco Conte e sono venuto qui perché Luigi de Magistris e le persone che lottano con lui nell’Unione popolare sono credibili e rappresentano la parte migliore del Paese. Siete nati da poco ma avete un grande futuro davanti».

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‘Noi non paghiamo’, perché Unione popolare sostiene la campagna anti bollette milionarie

Da alcuni giorni è partita anche in Italia la campagna di disobbedienza civile “NOI NON PAGHIAMO”, relativa alle bollette del gas e dell’energia elettrica. L’obiettivo della campagna è quello di raccogliere la disponibilità dei cittadini all’autoriduzione delle bollette a partire dal mese di novembre. L’obiettivo è quello di raccogliere un milione di adesioni in modo da determinare una pressione politica sul governo e sulle aziende che forniscono gas ed energia elettrica e – in assenza di risposte concrete all’aumento indiscriminato delle bollette, di arrivare ad una autoriduzione collettiva delle stesse.

L’obiettivo della campagna è quello di raccogliere la disponibilità dei cittadini all’autoriduzione delle bollette a partire dal mese di novembre. L’obiettivo è quello di raccogliere un milione di adesioni in modo da determinare una pressione politica sul governo e sulle aziende che forniscono gas ed energia elettrica e – in assenza di risposte concrete all’aumento indiscriminato delle bollette, di arrivare ad una autoriduzione collettiva delle stesse.

Ho aderito personalmente alla campagna e Unione Popolare, nelle cui liste sono candidato, la sostiene con convinzione. La campagna italiana prende le mosse da una analoga campagna inglese, che ha già raccolto oltre circa 400.000 adesioni e che entrerà nel vivo a partire dal mese di ottobre. L’anno zero del Regno Unito: il Paese tra caro energia, instabilità politica e crisi economica. Senza la ‘certezza’ Elisabetta II

È infatti evidente che ci troviamo di fronte ad un problema drammatico: da un lato milioni di famiglie non riescono a far fronte al costo delle bollette, dall’altra il governo non fornisce alcuna risposta concreta. Addirittura quello stesso governo che ha deciso a chi cedere quello che resta di Alitalia, si trincera dietro ai vincoli della normale amministrazione per sostenere che non può intervenire efficacemente e così, senza alcun pudore, dopo averci spiegato che dovevamo spegnere i condizionatori in estate, adesso ci spiega che dobbiamo spegnere anche i caloriferi. Ci troviamo quindi in una situazione in cui la gravità del problema sociale – ed economico per una fascia non irrilevante di imprese – non è praticamente preso in considerazione dal governo.

L’unica misura su cui si è concentrata l’attenzione del governo e del suo protettore Mattarella, è quella di proporre all’Unione Europea di fissare un tetto al prezzo d’acquisto del petrolio Russo. Il Price Cap è una misura inutile e dannosa: inutile perché inefficace per ridurre sul serio i prezzi; dannosa perché essendo una misura di guerra economica contro la Russia, rischia di avere come effetto una ulteriore ritorsione Russa in termini di embargo della vendita del gas e del petrolio Russo all’Europa. Questo effetto boomerang è talmente evidente che vari paesi dell’Unione europea hanno già manifestato la loro contrarietà e la decisione su questa ulteriore misura di guerra proposta dal governo Draghi è stata rinviata a data da destinarsi.

In questa situazione di assenza di risposte da parte del governo e di indisponibilità – sua come dell’opposizione – a fare una seria manovra di scostamento di bilancio per affrontare il problema, il rischio più grande è che tutto ricada sulle spalle delle famiglie che, nella solitudine e nell’isolamento, sarebbero impossibilitate ad affrontare la situazione. Occorre al contrario trasformare quello che rischia di essere un problema vissuto individualmente in una risposta collettiva che innanzitutto ponga il problema politico e poi dia una risposta concreta: attraverso l’autoriduzione sarà possibile per le famiglie che non hanno materialmente i soldi per pagare le bollette, versare anche solo 5 euro in modo da non essere considerati morosi e aprire un contenzioso collettivo con le società fornitrici. Mai come in questo caso la lotta deve coincidere con il risultato perché le famiglie non possono pagare il salasso che ci hanno preparato.

Come più volte abbiamo chiarito, le bollette milionarie sono infatti il frutto di scelte politiche scellerate fatte in questi anni: dalla liberalizzazione del mercato del gas, alla speculazione in borsa, alle sanzioni contro la Russia che in realtà sono sanzioni contro i popoli europei, fino alla non volontà di far pagare i sovrapprofitti alle grandi imprese. Le bollette milionarie non sono quindi frutto di un destino cinico e baro ma di scelte politiche sbagliate dei governi liberisti di centro destra e centro sinistra e non possono essere scaricate sul popolo italiano.

Per questo vi invitiamo a sostenere la campagna “Noi non paghiamo” che si pone l’obiettivo non solo di contestare la politica governativa ma di organizzare la disobbedienza civile di milioni di uomini e donne. Invito quindi tutte le persone che condividono questa esigenza a sottoscrivere l’appello che si trova sul sito www.nonpaghiamo.it

Raccogliere un milione di adesioni per dar vita ad una pressione che trasformi in pressione politica e in protesta sociale quello che ad oggi è solo un dramma individuale.

Noi di Unione Popolare siamo contro la guerra e contro il carovita che dalla guerra deriva. Per questo siamo contro l’invio di armi, siamo contro le sanzioni e siamo favorevoli alla trattativa! #nonpaghiamo

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https://www.analisidifesa.it/2022/10/lattacco-ai-gasdotti-nord-stream-lobiettivo-e-leuropa/

L’attacco ai gasdotti Nord Stream: il bersaglio è l’Europa

 

L’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina sud orientale alla Federazione Russa con le relative celebrazioni a Mosca e l’improbabile accelerazione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO accentuano l’escalation del conflitto e il rischio che possa allargarsi coinvolgendo un’Europa che appare sempre di più in ginocchio.

A compromettere, forse definitivamente, le sue precarie condizioni contribuisce anche l’atto dinamitardo (gli svedesi stimano che la potenza dell’esplosione fosse di 100 chilogrammi di TNT equivalente) che il 27 settembre ha visto esplodere i “tubi” sottomarini dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2, che trasportano il gas russo in Germania attraversando i fondali del Mar Baltico: il primo è fermo da alcune settimane e il secondo è stato ultimato poco prima dello scoppio della guerra in Ucraina e non è mai entrato in funzione.

Non ci sono dubbi circa il fatto che non si sia trattato di un incidente mentre più arduo è stabilire chi abbia effettuato un attacco multiplo che ha provocato la fuoriuscita di 500 milioni di metri cubi di gas per un valore di 800 milioni di euro e che determinerà con ogni probabilità la compromissione dell’efficienza dei due gasdotti a causa dell’acqua salata che penetrerà in profondità allagando e corrodendo le grandi infrastrutture metalliche.

Gazprom sembra valutare che occorreranno sei mesi per ripararli, altre fonti parlano di anni o ritengono che le infrastrutture siano irrimediabilmente compromesse.

Gas e gasdotto Nord Stream 2 sono di proprietà della stessa Nord Stream 2 AG, società di cui Gazprom è azionista al 100%. Anche il gas nel gasdotto Nord Stream 1 è proprietà di Gazprom: quindi i danni patrimoniali e in materia prima costituiscono interamente perdite finanziarie russe.

 

Sabotaggio  

Un’azione terroristica o per meglio dire un sabotaggio ben orchestrato attuato contro i gasdotti posati a 60/80 metri di profondità sul fondo del Mar Baltico, ben accessibile per posizionare cariche esplosive a palombari o veicoli subacquei senza pilota.

Senza dimenticare che anche i veicoli di rilevazione e manutenzione impiegabili all’interno dei tubi potrebbero in teoria venire utilizzati per azioni di sabotaggio che richiederebbero però il controllo delle stazioni di accesso in Russia o in Germania. L’esame dei tubi nei punti interessati dalle esplosioni potrà confermare se la deflagrazione è avvenuta all’interno o all’esterno dei gasdotti.

Mosca e Washington si sono scambiati accuse reciproche ma va osservato che l’attacco è stato effettuato in un’area che fin dalla Guerra Fredda viene strettamente controllata dalle Marine occidentali, un punto il cui Mar Baltico si restringe lambendo a poca distanza tra loro le coste tedesche, polacche, danesi e svedesi.

Un’area marittima frequentata dalla Flotta russa del Mar Baltico ma dove neppure un canotto russo sfuggirebbe ai controlli subacquei e di superficie, specie in un momento di tensioni come questo e con il gruppo navale d’assalto anfibio statunitense guidato dalla portaelicotteri USS Kearsage assegnato al Mar Baltico e quello britannico con la nave da assalto anfibio HMS Albion.

Ammesso che i russi avessero interesse a sabotare gasdotti inattivi, avrebbero avuto a disposizione ampi tratti da minare indisturbati più a nord, distanti dai capillari controlli che le forze della NATO attuano nell’imbocco del Mar Baltico, senza scordare che Mosca schiera nelle basi dell’énclave di Kaliningrad incursori subacquei con mezzi idonei a sabotaggi sottomarini.

 

Cui prodest?

In assenza di prove o rivendicazioni, per cercare di farsi un’idea di chi potrebbe aver compiuto un simile attacco occorre forse chiedersi chi se ne avvantaggi. I russi? Gli Stati Uniti o i loro alleati di ferro britannici, ucraini o polacchi?

I due gasdotti erano stati realizzati con un costo complessivo di circa 20 miliardi di euro per assicurare alla Germania e all’Europa il gas russo senza utilizzare i gasdotti che attraversano Ucraina e Polonia, soggetti al rischio di tensioni o ricatti e al pagamento di diritti di transito a Varsavia e Kiev che non a caso, non hanno mai nascosto la totale ostilità al progetto Nord Stream 2.

Un gasdotto duramente osteggiato anche dagli Stati Uniti che fin dai fatti del Maidan a Kiev del 2014 cercano di interrompere la saldatura tra la potenza energetica russa e la potenza economica europea. Impossibile non ricordare che Washington è stata ferocemente ostile al progetto Nord Stream 2 fino a minacciare più volte Berlino e a nominare un “inviato speciale” che si occupasse di premere sulla Germania.

Nelle settimane precedenti l’inizio del conflitto in Ucraina sia il presidente Joe Biden sia il sottosegretario agli esteri Victoria Nuland (quella che nel 2014, durante i fatti del Maidan disse in una conversazione telefonica che l’Europa doveva “fottersi”) hanno detto chiaramente che in caso di attacco russo all’Ucraina il Nord Stream sarebbe stato fermato.

“Se la Russia invaderà l’Ucraina non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi porremo fine – aveva detto il presidente – Vi assicuro, saremo in grado di farlo”.

Una decina di giorni prima il sottosegretario Nuland aveva detto che se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro Nord Stream 2 non andrà avanti”.

Se fosse un’inchiesta di polizia, nessun investigatore ignorerebbe movente e indizi simili e non sembra casuale neppure che le esplosioni nei due gasdotti sottomarini russi si siano registrate il giorno stesso in cui veniva inaugurato il gasdotto che porta il gas norvegese in Danimarca e Polonia.

Il “Baltic Pipe” è quantitativamente insufficiente a sopperire alla riduzione del gas russo ma ha un valore geopolitico e strategico rilevante, ingigantito dalle deflagrazioni che hanno compromesso i due Nord Stream.

Da oggi la Polonia, alleato di ferro degli USA, “protettore” dell’Ucraina e nemico giurato della Russia, si candida ad assumere il ruolo di vero hub europeo del gas (non più russo) togliendo questo ruolo alla Germania mentre l’Europa viene approvvigionata oggi di gas russo solo dai gasdotti che attraversano l’Ucraina.

Infrastrutture finora accuratamente risparmiate dai belligeranti ma che restano vulnerabili al rischio bellico e di rappresaglie oltre che ai ricatti di Kiev all’Europa. L’Ucraina che preme su Berlino per avere maggiori aiuti militari, disporrà oggi di un maggiore potere contrattuale e ricattatorio potendo bloccare a suo piacimento i flussi di gas russo verso la Ue.

In Europa molti sembrano non volersi sbilanciare in valutazioni circa le responsabilità dell’attacco mentre sul piano politico tutti sembrano accusare i russi che così avrebbero ottenuto un nuovo repentino rialzo dei prezzi del gas a danno dell’Europa e a vantaggio delle loro casse.

Una valutazione non del tutto convincente: i due gasdotti erano di fatto inutilizzati l’aumento del prezzo del gas Mosca lo avrebbe ottenuto anche riducendo ulteriormente le forniture alla Ue via gasdotti ucraini.

Quanto alle penali contrattuali attribuibili a Gazprom c’è chi sostiene che la distruzione del gasdotto Nord Stream costituirebbe sena dubbio una “causa di forza maggiore” per giustificare lo stop alle forniture. In realtà però i due gasdotti erano inattivi e la scelta di non aprire il NS 2 è stata presa da Berlino su pressioni di Washington, non certo da Mosca.

D’altra parte, con gli attacchi ai Nord Stream i russi ottengono solo un grave danno economico e la certezza di non poter riprendere su vasta scala le forniture all’Europa neppure in un futuro in cui la guerra fosse terminata e gli indirizzi politici russi ed europei fossero mutati in senso più conciliante.

Anche l’ipotesi che i russi abbiano fatto esplodere i gasdotti per incolparne polacchi o americani creando fratture tra gli alleati occidentali non può essere esclusa anche se porterebbe dubbi vantaggi mediatrici a Mosca a fronte di sicuri e prolungati danni economici e finanziari.

 

Valutazioni

Benché politica e media occidentali da sette mesi cerchino di convincerci che i russi “si bombardano da soli”, colpendo prima un loro campo di prigionia, poi una centrale nucleare sotto il loro controllo e ora i costosissimi gasdotti Nord Stream, è difficile comprendere che interesse avrebbero avuto a compiere questo raid subacqueo.

Certo mettere fuori uso i Nord Stream in modo così eclatante può contribuire a seminare il terrore per la crisi energetica in Europa e soprattutto a Berlino, dove sarebbe interessante conoscere le valutazioni dei servizi d’intelligence e della Marina circa quanto avvenuto sotto la superficie del Mar Baltico.

Tra le conseguenze di questo attacco ai gasdotti vi sarà con ogni probabilità un ulteriore indebolimento e frammentazione interna dell’Unione Europea, dove ogni solidarietà (se mai c’è stata) verrà meno e ogni nazione cercherà di sopravvivere all’inverno come meglio potrà, anche tagliando forniture di energia contrattualizzate ai vicini (come sta accadendo all’Italia).

Un’Europa impoverita e frantumata, totalmente prona agli Stati Uniti e alla mercé di Varsavia e Kiev che potranno ricattarci bloccando il residuo gas russo che transita nei gasdotti ucraini, non è negli interessi nostri e neppure di Mosca.

Uno scenario non improbabile poiché la distruzione dei gasdotti del Baltico, nelle attuali condizioni, condanna oggi la Germania e l’Europa alla recessione e al baratro (industriale, economico e sociale) togliendo di mezzo ogni ipotesi di tornare in tempi ragionevoli a rifornirci di gas russo a buon mercato.

Anche se nessuno, neppure la Germania che per le sue scelte economiche ha dovuto fare i conti con l’ostilità di tre amministrazioni statunitensi (Obama, Trump e Biden), sembra avere il coraggio di esternare dubbi o chiedere chiarimenti agli americani per le esplosioni nei gasdotti, è inevitabile che Washington con i suoi alleati britannici, ucraini e polacchi sia in cima alla lista dei sospettati.

Non solo perché le sue massime autorità avevano minacciato di neutralizzare quei gasdotti o perché navi ed elicotteri statunitensi incrociavano nei giorni scorsi proprio in quell’area del Mar Baltico, ma soprattutto perché impedire la saldatura tra la potenza industriale tedesca/europea e la potenza energetica russa è un obiettivo strategico delineato e perseguito da Washington da almeno dieci anni.

Il fatto che l’Europa sia con tutta evidenza il “bersaglio grosso” di questa guerra ma al tempo stesso nessuno osi inserire gli USA e alcuni alleati nella lista dei sospettati, la dice lunga circa la sovranità e l’autorevolezza che è in grado di esprimere anche di fronte a un disastro di questa portata.

Lo stesso immobilismo che l’Europa mostrò nel 2014 di fronte alle evidenti ingerenze statunitensi e di altri alleati nei fatti del Maidan da cui presero il via le vicende che hanno portato all’attuale conflitto.

All’epoca come abbiamo ricordato, la signora Nuland esortò a mandare l’Europa a “farsi fottere” e ora che siamo a un passo dall’essere davvero “fottuti” continuiamo a mostrarci proni e servili nei confronti di una potenza di cui dovremmo essere in teoria alleati.

Circa i gasdotti esplosi sarebbe forse il caso di chiedere qualche chiarimento anche a Varsavia dopo che Radek Sikorski, eurodeputato presidente della delegazione parlamentare Europa-USA ed ex ministro degli Esteri, ha scritto su Twitter “Grazie Stati Uniti” sull’immagine della fuga di gas sulla superficie del Mar Baltico.

“Ora 20 miliardi di dollari di ferraglia giacciono in fondo al mare, un altro costo per la Russia della sua decisione criminale di invadere l’Ucraina. Qualcuno ha fatto un’operazione di manutenzione speciale”.

Anche se poi ha cancellato il tweet, neppure il filo-americano Sikorski sembra quindi essere convinto che i russi abbiano fatto esplodere 21 miliardi di gas e gasdotti di loro proprietà.

 

 

Non avrai altro Trattato globale sul disarmo nucleare all’infuori del TNP

Bilancio della Decima conferenza di Riesame (per una maturazione strategica del movimento antinucleare internazionale)

Riflessioni di Alfonso Navarra dopo l’incontro online, organizzato dai Disarmisti esigenti, di Martedì, 30 agosto⋅

Ore 18:00 – 20:15 - Su piattaforma Google Meet al seguente link:

meet.google.com/rry-ykxv-bgt

 

Premessa: in sintesi, questi sono i punti dell'introduzione di Alfonso Navarra all'incontro on line del 30 agosto, in parte confluiti nell'articolo sotto riportato. Si comincia anche a tratteggiare un abbozzo di resoconto per il cui completamento si chiede l'aiuto di chi ha partecipato e ha parlato.

Si può parlare di fallimento della Conferenza ONU perché il Decimo Riesame del TNP, in un momento geopolitico drammatico, con la "Guerra Grande" avente epicentro militare in Ucraina a rischio escalation, si è concluso senza documento finale (allo stesso modo del 2015). La bozza del presidente argentino, respinta dalla delegazione russa sul nodo Zaporizjia (avrebbero dovuto restituire la centrale nucleare alla "competente autorità ucraina"), se approvata, avrebbe contenuto sì dei punti innovativi, ma molto deboli, ed in ogni caso subordinati ad una inaccettabile glorificazione del Trattato, visto come perno immodificabile dell'"ordine" (?) nucleare internazionale, via privilegiata e praticamente esclusiva per raggiungere "un mondo senza armi nucleari".

Non c'era, insomma, in quel progetto di documento finale, alcuna apertura alla complementarità del TPAN al TNP, richiesta confermata con forza al primo Riesame del TPAN a Vienna, svoltosi in giugno. Ed il NO First Use - NFU che aveva fatto capolino nel lavoro delle Commissioni, era stato praticamente cassato. Quindi la domanda è: sarebbe valsa la pena approvare una bozza con generici auspici disarmisti, del tutto retorici nel momento in cui si rilancia la corsa agli armamenti nucleari in un contesto di guerra e di minacce sull'impiego dell'arma "atomica", con la con la semplice presa d'atto dell'esistenza del TPAN, ma glorificante oltre ogni misura il ruolo salvifico e progressivo del nucleare civile?

Quello che lo svolgimento della conferenza ha rammentato, e che in un certo senso può essere considerato la scoperta dell'acqua calda da parte ecopacifista, a dimostrazione dell’importanza essenziale di un approccio complesso (la realtà è formata da una pluralità di dimensioni che si intersecano e interagiscono), è che la spinta alla ribellione degli Stati non dotati di armi nucleari - NNWS trova un limite culturale ed un freno operativo nella stessa credibilità accordata, maggioritaria in tale gruppo di Stati, alla promessa originaria del TNP.

Promessa che è riassumibile in questi termini: “Noi potenze nucleari del consiglio di sicurezza siamo legittimate (temporaneamente) a possedere le armi nucleari perché in cambio ci impegniamo al disarmo da perseguire (senza però una scadenza precisa); e appoggiamo gli Stati non nuclearmente armati a sviluppare il nucleare civile, riconosciuto come loro diritto”.

Buona parte degli Stati non nuclearmente armati, governati da élites egemonizzate da culture tecnocratiche, accordano a questa promessa l’attrattiva di un sogno proibito, e farebbero carte false pur di entrare nel club dei 44 Stati con capacità nucleari, proprio con l’aiuto di USA, Russia, Francia, UK e Cina!

Non sembra abbia invece basi realistiche l’idea, caldeggiata dall'attuale dirigenza di ICAN, che il percorso umanitario confluito nel TPAN possa essere proposto e interpretato come il “vero cammino disarmista”, da portare avanti separatamente in modo parallelo e alternativo al TNP.

Il TNP, fallito o meno, secondo ICAN, sarebbe uno zombi, l’unica struttura vitale, a maggior ragione dopo che il TNP non prende decisioni, sarebbe invece il TPAN, che "a Vienna, in tre giorni, avrebbe fatto ciò che il TNP non è riuscito a fare in un mese: dottare un piano credibile per far progredire il disarmo nucleare".

Bisognerebbe imboccare la strada di una "maturazione strategica" da parte del movimento antinucleare mondiale, anche sviluppando qualche germoglio che, sorprendentemente, si è osservato a New York da parte di ICAN: l'appello di Beatrice Fihn a difendere una bozza di documento finale pro NFU. Raccolto prontamente dai Disarmisti esigenti quando hanno indirizzato in questo senso una lettera, firmata da Antonia Sani e Alex Zanotelli (oltre che da Alfonso Navarra), indirizzata alla delegazione italiana presso le Nazioni Unite (e pc al Ministro Luigi Di Maio, già firmatario dell'ICAN Pledge).

Con 86 Stati firmatari e 66 Stati parti ratificanti, il TPNW ha tutto sommato un notevole supporto numerico ma sconta la ovvia non adesione delle potenze nucleari, nonché di tutti gli alleati della NATO e degli alleati degli Stati Uniti in Asia. Alla conferenza di Vienna, sottolinea Luigi Mosca, il nostro scienziato habitué degli incontri internazionali, si è avviato un interessante dialogo tra gli Stati non nucleari e gli Stati della condivisione nucleare NATO (Germania, Olanda, Belgio, non l’Italia), presenti in qualità di “osservatori”.
Possiamo però affermare, alla luce del non risultato di New York, che non c’è stata risposta da parte di tutte le potenze nucleari alle preoccupazioni, ribadite dall’incontro di Vienna di riesame del TPNW, per le conseguenze umanitarie dell'uso di armi nucleari e la mancanza di progressi sul disarmo nucleare, che avrebbero dovuto portare al riconoscimento di un ruolo del TPNW nel senso della sua complementarità con il TNP.
Le potenze nucleari hanno tutte, seppure con declinazioni e accenti diversi, in particolare da parte della Cina, più aperturista e mediatoria, criticato il TPNW per aver ignorato le realtà dell'ambiente di sicurezza internazionale ed evitato, dal loro punto di vista, le sfide pratiche associate al disarmo troppo rapido, comprendenti le annose questioni di verifica sullo smantellamento delle testate. Il dibattito su se e come fare riferimento all'entrata in vigore del TPNW in un documento finale al RevCon ha risentito dell’ostruzionismo manifestato dalle potenze nucleari e – dobbiamo anche dirlo – forse dell’incapacità dei NNWS di lavorare, appunto, con intelligenza strategica sulle loro divisioni.
Luigi Mosca, partendo dalla necessità che alla "cultura del nemico" si sostituisca, a livello internazionale, la "cultura della cooperazione", insiste su due realtà sulle quali si dovrebbe fare leva.
La Cina andrebbe seguita con particolare attenzione perché - a differenza di USA, Regno Unito, Francia e Russia - ha ribadito il suo impegno a non utilizzare le sue armi nucleari per prima, il «No First Use» .
Altro elemento di rottura del blocco nuclearista su cui poter lavorare è la Germania, uno dei dei maggiori membri della NATO: per voce del suo Ministro degli Affari Esteri, Annalena Baerbock, ha lanciato un appello agli Stati dotati di armi nucleari perché adottino misure di disarmo "credibili".
Francesco Lo Cascio concorda, con Navarra e Mosca, sulla necessità di collegare la campagna di ICAN con la campagna NFU, ricordando che oltre alla rete coordinata da Beatrice Fihn esistono i Parlamentari per il disarmo nucleare e i Mayors for Peace con i quali Disarmisti esigenti & partners possono cercare collaborazione.
Che cosa è, allora, questa "maturazione strategica" che sollecitiamo per ICAN? Potremmo individuarla nel coniugare, nello spirito di non demordere e continuare a lavorare dal basso contro il rischio nucleare (che va presentato e contrastato nel suo intreccio con il rischio climatico ed ecologico), il proibizionismo antinucleare con una “riduzione del danno” che guadagni del tempo prezioso per evitare letteralmente la “fine del mondo” della guerra nucleare per errore.
Aumentare gli Stati ratificanti il TPNW va bene, non bisogna smettere di darsi da fare perché da 66 diventino 67, e da 67 68, eccetera; ma la proibizione giuridica, valida per alcuni, onde possa diventare eliminazione degli ordigni per tutti, ha bisogno, da parte di ICAN, di una strategia più complessiva e complessa, che rompa il fronte nuclearista non su questioni di potenza (siamo schierati dalla parte della Terra, e per questo non è la nostra priorità la condanna pubblica in ogni occasione, ad esempio a New York, della Russia in Ucraina), ad esempio facendo leva sulla diversità cinese, e faccia emergere un minimo comune denominatore che porti a risultati concreti nel senso di indebolire e possibilmente togliere i presupposti tecnico-fattuali di una guerra nucleare per incidente o per errore. L’articolo VI va implementato attraverso il passo del No First Use - NFU che deve condurre ad accordi sulla “deallertizzazione dei missili" con la separazione fisica delle testate dai vettori. E da parte degli Stati non nucleari, visto che si è manifestata questa volontà di ribellione ad un ordine giuridico ormai non più condiviso, va finalmente preso in considerazione, nella cassetta degli attrezzi diplomatici cui fare ricorso, l’analogo dello sciopero quando si aprono le vertenze sindacali: la sospensione dell’adesione al TNP.

Alfonso Navarra ricorda la scedenza del 26 settembre, giornata ONU contro le armi nucleari; e Antonia Sani

Nell'incontro, da parte di molti interventi, si è ovviamente ricordato che in Italia si sta svolgendo una campagna elettorale che per molto tempo ha messo la guerra in sordina. Ora pare che si stia riesumando, in modo distorto, il problema attraverso la crisi energetica prodotta dalle sanzioni alla Russia che sta tracimando in inflazione e recessione.

Si lamenta l'indifferenza popolare, per non dire peggio, alle iniziative "pacifiste" (Ugo Giannangeli, Teresa Lapis, una sindacalista della CGIL). E' possibile, risponde Navarra, che la sinistra radicale italiana sia "bruciata", rispetto al popolo, per errori che i suoi dirigenti hanno commesso e che hanno creato un clima di insofferenza e di rigetto pregiudiziali. Anche la rivoluzione delegata al M5S avrebbe deluso, quindi, in un contesto di grande crescita dell'astensione, il pendolo oscillerebbe oggi verso il centro destra trainato da Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.

I sondaggi dei "media con l'elmetto" ci danno questo quadro. Subito dopo l'invasione russa dell'Ucraina il popolo italiano nella sua grande maggioranza ha avuto paura di essere trascinato in guerra, e la sua preoccupazione la esprimeva con le opinioni contro l'invio di aiuti militari a Kerensky, contro le sanzioni energetiche e contro il rischio nucleare (i due referendum del 1987 e del 2011 pesano ancora, anche se i filonucleari stanno crescendo, non contrastati dalle ambiguità sull'atomo di Greta Thunberg  e del suo movimento dei Fridays for Future). Poi si è convinto che la guerra in Ucraina si era impantanata e quindi ha cambiato oggetto delle sue ansie in modo più fisiologico.

Adesso si sta capendo che la guerra economica contro Putin non si tradurrà solo in qualche grado in meno nei caloriferi e qualche piazza meno illuminata: si ha paura che arrivino vere e proprie mazzate al portafogli e ai posti di lavoro. Non si vuole che la guerra continui, si spera che qualcuno aiuti il Papa a darsi da pare per un compromesso di pace, si è comunque stanchi di "tutte le bombe minuto per minuto" da Kiev.

I Disarmisti esigenti rilevano come nessuno stia raccogliendo e rappresentando con chiarezza e forza il desiderio popolare maggioritario inclinato al pacifismo: chiamamolo pure di quieto vivere, che non va comunque disprezzato. Quello che proponiamo è che ci si cominci a muovere in questo senso dentro e oltre la campagna elettorale in corso.

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TESTO COMPLETO DELL'ARTICOLO

Ad avviso del sottoscritto, Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, la Decima Revisione del TNP è stata un fallimento quasi annunciato.

Dopo 4 settimane di discussione, dal 1° agosto 2022, il 26 agosto del 2022, alle ore 23:30 del fuso orario di New York, l’incontro al Palazzo di Vetro si è concluso senza documento finale, come nella REvCon del 2015. Il Riesame del Trattato di Non Proliferazione-TNP (NPT in sigla inglese) si tiene ogni cinque anni dal 1970, data in cui il Trattato è entrato in vigore. Stavolta l’esito negativo dell’incontro è stato caratterizzato non dalla questione mediorientale (rifiuto di Israele di aderire alla zona denuclearizzata), al centro delle RevCon del 2015 e della Conferenza preparatoria del 2019, ma da due fattori nuovi.

Il primo è quello all’origine del blocco ufficiale da parte della Russia del progetto di 35 pagine preparato dalla presidenza argentina dell’ambasciatore  Gustavo Zlauvinen, cioè la guerra in Ucraina e la tendenza degli Stati occidentali a mettere Putin sul banco degli imputati per l’aggressione a uno Stato sovrano; ma più precisamente il consenso russo è mancato sulla centrale nucleare di Zaporizja, occupata militarmente dalle truppe di Mosca e contesa ora a suon di bombe dall’esercito russo e dall’esercito ucraino.

Il secondo, su cui ci soffermeremo maggiormente, è lo scontro tra potenze nucleari (NWS) e Stati non nucleari (NNWS), questi ultimi per lo più aggregati nel “percorso umanitario”, sorretto dalla società civile internazionale organizzata nella rete ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari).

Si parla a ragion veduta di “fallimento” a fronte della corsa agli armamenti nucleari che sta ripartendo (oltre 80 miliardi investiti nel solo 2021!) e delle minacce di uso dei missili “atomici” che si stanno di nuovo aggravando anche grazie alla "Guerra Grande" che è scoppiata tra Russia e NATO sul territorio ucraino. La "modernizzazione" degli ordigni nucleari in corso da due decenni ha sempre più affidato il controllo di queste armi a sistemi automatici con la erronea convinzione che la tecnologia possa evitare gli errori umani. Il rischio di guerra nucleare per errore va quindi ben al di là degli eventuali impegni formali a non usarle e per questo motivo occorre creare condizioni materiali concrete onde scongiurarlo.

L'impegno al No First Use - NFU dovrebbe, a questo scopo, tradursi nella "deallertizzazione delle testate" separandole dai vettori sotto controllo AIEA.  Da 52 anni le Conferenze di Revisione sono, in un certo senso, fallite per il rifiuto delle potenze nucleari di ottemperare agli obblighi dell'articolo VI del TNP a indire "trattative in buona fede" per il disarmo completo: l'unica prospettiva che può risolvere il problema della sicurezza umana e del Pianeta. Un passo minimo in questo senso potrebbe essere proprio il No First Use, ma le potenze nucleari, con la sola eccezione della Cina, da questo orecchio sembrano non volerci proprio sentire. Ecco da dove nasce la ribellione del "percorso umanitario", il Trattato che proibisce anche il solo possesso delle armi nucleari, che - adottato nel 2017 e valido per i 66 attuali Stati ratificanti - a Vienna in giugno ha tenuto a battesimo il suo primo Riesame, e che a New York si è fatto sentire con forza: 145 Stati hanno firmato e presentato una Dichiarazione promossa dal Costarica volendo sottolineare che TNP e TPNW sono "complementari". Anche gli aderenti al TPNW hanno rilasciato una loro dichiarazione nella sessione conclusiva.

Tuttavia, a dimostrazione dell’importanza essenziale di un approccio complesso (la realtà è formata da una pluralità di dimensioni che si intersecano e interagiscono), la spinta alla ribellione dei NNWS trova un limite culturale ed un freno operativo nella stessa credibilità accordata, maggioritaria in tale gruppo di Stati, alla promessa originaria del TNP: “Noi potenze nucleari del consiglio di sicurezza siamo legittimate (temporaneamente) a possedere le armi nucleari perché in cambio ci impegniamo al disarmo da perseguire (senza però una scadenza precisa); e appoggiamo gli Stati non nuclearmente armati a sviluppare il nucleare civile, riconosciuto come loro diritto”.

Buona parte degli Stati non nuclearmente armati, governati da élites egemonizzate da culture tecnocratiche, accordano a questa promessa l’attrattiva di un sogno proibito, e farebbero carte false pur di entrare nel club dei 44 Stati con capacità nucleari, proprio con l’aiuto di USA, Russia, Francia, UK e Cina!

Se si guarda alla bozza predisposta dal presidente argentino (anche sulla base dei documenti delle commissioni), appare lampante la predominanza accordata al tema del nucleare civile che occupa i tre quarti dello spazio del testo, sia nel preambolo che come intitolazione di capitoli e numero di paragrafi.

(Si vada al link:

https://reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/npt/revcon2022/documents/CRP1_Rev2.pdf)

La Conferenza di New York, se avesse adottato la bozza del presidente argentino, avrebbe sottoscritto proposizioni del tutto indigeste per ecopacifisti minimamente coerenti.

Intanto avrebbe ribadito la imprescindibilità necessaria dell’ordine giuridico incentrato sul TNP, mentre del TPAN (sigla in italiano del TPNW) ci si limita a prendere atto che esiste. Il preambolo è una professione di fede sul TNP come “pietra angolare del regime di non proliferazione nucleare mondiale, fondamento per il perseguimento del disarmo nucleare e un elemento importante per favorire i benefici degli usi pacifici dell'energia nucleare “(paragrafo 1).

Il TPAN è invece citato, in questi termini, solo nel paragrafo 130:

La Conferenza riconosce che il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari è stato adottato il 7 luglio 2017. È stato aperto alla firma del Segretario -Generale delle Nazioni Unite il 20 settembre 2017. La Conferenza inoltre riconosce che il trattato è entrato in vigore il 22 gennaio 2021 e ha tenuto la sua prima Riunione degli Stati Parte il 21-23 giugno 2022, che si è conclusa con l'adozione deluna dichiarazione e un piano d'azione. “Basta (e avanza) così.

Invece la professione di fede nel TNP è una tiritera declinata in tutte le formulazioni possibili.

Si vedano i seguenti paragrafi iniziali:

  1. (già in sostanza riportato)
  2. La Conferenza ribadisce che la piena ed effettiva attuazione del trattato e del regime di non proliferazione nucleare in tutti i suoi aspetti svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere la pace e la sicurezza internazionale prevenendo la diffusione delle armi nucleari e di altri ordigni nucleari esplosivi senza ostacolarne gli usi pacifici dell’energia nucleare da parte degli Stati parti del Trattato
  3. La Conferenza resta convinta che l'adesione universale al Trattato e il pieno rispetto da parte di tutte le parti di tutte le sue disposizioni siano il modo migliore per raggiungere gli obiettivi condivisi dell'eliminazione totale delle armi nucleari e della prevenzione, e comunque della ulteriore proliferazione delle armi nucleari. La Conferenza invita tutti gli Stati parti a compiere tutti gli sforzi per promuovere l'adesione universale al Trattato, a rispettare pienamente il Trattato e a non intraprendere alcuna azione che possa incidere negativamente sulle prospettive della sua universalità ed effettiva attuazione.
  4. La Conferenza ribadisce che è essenziale che il Trattato sia attuato in tutti i suoi aspetti al fine di prevenire la proliferazione di armi nucleari e di altri ordigni esplosivi nucleari senza ostacolare gli usi pacifici dell'energia nucleare da parte degli Stati parti. La Conferenza riconosce che la piena ed effettiva attuazione del Trattato è una responsabilità comune di tutti gli Stati parti del Trattato e rimane convinta che l'adesione universale al Trattato e il pieno rispetto di tutte le parti con tutte le sue disposizioni sono il modo migliore per prevenire la diffusione di armi nucleari e di altri ordigni esplosivi nucleari e per realizzare un mondo senza armi nucleari.

Si va avanti su questo tono che potremmo riassumere in: “Io sono il TNP Dio tuo, non esiste alcun Trattato disarmista in materia nucleare al di sopra e (di fatto) al di fuori di me”.

Dopo che si sono firmati questi passi (e gli altri analoghi che seguono) è difficile che la “complementarità TNP-TPAN” caldeggiata a Vienna possa avere molto spazio. Figuriamoci poi l’idea che il percorso umanitario confluito nel TPAN possa essere proposto e interpretato come il “vero cammino disarmista”, da portare avanti separatamente in modo parallelo e alternativo.

Questa è l’idea che sta nella testa della dirigenza della Rete ICAN. Il TNP, fallito o meno, è uno zombi, l’unica struttura vitale, a maggior ragione dopo che il TNP non prende decisioni, è il TPAN.

Il comunicato della Rete Italiana Pace e Disarmo, datato 27 agosto 2022, ma pubblicato più tardi sul sito, riflette questo tipo di atteggiamento, ricalcato sulle prese di posizione internazionali:

Sebbene la Conferenza di revisione del TNP sia fallita, quest’anno a giugno c’è stato un vero successo sulla strada del disarmo nucleare. Durante la prima riunione dei propri Stati parti, i membri del Trattato di proibizione delle armi nucleari TPNW si sono impegnati a rispettare il Piano d’azione di Vienna, a compiere 50 passi concreti per far progredire il disarmo, ad aiutare le vittime dell’uso e dei test nucleari, a impegnarsi per l’inclusione e a compiere passi progressivi in materia di genere e disarmo.

Di fronte a una situazione globale pericolosa e inaccettabile, gli Stati firmatari del Trattato TPNW hanno fatto in tre giorni ciò che la Conferenza del Trattato di non proliferazione nucleare non è riuscita a fare in un mese: adottare un piano credibile per far progredire il disarmo nucleare, aiutare le vittime dell’uso e dei test nucleari e condannare qualsiasi minaccia di usare armi nucleari.

Il Trattato NPT è in crisi, ma il TPNW sta già iniziando a svolgere il suo ruolo di attuazione degli obblighi di disarmo nucleare che sono presenti nell’articolo VI del Trattato di non proliferazione nucleare. Anche tutti gli altri Stati parti del TNP che non sono riusciti a fare progressi durante la Conferenza di riesame dovrebbero unirsi a questo percorso".

(Si vada su: https://retepacedisarmo.org/2022/il-fallimento-della-conferenza-di-revisione-del-trattato-npt)

In questa Conferenza si è persa l’occasione per affermare dei punti importanti con la bozza argentina, se fosse passata? Crediamo non sia utile sopravvalutare l’inserimento compromissorio in un testo di pezzi dissonanti con la sua ispirazione principale. L’attività lobbistica di un certo tipo di ONG specialistiche può avere il suo senso e il suo peso, ma bisogna sempre essere consapevoli che i problemi li risolvono le moltitudini in lotta, non i balletti diplomatici con le loro ricadute mediatiche (del resto scarsissime in materia di disarmo nucleare).

Ad un certo punto dei lavori le commissioni hanno aperto al No First Use e anche qui dall’Italia abbiamo colto la palla al balzo di un appello di Beatrice Fihn, la direttrice esecutiva di ICAN, e abbiamo scritto a Di Maio già firmatario dell’ICAN Pledge, e alla rappresentanza italiana all’ONU, con a capo Maurizio Massari.

La lettera è stata firmata da Antonia Sani, Alex  Zanotelli e il sottoscritto; ed  è stata pubblicata su il Manifesto, rinvenibile al seguente link:

https://ilmanifesto.it/lettere/al-tnp-un-passo-per-escludere-il-primo-uso-nucleare-dalla-deterrenza

Quindi la bozza finale argentina è stata una bozza annacquata; quello che bisogna chiedersi è se, ammesso fosse rimasta nella sua versione più forte, sarebbe in questo caso valsa la pena sottoscrivere l’atto di fede verso il TNP e le sviolinate sul ruolo progressivo e inclusivo del nucleare civile, che costituivano la sua cifra politica, in cambio di affermazioni come le seguenti:

  1. La Conferenza ribadisce la sua profonda preoccupazione per le catastrofiche conseguenze umanitarie delle armi nucleari, comprese quelle derivanti da qualsiasi esplosione nucleare non intenzionale o accidentale. La Conferenza ribadisce la necessità che tutti gli Stati si conformino in ogni momento al diritto internazionale applicabile, compreso il diritto internazionale umanitario.
  1. La Conferenza accoglie favorevolmente la presentazione, durante gli ultimi due cicli di revisione, di risultati e prove sull'impatto umanitario delle armi nucleari in base ai fatti discussi, anche in occasione di conferenze internazionali.
  2. La Conferenza richiama il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia su la legalità della minaccia o dell'uso di armi nucleari emessa all'Aia l'8 luglio 1996. La Conferenza prende atto della sua conclusione: esiste un obbligo di perseguire buona fede e portare a conclusione i negoziati che portano al disarmo nucleare in tutti i suoi aspetti sotto stretto ed efficace controllo internazionale.,
  3. La Conferenza prende atto dell'adozione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della risoluzione A/RES/75/45 sul seguito dato alla riunione di alto livello del 2013 dell'Assemblea generale sul disarmo nucleare, che tra l'altro ha dichiarato il 26 settembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione totale delle armi nucleari. La conferenza accoglie con favore la convocazione delle riunioni annuali dell'Assemblea Generale a commemorare la Giornata Internazionale.

Il problema della maturazione strategica di fronte al movimento è un altro e prende le mosse da quanto è successo al primo riesame del TPNW, a Vienna, in giugno.

Con 86 Stati firmatari e 66 Stati parti ratificanti, il TPNW ha tutto sommato un notevole supporto numerico ma sconta la ovvia non adesione delle potenze nucleari, nonché di tutti gli alleati della NATO e degli alleati degli Stati Uniti in Asia. Alla conferenza di Vienna si è avviato un interessante dialogo tra gli Stati non nucleari e gli Stati della condivisione nucleare NATO (Germania, Olanda, Belgio, non l’Italia), presenti in qualità di “osservatori”.

Possiamo però affermare, alla luce del non risultato di New York, che non c’è stata risposta da parte di tutte le potenze nucleari alle preoccupazioni, ribadite dall’incontro di Vienna di riesame del TPNW, per le conseguenze umanitarie dell'uso di armi nucleari e la mancanza di progressi sul disarmo nucleare, che avrebbero dovuto portare al riconoscimento di un ruolo del TPNW nel senso della sua complementarità con il TNP.

Ma lo scontro tra Stati nucleari e Stati non nucleari stavolta è stato più duro del solito. Si è arrivati su questo punto, durante i lavori al Palazzo di Vetro, a un atto politico di importanza non trascurabile: la dichiarazione di 145 Stati (Italia come sempre assente), promossa dal Costarica, che partendo dall’impatto umanitario della deterrenza, considerato appunto inaccettabile, è arrivata a sollevare la questione del Non Primo Uso – NFU: "È nell'interesse della sopravvivenza stessa dell'umanità che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate, in nessuna circostanza". (Il documento è reperibile al link: https://reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/npt/revcon2022/statements/22Aug_HINW.pdf).

Anche gli Stati parti e i firmatari del TPNW hanno rilasciato una dichiarazione congiunta durante il dibattito finale venerdì 26 agosto. Hanno ribadito il loro sostegno al TNP e alla sua piena attuazione, ma hanno anche espresso sgomento per il fatto che i rischi dell'uso di armi nucleari sono stati usati in questa Conferenza come motivo per lavorare "contro i progressi urgentemente necessari sul disarmo nucleare e per sostenere un approccio alla sicurezza basato sulla fallacia della deterrenza nucleare".

(Si vada al link: https://reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/npt/revcon2022/statements/26Aug_TPNW.pdf)

Le potenze nucleari hanno tutte, seppure con declinazioni e accenti diversi, in particolare da parte della Cina, più aperturista e mediatoria, criticato il TPNW per aver ignorato le realtà dell'ambiente di sicurezza internazionale ed evitato, dal loro punto di vista, le sfide pratiche associate al disarmo troppo rapido, comprendenti le annose questioni di verifica sullo smantellamento delle testate. Il dibattito su se e come fare riferimento all'entrata in vigore del TPNW in un documento finale al RevCon ha risentito dell’ostruzionismo manifestato dalle potenze nucleari e – dobbiamo anche dirlo – forse dell’incapacità dei NNWS di lavorare con intelligenza sulle loro divisioni.

La Cina va seguita con particolare attenzione perché - a differenza di USA, Regno Unito, Francia e Russia - ha ribadito il suo impegno a non utilizzare le sue armi nucleari per prima, il «No First Use» .

Altro elemento di rottura del blocco nuclearista su cui poter lavorare è la Germania, uno dei dei maggiori membri della NATO: per voce del suo Ministro degli Affari Esteri, Annalena Baerbock, ha lanciato un appello agli Stati dotati di armi nucleari perché adottino misure di disarmo "credibili".

ICAN, la rete globale della società civile di circa 600 organizzazioni, insignita nel 2017 del premio Nobel per la pace, che annovera come membri in Italia, tra gli altri, i Disarmisti esigenti (e la WILPF; e Mondo senza guerre e senza violenza, eccetera), non ha affatto incoraggiato e spronato gli Stati nucleari in questa direzione. Nella visione del gruppo dirigente attuale, sembra si coltivi una sorta di autosufficienza del percorso umanitario, cui basterebbe un incremento lineare per ottenere il suo scopo disarmista finale. Attualmente siamo a 66 Stati ratificanti, non resterebbe che lavorare perché diventino 67, poi 68, poi 69, e così via, fino a raggiungere, in questa visione, la totalità degli attori statali, i 193 membri dell’ONU.

Vi è stato però un momento nella conferenza in cui Beatrice Fihn, la direttrice esecutiva di ICAN, ha lanciato una sollecitazione ai membri ICAN perché premessero sui rispettivi governi: si trattava di sostenere le affermazioni di due commissioni preparatorie a favore del No First Use.

Cosa fare adesso adesso di fronte al fallimento sostanziale della Conferenza? Noi, tra i membri italiani di ICAN, riteniamo che in ICAN internazionale sia necessaria una maturazione strategica della quale, nonostante tutto, degli elementi sono stati comunque anticipati a New York. Si impongono all’organizzazione delle domande di fronte ai bivi che si sono aperti per l’iniziativa politica.

Dobbiamo imboccare questa strada del percorso umanitario come autosufficiente e parallelo in nome di una ribellione oltretutto portata avanti solo a metà nella misura in cui in partenza si rinuncia agli strumenti di pressione più efficaci?

Oppure, nello spirito di non demordere e continuare a lavorare dal basso contro il rischio nucleare (che va presentato e contrastato nel suo intreccio con il rischio climatico ed ecologico), il proibizionismo antinucleare va coniugato con una “riduzione del danno” che guadagni del tempo prezioso per evitare letteralmente la “fine del mondo”?

Aumentare gli Stati ratificanti il TPNW va bene, ma la proibizione giuridica valida per alcuni onde possa diventare eliminazione degli ordigni per tutti ha bisogno, da parte di ICAN, di una strategia più complessiva e complessa, che rompa il fronte nuclearista non su questioni di potenza, ad esempio facendo leva sulla diversità cinese, e faccia emergere un minimo comune denominatore che porti a risultati concreti nel senso di indebolire e possibilmente togliere i presupposti tecnico-fattuali di una guerra nucleare per incidente o per errore. L’articolo VI va implementato attraverso il passo del No First Use - NFU che deve condurre ad accordi sulla “deallertizzazione dei missili" con la separazione fisica delle testate dai vettori.

E da parte degli Stati non nucleari, visto che si è manifestata questa volontà di ribellione ad un ordine giuridico ormai non più condiviso, va finalmente preso in considerazione, nella cassetta degli attrezzi diplomatici cui fare ricorso, l’analogo dello sciopero quando si aprono le vertenze sindacali: la sospensione dell’adesione al TNP.

Ecco l’idea che circola tra gli Stati non nucleari più combattivi e la questione che, come antinucleari italiani, poniamo sul tappeto della riflessione collettiva del movimento. In virtù dei solenni impegni presi a New York possiamo chiederci e chiedere cosa aspettano i 145 Stati che hanno sottoscritto la dichiarazione del Costarica (o almeno i 66 della Dichiarazione di Vienna) a fare un discorso chiaro alle potenze nucleari?

“Cari P5,mettetevi d’accordo subito sul No first use. E questo deve significare la deallertizzazione immediata delle testate. Creare in questo e in qualche modo le condizioni tecniche per evitare almeno la guerra nucleare per errore significa anche che tutti i vostri piani di ammodernamento vanno bloccati. Non si deve spendere un solo centesimo per nuove armi nucleari e per l’inserimento della deterrenza in ambienti di intelligenza artificiale. O adottate subito queste decisioni e siete ad esse conseguenti oppure prendiamo atto che il monopolio legale delle armi nucleari che vi siete garantiti con il TNP è solo un grosso imbroglio. E noi non continueremo a tenere il sacco a questa violazione del diritto internazionale. O cominciate a porre rimedio o facciamo saltare il banco che si disvela gestito da bari. Per l’intanto vi annunciamo che sospendiamo la nostra adesione al TNP, nell’attesa che vi diate una smossa. Nel vostro stesso interesse, perché le prime vittime di una guerra nucleare sareste proprio voi”.

 

 

DOPO IL FALLIMENTO DEL TNP

LA RIBELLIONE ANTINUCLEARE DEGLI STATI DEVE ORA DIVENTARE DECISA E RADICALE

CONTINUANDO AD ALLARGARE LE ADESIONI AL TPNW, BISOGNA IMPORRE IL NO FIRST USE RICORRENDO A STRUMENTI DI PRESSIONE FORTI

Un primo commento dei Disarmisti esigenti

Il testo è anche la base per una bozza per articoli che si stanno preparando allo scopo di diffonderli mediante la stampa sensibile

Altra informazione importante: sul bilancio della Decima RevCon si terrà un incontro online introdotto da Alfonso Navarra. Martedì 30 agosto dalle ore 18:00 alle 20:00. Ecco il link per partecipare: 

meet.google.com/rry-ykxv-bgt

Milano 27 agosto 2022

VERSIONE SINTETICA DEL COMMENTO

La decima conferenza di Revisione del TNP (Trattato di Non Proliferazione) si è conclusa, il 26 agosto 2022, a New York dopo 4 settimane di lavoro alle 23.30 ora locale, 5.30 in Italia (del 27 agosto), senza trovare l'accordo su un documento condiviso (come accadde nella nona conferenza del 2015). Parliamo a ragion veduta di fallimento a fronte della corsa agli armamenti nucleari che sta ripartendo e delle minacce di uso dei missili che si stanno di nuovo aggravando anche grazie alla "Guerra Grande" che è scoppiata tra Russia e NATO sul territorio ucraino. La "modernizzazione" degli ordigni nucleari in corso da due decenni ha sempre più affidato il controllo di queste armi a sistemi automatici con la erronea convinzione che la tecnologia possa evitare gli errori umani. Il rischio di guerra nucleare per errore va quindi ben al di là degli eventuali impegni formali a non usarle e per questo motivo occorre creare condizioni materiali concrete onde scongiurarlo. L'impegno al No First Use - NFU dovrebbe, a questo scopo, tradursi nella "deallertizzazione delle testate" separandole dai vettori sotto controllo AIEA.  Da 52 anni dieci Conferenze di Revisione sono fallite per il rifiuto delle potenze nucleari di ottemperare agli obblighi dell'articolo VI del TNP a indire "trattative in buona fede" per il disarmo completo: l'unica prospettiva che può risolvere il problema della sicurezza umana e del Pianeta. Un passo minimo in questo senso potrebbe essere proprio il No First Use, ma le potenze nucleari, con la sola eccezione della Cina, da questo orecchio sembrano non volerci proprio sentire. Ecco da dove nasce la ribellione del "percorso umanitario", il Trattato che proibisce anche il solo possesso delle armi nucleari, che - adottato nel 2017 e valido per i 66 attuali Stati ratificanti - a Vienna in giugno ha tenuto a battesimo il suo primo Riesame, e che a New York si è fatto sentire con forza: 145 Stati hanno firmato e presentato una Dichiarazione promossa dal Costarica volendo sottolineare che TNP e TPNW sono "complementari".

In questa decima conferenza ha rubato la scena la denuncia dei rischi che siano le centrali nucleari per usi civili ad essere bombardate: ovviamente il riferimento è alla centrale di Zaporizja occupata dai russi. Comunque sia, la guerra in Ucraina è entrata a gamba tesa nei lavori della conferenza ‒ ai quali nell'ultima settimana erano esclusi i rappresentanti della società civile,  introducendo un tema prettamente geopolitico: così la Russia si è espressa contro il consenso al documento finale "irricevibile" rifiutando la riconsegna dell'impianto elettronucleare "alla competente autorità ucraina".

In questa Conferenza si è persa l'occasione per affermare alcuni punti importanti: la bozza del documento finale avrebbe infatti espresso profonda preoccupazione "per il fatto che la minaccia dell'uso di armi nucleari oggi è più alta che mai dal culmine della Guerra Fredda e per il deteriorato ambiente della sicurezza internazionale", e avrebbe anche impegnato gli stati aderenti al trattato "a compiere ogni sforzo per garantire che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate": il no-first-use era in qualche modo ventilato, anche se non esplicitamente contemplato come nel primo draft proposto alla conferenza da due commissioni di lavoro.   

La Cina andrebbe seguita con particolare attenzione perché - a differenza di USA, Regno Unito, Francia e Russia - ha ribadito il suo impegno a non utilizzare le sue armi nucleari per prima, appunto il «No First Use» .

Altro elemento di rottura del blocco nuclearista su cui sarebbe possibile lavorare è la Germania, uno dei dei maggiori membri della NATO: per voce del suo Ministro degli Affari Esteri, Annalena Baerbock, ha lanciato un appello agli Stati dotati di armi nucleari perché adottino misure di disarmo "credibili".

Noi, tra i membri italiani di ICAN, riteniamo che in ICAN internazionale sia necessaria una maturazione strategica della quale, nonostante tutto, degli elementi sono stati comunque anticipati a New York. Si impongono all’organizzazione delle domande di fronte ai bivi che si sono aperti per l’iniziativa politica.
Aumentare gli Stati ratificanti il TPNW va bene, ma la proibizione giuridica, valida per alcuni (i firmatari del TPNW), onde possa diventare eliminazione degli ordigni per tutti, ha bisogno, da parte di ICAN, di una strategia più complessiva e complessa, che rompa il fronte nuclearista non su questioni di potenza, ad esempio facendo leva sulla diversità cinese cui si accennava, e faccia emergere un minimo comune denominatore che porti a risultati concreti nel senso di indebolire e possibilmente togliere i presupposti tecnico-fattuali di una guerra nucleare per incidente o per errore. L’articolo VI va implementato - ci sembra importante ribadirlo - attraverso il passo indispensabile e necessario del No First Use - NFU.

E da parte degli Stati non nucleari, visto che si è manifestata questa volontà di ribellione ad un ordine giuridico ormai non più condiviso, va finalmente preso in considerazione, nella cassetta degli attrezzi diplomatici cui fare ricorso, l’analogo dello sciopero quando si aprono le vertenze sindacali: la sospensione dell’adesione al TNP.

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VERSIONE COMPLETA DEL TESTO

Un fallimento quasi annunciato. È appena terminata – alle ore 23:30 del fuso orario di New York del 26 agosto, 5:30 di quello di Roma (del 27 agosto) - senza nessun documento finale, come nel 2010 e nel 2015, la Conferenza di revisione (RevCon) del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, che si tiene ogni cinque anni (NPT sigla in inglese, TNP in italiano). Stavolta l’esito negativo dell’incontro è caratterizzato non dalla questione mediorientale, al centro delle RevCon del 2015 e della Conferenza preparatoria del 2019, ma da due fattori nuovi.

Il primo è quello all’origine del blocco ufficiale da parte della Russia del progetto di 35 pagine preparato dalla presidenza argentina, cioè la guerra in Ucraina e la tendenza degli Stati occidentali a mettere Putin sul banco degli imputati per l’aggressione a uno Stato sovrano.

Il secondo, su cui ci soffermeremo maggiormente, è lo scontro tra potenze nucleari (NWS) e Stati non nucleari (NNWS), questi ultimi per lo più aggregati nel “percorso umanitario”, sorretto dalla società civile internazionale organizzata nella rete ICAN (Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari).

Ventisei giorni di incontri, discussioni, negoziati dal 1° agosto, non sono stati sufficienti a portare all’approvazione della bozza predisposta dal presidente della conferenza, l’ambasciatore argentino Gustavo Zlauvinen, perché il no russo intorno al “nodo Zaporizia” (i combattimenti attorno alla più grande centrale nucleare in Europa) è stato irrevocabile.

La bozza bocciata esprimeva preoccupazione per le attività militari nei pressi dell’impianto e sottolineava l’importanza di “garantire il controllo da parte delle autorità competenti ucraine”.

Il rappresentante di Mosca, Vasilij Nebenzya, ha giudicato questa istanza “irricevibile”, un pretesto dietro il quale si sarebbero nascoste “ragioni spudoratamente politiche”.

Durante la seduta conclusive di venerdì, la Francia ha rilasciato una dichiarazione congiunta a nome di 55 Stati (questa volta l'Italia si è accodata) e dell'Unione europea che ha condannato la guerra della Russia contro l'Ucraina e deplorato le sue minacce nucleari e il suo sequestro delle centrali nucleari ucraine. Non si può negare che l'invasione russa dell'Ucraina, le sue minacce di usare armi nucleari, la sua decisione di aumentare lo status di allerta delle sue forze nucleari e la sua occupazione delle centrali nucleari ucraine sono in contrasto con i suoi obblighi del TNP e hanno gravemente influito sulla credibilità del Trattato e sul lavoro di questa Conferenza di revisione. Ma, a nostro parere, la Russia non è stata la sola a far deragliare questa Conferenza.

Il mondo avrebbe necessità di adottare meccanismi condivisi per scongiurare la catastrofe atomica, intrecciata con la crisi climatica invece prevale, sequestrando i lavori, la diatriba tra Russia e NATO sui confini tra imperi declinanti e imperi sognati e va a fare incagliare tutto!

Questa debacle è una notizia molto inquietante per le speranze di sopravvivenza dell’Umanità, perché il rischio nucleare ignorato e non arginato ha raggiunto livelli altissimi, tanto che, ad esempio, il Doomsday Clock, curato dal Bullettin of the Atomic Scientists, sta segnando 100 secondi dall’Apocalisse (come neanche nel 1983 con il caso del colonnello sovietico Petrov che salvò il mondo da uno scambio nucleare provocato da un falso allarme dei computer)!

Appuntamento con scadenza quinquennale dal 1970 (rinviato al 2022 causa Covid), questo Riesame del TNP (o NPT in inglese), giunto alla decima edizione, svoltosi a New York al Palazzo di Vetro dall’1 al 26 agosto, è stato il primo dopo l’entrata in vigore, nel gennaio 2021, del Trattato di proibizione delle armi nucleari –TPNW (sigla in inglese), espressione della citata “Iniziativa umanitaria”, appoggiata da ICAN. L’incontro è arrivato in un momento drammatico nel contesto della sicurezza globale (il pensiero corre ancora alla guerra in Ucraina), aggravato dal rilancio della corsa agli armamenti nucleari.

La Russia ha ripetutamente brandito l’impiego del nucleare tattico legato alla guerra in Ucraina, la Cina ha iniziato un'espansione senza precedenti del suo arsenale nucleare, gli Stati Uniti hanno proseguito gli imponenti piani per modernizzare e digitalizzare le loro forze nucleari. La Corea del Nord continua a fare provocazioni nucleari e la rottura del Piano d'azione congiunto globale (JCPOA) ha portato l'Iran ad arricchire quasi tutto l'uranio di cui avrà bisogno per una Bomba.

Gli armamentari nucleari, ridotti quantitativamente (siamo, secondo le stime del SIPRI di Stoccolma, sulle 12.000 testate circa, il 90 per cento possedute dalla Russia e dagli Stati Uniti, di cui 2.000 in stato di allerta permanente) ma molto più sofisticati rispetto ai tempi della Guerra fredda tra USA e URSS.  Questi sistemi d’arma, affidandosi sempre più all’intelligenza artificiale, sono diventati sempre più letali, insicuri e pericolosi. Ed oggi sappiamo che una guerra nucleare su scala relativamente piccola, ad esempio uno scambio di 50 testate per parte tra India e Pakistan, provocherebbe una catastrofe perlomeno continentale nella forma di un inverno nucleare, che farebbe un paio di miliardi di morti nell’arco di una ventina di anni. Uno scambio di missili più consistente, ma sempre relativamente contenuto, causerebbe un calo medio delle temperature di circa 10°C in tutto il mondo, e potrebbe uccidere la maggior parte dell'umanità in 10 anni.

Proiettato a parole verso un mondo libero dalle armi nucleari, il trattato di non proliferazione con l’articolo VI richiede agli Stati dotati di armi nucleari P5– Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, coincidenti con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU– di perseguire il disarmo "in buona fede"; e proibisce loro di trasferire armi nucleari o tecnologia associata a Stati non dotati di armi nucleari (NNWS). Il trattato proibisce inoltre agli NNWS di perseguire con qualsiasi mezzo armi nucleari codificando il diritto di tutti gli Stati parti di perseguire usi pacifici dell'energia nucleare sotto un sistema di salvaguardie e controlli amministrato dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA).

Allo stato attuale, ci sono solo quattro stati al di fuori dei vincoli del TNP che hanno armi nucleari: India, Pakistan, Corea del Nord e, secondo quanto fa trasparire lo stesso Stato ebraico (ed il caso Vanunu ha dimostrato), Israele.

Molti degli accordi sul controllo degli armamenti che integrano il TNP sono crollati dall'ultima RevCon nel 2015. Questa tendenza costituisce una seria minaccia per il regime del TNP, inteso come presunto ordine nucleare globale. Nel 2019, gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump si sono ritirati dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) accampando le violazioni russe del trattato e la necessità di coinvolgere la Cina negli accordi. In un’altra mazzata agli sforzi di controllo degli armamenti, gli Stati Uniti e la Russia si sono ritirati dal Trattato di rafforzamento della fiducia sui cieli aperti che aveva permesso alle parti (Stati Uniti, Russia, 31 paesi europei e Canada) di effettuare voli di sorveglianza aerea disarmati sul territorio dell'altro. È fallito anche il Trattato sulle forze convenzionali in Europa, che cercava di ridurre la possibilità di grandi operazioni offensive nel continente limitando ugualmente i principali armamenti per i membri della NATO e del Patto di Varsavia (sciolto dal 1991).

Le esplicite minacce nucleari russe hanno più recentemente innescato la preoccupazione che la Russia possa schierare una piccola arma nucleare tattica per ottenere successi nella guerra in Ucraina e scoraggiare l'interferenza occidentale. Queste minacce stanno già minando il tabù culturale contro l'uso nucleare che ha prevalso dalla Seconda guerra mondiale – ma la decisione di usare una bomba atomica tattica sarebbe catastrofica: nulla esclude l’escalation verso un conflitto più ampio, fino allo scontro nucleare totale. Il nuovo Trattato START- l’ultimo vincolo rimasto sulle testate nucleari strategiche statunitensi e russe e sui vettori di consegna – scadrà nel 2026. Il dialogo USA-Russia su un possibile accordo successore è stato sospeso sulla scia dell'invasione russa dell'Ucraina, con poche indicazioni che le discussioni riprenderanno nel prossimo futuro.

Nel frattempo, la Corea del Nord e l'Iran continuano a presentare grandi minacce al regime di non proliferazione.

Destano preoccupazione anche le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina. La Cina sta espandendo il suo arsenale nucleare a un ritmo vertiginoso e, secondo le previsioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, triplicherà circa le sue scorte di testate nucleari entro il 2030. In risposta alla minaccia percepita dalla Cina, gli Stati Uniti hanno cercato di consolidare la loro presenza nell'Asia-Pacifico, anche attraverso il patto di sicurezza AUKUS del 2021 in base al quale gli Stati Uniti e il Regno Unito forniranno all'Australia sottomarini a propulsione nucleare.

Tensioni tra Stati nuclearmente armati - NWS e Stati non nuclearmente armati -NNWS

Il rilancio in atto della corsa agli armamenti nucleari, ed il suo carattere estremamente pericoloso, spiega perché, dopo 50 anni di promesse non mantenute da parte delle potenze nucleari rispetto all’articolo VI del TNP (quello del disarmo da perseguire), lasciato senza attuazione, è esplosa a New York l’insofferenza degli Stati non nucleari NNWS: questo ha contribuito significativamente al non risultato finale (mentre nei riesami precedenti il fallimento era imputabile alla questione israeliana e al rifiuto di Tel Aviv di aderire alla decisione di creare una zona denuclearizzata del Medio Oriente).

La ribellione degli Stati non nucleari, che covava da anni, ha trovato, come si è detto più volte, uno sbocco nel “percorso umanitario” – la presa d’atto della incompatibilità della deterrenza con i principi del diritto umanitario – ed è confluita nel Trattato di proibizione delle armi nucleari - TPNW, che, adottato in una Conferenza ONU del 2017, entrato in vigore nel gennaio 2021, proibisce in modo completo tutte le attività di armi nucleari per tutti gli Stati parti (si badi bene: solo per gli Stati parti), includendo i divieti di test, stoccaggio, minaccia di uso o dispiegamento di armi nucleari sul territorio nazionale.

Da Vienna il TNPW, riunitosi per il suo primo Riesame nel giugno 2022, per il tramite del presidente austriaco Alexander Kmentt, aveva fatto pervenire con nuova forza a New York la richiesta di complementarità tra il nuovo trattato “proibizionista” e il TNP: il nuovo ordine legale nascente cerca il compromesso con il vecchio regime.

Con 86 Stati firmatari e 66 Stati parti ratificanti, il TPNW ha tutto sommato un notevole supporto numerico ma sconta la ovvia non adesione delle potenze nucleari, nonché di tutti gli alleati della NATO e degli alleati degli Stati Uniti in Asia. Alla conferenza di Vienna si è avviato un interessante dialogo tra gli Stati non nucleari e gli Stati della condivisione nucleare NATO (Germania, Olanda, Belgio, non l’Italia), presenti in qualità di “osservatori”.

Possiamo però affermare, alla luce del non risultato di New York, che non c’è stata risposta da parte di tutte le potenze nucleari alle preoccupazioni, ribadite dall’incontro di Vienna di riesame del TPNW, per le conseguenze umanitarie dell'uso di armi nucleari e la mancanza di progressi sul disarmo nucleare.

Ma lo scontro tra Stati nucleari e Stati non nucleari stavolta è stato più duro del solito. Si è arrivati su questo punto, durante i lavori al Palazzo di Vetro, a un atto politico di importanza non trascurabile: la dichiarazione di 145 Stati (Italia come sempre assente), promossa dal Costarica, che partendo dall’impatto umanitario della deterrenza, considerato appunto inaccettabile, è arrivata a sollevare la questione del Non Primo Uso – NFU: "È nell'interesse della sopravvivenza stessa dell'umanità che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate, in nessuna circostanza". (Il documento è reperibile al link: https://reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/npt/revcon2022/statements/22Aug_HINW.pdf).

Anche gli Stati parti e i firmatari del TPNW hanno rilasciato una dichiarazione congiunta durante il dibattito finale venerdì 26 agosto. Hanno ribadito il loro sostegno al TNP e alla sua piena attuazione, ma hanno anche espresso sgomento per il fatto che i rischi dell'uso di armi nucleari sono stati usati in questa Conferenza come motivo per lavorare "contro i progressi urgentemente necessari sul disarmo nucleare e per sostenere un approccio alla sicurezza basato sulla fallacia della deterrenza nucleare".

(Si vada al link: https://reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/npt/revcon2022/statements/26Aug_TPNW.pdf)

Le potenze nucleari hanno tutte, seppure con declinazioni e accenti diversi, in particolare da parte della Cina, più aperturista e mediatoria, criticato il TPNW per aver ignorato le realtà dell'ambiente di sicurezza internazionale ed evitato, dal loro punto di vista, le sfide pratiche associate al disarmo troppo rapido, comprendenti le annose questioni di verifica sullo smantellamento delle testate. Il dibattito su se e come fare riferimento all'entrata in vigore del TPNW in un documento finale al RevCon ha risentito dell’ostruzionismo manifestato dalle potenze nucleari e – dobbiamo anche dirlo – forse dell’incapacità dei NNWS di lavorare con intelligenza sulle loro divisioni.

La Cina va seguita con particolare attenzione perché - a differenza di USA, Regno Unito, Francia e Russia - ha ribadito il suo impegno a non utilizzare le sue armi nucleari per prima, il «No First Use» .

Altro elemento di rottura del blocco nuclearista su cui poter lavorare è la Germania, uno dei dei maggiori membri della NATO: per voce del suo Ministro degli Affari Esteri, Annalena Baerbock, ha lanciato un appello agli Stati dotati di armi nucleari perché adottino misure di disarmo "credibili".

ICAN, la rete globale della società civile di circa 600 organizzazioni, insignita nel 2017 del premio Nobel per la pace, che annovera come membri in Italia, tra gli altri, i Disarmisti esigenti, la WILPF, Mondo senza guerre e senza violenza, non ha affatto incoraggiato e spronato gli Stati nucleari in questa direzione. Nella visione del gruppo dirigente attuale, sembra si coltivi una sorta di autosufficienza del percorso umanitario, cui basterebbe un incremento lineare per ottenere il suo scopo disarmista finale. Attualmente siamo a 66 Stati ratificanti, non resterebbe che lavorare perché diventino 67, poi 68, poi 69, e così via, fino a raggiungere, in questa visione, la totalità degli attori statali, i 193 membri dell’ONU.

Nei comunicati della dirigenza di ICAN appare evidente come il percorso umanitario venga adesso presentato come parallelo e alternativo rispetto a quello del TNP:

Il documento finale del TNP è stato negoziato a porte chiuse senza il contributo della società civile e senza la partecipazione della maggior parte delle parti del trattato. Gli stati dotati di armi nucleari e i loro stati alleati dipendenti dalle armi nucleari (per lo più europei) erano sovrarappresentati e le regioni africane, latinoamericane e di altro tipo sono state messe da parte.
Al contrario, il piano d'azione di Vienna, adottato nel giugno 2022, (al riesame del TPNW - ndr), comprende 50 azioni fondamentali per promuovere il disarmo e portare avanti impegni rivoluzionari per aiutare le vittime dell'uso e dei test di armi nucleari e ripulire l'ambiente. È stato l'incontro più inclusivo di sempre sulle armi nucleari e ha concordato un'azione progressiva su genere e disarm
o".

Vi è stato però un momento nella conferenza in cui Beatrice Fihn, la direttrice esecutiva di ICAN, ha lanciato una sollecitazione ai membri ICAN perché premessero sui rispettivi governi: si trattava di sostenere le affermazioni di due commissioni preparatorie a favore del No First Use. 

In Italia abbiamo subito colto la palla al balzo e  abbiamo infatti scritto una lettera, firmata da Navarra, Sani e Zanotelli,  a Maurizio Massari, l'ambasciatore capo della delegazione italiana presso l'ONU, e per conoscenza al Ministro degli Esteri Luigi di Maio, già firmatario dell'ICAN Pledge, che è stata pubblicata su il Manifesto, rinvenibile al seguente link:

https://ilmanifesto.it/lettere/al-tnp-un-passo-per-escludere-il-primo-uso-nucleare-dalla-deterrenza

Cosa fare adesso adesso di fronte al fallimento sostanziale della Conferenza? Noi, tra i membri italiani di ICAN, riteniamo che in ICAN internazionale sia necessaria una maturazione strategica della quale, nonostante tutto, degli elementi sono stati comunque anticipati a New York. Si impongono all’organizzazione delle domande di fronte ai bivi che si sono aperti per l’iniziativa politica.

Dobbiamo imboccare questa strada del percorso umanitario come autosufficiente e parallelo in nome di una ribellione oltretutto portata avanti solo a metà nella misura in cui in partenza si rinuncia agli strumenti di pressione più efficaci?

Oppure, nello spirito di non demordere e continuare a lavorare dal basso contro il rischio nucleare (che va presentato e contrastato nel suo intreccio con il rischio climatico ed ecologico), il proibizionismo antinucleare va coniugato con una “riduzione del danno” che guadagni del tempo prezioso per evitare letteralmente la “fine del mondo”?

Aumentare gli Stati ratificanti il TPNW va bene, ma la proibizione giuridica valida per alcuni onde possa diventare eliminazione degli ordigni per tutti ha bisogno, da parte di ICAN, di una strategia più complessiva e complessa, che rompa il fronte nuclearista non su questioni di potenza, ad esempio facendo leva sulla diversità cinese, e faccia emergere un minimo comune denominatore che porti a risultati concreti nel senso di indebolire e possibilmente togliere i presupposti tecnico-fattuali di una guerra nucleare per incidente o per errore. L’articolo VI va implementato attraverso il passo del No First Use - NFU che deve condurre ad accordi sulla “deallertizzazione dei missili" con la separazione fisica delle testate dai vettori.

E da parte degli Stati non nucleari, visto che si è manifestata questa volontà di ribellione ad un ordine giuridico ormai non più condiviso, va finalmente preso in considerazione, nella cassetta degli attrezzi diplomatici cui fare ricorso, l’analogo dello sciopero quando si aprono le vertenze sindacali: la sospensione dell’adesione al TNP.

Ecco l’idea che circola tra gli Stati non nucleari più combattivi e la questione che, come antinucleari italiani, poniamo sul tappeto della riflessione collettiva del movimento. In virtù dei solenni impegni presi a New York possiamo chiederci e chiedere cosa aspettano i 145 Stati che hanno sottoscritto la dichiarazione del Costarica (o almeno i 66 della Dichiarazione di Vienna) a fare un discorso chiaro alle potenze nucleari?

“Cari P5, mettetevi d’accordo subito sul No first use. E questo deve significare la deallertizzazione immediata delle testate. Creare in questo e in qualche modo le condizioni tecniche per evitare almeno la guerra nucleare per errore significa anche che tutti i vostri piani di ammodernamento vanno bloccati. Non si deve spendere un solo centesimo per nuove armi nucleari e per l’inserimento della deterrenza in ambienti di intelligenza artificiale. O adottate subito queste decisioni e siete ad esse conseguenti oppure prendiamo atto che il monopolio legale delle armi nucleari che vi siete garantiti con il TNP è solo un grosso imbroglio. E noi non continueremo a tenere il sacco a questa violazione del diritto internazionale. O cominciate a porre rimedio o facciamo saltare il banco che si disvela gestito da bari. Per l’intanto vi annunciamo che sospendiamo la nostra adesione al TNP, nell’attesa che vi diate una smossa. Nel vostro stesso interesse, perché le prime vittime di una guerra nucleare sareste proprio voi”.

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NPT News in Review, Vol. 17, No. 10

Editoriale: Il mostruoso gioco dell'annientamento nucleare
27 agosto 2022

Ray Acheson - Reaching Critical Will

(Estratto dall'editoriale del Bollettino informativo di Reaching Critical Will)

(...)

Mostro mash

Il risultato non adottato di questa decima conferenza di revisione del TNP è forse meglio descritto come la creatura di Frankenstein, realizzata dalle parti del corpo dei cadaveri e rianimata attraverso un processo sconosciuto che trasforma la materia inanimata in (un po') tessuto vivente. Il rifiuto degli stati dotati di armi nucleari di attuare le disposizioni sul disarmo del TNP sta probabilmente trasformando il trattato stesso in uno zombie, una cosa non morta che continua a muoversi, deteriorandosi sempre di più man mano che gli stati dotati di armi nucleari non riescono ad attuarlo, mettendo tutti in costante pericolo. Si potrebbe anche sostenere che è più simile al prezioso anello di Gollum, che ha prolungato la sua vita ben oltre i limiti naturali e ha distorto il suo corpo e la sua mente fino a quando "ha amato e odiato [l'Anello], come amava e odiava se stesso"?

Qualunque metafora mostruosa si preferisca, e indipendentemente dal fatto che non sia stata adottata, la bozza di risultato di questa Conferenza di revisione è una pericolosa delusione.

Non era un accordo che avrebbe salvato l'umanità. Non era un riflesso del mondo in cui viviamo. Non conteneva alcuna ambizione di affrontare le "gravi preoccupazioni" espresse ripetutamente nel documento: circa gli impatti catastrofici delle armi nucleari, la mancanza di progressi tangibili sul disarmo nucleare, la corsa agli armamenti in corso e la minaccia nucleare.

La bozza finale conteneva 59 riaffermazioni. A che scopo? Per quanto tempo continueremo a riaffermare cose che gli stati dotati di armi nucleari e i loro alleati favorevoli al nucleare sembrano intenzionati a violare anno dopo anno? È questo il punto di un ciclo di revisione quinquennale: riaffermare gli impegni di cinque, dieci, venti anni fa? Se ogni Conferenza di revisione è semplicemente una riaffermazione dell'ultima, qual è il senso dell'esercizio? Riaffermiamo ogni volta le riaffermazioni, trascinandoci in una spirale senza senso?

E quali sono le azioni, gli impegni, che vengono presi in questo documento in relazione al disarmo nucleare? Ci si riferisce solo ad accordi di incontri per parlare di ulteriori colloqui. Questo non conta come "ogni sforzo", come stabilito nell'articolo VI. Questo non conta come azione.

Cosa richiede il mantenimento del multilateralismo

Il Sudafrica ha avvertito che il fallimento di questa Conferenza di revisione, dopo il fallimento del 2015, è un duro promemoria sui tempi lunghi che gli stati dotati di armi nucleari sono disposti ad attraversare per continuare a possedere armi nucleari. Ha accusato questi stati e i loro alleati sostenitori del nucleare di mettere i propri interessi egoistici al di sopra del benessere collettivo del mondo. "Affidarsi alla deterrenza nucleare alla fine della giornata significa la disponibilità a infliggere conseguenze catastrofiche globali anche a stati e popolazioni che hanno poco a che fare e non sono responsabili delle tensioni geopolitiche", ha detto l'Austria. "Questo è inaccettabile".

Anche se questo documento fosse stato adottato per consenso, ma cosa significa consenso in questo contesto? Significa che la stragrande maggioranza dei governi del mondo è stata costretta alla sottomissione dagli stati dotati di armi nucleari e dai loro alleati ancora una volta. La maggior parte dei paesi ha messo gli interessi multilaterali al di sopra dei propri ed era chiaramente disposta a farlo di nuovo qui. Ma a che punto andare avanti per segnalare "la cooperazione collettiva così tanto necessaria in questo momento di incertezza e insicurezza globale", come ha detto la Nuova Zelanda, diventa più sostenibile? A che punto gli Stati parti devono cambiare il modo in cui viene condotto il processo di revisione del TNP o come viene affrontato il mancato rispetto delle sue disposizioni sul disarmo? Come RCW ha scritto in relazione a questo e a molti altri forum sul disarmo, interpretare il consenso come unanimità è pericoloso per l'integrità e l'efficacia di un trattato o di un processo.

Cinquantadue anni dopo l'adozione del TNP le armi nucleari esistono ancora, e gli stati dotati di armi nucleari le stanno chiaramente aggiornando e modernizzando con l'intenzione di un possesso indefinito. Questa situazione non può persistere; altrimenti, stiamo davvero proteggendo lo spirito multilaterale, la sicurezza collettiva o il diritto internazionale – o stiamo solo proteggendo gli stati dotati di armi nucleari, i doppi standard e le disuguaglianze globali?

Trovare la luce e lavorare per il cambiamento

Il fallimento della Conferenza di revisione del TNP del 2015 ha contribuito a dare slancio ai negoziati del TPNW nel 2017. I 122 stati che hanno votato per la sua adozione, e il numero crescente di suoi stati parti e firmatari ora, hanno segnalato la loro intenzione di prendere in mano la situazione. Invece di essere supplicanti davanti agli stati dotati di armi nucleari, quelli che hanno già respinto i miti e i pericoli della deterrenza nucleare hanno creato una nuova legge per promuovere un mondo libero dal nucleare.

Solo pochi mesi fa, hanno adottato una dichiarazione forte e un piano d'azione ambizioso, che la Francia e altri non avrebbero nemmeno permesso di menzionare nel documento finale della Conferenza di revisione del TNP. È qui che si trova chiaramente il lavoro nei prossimi anni. È qui che è possibile costruire un mondo libero dalle armi nucleari e affrontare i danni nucleari passati e in corso.

In un certo senso, ha detto l'Austria, queste ultime quattro settimane sono state una convalida e una promozione per il TPNW. L'Austria ha osservato che le sue delegazioni e quelle di altri sostenitori del TPNW hanno cercato duramente in questa Conferenza di revisione di ottenere progressi nel TNP, "ma vediamo ancora una volta quanto poco è possibile. Lo status quo semplicemente non è un'opzione. Non possiamo prepararci alla catastrofe nucleare. Ciò per cui non possiamo prepararci dobbiamo impedirlo. Non possiamo permetterci di aspettare". In questo contesto, l'Austria ha invitato "tutti gli Stati che vogliono ottenere progressi effettivi sull'articolo VI del TNP ad aderire al TPNW".

Una delle lezioni apprese dal processo per vietare le armi nucleari è che non possiamo guardare alla leadership degli stati dotati di armi nucleari per rendere il mondo più sicuro. Faranno infatti tutto il possibile per impedirlo. Le loro feroci e implacabili obiezioni alla proibizione di un'arma di distruzione di massa mostrano esattamente quale orientamento questi stati hanno verso la pace, la sicurezza e la cura; fare appello alla loro "natura migliore" non sta portando ad alcun progresso reale. La leadership e il coraggio verranno da altrove, come già ha fatto.

Anche gli Stati parti e i firmatari del TPNW hanno rilasciato una dichiarazione congiunta venerdì sera. Hanno ribadito il loro sostegno al TNP e alla sua piena attuazione, ma hanno anche espresso sgomento per il fatto che i rischi dell'uso di armi nucleari sono stati usati in questa Conferenza come motivo per lavorare "contro i progressi urgentemente necessari sul disarmo nucleare e per sostenere un approccio alla sicurezza basato sulla fallacia della deterrenza nucleare". Gli stati TPNW hanno spiegato che mentre non hanno illusioni sulle sfide e gli ostacoli, cercano di andare avanti con ottimismo e determinazione:

Di fronte ai rischi catastrofici posti dalle armi nucleari e nell'interesse della sopravvivenza stessa dell'umanità, non possiamo fare altrimenti. Prenderemo ogni strada che ci è aperta e lavoreremo con insistenza per aprire quelle che sono ancora chiuse. Non ci fermeremo fino a quando l'ultimo stato non si sarà unito al TPNW, l'ultima testata sarà stata irreversibilmente smantellata e distrutta e le armi nucleari non saranno state totalmente eliminate dalla Terra.

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Un prequel dell'ambasciatore Carlo Trezza - su l'Avvenire del 26 luglio 2022

Tutto il possibile per disinnescare il ritornante incubo nucleare (avvenire.it)

 

Armi nucleari. Tutto il possibile per disinnescare il ritornante incubo nucleare

di Carlo Trezza


Tutto il possibile per disinnescare il ritornante incubo nucleare

 

Caro direttore, dopo molti rinvii e con due anni di ritardo a causa Covid, si apre lunedì primo di agosto in un clima di incertezza e preoccupazione la grande Conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). I Delegati dei 190 Stati parte affluiranno nella sede delle Nazioni Unite a New York e vi resteranno per quattro intense settimane di lavoro. In vigore da oltre cinquant’anni, il Tnp rimane il principale accordo che disciplina l’intero settore nucleare sia esso civile (centrali nucleari) che militare (armi nucleari). Esso sancisce il «diritto inalienabile » all’energia nucleare, ma proibisce al tempo stesso la diffusione delle armi nucleari.

Questa proibizione non è però totale poiché a cinque Stati (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) viene concesso di detenere l’arma nucleare. La principale forza di questo Trattato consiste nel fatto che vi ha aderito la stragrande maggioranza degli Stati inclusi 5 Paesi nucleari. Tra i pochissimi che non vi aderiscono figurano, però, alcuni Paesi dotati dell’arma nucleare: India, Israele, Pakistan e Corea del Nord. Il Tnp è riuscito a sopravvivere per oltre 50 anni durante i quali è stato il principale baluardo contro la diffusione delle armi nucleari nel mondo. Negli ultimi anni, il Tnp si è andato progressivamente erodendo a causa dell’applicazione, ritenuta insoddisfacente, del suo articolo 6 che prevede l’impegno degli Stati a negoziare in un tempo ravvicinato «una cessazione della corsa agli armamenti nucleare (…) e il disarmo nucleare». Nella realtà, lungi dall’effettuare passi in avanti, si sono fatti di recente soprattutto passi indietro.

Durante la presidenza Trump, l’America ha mandato all’aria vari importanti Trattati di controllo e riduzione degli armamenti inclusi quelli nucleari permettendo anche alla Russia di sottrarsi alla loro applicazione. Oggi la guerra in Ucraina pone ulteriormente a rischio il Trattato. La Russia, una potenza nucleare, sta letteralmente 'divorando' un Paese non nucleare, membro del Tnp che ne rispetta pienamente le disposizioni. Nel 1994 l’Ucraina aveva rinunciato all’arma atomica proprio in cambio della garanzia scritta e firmata da parte di Mosca di «rinunciare alla minaccia o all’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica dell’Ucraina». Un vulnus che terrorizza ora molti altri Stati e che rischia di indurli a rivedere la loro decisione di rinunciare all’arma nucleare. Non è un mistero che forze politiche in Paesi come la Corea del Sud e il Giappone si vanno avvicinando a tale opzione. Sarebbe la fine del Tnp ed il ritorno alla legge della giungla. La frustrazione provocata dai mancati progressi sul fronte del disarmo ha indotto vari Paesi a lanciare, nel 2017, un’iniziativa più audace: quella di un Trattato sulla proibizione totale dell’arma nucleare (Tpnw) che è entrato in vigore nel gennaio 2021. Quest’ultimo è solo in parte compatibile con il Tnp poiché prevede una proibizione dell’arma nucleare senza eccezioni. Il possesso non ne è consentito neppure ai cinque Stati nucleari previsti dal Tnp ed è esplicitamente proibito lo stazionamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale.

Queste disposizioni sono problematiche per i Paesi Nato perché incompatibili con la dottrina strategica dell’Alleanza che non esclude, in circostanze eccezionali, anche l’impiego dell’arma nucleare. Per la prima volta la Conferenza Tnp si dovrà quindi confrontare con la realtà di un nuovo Trattato 'concorrente'. Il principale punto debole del Tpnw è che nessuno degli attuali nove Paesi possessori dell’arma atomica vi ha aderito.

Il rapporto tra i due Trattati potrà divenire un punto di possibile frizione durante la prossima conferenza. Il ruolo dell’ambasciatore argentino Gustavo Zlauvinen che presiederà la conferenza è arduo. Sul piano procedurale non sarà facile costruire il consenso di 190 Stati su un documento finale che stabilisca un programma di azione per il prossimo quinquennio. Ma sul piano della sostanza la Conferenza non potrà ignorare gli accresciuti rischi di un conflitto nucleare derivanti dalla guerra in Ucraina. I dirigenti russi continuano a minacciare ormai apertamente un possibile impiego dell’arma nucleare non solo contro i paesi Nato, ma anche nei confronti dell’Ucraina che, non essendo membro di un’alleanza nucleare, appartiene alla categoria di Paesi contro cui la Russia si era impegnata, proprio nel contesto del Tnp, a non impiegare tale arma. La Conferenza, cui sarebbe auspicabile una partecipazione italiana a livello politico nonostante l’attuale crisi, non potrà che impostare i suoi lavori sui tre tradizionali pilastri su cui poggia il Trattato (usi pacifici dell’energia nucleare, non proliferazione, disarmo). Ma l’immediatezza impone di allontanare anzitutto il rischio di una guerra nucleare che può scatenarsi per volontà umana, per errore o per incidente. A New York si dovrà pertanto affrontare in via prioritaria e far recepire nel documento finale la questione della proibizione dell’uso e della minaccia dell’uso dell’arma nucleare o quanto meno l’interdizione del suo primo uso, un concetto quest’ultimo, che già trova un significativo livello di accettazione anche presso alcuni Stati nucleari.

Ambasciatore, già presidente della Conferenza sul Disarmo a Ginevra

 

 

 

MANTENIAMO IL PUNTO QUALIFICANTE E DI GRANDE SVOLTA SUL NO FIRST USE NEL DOCUMENTO FINALE ALLA CONFERENZA DI RIESAME DEL TNP

UNA LETTERA SPEDITA (IL 20 AGOSTO) ALLA RAPPRESENTANZA ITALIANA PRESSO IL PALAZZO DI VETRO

La Decima Conferenza di riesame del Trattato di Non Proliferazione nucleare – TNP (si tiene ogni cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato) è in corso a New York (dal 1 al 26 agosto 2022) e si svolge in una congiuntura internazionale drammatica in seguito allo scontro militare sul terreno ucraino dietro cui sta una guerra più generale, in questo momento soprattutto economica, tra la NATO e la Russia.

New York giunge dopo Vienna, il primo riesame che si è svolto questo giugno del Trattato di proibizione delle armi nucleari – TPNW, ratificato al momento da oltre 60 Stati; ed è il primo banco di prova su come questo secondo percorso disarmista “proibizionista”, di cui sono protagonisti gli Stati non nucleari in ribellione, possa sbloccare lo stallo che caratterizza il primo percorso, del disarmo cosiddetto negoziato, bilanciato e controllato, in mano alle grandi potenze nucleari.

Il TPNW di Vienna ha chiesto al TNP di New York di riconoscere il suo carattere complementare di attuazione del famoso quanto disatteso articolo VI: le trattative “in buona fede” per giungere ad un “disarmo generale e completo”, “sotto controllo internazionale efficace”.

La risposta parzialmente positiva rispetto a questa istanza degli Stati non nucleari protagonisti di Vienna TPNW potrebbe passare per una formulazione contenuta nella bozza di dichiarazione finale preparata dalla presidenza argentina del TNP sulla base del lavoro di due commissioni.

Per la prima volta, in questi documenti delle commissioni, si dice che le potenze nucleari portano responsabilità nella situazione di riarmo e di proliferazione atomica (la situazione di insicurezza deriva anche dal mancato disarmo!) e che hanno il dovere di ridurre il ruolo del nucleare nelle strategie militari che non hanno da contemplare più il primo uso dell’arma nucleare nelle dottrine di “deterrenza”.

Può sembrare poca cosa ma in realtà, stante i rapporti di forza attuali, se lo si affermasse nelle conclusioni ufficiali del TNP sarebbe un passo concreto che potrebbe aprire la strada ad un dialogo per ridurre il rischio di un disastro atomico (almeno la guerra nucleare per errore con la “deallertizzazione” concretizzata dalla separazione delle testate dai vettori) e cominciare a svoltare dal riarmo verso il disarmo delle testate.

Dal coordinamento di ICAN, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, insignita nel 2017 del Premio Nobel per la pace, è giunto l’appello a mobilitarsi urgentemente perché, in sintesi e in sostanza, il “no first use” sia mantenuto nel draft che verrà sottoposto al vaglio della fase finale della conferenza di New York, contro le pressioni in atto per toglierlo. Noi, Disarmisti esigenti, e altri soggetti alleati, tra i membri italiani di ICAN, abbiamo raccolto l’appello e provveduto a scrivere in questo senso alla rappresentanza italiana all’ONU: vedi lettera sotto riportata, indirizzata all’ambasciatore Maurizio Massari e per conoscenza al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, già firmatario dell’ICAN Pledge.

Occuparsi di questo tema della denuclearizzazione significa per noi, oltretutto, con ricaduta sul lavoro politico locale, dare ascolto e voce al sentimento e all’opinione pacifista della maggioranza del popolo italiano, ignorati dalle coalizioni principali in lizza nelle elezioni politiche del 25 settembre; ed in verità ci sembra poco raccolti anche da chi si proclama ecopacifista ma, a differenza ad esempio di Papa Francesco, non coglie la centralità del problema pace versus guerra in questo momento storico ...

Ma dobbiamo essere realisti sugli esiti di New York: i nostri rappresentanti di ICAN presenti ai lavori ci informano che il dissenso degli Stati nucleari, pur nella disomogeneità delle posizioni, alle bozze di testi varati dalle commissioni del TNP è fortissimo e questo prelude all’ennesima conclusione senza documento finale, come nelle due ultime conferenze del 2010 e del 2015. Il disarmo nucleare è sempre il nocciolo della questione e il destino di questa Conferenza di revisione dipende dalla domanda vecchia di 50 anni: conformarsi all'articolo VI del TNP – e quindi riconoscere oggi il contributo del TPNW - o non conformarsi – rigettando con una quantità di pretesti tale riconoscimento?

Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti

Antonia Sani – Coordinamento antinucleare europeo

Alex Zanotelli – Missionario comboniano

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Milano-Roma-Napoli 20 agosto 2022

A Maurizio Massari

Capo della delegazione italiana al X riesame del TNP (New York  1-26 agosto 2022)

E p.c. Luigi Di Maio, Ministro degli affari esteri, già firmatario dell’ICAN Pledge

Gentile e Illustre Ambasciatore Maurizio Massari

Le scriviamo, allertati e sollecitati da Beatrice Fihn, direttrice esecutiva di ICAN, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, nel pieno dei lavori,a New York, in cui si sta svolgendo, sotto l’egida dell’ONU, il  decimo Riesame del Trattato di Non Proliferazione nucleare – TNP  (inizio della Conferenza 1 agosto, conclusione della stessa prevista il prossimo 26 agosto).

Giriamo la presente per conoscenza anche al nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, già firmatario dell’ICAN Pledge..

Le discussioni in corso a New York, a cui Ella sta partecipando, a giudizio della coordinatrice disarmista di ICAN, sarebbero ad un cruciale punto di svolta e, se si facesse in questo momento la scelta giusta, potrebbero avviare un percorso concreto, sostanziale e mirato per realizzare “un mondo senza armi nucleari”, come è nei desideri di tutti, e come è politica ufficiale del governo italiano, ispirato dall’art. 11 Cost.; e – con le dovute accortezze – senza entrare in contrasto con i suoi alleati.

Da Beatrice Fihn abbiamo appreso che sono state pubblicate le prime bozze della parte sul disarmo della Conferenza di revisione del TNP: il rapporto del Comitato principale 1 che esamina l'attuazione degli obblighi di disarmo del trattato; e il rapporto dell'Organo sussidiario 1 che negozia i punti di azione di lungo periodo sul disarmo.

È importante, a parere della Fihn e anche a nostro parere (in quanto appunto membri e sostenitori italiani di ICAN), rinforzare il draft che è stato proposto dalla presidenza del riesame del TNP. In particolare, bisogna guardare al punto che, nella bozza sul disarmo riconosce la responsabilità delle potenze nucleari nel promuovere il disarmo nucleare e include un impegno per questi stati a ridurre ed eliminare il ruolo delle armi nucleari nella loro dottrina sulla sicurezza.

Questo il passo del documento, inserito nel rapporto dell'Organo sussidiario 1, che dobbiamo considerare, oltre che innovativo, decisivo e che caldeggiamo sia ripreso nella Dichiarazione finale della Conferenza di riesame:

"The nuclear-weapon States and their allies agree to take steps to reduce and eliminate the role of nuclear weapons in national and collective security doctrines; for nuclear-weapon States this should include the adoption of no-first use or sole purpose doctrines."

Draft Report of Subsidiary Body 1: “Nuclear Disarmament and Security Assurances”

NPT/CONF.2020/MC.I/SB.1/CRP.1, 12 August 2022

Noi riteniamo che darsi da fare, come rappresentanza italiana all’ONU e al Riesame del TNP, per mantenere questa presa di posizione più organicamente disarmista nel testo finale della conferenza sarebbe coerente con le aspirazioni che Ella ha avanzato, a nome dell’Italia, nel suo discorso del due agosto, che abbiamo letto al seguente link:

https://italyun.esteri.it/rappresentanza_onu/it/comunicazione/archivio-news/2022/08/tenth-review-conference-of-the.html

Crediamo di avere capito che ci sarebbe assoluta urgenza di esprimere un parere ufficiale in questo senso che dovrebbe essere avanzato da parte dell’Italia entro il 22 agosto alla presidenza argentina della Conferenza di Riesame.

Perciò la preghiamo – gentile Ambasciatore - di inviare subito un parere a favore del draft varato cogliendo questa occasione storica sulla esplicitazione del “no first use”! L’importanza e la drammaticità del momento esigerebbero questa assunzione di responsabilità!

Questo gesto renderebbe più agibile e concreto l’auspicio che  il nuovo governo italiano, quello che emergerà dalle elezioni politiche del 25 settembre, recependo le istanze pacifiste del nostro popolo, testimoniate oltretutto da tutti i sondaggi, sia più coraggioso: andremmo a raccogliere i semi che speriamo siano lanciati qui a New York, partecipi al dialogo tra Trattato di proibizione delle armi nucleari -TNPW e Stati della condivisione nucleare NATO, aperto dal meeting di Vienna del TPNW nel giugno di questo anno.

Quello che in tale prospettiva sollecitiamo e proponiamo di avviare è un contributo attivo del governo italiano ai progressi della proibizione delle armi nucleari sulla base del diritto umanitario e alla complementarità, non scontata e da riconoscere proprio a New York, tra TNP e TPNW. Un effetto significativo di tale processo, frutto anche del dialogo con i Paesi della condivisione nucleare NATO (che è stato avviato al riesame del TPNW, svoltosi questo giugno a Vienna), sarebbe la prospettiva della denuclearizzazione europea: si segnerebbe l’abbandono, da parte della Alleanza occidentale,  della dottrina strategica  che non esclude, in circostanze eccezionali, il primo uso dell’arma nucleare.

Augurandole buon lavoro, aspettiamo buone notizie da parte Sua in merito alla problematica che Le abbiamo indicato

 

Alfonso Navarra – Disarmisti esigenti (cell. 340-0736871 -  email alfonsonavarra@virgilio.it

Antonia Sani – Coordinamento antinucleare europeo 

Alex Zanotelli – Missionario comboniano

COME FAR PESARE LA PACE E IL DISARMO NELLA CAMPAGNA ELETTORALE?

Campagna elettorale: il tempo delle promesse (non realizzabili) - Altreconomia

QUI materiale per la discussione aperta dai Disarmisti esigenti in vista delle politiche che si terranno il 25 settembre 2022. Primo incontro online il 28 luglio 2022

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Come parlare di pace in campagna elettorale?

La convocazione dell'incontro online del 28 luglio

La pace: come renderla una priorità nella campagna elettorale?
consultazione online
Giovedì, 28 luglio⋅ ore18:00 – 20:00
su piattaforma Google Meet al link:
 
Al Senato, il 20 luglio, si è chiusa l'esperienza, a giudizio degli scriventi disastrosa, del governo Draghi: si va presto a votare, e noi speriamo che la prossima rappresentanza parlamentare sia più in ascolto dei bisogni popolari di questa che, a prescindere dai giudizi sull'operato nelle crisi pandemiche, ecologiche e sociali, ad esempio, si è, nella quasi totalità, lasciata coinvolgere - sia sul territorio ucraino sia come conflitto globale -  nella guerra della NATO contro la Russia.
Proprio quello che il popolo italiano, con tendenza pacifista per niente scontata, contrario - secondo tutti i sondaggi svolti dagli stessi media embedded - all'invio delle armi all'esercito ucraino (senza che questo significhi simpatizzare per Putin e per il suo anacronistico sogno imperiale), non vorrebbe;  così come non capisce - stiamo sempre parlando del nostro popolo - il senso di sanzioni che fanno più male alla economia europea che non alla Russia contro cui sono ufficialmente indirizzate.
La campagna elettorale è già iniziata ed è il caso che, anche dietro nostra spinta, forze politiche e candidati si esprimano chiaramente su cosa farebbero su nucleare, spese militari e guerra  non in termini programmatici astratti ma se si trovassero al governo.
Noi società civile ecopacifista dovremmo incalzarli sull'adesione alle nostre campagne più battute: il percorso della proibizione delle armi nucleari, l'uscita dalla condivisione nucleare NATO (rifiuto di B61-12 e F35), la riduzione delle spese militari, cominciando da quelle offensive, quindi incostituzionali, convertendole in ambiente, sanità e cultura, l'appoggio a obiettori e disertori sia russi che ucraini quale contributo a fermare l'escalation bellica che può - non è una ipotesi fantastica - degenerare in scontro nucleare.  
Avremmo da porci come intermediari degli elettori che desiderano giustamente garanzie sul fatto che la propria espressione di voto non venga malamente strumentalizzata, come il più delle volte è finora successo.
In un appello che dobbiamo preparare - noi Disarmisti esigenti & partners avanzeremo in questo senso una bozza-  porremo, da ecopacifisti attivi, richieste precise ai candidati e segnaleremo e valorizzeremo le risposte con le assunzioni di impegno più stringenti e credibili.
E proprio perché dolorosamente scottati da ripetute deleghe a forze radicali nelle promesse di cambiamento, ma opportuniste e burocraticamente minimaliste alla prova dei fatti, auspichiamo, secondo quanto emerso da tanti nostri incontri online, che gli animatori sociali - le cosiddette avanguardie della società civile - la facciano finita con le facili dismissioni e cessioni di responsabilità.
Forse è il caso che comprendiamo, noi attivisti sociali dotati di competenze temprate nel fuoco delle lotte, di dover convergere per promuovere un nuovo soggetto dell'alternativa all'élite che proponga l'opposizione alla guerra prospettando la pace come condizione di vita e di giustizia nonché modello complessivo  di sviluppo.
La pace come centro organizzatore delle convergenze e come priorità, non come annesso e dettaglio residuale dei programmi di intervento sociale, in molti contesti addirittura omessa.
La pace globale con la Natura, obiettivo della conversione ecologica, quale condizione per la giustizia e la libertà delle società umane.
E' possibile combinare qualcosa in questo senso nei pochi giorni che ci distanziano dal voto per la nuova legislatura?
Ne discutiamo già la prossima settimana, giovedì 28 luglio, dalle ore 18:00 alle ore 20:00. Con la bozza di documento-appello già da noi predisposta. E che avrà come base testuale e di orientamento politico-culturale un documento contro la deterrenza nucleare già apparso come articolo sul Manifesto quotidiano (titolo: "Un genocidio programmato da disinnescare") e che è stato ampliato come petizione online sottoscrivibile al link: no deterrenza nucleare genocidio da disinnescare - Petizioni.com

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Come parlare di pace in campagna elettorale?

La scaletta preparatoria dell'incontro del 28 luglio

Possiamo svolgere il solito compitino sulle istanze pacifiste, ripetendo gli esiti del rito che celebriamo ormai da decenni: si propongono, da parte nostra, dei punti e si ricevono adesioni e promesse dai candidati e dalle forze politiche (in campagna elettorale non si negano a nessuno!) di cui poi noi stessi non chiediamo conto e ragione.
Un esempio neanche tanto lontano? quasi la metà dei deputati in vista della XVII Legislatura che poi non hanno portato avanti l'ICAN Pledge.
Nella XVIII si erano ridotti ad una 60ina, ed abbiamo avuto tre governi guerrafondai in diversa misura, ma allo stesso titolo.
Certo con Draghi abbiamo registrato un salto di qualità, ma il Conte 1 (M5S+Lega) e il Conte 2 (M5S+PD) erano forse orientati sull'articolo 11?
Come allora essere più stringenti quando presentiamo le nostre richieste?
Non dobbiamo semplicemente chiedere l'adesione ai singoli punti (o "istanze"), ma proporli come DISCRIMINANTI per entrare in una compagine di governo.
"Noi candidati e forza poltica ci impegnamo, su vostra sollecitazione, a portarli avanti, altrimenti non si parte di un governo, si fa OPPOSIZIONE, consapevoli che anche da questa collocazione, con l'appoggio popolare, possono essere raggiunti dei risultati superiori all'occupare scranni istituzionali in modo subalterno".
Questo vale in particolare per quei punti in cui c'è un consenso popolare maggioritario certtificato dagli stessi sondaggi dell'avversario del complesso militare-finanziario-energetico.
In questo modo si fa una operazione politica, non semplicemente si attiva una espressione etico-culturale di sè stessi.
1- no alle armi 2- no alle sanzioni, in particolare energetiche - 3 - denuclearizzazione militare e civile: ecco tre questioni in cui gli stessi sondaggi dei media mainstream dicono che abbiamo o che avremmo la maggioranza, se gli italiani fossero informati!
La nostra priorità è il disarmo nucleare perché abbiamo consapevolezza del livello di gravità di rischio cui ci espone la "deterrenza" che è genocidio programmato (si veda dichiarazione pubblicata su il Manifesto del 6 luglio sottoscrivibile al link: https://www.petizioni.com/no_deterrenza_genocidio_nucleare) contro la quale si contrappone la "speranza" del TPNW, così come ricordato dal documento della Convergenza che commemora l'anniversario di Hiroshima [https://www.pressenza.com/it/2022/06/costruiamo-convergenza-report-
dellincontro-alleirenefest]

Quale è, ad avviso dei Disarmisti esigenti,  l'obiettivo da perseguire?
Esprimere l'ideale della pace come modello di sviluppo complessivo (disarmo+ecologia+giustizia sociale) ed intanto rappresentare alcune tendenze pacifiste e antinucleari del nostro popolo.
Perché questo ideale, per diventare realtà concreta, può marciare solo su gambe popolari, per andare oltre la testimonianza e diventare, appunto, prospettiva politica.

Senza una visione complessa, basata sull'assunto che oggi il primo compito per tutti è la PACE CON LA NATURA, stante le retroazioni in atto nerll'ecosistema globale sconvolto, non si ha la base per mettere insieme i due obiettivi "vitali" con maggiore appeal popolare:
- il rifiuto di farsi coinvolgere nell'escalation bellica sul piano militare
- il rifiuto di farsi coinvolgere nella guerra economica (da non confondere con il rifiuto dell'economia di guerra, cioé i razionamenti con cui pagare gli aiuti militari all'Ucraina).
Il massimo banditore oggi di questa visione complessa, che chiama ECOLOGIA INTEGRALE, è Papa Francesco...
Noi la chiamiamo PACE come modello di ecosviluppo, che attacca il potere e gli interessi della élite dell'1%, liberando il mercato dal dominio oligopolistico e sottoponendolo a controllo sociale.

Dobbiamo rifiutare la centralità della collocazione nello scontro NATO/Russia. La centralità sta nella cessazione della guerra che stiamo conducendo contro la Natura.
Si può proclamare la neutralità rispetto a questo scontro geopolitico, pur condividendone la centralità nell'approccio con la realtà politica e sociale.
E a questo punto per i bellicisti il gioco in gran parte è fatto.
E' infatti debole accettare le premesse per rifiutare solo alcune conseguenze.
Noi invece rifiutiamo proprio la premessa: lo scontro NATO-Russia non è centrale, centrale è lo scontro umanità-Natura che il malsviluppo della crescita senza limiti orientata al profitto e alla potenza ha imposto.

Promuovere singole istanze pacifiste non è la stessa cosa che proporre un soggetto politico organicamente ecopacifista: un movimento politico della pace.
Ovviamente per alcuni il problema non si pone perchè la risposta istituzionale è già stata sostanzialmente data nell'offerta politica corrente.
La risposta istituzionale per l'offerta politica ci sarebbe già (quasi), tra M5S, "Unione popolare", o altro (i Verdi nel "campo aprerto" proposto dal PD).
Il ceto politico sta sostituendo Tsipras con Melenchon.
Cosa manca perchè questa operazione risulti credibile?
Una coerenza sia di comportamenti passati, molto più netta nel caso dei 5S, sia di approccio, che esprima l'omogeneità mezzi-fini, contenuti e forme.
Perché il punto è mettere in campo il concetto di COMPETENZA SOCIALE, in cui la saggezza, raggiunta con il dialogo collettivo, sostituisce la sapienza, fondata sullo studio individuale.

Siamo in ritardo perché bisogna giocare non soltanto per partecipare, ma per ottenere almeno il diritto di tribuna, correndo con regole che sono quelle che sono: non le abbiamo stabilite noi.
Quindi bisogna fare il 5% e per questo risultato non c'è alcuna speranza, nemmeno se il Papa dicesse: "Io vi voto perché apprezzo il vostro lavoro per la conversione ecologica".

Le regole sono quelle stabilite dal cd Rosatellum con il ritocco silenzioso in atto perché la composizione del Parlamento è stata ridotta di oltre un terzo per via referendaria: 200 membri del Senato e 400 della Camera. Con premio di maggioranza e listini, indipendentemente dall’esito prodotto nelle urne, i cittadini saranno privati di fatto del diritto di scegliere una
parte cospicua dei propri rappresentanti. E' anche possibile, stando a tutti i sondaggi, una vittoria del centro destra, con Fratelli d'Italia primo partito, in misura tale da poter modificare la Costituzione.
Occorrerebbe una nuova legge elettorale, possibilmente proporzionale, che sopprimesse i nominati, restituendo al cittadino il diritto di scegliere la parte politica, ma anche la persona, con la speranza che questa restituzione di poteri, attualmente menomati, contribuisca a motivare a recarsi alle urne.
Il ritorno ad una legge proporzionale con indicazione di preferenza (meglio se doppia, per assicurare l’equilibrio di genere), con una soglia minima, avrebbe il doppio vantaggio di generalizzare il potere dell’elettorato nella scelta dei propri rappresentanti – indispensabile soprattutto con una costituzione che, all’art. 67, esclude il vincolo di mandato, mentre resta inattuata la struttura democratica interna ai partiti, prevista dall’art. 49 – e di trovare i consensi necessari per essere approvata nei pochi mesi restanti di attività parlamentare.

Una riflessione più di fondo possiamo e dobbiamo avviarla, per trovare convergenze di intervento, sulle forme della democrazia: complementarizzare e armonizzare quella rappresentativa, quella diretta referendaria, quella partecipativa e quella deliberativa delle assemblee dei cittadini.

Anche in campagna elettorale non dobbiamo dismettere le lotte e praticare la costruzione della convergenza.
Ci sono tre emergenze da mettere insieme: quella geopolitica, quella ecologica, quella sociale.
Quale è l'obiettivo che può unificarle?
Una proposta è premere sul bilancio dello stato per la conversione delle spese dannose e mortifere (militari, SAD, grandi opere nocive) in investimenti per ambiente, sanità e cultura: il welfare "verde" collegato a piani economici di PIENA OCCUPAZIONE ambientalmente e socialmente utile.
Il "capitalismo verde", ci ricorda sempre Giuseppe Farinella, de "IL SOLE DI PARIGI", è una forza storica con la quale fare i conti e che in significativa parte si contrappone al capitalismo dei complessi militari industriali, sia liberali che autocratici; la nostra "pace con la natura", la conversione ecologica e disarmista, è anche una economia in cui il controllo sociale, ispirato ai principi di cura e solidarietà universale, prevale sulle forze cieche dei potentati che perseguono il profitto.

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Crisi climatica, ci sarà ancora un domani?

Stiamo assistendo alla fine del mondo. Non del pianeta Terra, che continuerà a ruotare intorno al Sole per miliardi di anni, ma del mondo inteso come condizione di vivibilità degli esseri umani e soprattutto del numero di esemplari, cioè di abitanti, in cui si sono riprodotti. E in particolare del loro modo di vivere, plasmato dalla modernità ed esteso a tutto il pianeta dalla globalizzazione (il capitalismo, se vogliamo chiamarlo così, quello del XXI secolo).
(...)

Fenomeni in gran parte irreversibili

Tutti i fenomeni attraverso cui è destinata a manifestarsi questa fine del mondo sono già in gran parte presenti (...) e sostanzialmente  irreversibili: Così la conversione ecologica, anche volendola fare, sarà sempre più difficile. Non parliamo della conversione dalla combustione all’elettrico del parco veicoli (un miliardo e 300milioni di auto), oggi al centro dell’attenzione. Che senso ha?

Problemi ignorati

(...)

Il contenimento della crisi climatica e ambientale non dipende solo da noi, né come individui, né a livello territoriale o nazionale; persino l’UE (che vale il 10 per cento delle emissioni globali) conta poco. Tuttavia, ciascuno di noi, ciascun territorio, ciascuna nazione e ciascun continente dovrebbe sforzarsi di fare il possibile per contribuire a una conversione ecologica complessiva. C’è molto da fare per tutti. Ma, soprattutto, c’è da trovare la strada per farlo, che non è per nulla chiara come lo sono invece gli obiettivi da perseguire e che è diversa da Paese a Paese come da individuo a individuo e da impresa a impresa.

Adattamento: salvare il salvabile e lasciare indietro il superfluo

E’ chiaro che l’obiettivo centrale, quello di Parigi e di Glasgow (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sigla in inglese Unfccc) di +1,5°C sul periodo preindustriale non sarà raggiunto. Quindi, occorre prepararsi al meno peggio. E il meno peggio si chiama adattamento. Salvare, fin che si è in tempo, quello che si ritiene salvabile e lasciare indietro quello di cui c’è meno bisogno. Cominciando con l’agricoltura e l’alimentazione che devono tornare a essere biologiche, multicolturali, di prossimità, senza più allevamenti intensivi. Poi con la cura del territorio, rimboschendolo il più possibile. E con la mobilità, abbandonando per sempre l’idea di avere a disposizione “un cavallo meccanico” a testa; la mobilità sostenibile è condivisione e pieno utilizzo di ogni mezzo. E il turismo, oggi la più grande industria del mondo, se ancora possibile, deve tornare a essere villeggiatura di prossimità o avventura senza confort. Anche l’industria dovrà ridimensionarsi e con essa sia l’aggressione alle risorse della Terra per alimentarla che la moltiplicazione dei servizi per trovarle uno sbocco nei nostri consumi. La scuola deve diventare un centro di formazione alla convivenza aperto a tutti e la cura della salute deve spostare il suo asse dalla terapia alla prevenzione.

In una prospettiva del genere, ci sarà posto per tutti su quel che resterà della Terra, sia per abitarla che per garantire a ciascun un ruolo, un’attività, un modo di rendersi utile senza piegarsi al feticcio dell’occupazione, che riguarda sempre e solo una parte della popolazione. Ma chi ha il coraggio di mettersi su questa strada?

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da Avvenire, 23 luglio: 5 proposte di Rete italiana pace e disarmo

Dall'articolo di Luca Liverani, Avvenire, 23 luglio:

(...)  Sergio Bassoli, coordinatore dell’esecutivo della Rete italiana pace e disarmo. «La guerra – afferma – scatena l’effetto domino in una società globalizzata, interdipendente, invadendo ogni ambito e spazio: crollano i mercati ed il commercio, aumentano i costi delle materie prime, l’inflazione galoppa ed i salari perdono potere d’acquisto, ritornano la fame, le carestie e le pandemie nel mondo». E allora, ribadisce Bassoli, «dire basta alle guerre e alla folle corsa al riarmo è nell’interesse di tutti e di tutte». «La condanna dell’aggressione e la solidarietà con le vittime sono il punto di partenza – ribadiscono i promomotori – ma non bastano». L’obiettivo è «una grande alleanza della società civile europea, che si riconosce in cinque punti».

1 - La condanna dell’aggressione russa all’Ucraina, la difesa della sua indipendenza e sovranità, la piena affermazione dei diritti umani delle minoranze e di tutti i gruppi linguistici in Ucraina;

2- La solidarietà con la popolazione ucraina, i pacifisti russi e con gli obiettori di coscienza di entrambe le parti;

3- Il rilancio del cessate il fuoco per l’avvio di un immediato negoziato in cui sia protagonista l’Onu;

4- La de-escalation militare come leva fondamentale per l’iniziativa diplomatica e politica;

5 -La costruzione di un sistema di sicurezza condivisa in Europa.

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Cinque passi per un’economia di pace - Altreconomia

 

Cinque passi per un’economia di pace

Ci avevano raccontato che la globalizzazione ci avrebbe preservato dalle guerre. Al contrario, il mondo in cui viviamo è sempre più insicuro. Dobbiamo chiederci come rifondare l’economia per poter vivere un tempo più pacifico e più sostenibile. Cinque grandi cambiamenti da attuare secondo Francesco Gesualdi

Ci avevano raccontato che la globalizzazione ci avrebbe preservato dalle guerre. L’adagio era che permettendo alle imprese di poter collocare i propri prodotti ovunque nel mondo, di poter spostare la produzione dove appariva più conveniente, di poter trasferire i capitali dove erano garantiti maggiori vantaggi, avremmo creato un mondo più interdipendente e quindi più interessato a mantenere la pace. Ma le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina e soprattutto la guerra in Ucraina, che assomiglia sempre di più a uno scontro fra Russia e Occidente, mostrano che la maggior internazionalizzazione degli affari non è sufficiente a sopire gli istinti nazionalistici che evidentemente fanno parte integrante di ogni forma di capitalismo. E mentre rimane forte l’impegno di ogni governo ad aprire la strada commerciale alle multinazionali battenti la propria bandiera, le tensioni si fanno sempre più accese per il controllo delle risorse e il dominio delle tecnologie. La conclusione è che il mondo in cui viviamo è sempre più insicuro, per cui dobbiamo chiederci come rifondare l’economia per poter vivere in un mondo al tempo stesso più pacifico e più sostenibile. Penso che per riuscirci dovremmo introdurre cinque grandi cambiamenti che a mio avviso ogni popolo farebbe bene a valutare ed attuare, anche unilateralmente.

Il primo passo da compiere è la messa al bando delle industrie di armamenti. Il Sipri valuta che nel 2020 le prime 100 imprese mondiali di armi hanno avuto un fatturato complessivo di 531 miliardi di dollari, una cifra superiore al prodotto interno lordo del Belgio. Finché produrremo armi avremo guerre perché rappresentano l’occasione di consumo di materiale bellico. E come le imprese di imbottigliamento hanno bisogno di chi beve acqua in bottiglia, allo stesso modo le imprese di armi hanno bisogno di guerre. Non a caso i produttori di armi mantengono rapporti continui con i ministeri della Difesa e spendono fiumi di denaro per ottenere dai governi scelte a vantaggio delle proprie attività. Secondo l’organizzazione Open Secrets, nei soli Stati Uniti negli ultimi 20 anni le industrie belliche hanno speso 285 milioni di dollari per contributi alle campagne elettorali e ben 2,5 miliardi per spingere le istituzioni statunitensi a compiere scelte politiche e finanziarie favorevoli ai propri interessi. Quanto all’Unione europea, i numeri ufficiali, risalenti al 2016, dicono che le prime 10 imprese di armi spendono oltre cinque milioni di euro all’anno e dispongono di 33 lobbisti a libro paga per esercitare pressione sulle istituzioni di Bruxelles.

La seconda grande scelta da compiere è l’abbandono del consumismo a favore della sobrietà. Il consumismo è una bestia insaziabile che ha bisogno di quantità crescenti di risorse ed energia. Un’impostazione che spinge inevitabilmente alla sopraffazione per aggiudicarsi le risorse a buon mercato presenti nei territori altrui. Lo testimonia non solo il colonialismo, ma anche il neocolonialismo che oggi si presenta col volto dello scambio ineguale, del land grabbing, dello strangolamento finanziario. Fino a ieri la lotta era per il carbone, il petrolio, i minerali ferrosi, oggi è per le terre agricole, i minerali rari, la biodiversità, l’acqua. L’unico modo per interrompere le guerre di accaparramento è ripensare il nostro concetto di benessere, riportandolo nel perimetro di ciò che ci serve senza sconfinare nell’inutile e nel superfluo. Un compito non semplice perché si scontra con le nostre pulsioni più profonde, ma con possibilità di successo se torniamo a dare il giusto valore alla sfera affettiva, sociale, spirituale e più in generale agli aspetti relazionali che la logica materialista tende a mettere in ombra.

Il terzo passaggio è la capacità di orientarci totalmente verso le energie rinnovabili perché affidandoci al sole, al vento e alle altre forme di energia naturale, rompiamo la nostra dipendenza dalle risorse altrui. Un’indipendenza che ci rende al tempo stesso meno angosciati, e quindi meno aggressivi, e più propensi alla collaborazione internazionale. Ricordandoci che la transizione energetica sarà tanto più possibile quanto più sapremo orientarci verso la sobrietà perché meno consumiamo, meno energia dobbiamo produrre.

Il quarto intervento è la capacità di potenziare l’economia pubblica, precisando che pubblico non è sinonimo di Stato, ma di comunità. L’economia pubblica è l’economia della comunità che diventa imprenditrice di se stessa per garantire a tutti, in maniera solidaristica e gratuita, tutto ciò che risponde a bisogni irrinunciabili come acqua, alloggio, sanità, istruzione e in generale tutto ciò che definiamo diritto. Beni e servizi determinanti per la dignità umana che non possono essere variabili dipendenti dalla disponibilità di denaro, bensì certezze da garantire a tutti tramite la solidarietà collettiva. Se riuscissimo a liberarci dai condizionamenti ideologici capiremmo che il rafforzamento dell’economia pubblica è non solo elemento di progresso umano e sociale, ma anche di pace, perché l’economia pubblica, a differenza dell’economia di mercato, non ha bisogno di espansione. Poiché non vende, bensì distribuisce, non ha la preoccupazione di procurarsi nuovi clienti. Il suo obiettivo è produrre quanto basta per soddisfare i bisogni dei propri cittadini, dopo di che è ben lieta di fermarsi. Non così per le imprese commerciali in lotta perenne fra loro per la conquista di nuovi mercati, se necessario con l’assistenza dei propri governi che magari non usano armi, ma ricatti e altri strumenti di pressione non meno insidiosi perché capaci di suscitare rancori dagli esiti imprevedibili. 

E per finire la capacità di improntare i rapporti internazionali a spirito di cooperazione ed equità. Equità per garantire la giusta remunerazione ai produttori e cooperazione per sostenersi reciprocamente e colmare gli squilibri creati da cinque secoli di economia di rapina. Tutto ciò, però, è possibile solo con un cambio di paradigma culturale. In economia bisogna passare dai principi di guadagno, crescita, concorrenza, a quelli di equità, sostenibilità, cooperazione. In ambito sociale bisogna passare dai principi di forza, vittoria, successo a quelli di mitezza, rispetto, sostegno. Perché solo predisponendoci diversamente verso l’altro potremo passare da una cultura della guerra a una cultura della pace. 

Francesco Gesualdi (1949), allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, nel 1985 ha fondato a Vecchiano (PI) il Centro nuovo modello di sviluppo (cnms.it), da cui vengono lanciate le prime campagne di sensibilizzazione e informazione per un consumo critico in Italia. Per Altreconomia edizioni ha scritto tra gli altri “L’altra via” (2009) e “Cambiare il sistema” (2014).

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La pace è sviluppo: non solo economico ma anche sociale (avvenire.it)

Idee. La pace è sviluppo: non solo economico ma anche sociale


Stefano Zamagni mercoledì 20 luglio 2022
Occorre ripensare la dissuasione della guerra valorizzando anche le componenti sociali e spirituali. Un richiamo a praticare il contrasto positivo dello scontro in un saggio del vescovo Toso

La guerra in Ucraina ha suscitato sgomento e preoccupazione non solo per la tragedia che ha colpito quel popolo, ma anche per la grave ed irrazionale destabilizzazione internazionale sul piano culturale, politico, economico ed ecologico, nonché della pace. La non improbabile escalation della guerra sul piano non solo europeo, ma anche mondiale, reclama che le armi tacciano al più presto. Il saggio Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace del vescovo di Faenza-Modigliana, Mario Toso, che esce dalle Edizioni Frate Jacopa (pagine 76, euro 12,00; info: 3282288455) sollecita il superamento dei pacifismi declamatori, auspicando il potenziamento della via della nonviolenza attiva e creativa, che costruisce la pace predisponendo alacremente istituzioni di pace, supportate da una nuova società civile mondiale. Dal libro, anticipiamo la prefazione dell’economista Stefano Zamagni.

Saluto con simpatia il breve ma denso saggio di Mons. Mario Toso, vescovo di Faenza e Modigliana. Il tema che affronta è di straordinaria e pur tragica attualità: la guerra in Ucraina che si protrae nel tempo e di cui non si riesce ancora a prevederne la fine. Il taglio espositivo del saggio è quello proprio del pensiero critico- discernente, di un pensiero cioè che non si limita ad analizzare i fenomeni indagati, ma si spinge a comprenderne le radici profonde, a praticare appunto il discernimento. È questo un antidoto efficace contro il pericolo bene descritto da C.S. Lewis con l’espressione chronological snobbery, per significare l’accettazione acritica di ciò che succede semplicemente perché parte del trend intellettuale del presente. Accade così che l’accettazione supina del factum finisce col togliere slancio al faciendum. Il caso qui trattato ne è eloquente conferma. Nel 1975, Johan Galtung – uno dei più tenaci assertori delle ragioni della pace – coniando il termine peacebuilding, introdusse la distinzione tra pace negativa e pace positiva. La prima è null’altro che il conflitto congelato, una situazione in cui tacciono le armi, ma restano i carboni accesi sotto la cenere. La seconda, invece, è la pace negoziata – un’opzione favorita dai 'costruttori di pace', come si legge nel testo evangelico. Monsignor Toso si spende a favore della pace positiva, perché persuaso che mai si potrà eliminare o scongiurare la guerra se non si distrugge il mondo della guerra, cioè quelle «forze negative, guidate da interessi perversi che mirano a fare del mondo un teatro di guerra» (Giovanni Paolo II, Angelus del 1° gennaio 2002). Alla luce di ciò, di particolare rilevanza sono le proposte che l’A. di questo saggio avanza per contrastare «le forze e gli interessi», cioè le strutture di peccato, oggi presenti più che mai sulla scena internazionale. Lo sfondo sul quale la riflessione del vescovo Toso va inserita è quello della icastica affermazione di papa Paolo VI: «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace» ( Populorum Progressio, 1967) – una afferma- zione che a distanza di oltre cinquant’anni stenta ancora a essere correttamente compresa. Perché? La ragione è che si continua a confondere lo sviluppo con la crescita economica. Anche piante ed animali crescono, ma solamente l’essere umano è capace di sviluppo. Il quale è l’esito del concorso di tre dimensioni: quella della crescita, certamente, ma pure quella socio- relazionale e quella spirituale. Ebbene, un modello di sviluppo garantisce la pace quando le tre dimensioni avanzano in armonia, senza che la dimensione della crescita fagociti le altre due – come oggi sta avvenendo.

Donde lo stato di diffusa e endemica belligeranza in questa nostra epoca: e la guerra in Ucraina ne è tragica evidenza. Platone si è servito del termine thimos (riconoscimento) per indicare che bisogno primario dell’essere umano, prima ancora del bisogno di nutrimento, è quello di essere riconosciuto e di riconoscere l’altro. Il riconoscimento postula la reciprocità. Due però le forme che il thimos può assumere: quella della megalothimia e quello della isothimia. Se quest’ultimo è il bisogno di essere riconosciuti come eguali agli altri, la prima è la volontà di essere riconosciuti come superiori agli altri. Ebbene è la megalothimia - una tendenza che negli ultimi decenni ha ripreso servizio anche in Occidente – uno dei principali fattori causali della guerra in corso. Si consideri, infatti, che l’odio è il più coesivo dei sentimenti politici, dato che, più di ogni altro sentimento, l’odio tiene assieme una moltitudine e ne fa una totalità obbediente. Cosa alimenta l’odio? La paura, il cui antidoto è la sicurezza. L’autocrate ha necessità di diffondere paura per potersi legittimare nei confronti della sua popolazione e ottenerne così sostegno. Con saggezza, oltre che con sapienza, Mons. Toso ci ricorda che il bene va perseguito su vie di bene. E ciò è possibile, a patto che la ricerca del bene torni a muovere le intenzioni profonde di ciascuno. È tale consapevolezza che apre alla speranza, la quale non è né il fatalismo di chi pensa che la guerra sia qualcosa di inevitabile, né l’atteggiamento misoneista di chi rinuncia a lottare, preferendo «osservare la realtà dal balcone» (papa Francesco). È la speranza che sprona all’azione, perché chi è capace di sperare è anche capace di agire per vincere la paralizzante apatia dell’esistente. Mi piace terminare con una storiella, di autore ignoto, che bene interpreta lo spirito con cui è stato scritto questo saggio. È la parabola del seminatore. Un giovane entrò in un negozio nel quale il venditore era un angelo. Chiese che cosa si vendesse in quel posto e la risposta dell’angelo fu che vi poteva trovare di tutto e, certamente, cose che non potevano essere comprate altrove. Allora il giovane chiese di poter acquistare la fine delle guerre, la fraternità tra tutti gli esseri umani, l’amore in famiglia e altro ancora. Scusa giovane – gli disse il venditore – qui non vendiamo frutti, ma soltanto semi!

 

 

 

LIMES 6-22  è dedicato alla guerra russo-americana.

L’editoriale di Lucio Caracciolo è intitolato “Oremus”.

Eccone i passi salienti (a giudizio del sottoscritto). Che non condivide nella maniera più assoluta la logica del suo ragionamento: collocarsi, come italiani, in piena consapevolezza nel blocco occidentale, facendo la nostra parte nella guerra globale che è in corso. (Come Italia peseremmo in particolare promuovendo EROQUAD)

La guerra in Ucraina è tra Russia e Stati Uniti. Posta in gioco l’Europa. Vittima sacrificale, il popolo ucraino. Comunque finisca, l’impero europeo dell’America non sarà quello di prima. Se sarà. Né lo sarà la Russia, Se sarà. Vale, di riflesso, per la Cina, preoccupata di non finire dentro tanto duello. Da questo conflitto nascerà un nuovo disordine mondiale. Non un ordine, perché chiunque vinca, o sopravviva, non sarà in grado di riprodurre la Pax Americana. Nemmeno l’America. (…) Il capoclassifica non potrà ostentarsi egemone globale, né forse lo vorrà. Ridurre ad unum questa Babele di otto miliardi di anime è affare di Dio, non di Cesare. (…) Oremus.

Non è terza guerra mondiale. Putin contesta, armi in pugno, il verdetto (della Guerra Fredda – ndr), ma se pure vincesse in Ucraina non potrebbe scalzare gli Stati Uniti dal trono. Ha però tutti i numeri – seimila bombe atomiche – per fare saltare il banco. Se invece prevalessero gli americani, presenterebbero il conto non tanto ai russi, impossibilitati a saldarlo, ma al resto del mondo. A cominciare dai neghittosi “alleati” euroccidentali. (…)

Nel faccia a faccia tra colossi che ridisegnerà il disordine del mondo i pesi medi o leggeri scadono automaticamente di categoria. (L’Europa e l’Italia) devono capire che stanno dentro un conflitto che cambia le nostre vite e stabilire il posto da prendere nella mischia. (…)

La partita sta sfuggendo di mano ai suoi protagonisti. (Ma sia a Washington che a Mosca c’è chi capisce che alla fine bisogna accordarsi).

Il partito della guerra da combattere fino all’ultimo ucraino onde dissanguare la Russia resta però attivo. Certamente tra baltici e polacchi, con robusto supporto britannico. Ma anche a Washington (…).

La guerra limitata fra Russia e America non può trascinarsi a lungo senza rischiare l’incidente o la provocazione capace di volgerla in apocalisse nucleare. Non siamo nei Balcani e nemmeno in Medio Oriente, dove i conflitti si autocontengono perché non decidono delle gerarchie della potenza globale. (Spostare i confini più a Est) significa sbilanciare il mondo. Forse decidere dell’esistenza o meno della Russia. (…)

Nell’ordine che distingue gli obiettivi vitali (rosso), fondamentali (blu) e molto rilevanti (giallo), ecco il catalogo per l’America.

Rosso: preservare e aggiornare il proprio impero europeo.

Per preservarlo è obbligatorio fiaccare, punire ma non distruggere la Russia. Mosca è nemico indispensabile.

Per aggiornarlo urge rivedere forma e senso della NATO. Il braccio militare del Patto Atlantico è mezzo, non fine. (…) Due suoi perni, Germania e Turchia, si svelano intermedi o almeno opportunisti nello scontro con la Russia. Berlino condivide con Parigi e a suo modo Roma il sogno della futuribile Helsinki 2, destinata a reintegrare Mosca nel concerto europeo (che non c’è). Deriva intollerabile. L’America sta perciò costruendo la sua SuperNATO dentro la NATO. O anche senza. Nuova Europa iperatlantica imperniata sulla Polonia, estesa dalla Scandinavia ai baltici, dalla Romania all’Adriatico (Trieste resta scalo strategico).(…)

Blu. Tagliare le connessioni fra Mosca e Berlino.

Obiettivo stampato a lettere di fuoco nella costituzione materiale della NATO originaria (Russians out, Germans down, conseguenza e scopo di Americans in). (..) Il riarmo unilaterale tedesco è considerato dallo Stato  profondo a stelle e strisce più antiamericano che antirusso. Contromisura a portata di mano: interrompere l’interdipendenza energetica russo-tedesca.

Giallo. Impedire che la Cina rimetta piede in Ucraina.

(..) La Repubblica popolare è (era?) primo partner commerciale dell’Ucraina, da cui trae enormi carichi di cereali (…) La guerra deve servire all’America anche per stroncare questa relazione pericolosa.

Da tali priorità discende per Washington la rassegnazione alla partizione di fatto dell’Ucraina, tale però da consentirle di sopravvivere e fungere da avanguardia anrirussa (…). Lo statuto di neutralità da concordare con Mosca (e Kiev) sarebbe più formale che sostanziale. (…) La SuperNATO non farà mancare agli ucraini le garanzie militari che si presumono sufficienti a sconsigliare Putin dall’ingaggiare ulteriori operazioni speciali marchiate Z  (…).

Segue catalogo russo. Quasi tutto rosso. Perché a differenza dell’America in questa guerra la Russia si gioca tutto.

Rosso. Chiudere la fase post sovietica, incarnata dal mostro geopolitico denominato Federazione Russa, figlio del cadavere dell’URSS. Scopo bellico è archiviare l’infausta parentesi “federale” per inaugurare la nuova fase dell’impero russo prima che questo fatiscente avanzo del disastro bolscevico collassi su se stesso.

(Putin recupera la continuità con l’impero zarista ma intende riadattarlo) alla rivoluzione geopolitica in corso, che si vuole destinata a sconvolgere il monopolio amaricano della potenza. Preludio al mondo policentrico, in cui pochi nuclei di potenza regionali s’alternano a terre di nessuno. (…)

All’insegna del Mondo Russo (RusskiJ Mir) il nuovo impero sarà dotato di tutti i crismi: (…) affiancato, non sottomesso alla Cina. (…)

Quanto all’Europa, vada al diavolo. Letteralmente. Insieme al suo padrone a stelle e strisce

(…) La guerra in corso potrebbe durare anni, forse decenni. A tappe. Impossibile programmarle in dettaglio (…). Alla fine della Grande guerra patriottica 2.0 il risorto Impero Russo tornerà a chiamarsi tale.

Blu. Senza vittoria in Ucraina salta tutto il progetto rosso. Supposto di sventare tale pericolo, cosa significa vincere in questa campagna? (..) L’obiettivo finale resta l’iniziale: Ucraina tota, o quasi.  Da conquistare per gradi, scanditi da adeguate pause. (…) La Russia sovietica battezzò l’Ucraina. La Russia putiniana l’assorbirà (…).  Mosca non ha fretta…

Giallo. Qui si tratta dell’eventuale espansione dello spazio moscovita oltre l’Ucraina. Primi candidati, i paesi baltici, dove risiedono più o meno corpose minoranze russe. (…) Mar Nero e Mar Baltico devono tornare nella sfera russa o in qualche regime di pacifico condominio (…). Conviene considerare la probabilità che il Fronte Nord si apra prima del previsto (…). L’Unione Sovietica perì in difesa. Senza combattere. Se dovesse seguirla nella tomba, la Federazione Russa lo farà all’attacco.

(…)

Forse non ce ne siamo accorti, ma nello scontro in atto noi (Italia) stiamo con Kiev, che armiamo e finanziamo in misura cospicua. Contro Mosca, che infatti ci bolla “paese ostile”. (…) Se ci sarà da colpire un bersaglio da parte russa (saremo preferiti) perché incapaci di rappresaglia.

A impedirci di rimuovere la guerra è soprattutto la retroazione delle sanzioni antirusse promosse in sede europea e occidentale, per ora più efficaci contro di noi che nei confronti di Mosca. Scontato un autunno-inverno di sofferenze economiche e conflitti sociali, con effetti imprevedibili sulla tenuta delle istituzioni. (…)

Decisiva la partita del gas. Destinata a inasprirsi se i prezzi energetici continueranno ad aggirarsi sui picchi attuali, che permettono alla Russia di finanziare la guerra pur abbattendo le forniture all’Europa. (..)

Su questo gli interessi nostri e quelli americani non coincidono. Per gli Stati Uniti la nostra crisi energetica è il conto da pagare per spezzare l’interdipendenza gasiera fra fornitore russo e marcato europeo. A Washington non lo ammetterebbero nemmeno sotto tortura, ma se per raggiungere questo traguardo toccasse passare per la sconfitta dell’Ucraina e per una pesantissima recessione in Italia, Germania e altri paesi europei, accetterebbero senza esitare. L’essenziale è che tra Russia e Europa atlantica cali impenetrabile il sipario. Roma, come Berlino, non è autorizzata a ondeggiare fra impero russo e americano (…).

Per noi (Italia) la priorità è tenere i piedi in Ucraina (…) dando un contributo alla salvezza dello Stato aggredito sul fronte militare, diplomatico ed economico. (…)

Il capitolo guerra non è per noi. Però smettere l’invio di armi e munizioni significa esclusione automatica dalle partite diplomatiche ed economiche. Quindi geopolitiche. Aiutare vuol dire contare. (…)

L’Italia è stata il primo paese a disegnare una road map per la pace, bozza in quattro punti discussa con americani, tedeschi e francesi. Inattuabile, rivedibile, comunque un punto. (…) L’Euroquad informale in allestimento con Francia, Germania e Spagna (…) è base da cui ripartire per affermare il peso dell’Italia, potenzialmente superiore a quanto noi stessi pensiamo(…).

C’è fretta. Non solo perché i russi avanzano. Lo Stato ucraino è tecnicamente fallito. La moneta locale è in caduta libera (…). L’inflazione avvicina il 20%. Le entrate fiscali tendono allo zero. Il tesoro di Kiev ha bisogno di 5 miliardi di euro al mese per evitare la bancarotta (…).

Imperativo bloccare l’emorragia e aprire la prospettiva della ricostruzione. Intrecciando diplomazia ed economia nella visione geopolitica fondata sulla persistenza di un soggetto ucraino neutrale ma ancorato all’Occidente, probabilmente amputato di almeno un quarto del suo territorio ma affacciato sul mare e connesso al cuore d’Europa. Non vera pace, tregua lunga.

E’ anche gioco di specchi. L’Italia si è battuta per conferire all’Ucraina lo status di candidato all’Unione Europea.(…) (Dobbiamo sfruttare le occasioni di business che si aprono). In filigrana si legge l’obiettivo geopolitico: incardinare l’Ucraina nello spazio europeo. Non è tempo di ponti. Se il tuo paese è tagliato dalla cortina di acciaio, puoi stare da una parte sola e sperare di convivere in freddissima tregua con l’altra. La prossima Helsinki non è per domani , ammesso sia possibile nel futuro lontano (…).

Forse non abbiamo colto che il 24 febbraio è lo spartiacque che bipartisce le nostre vite. Ci tocca l’esercizio che contavamo di poterci risparmiare: ragionare sulla guerra. Per non precipitarci dentro.

 

Conferenza di revisione del TNP 2022: informazioni sulla partecipazione della società civile

La decima conferenza di revisione del TNP si riunirà a New York dall'1 al 26 agosto 2022.

Le modalità di partecipazione della società civile sono delineate nella presente nota informativa (TNP/CONF.2020/INF/2/Rev.2).

Si prega di leggere la nota informativa per intero per tutti i dettagli: di seguito è riportato solo un riepilogo.

PARTECIPAZIONE E ACCESSO
Sulla base della prassi delle precedenti conferenze di revisione, i rappresentanti delle organizzazioni non governative saranno autorizzati, su richiesta, a partecipare di persona alle riunioni della Conferenza di revisione.

Si prevede provvisoriamente che le discussioni aperte della Conferenza di revisione saranno visibili in http://webtv.un.org/.

ACCREDITAMENTO E REGISTRAZIONE
La partecipazione alla Conferenza di revisione del TNP 2022 richiede due passaggi: accreditamento e registrazione.

Se la tua organizzazione è stata accreditata per partecipare al RevCon nel 2020 o nel 2021:

  • Se la tua organizzazione ha richiesto e ricevuto l'accreditamento nel 2020 o nel 2021 per partecipare alla Conferenza di revisione, il suo accreditamento rimane valido. Le organizzazioni precedentemente accreditate non hanno bisogno di presentare nuovamente domanda.

Se la tua organizzazione NON è stata accreditata per partecipare al RevCon nel 2020 o nel 2021:

  • Tutte le richieste di accreditamento devono essere presentate alla Segreteria entro e non oltre il 17 giugno 2022 utilizzando il modulo online disponibile presso https://forms.office.com/r/j4vz1Sj0sa.
  • Le organizzazioni non governative devono inoltre presentare a Diane Barnes (diane.barnes@un.org) una richiesta scritta di accreditamento su carta intestata ufficiale dell'organizzazione che elenca i rappresentanti che parteciperanno, compresi i loro nomi e titoli completi.
  • Ulteriori rappresentanti possono essere inclusi in una lettera di richiesta di accreditamento riveduta, che dovrebbe essere presentata entro il 18 luglio 2022. Per facilitare le comunicazioni relative all'accreditamento e alla registrazione, la lettera deve includere l'indirizzo e-mail personale e il numero di telefono diretto di un punto di contatto nell'organizzazione.
  • Le organizzazioni non governative che non hanno partecipato a una precedente conferenza di revisione o riunione del comitato preparatorio del trattato di non proliferazione delle armi nucleari dovrebbero indicare le precedenti interazioni tra l'organizzazione e le Nazioni Unite in relazione al disarmo nucleare e alle questioni di non proliferazione. Dovrebbe essere fornita una dichiarazione di missione o una sintesi del lavoro dell'organizzazione.
  • Le organizzazioni non governative che hanno richiesto l'accreditamento di cui sopra saranno informate dal Segretariato via e-mail entro il 28 giugno 2022 dell'esito della loro richiesta. Per domande relative all'accreditamento, si prega di contattare Diane Barnes (diane.barnes@un.org).

Registrazione (da completare dopo l'approvazione dell'accreditamento)

  • Le iscrizioni incomplete e le iscrizioni ricevute dopo la scadenza non saranno elaborate.
  • La registrazione online sarà disponibile dal 1° giugno al 18 luglio 2022 per i rappresentanti delle organizzazioni non governative il cui accreditamento è stato provvisoriamente approvato.
  • I partecipanti devono compilare un modulo di registrazione sul sistema Indico online all'https://indico.un.org/event/1000162/registrations/ e seguire la procedura descritta. Una volta che un partecipante è registrato nel sistema, il profilo rimarrà e dovrà essere aggiornato solo se necessario. Le registrazioni online devono includere la lettera di richiesta di accreditamento, incluso il nome del partecipante. Se i documenti richiesti non sono allegati, il sistema respingerà la domanda.
  • Una volta che le loro registrazioni sono state approvate in Indico, i rappresentanti delle organizzazioni non governative riceveranno un'e-mail di conferma.
  • A partire dal 27 luglio 2022, i pass per motivi validi per la durata della Conferenza di revisione saranno disponibili per il ritiro presso la Pass and Identification Unit al 320 East 45th Street. Si consiglia ai partecipanti di recarsi all'Unità pass e identificazione con largo anticipo per consentire un tempo sufficiente per i controlli di sicurezza.

Presentazioni della società civile

Si prevede provvisoriamente che una riunione per le presentazioni delle organizzazioni non governative si terrà venerdì 5 agosto 2022, dalle 15 alle 18. Come in passato, le organizzazioni non governative sono invitate a coordinarsi tra loro nel decidere quali rappresentanti interverranno alla Conferenza di revisione durante la sessione assegnata alle presentazioni delle organizzazioni non governative. Si prega di contattare disarm@wilpf.org per saperne di più su come vengono organizzate le presentazioni della società civile.

Eventi collaterali
La disponibilità di spazio per gli eventi collaterali durante la sessione è limitata. Eventi collaterali che possono essere ospitati all'interno della sala assegnata alle organizzazioni non governative saranno programmati anche da WILPF. Pubblicheremo informazioni sugli eventi collaterali sul nostro sito web (Calendario degli eventi per la Conferenza di revisione del 2022). Si prega di inviare un'e-mail a disarm[at]wilpf.org per prenotare la stanza per un evento collaterale. Richiederemo il nome dell'evento, gli organizzatori/ organizzatori e le tue prime tre preferenze di data e ora.

Esposizioni
Lo spazio limitato è disponibile per le mostre. Tutte le mostre presso le strutture delle Nazioni Unite richiedono la sponsorizzazione da parte di uno Stato Parte disposto ad assumersi la responsabilità per il loro posizionamento e contenuto, nonché la presentazione dei costi associati. Si prega di inviare richieste di sponsorizzazione direttamente ai punti di contatto della missione permanente pertinenti. Gli Stati membri possono contattare Gabiden Laumulin (gabiden.laumulin@un.org) quanto prima e comunque entro il 1o luglio 2022.

6 LUGLIO 2022. SI CHIUDE MALE PER GLI ECOLOGISTI LA PARTITA DELLA TASSONOMIA EUROPEA 

(Foto di Ultima Generazione)

Nucleare e gas giudicati sostenibili e finanziabili dal Parlamento europeo. Le ultime speranze riposte sui ricorsi legali di Paesi (Austria, Lussemburgo) e Associazioni. L'accettazione della premessa della guerra in Ucraina ha azzoppato l'opposizione.

Di seguito info, analisi e commenti.

In Italia per un certo periodo, a nostro parere troppo breve, il "pallino" della protesta è stato tenuto in mano dagli ecopacifisti, gli unici in grado di scendere fisicamente in piazza durante le restrizioni Covid.

Poi sono subentrati, ad occupare la ribalta, gli ambientalisti tradizionali e la "lotta esemplare" di Civitavecchia, considerata vittoriosa (ma della quale fuori dai ristretti confini laziali non risulta siano stati poi in tanti a gioire, per come ci si sarebbe aspettati).

Vi sono le solite mobilitazioni territoriali che è difficile coordinare su obiettivi più generali che non siano i no ai progetti impattanti sul singolo posto sotto attacco (a volte anche presunto).

L'ambientalismo specialistico fa fatica a focalizzare il nucleare come suo avversario, a inserirlo tra le energie fossili da contestare, preferisce privilegiare la denuncia sul gas: anzi per i Fridays italiani ed europei è stato un problema mantenerli dentro una piattaforma che rifiutava il nucleare allo stesso modo del gas. Non è una forzatura polemica, ma la triste verità su di un atteggiamento che, per opportunismo codista (si sarebbe detto un tempo), evitiamo di rimprovarare a  Greta Thunberg e ai suoi seguaci.

Per i Fridays For Future infatti mentre la lotta contro il gas è un obiettivo, il nucleare è solo un "tema di dibattito da approfondire", poiché con tutta evidenza le sirene della nuova generazione e dei microimpianti stanno avendo il loro (improvvido a nostro avviso) ascolto in questa area giovanile.

Dobbiamo continuare a glissare sulla minaccia esiziale costituita dal nucleare civile e militare, strettamente intrecciati; e che ora come minimo ci toccherà sostenere, con i nostri soldi di contribuenti italiani, il piano di rilancio nucleare di Macron e il suo giocare alla roulette russa con le nostre vite dal momento che la Francia ha deciso di prorogare di un decennio il funzionamento di vecchie centrali che dovrebbero chiudere per raggiunti limiti di età?

Ed è proprio così difficile accettare l'idea che oggi il "territorio" va considerato l'intero spazio planetario? Non siamo tutti sulla stessa barca, come ci ricordano gli slogan apposti sui frontoni delle COP per il clima?

E dobbiamo per forza accettare la narrazione che siamo parte cobelligerante (anche se nelle retrovie) contro la Russia di Putin e non invece soggetto terzo europeo che può tentare una mediazione tra le parti che si sparano contro?

Se si accetta la premessa dell'avversario è poi logico che ci si trovi in difficoltà quando si contestano alcune sue conseguenze. Se la premessa è che la nostra preoccupazione più urgente è sconfiggere Putin nella sua aggressione sull'Ucraina, allora poi non lamentiamoci se questa urgenza ci impone di arretrare sugli obiettivi ecologici che noi stessi finiamo per considerare secondari.

Il ripiegamento sulla ecologia da brandire come arma di guerra non ci sembra una buona idea. L'etichetta "verde" a nucleare e gas va rifiutata non perché non vogliamo favorire Putin ma perché siamo consapevoli che primo compito di tutti è la PACE CON LA NATURA: il nostro ambiente che si sta, per così dire, ribellando contro tutte le società umane, incapaci di rispettare i cicli che garantiscono anche il sostentamento della nostra specie.

_________________________________________________________________________________________Articolo su il Manifesto del 7 luglio 2022 di Anna Maria Merlo

La Tassonomia verde diventa grigia: «Gas e nucleare come le rinnovabili» | il manifesto

La Tassonomia verde diventa grigia: «Gas e nucleare come le rinnovabili»

EUROPA. Il voto contestatissimo del Parlamento europeo: otto i paesi contrari e Austria e Lussemburgo promettono di rivolgersi alla Corte di giustizia.  Protesta dei socialisti: «Patto faustiano» tra Francia e Germania. Greenpeace: «È un regalo a Putin»

È una «vergogna», un «risultato scandaloso», ma «la lotta continua». Verdi, sinistra e organizzazioni ecologiste criticano con forza il risultato del voto ieri al Parlamento europeo, che ha respinto con 328 voti contro 278 e 33 astensioni l’«obiezione» – che equivale a un veto – all’inserimento del gas e del nucleare nella Tassonomia delle energie rinnovabili, almeno come transizione, che era stata posta alla commissione Envi del parlamento europeo il 14 giugno scorso.

COSÌ, ROVESCIATO IL VETO, è passato il testo della Commissione presentato lo scorso gennaio che considera «durevoli» alcuni investimenti per la produzione di energia nelle centrali nucleari che non emettono Co2 costruite fino al 2030 (e che adottano un protocollo per maggiore sicurezza dal 2025 e piani per lo stoccaggio delle scorie dal 2050). Accettate anche le centrali a gas, a condizione che utilizzino le tecnologie più avanzate e che permettano la chiusura di centrali a carbone, ancora più inquinanti.

La storia però non finisce qui: Austria e Lussemburgo hanno l’intenzione di rivolgersi alla Corte di giustizia europea, una procedura giudiziaria a cui si aggregheranno le varie opposizioni. Il Consiglio europeo approva la linea della Commissione, ma c’è l’opposizione di otto paesi (non sufficiente però per una maggioranza qualificata che bloccherebbe la decisione).

La Commissione ha assicurato ieri che «resta determinata a utilizzare tutti gli strumenti disponibili per allontanare la Ue da fonti energetiche a forti emissioni di carbonio». In queste ore, l’attenzione della Commissione e degli Stati membri è tutta rivolta alla minaccia russa di chiudere il rubinetto del gas, le preoccupazioni ecologiche passano in secondo piano.

A METÀ LUGLIO, Mosca ha annunciato «riparazioni» alla pipeline Nord Stream 1, per la Germania significa un blocco che dovrebbe durare due settimane, ma potrebbe venire prolungato sine die, come «arma» di Putin.

La presidente Ursula von der Leyen ha ancora ieri ricordato che bisogna prepararsi «ad altri tagli» da parte della Russia. La Ue ha varato sei pacchetti di sanzioni, a metà agosto entra in vigore l’embargo sul carbone russo, a fine anno quello sul petrolio. Sul gas, la Ue non ha ancora deciso nulla, ma subisce i ricatti di Mosca.

Greenpeace ha ricordato ieri che inserire il gas nella tassonomia significa fare un regalo a Putin: sono almeno quattro miliardi di euro l’anno per Mosca, che servono a finanziare la guerra in Ucraina, 32 miliardi fino al 2030. Il rafforzamento del dollaro rispetto all’euro e l’aumento dei prezzi dell’energia contribuiscono anch’essi a riempire le casse russe.

SECONDO IL PRESIDENTE della commissione Envi, il francese Pascal Canfin (Renew), i «timori» degli ecologisti sulla tassonomia «non sono giustificati»: «Gas e nucleare non sono messi sullo stesso piano delle rinnovabili e sono incluse delle condizioni precise» per il loro uso.

Ma per i Verdi la tassonomia è frutto di un «patto faustiano» tra Francia e Germania: la seconda, anti-nucleare, ha scambiato l’appoggio di Parigi al gas con il sostegno al nucleare francese (e dell’est europeo). «Conservando il gas e il nucleare come sostenibili nella tassonomia – afferma il gruppo S&D – i conservatori hanno vergognosamente tradito le ambizioni della Ue sul clima».

I socialisti sperano che la finanza mondiale volti le spalle alle energie fossili. Sul voto è intervenuta anche Greta Thunberg, citando solo il caso del gas, che «ritarda la transizione realmente durevole e rafforza la dipendenza dagli idrocarburi russi».

Alla Ue è in discussione tutto un «pacchetto clima», un Green Deal presentato un anno fa dalla Commissione, che va dal sistema di scambio delle quote di emissioni di Co2, l’Ets (European Trading System) alla carbon tax alle frontiere esterne della Ue, per evitare di «importare» Co2 e le delocalizzazioni opportuniste, al bando delle auto a benzina nel 2035. C’è l’accordo per ridurre le emissioni a effetto serra (Fit for 55, meno 55% entro il 2030, neutralità carbonio nel 2050), ma più ci si avvicina alla traduzione in pratica dell’obiettivo più emergono con forza le lobby.

IN FRANCIA, la prima ministra Elisabeth Borne, nel discorso di presentazione al Parlamento sulla politica generale ha annunciato la nazionalizzazione di Edf, l’operatore storico (dove lo stato controlla già l’83,8% del capitale): la società è in difficoltà a causa dei costi crescenti del nucleare, con circa la metà dei reattori fermi per manutenzione.

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Nucleare «verde»: le associazioni preparano i ricorsi | il manifesto

Nucleare «verde»: le associazioni preparano i ricorsi

DOPO IL VOTO DEL PARLAMENTO EUROPEO. «Siamo fiduciosi che i tribunali annulleranno questo tentativo di greenwashing»

Secondo Greenpeace il voto di ieri del Parlamento europeo sulla Tassonomia verde è «oltraggioso». Non esiste parola più adeguata per descrivere la scelta di «etichettare il gas fossile e il nucleare come “verdi” e far fluire così più denaro verso le casse che finanziano la guerra di Putin in Ucraina» e per questo – annuncia l’associazione – «continueremo a opporci in tribunale». Greenpeace ha annunciato un’azione legale contro la Commissione europea: il primo step sarà la presentazione di «una richiesta formale di revisione interna» del documento adottato, ma «in caso di esito negativo, porterà la causa alla Corte di Giustizia europea». Secondo Ariadna Rodrigo, della

campagna Finanza sostenibile di Greenpeace Ue, l’azione è ispirata «dalle attiviste e dagli attivisti per il clima che questa settimana si sono riuniti a Strasburgo, e siamo fiduciosi che i tribunali annulleranno questo tentativo di greenwashing sostenuto dalla politica, si tratta di una chiara violazione delle leggi dell’Unione europea». Anche il Wwf valuta azioni legali: «Non è ancora finita. Non rinunciamo a combattere».

Dalla tassonomia, una parola il cui uso mutuato dalla botanica significa classificazione, discende un elenco che aiuta il mondo finanziario a far chiarezza su quali attività economiche siano realmente sostenibili: quella «verde» dovrebbe indirizzare i capitali privati verso investimenti per la decarbonizzazione, contribuendo agli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico. Eccolo il problema: «L’Europarlamento con il voto di oggi ha ceduto alle lobby di gas e nucleare sostenendo la proposta della Commissione di classificarli come fonti energetiche sostenibili. Un duro colpo al Green Deal Europeo e a un’ambiziosa politica climatica in linea con l’obiettivo di Parigi di «contenere il riscaldamento globale entro 1,5° C, indispensabile per fronteggiare l’emergenza climatica. Una scelta politica senza alcuna base scientifica, come invece richiede il regolamento sulla Tassonomia», spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.

«L’esito del voto dimostra in modo drammatico la miopia e la sudditanza alle lobby del fossile di una certa politica che ancora una volta antepone il mero profitto alla salute dei cittadini e alla tutela del Pianeta», affermano Eleonora Evi e Angelo Bonelli, co-portavoce nazionali di Europa Verde, insieme a Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra italiana.

A porre l’accento sui rischi per il nostro Paese del voto di ieri è Davide Panzeri, responsabile del Programma Europa del think tank ECCO: «Abbiamo perso un’occasione chiave. Una tassonomia senza gas e nucleare avrebbe accelerato l’abbattimento delle emissioni climalteranti e favorito la competitività del nostro comparto industriale, composto in buona parte da piccole e medie imprese. Il rischio ora è che i fondi privati, fondamentali per favorire la transizione verde, vengano fagocitati da grandi gruppi industriali per sostenere il piano di rilancio del nucleare di Macron e lo sviluppo dell’infrastruttura gas tedesca».

Insomma, il voto europeo potrebbe rallentare la transizione energetica in Italia. Per il nostro Paese la priorità dovrebbe essere quella di recuperare risorse finanziarie da investire in un sistema energetico decarbonizzato, «che si concentri sullo sviluppo di nuova capacità rinnovabile, sulle tecnologie abilitanti (come lo stoccaggio e le batterie, i sistemi intelligenti di gestione della domanda), sul rafforzamento delle reti elettriche e delle reti intelligenti, sulla trasformazione dell’industria italiana e sulla riconversione delle PMI, sull’efficienza energetica e la mobilità a emissioni zero. L’Italia trarrebbe grande beneficio da una tassonomia che indirizzi i capitali internazionali verso i settori strategici in cui il Paese ha realmente bisogno», spiega un’analisi pubblicata da ECCO.

Questa Tassonomia verde, poi, potrebbe fregare anche tanti cittadini-risparmiatori: molti scegliendo di investire in un pacchetto «verde» potrebbero – a loro insaputa – finanziarie lo sviluppo di gas e nucleare. Un bel regalo a quella che Re:Common definisce «finanza fossile», cioè l’insieme di banche, compagnie assicurative, fondi di investimento e fondi pensione che erogano servizi finanziari alle società dei combustibili fossili.

 

 

https://www.nato.int/strategic-concept/

NATO 2022: IL CONCETTO STRATEGICO (PASSI ESTRATTI DAL DOCUMENTO FOCALIZZATI SUL RUOLO DELLA DETERRENZA NUCLEARE).

Il Concetto strategico della NATO definisce le sfide alla sicurezza che l'Alleanza deve affrontare e delinea i compiti politici e militari che la NATO svolgerà per affrontarle.

IL CONCETTO STRATEGICO DELLA NATO
Il concetto strategico 2022 è stato adottato al vertice di Madrid del 29-30 giugno 2022.

PREMESSA

Noi, i capi di Stato e di governo degli alleati della NATO, ci siamo riuniti a Madrid in un momento critico per la nostra sicurezza e per la pace e la stabilità internazionali. Oggi sosteniamo un nuovo concetto strategico per garantire che la nostra alleanza rimanga in forze e dotata di risorse per il futuro.
(...)
Il nostro mondo è contestato e imprevedibile. La guerra di aggressione della Federazione Russa contro l'Ucraina ha sconvolto la pace e alterato gravemente il nostro ambiente di sicurezza. La sua invasione brutale e illegale, le ripetute violazioni del diritto umanitario internazionale e gli attacchi e le atrocità atroci hanno causato sofferenze e distruzioni indicibili. Un'Ucraina forte e indipendente è vitale per la stabilità dell'area euro-atlantica. Il comportamento di Mosca riflette un modello di azioni aggressive russe contro i suoi vicini e la più ampia comunità transatlantica.
(..)
Il nostro nuovo Concetto strategico riafferma che lo scopo principale della NATO è garantire la nostra difesa collettiva, basata su un approccio a 360 gradi. Definisce i tre compiti principali dell'Alleanza: deterrenza e difesa; prevenzione e gestione delle crisi; ed infine sicurezza cooperativa.
Sottolineiamo la necessità di rafforzare in modo significativo la nostra deterrenza e capacità di difesa come spina dorsale del nostro impegno dell'articolo 5 a difenderci a vicenda.
Lo scopo fondamentale della capacità nucleare della NATO è preservare la pace, prevenire la coercizione e scoraggiare l'aggressione. Finché esisteranno le armi nucleari, la NATO rimarrà un'alleanza nucleare. L'obiettivo della NATO è un mondo più sicuro per tutti; cerchiamo di creare l'ambiente di sicurezza per un mondo senza armi nucleari.
Il Concetto strategico sottolinea che garantire la nostra resilienza nazionale e collettiva è fondamentale per tutti i nostri compiti principali e sostiene i nostri sforzi per salvaguardare le nostre nazioni, società e valori condivisi. Sottolinea inoltre l'importanza trasversale di investire nell'innovazione tecnologica e di integrare il cambiamento climatico, la sicurezza umana e l'agenda Donne, pace e sicurezza in tutti i nostri compiti principali.

SCOPI E PRINCIPI
1. La NATO è determinata a salvaguardare la libertà e la sicurezza degli Alleati. Il suo scopo principale e la sua più grande responsabilità è garantire la nostra difesa collettiva, contro tutte le minacce, da tutte le direzioni possibili. Siamo un'Alleanza difensiva.
2. Il legame transatlantico tra le nostre nazioni è indispensabile per la nostra sicurezza. Siamo uniti da valori comuni: libertà individuale, diritti umani, democrazia e stato di diritto. Rimaniamo fermamente impegnati nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del Trattato del Nord Atlantico.
3. La NATO è il foro transatlantico unico, essenziale e indispensabile per consultare, coordinare e agire su tutte le questioni relative alla nostra sicurezza individuale e collettiva. Rafforzeremo la nostra Alleanza sulla base della nostra indivisibile sicurezza, solidarietà e ferreo impegno a difenderci a vicenda, come sancito dall'articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico. La nostra capacità di scoraggiare e difendere è la spina dorsale di tale impegno.
4. La NATO continuerà a svolgere tre compiti fondamentali: deterrenza e difesa; prevenzione e gestione delle crisi; e sicurezza cooperativa. Questi compiti sono complementari per garantire la difesa e la sicurezza collettiva di tutti gli Alleati.
5. Miglioreremo la nostra resilienza individuale e collettiva e il nostro vantaggio tecnologico. Questi sforzi sono fondamentali per adempiere ai compiti fondamentali dell'Alleanza. Promuoveremo il buon governo e integreremo il cambiamento climatico, la sicurezza umana e il programma Donne, pace e sicurezza in tutti i nostri compiti. Continueremo a promuovere l'uguaglianza di genere come riflesso dei nostri valori.
La nostra visione è chiara: vogliamo vivere in un mondo in cui sovranità, integrità territoriale, i diritti umani e il diritto internazionale sono rispettati e dove ogni Paese può scegliere la propria strada, libero da aggressioni, coercizioni o sovversione. Lavoriamo con tutti coloro che condividono questi obiettivi. Siamo uniti, come alleati, per difendere la nostra libertà e contribuire a un mondo più pacifico.

AMBIENTE STRATEGICO

(...)
L'erosione dell'architettura di controllo degli armamenti, per il disarmo e la non proliferazione, ha avuto un impatto negativo sulla stabilità strategica. Le violazioni da parte della Federazione Russa e l'attuazione selettiva dei suoi obblighi e impegni in materia di controllo degli armamenti hanno contribuito al deterioramento del più ampio panorama della sicurezza. Il potenziale utilizzo di materiali o armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari contro la NATO da parte di attori statali e non statali ostili rimane una minaccia per la nostra sicurezza. Iran e Corea del Nord continuano a sviluppare i loro programmi nucleari e missilistici. Siria, Corea del Nord e Federazione Russa, insieme ad attori non statali, hanno fatto ricorso all'uso di armi chimiche. La RPC sta espandendo rapidamente il suo arsenale nucleare e sta sviluppando sistemi di consegna sempre più sofisticati, senza aumentare la trasparenza o impegnarsi in buona fede nel controllo degli armamenti o nella riduzione dei rischi.

19. Il cambiamento climatico è una sfida determinante del nostro tempo, con un profondo impatto sulla sicurezza degli Alleati. È un moltiplicatore di crisi e minacce. Può esacerbare conflitti, fragilità e competizione geopolitica. L'aumento delle temperature provoca l'innalzamento del livello del mare, incendi ed eventi meteorologici più frequenti ed estremi, sconvolgendo le nostre società, minando la nostra sicurezza e minacciando la vita e i mezzi di sussistenza dei nostri cittadini. Il cambiamento climatico influisce anche sul modo in cui operano le nostre forze armate. Le nostre infrastrutture, risorse e basi sono vulnerabili ai suoi effetti. Le nostre forze devono operare in condizioni climatiche più estreme e le nostre forze armate sono chiamate più frequentemente ad assistere nei soccorsi in caso di calamità.

I COMPITI PRINCIPALI DELLA NATO

DETERRENZA E DIFESA

20. Sebbene la NATO sia un'Alleanza difensiva, nessuno dovrebbe dubitare della nostra forza e determinazione a difendere ogni centimetro del territorio alleato, preservare la sovranità e l'integrità territoriale di tutti gli alleati e prevalere contro qualsiasi aggressore. In un ambiente di concorrenza strategica, rafforzeremo la nostra consapevolezza globale e raggiungeremo per scoraggiare, difendere, contestare e negare in tutti i domini e le direzioni, in linea con il nostro approccio a 360 gradi. La posizione di deterrenza e difesa della NATO si basa su un'appropriata combinazione di capacità di difesa nucleare, convenzionale e missilistica, integrate da capacità spaziali e informatiche. È difensivo, proporzionato e pienamente in linea con i nostri impegni internazionali. Impiegheremo strumenti militari e non militari in modo proporzionato, coerente e integrato per rispondere a tutte le minacce alla nostra sicurezza nel modo, nei tempi e nell'ambito di nostra scelta.

Lo scopo fondamentale della capacità nucleare della NATO è preservare la pace, prevenire la coercizione e scoraggiare l'aggressione. Le armi nucleari sono uniche. Le circostanze in cui la NATO potrebbe dover utilizzare armi nucleari sono estremamente remote. Qualsiasi impiego di armi nucleari contro la NATO altererebbe fondamentalmente la natura di un conflitto. L'Alleanza ha le capacità e la determinazione per imporre costi a un avversario che sarebbero inaccettabili e supererebbero di gran lunga i benefici che qualsiasi avversario potrebbe sperare di ottenere impiegandole.

29. Le forze nucleari strategiche dell'Alleanza, in particolare quelle degli Stati Uniti, sono la garanzia suprema della sicurezza dell'Alleanza. Le forze nucleari strategiche indipendenti del Regno Unito e della Francia hanno un proprio ruolo deterrente e contribuiscono in modo significativo alla sicurezza generale dell'Alleanza. I centri decisionali separati di questi alleati contribuiscono alla deterrenza complicando i calcoli dei potenziali avversari. La posizione di deterrenza nucleare della NATO si basa anche sulle armi nucleari degli Stati Uniti dispiegate in Europa e sui contributi degli alleati interessati. I contributi nazionali di velivoli a doppia capacità alla missione di deterrenza nucleare della NATO rimangono centrali in questo sforzo.
30. La NATO adotterà tutte le misure necessarie per garantire la credibilità, l'efficacia, la sicurezza e la protezione della missione di deterrenza nucleare. L'Alleanza si impegna a garantire maggiore integrazione e coerenza delle capacità e delle attività in tutti i domini e lo spettro del conflitto, pur riaffermando il ruolo unico e distinto di deterrenza nucleare. La NATO continuerà a mantenere una deterrenza credibile, a rafforzarsi le sue comunicazioni strategiche, migliorare l'efficacia dei suoi esercizi e ridurre i rischi strategici.
31. Continueremo a investire nella nostra difesa contro le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. Miglioreremo le nostre politiche, piani, formazione ed esercitazioni e valuteremo le nostre capacità per garantire che questi requisiti siano integrati nel nostro atteggiamento di deterrenza e difesa.
32. La stabilità strategica, ottenuta attraverso una deterrenza e una difesa efficaci, il controllo degli armamenti e il disarmo, e un dialogo politico significativo e reciproco restano essenziali per la nostra sicurezza. Il controllo degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione contribuiscono fortemente agli obiettivi dell'Alleanza. Gli sforzi degli alleati in materia di controllo degli armamenti, disarmo e non proliferazione mirano a ridurre i rischi e migliorare la sicurezza, la trasparenza, la verifica e la conformità. Perseguiremo tutti gli elementi della riduzione strategica del rischio, inclusa la promozione del rafforzamento della fiducia e della prevedibilità attraverso il dialogo, una maggiore comprensione e l'istituzione di efficaci strumenti di prevenzione e gestione delle crisi.
Questi sforzi terranno conto dell'ambiente di sicurezza prevalente e della sicurezza di tutti gli alleati e integreranno la posizione di deterrenza e difesa dell'Alleanza. Utilizzeremo la NATO come piattaforma per discussioni approfondite e strette consultazioni sugli sforzi per il controllo degli armamenti.
33. Il Trattato di non proliferazione nucleare è il baluardo essenziale contro la diffusione delle armi nucleari e rimaniamo fermamente impegnati per la sua piena attuazione, compreso l'articolo VI. L'obiettivo della NATO è creare l'ambiente di sicurezza per un mondo senza armi nucleari, coerentemente con gli obiettivi della non proliferazione nucleare Trattato.

 

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NATO 2022 - Strategic concept

NATO 2022 STRATEGIC CONCEPT

Preface
We, the Heads of State and Government of the NATO Allies, have come together in Madrid at a critical time for our security and for international peace and stability. Today, we endorse a new Strategic Concept to ensure our Alliance remains fit and resourced for the future.
For more than seventy years, NATO has ensured the freedom and security of Allies. Our success is the result of the service and sacrifice of the women and men of our armed services. We owe them and their families a great debt of gratitude.
We remain steadfast in our resolve to protect our one billion citizens, defend our territory and safeguard our freedom and democracy. We will reinforce our unity, cohesion and solidarity, building on the enduring transatlantic bond between our nations and the strength of our shared democratic values. We reiterate our steadfast commitment to the North Atlantic Treaty and to defending each other from all threats, no matter where they stem from.
We will continue to work towards just, inclusive and lasting peace and remain a bulwark of the rules-based international order. We will retain a global perspective and work closely with our partners, other countries and international organisations, such as the European Union and the United Nations, to contribute to international peace and security.
Our world is contested and unpredictable. The Russian Federation’s war of aggression against Ukraine has shattered peace and gravely altered our security environment. Its brutal and unlawful invasion, repeated violations of international humanitarian law and heinous attacks and atrocities have caused unspeakable suffering and destruction. A strong, independent Ukraine is vital for the stability of the Euro-Atlantic area. Moscow’s behaviour reflects a pattern of Russian aggressive actions against its neighbours and the wider transatlantic community. We also face the persistent threat of terrorism, in all its forms and manifestations. Pervasive instability, rising strategic competition and advancing authoritarianism challenge the Alliance’s interests and values.
Our new Strategic Concept reaffirms that NATO’s key purpose is to ensure our collective defence, based on a 360-degree approach. It defines the Alliance’s three core tasks: deterrence and defence; crisis prevention and management; and cooperative security.
We underscore the need to significantly strengthen our deterrence and defence as the backbone of our Article 5 commitment to defend each other.
The fundamental purpose of NATO’s nuclear capability is to preserve peace, prevent coercion and deter aggression. As long as nuclear weapons exist, NATO will remain a nuclear alliance. NATO’s goal is a safer world for all; we seek to create the security environment for a world without nuclear weapons.
The Strategic Concept emphasises that ensuring our national and collective resilience is critical to all our core tasks and underpins our efforts to safeguard our nations, societies and shared values. It also emphasises the cross-cutting importance of investing in technological innovation and integrating climate change, human security and the Women, Peace, and Security agenda across all our core tasks.

Our vision is clear: we want to live in a world where sovereignty, territorial integrity,
human rights and international law are respected and where each country can choose its own path, free from aggression, coercion or subversion. We work with all who share these goals. We stand together, as Allies, to defend our freedom and contribute to a more peaceful world.

Purpose and Principles
1. NATO is determined to safeguard the freedom and security of Allies. Its key purpose and greatest responsibility is to ensure our collective defence, against all threats, from all directions. We are a defensive Alliance.
2. The transatlantic bond between our nations is indispensable to our security. We are bound together by common values: individual liberty, human rights, democracy and the rule of law. We remain firmly committed to the purposes and principles of the Charter of the United Nations and the North Atlantic Treaty.
3. NATO is the unique, essential and indispensable transatlantic forum to consult, coordinate and act on all matters related to our individual and collective security. We will strengthen our Alliance based on our indivisible security, solidarity, and ironclad commitment to defend each other, as enshrined in Article 5 of the North Atlantic Treaty. Our ability to deter and defend is the backbone of that commitment.
4. NATO will continue to fulfil three core tasks: deterrence and defence; crisis prevention and management; and cooperative security. These are complementary to ensure the collective defence and security of all Allies.
5. We will enhance our individual and collective resilience and technological edge. These efforts are critical to fulfil the Alliance’s core tasks. We will promote good governance and integrate climate change, human security and the Women, Peace, and Security agenda across all our tasks. We will continue to advance gender equality as a reflection of our values.

Strategic Environment.

The Euro-Atlantic area is not at peace. The Russian Federation has violated the norms and principles that contributed to a stable and predictable European security order. We cannot discount the possibility of an attack against Allies’ sovereignty and territorial integrity. Strategic competition, pervasive instability and recurrent shocks define our broader security environment. The threats we face are global and interconnected.
7. Authoritarian actors challenge our interests, values and democratic way of life. They are investing in sophisticated conventional, nuclear and missile capabilities, with little transparency or regard for international norms and commitments. Strategic competitors test our resilience and seek to exploit the openness, interconnectedness and digitalisation of our nations. They interfere in our democratic processes and institutions and target the security of our citizens through hybrid tactics, both directly and through proxies. They conduct malicious activities in cyberspace and space, promote disinformation campaigns, instrumentalise migration, manipulate energy supplies and employ economic coercion. These actors are also at the forefront of a deliberate effort to undermine multilateral norms and institutions and promote authoritarian models of governance.

8. The Russian Federation is the most significant and direct threat to Allies’ security
and to peace and stability in the Euro-Atlantic area. It seeks to establish spheres of
influence and direct control through coercion, subversion, aggression and annexation.
It uses conventional, cyber and hybrid means against us and our partners. Its coercive military posture, rhetoric and proven willingness to use force to pursue its political goals undermine the rules-based international order. The Russian Federation is modernising its nuclear forces and expanding its novel and disruptive dual-capable delivery systems, while employing coercive nuclear signalling. It aims to destabilise countries to our East and South. In the High North, its capability to disrupt Allied reinforcements and freedom of navigation across the North Atlantic is a strategic challenge to the Alliance. Moscow’s military build-up, including in the Baltic, Black and Mediterranean Sea regions, along with its military integration with Belarus, challenge our security and interests.
9. NATO does not seek confrontation and poses no threat to the Russian Federation.
We will continue to respond to Russian threats and hostile actions in a united and
responsible way. We will significantly strengthen deterrence and defence for all Allies, enhance our resilience against Russian coercion and support our partners to counter malign interference and aggression. In light of its hostile policies and actions, we cannot consider the Russian Federation to be our partner. However, we remain willing to keep open channels of communication with Moscow to manage and mitigate risks, prevent escalation and increase transparency. We seek stability and predictability in the Euro-Atlantic area and between NATO and the Russian Federation. Any change in our relationship depends on the Russian Federation halting its aggressive behaviour and fully complying with international law.
10. Terrorism, in all its forms and manifestations, is the most direct asymmetric threat to the security of our citizens and to international peace and prosperity. Terrorist organisations seek to attack or inspire attacks against Allies. They have expanded their networks, enhanced their capabilities and invested in new technologies to improve their reach and lethality. Non-state armed groups, including transnational terrorist networks and state supported actors, continue to exploit conflict and weak governance to recruit, mobilise and expand their foothold.

11. Conflict, fragility and instability in Africa and the Middle East directly affect our
security and the security of our partners. NATO’s southern neighbourhood,
particularly the Middle East, North Africa and Sahel regions, faces interconnected
security, demographic, economic and political challenges. These are aggravated
by the impact of climate change, fragile institutions, health emergencies and food
insecurity. This situation provides fertile ground for the proliferation of non-state
armed groups, including terrorist organisations. It also enables destabilising and
coercive interference by strategic competitors.
12. Pervasive instability results in violence against civilians, including conflict-related
sexual violence, as well as attacks against cultural property and environmental
damage. It contributes to forced displacement, fuelling human trafficking and irregular migration. These trends pose serious transnational and humanitarian challenges.
They undermine human and state security and have a disproportionate impact on
women, children and minority groups.

13. The People’s Republic of China’s (PRC) stated ambitions and coercive policies
challenge our interests, security and values. The PRC employs a broad range of
political, economic and military tools to increase its global footprint and project
power, while remaining opaque about its strategy, intentions and military build-up.
The PRC’s malicious hybrid and cyber operations and its confrontational rhetoric and disinformation target Allies and harm Alliance security. The PRC seeks to control key technological and industrial sectors, critical infrastructure, and strategic materials and supply chains. It uses its economic leverage to create strategic dependencies and enhance its influence. It strives to subvert the rules-based international order, including in the space, cyber and maritime domains. The deepening strategic partnership between the People’s Republic of China and the Russian Federation and their mutually reinforcing attempts to undercut the rules-based international order run counter to our values and interests.
14. We remain open to constructive engagement with the PRC, including to build
reciprocal transparency, with a view to safeguarding the Alliance’s security interests.
We will work together responsibly, as Allies, to address the systemic challenges posed by the PRC to Euro-Atlantic security and ensure NATO’s enduring ability to guarantee the defence and security of Allies. We will boost our shared awareness, enhance our resilience and preparedness, and protect against the PRC’s coercive tactics and efforts to divide the Alliance. We will stand up for our shared values and the rulesbased international order, including freedom of navigation.
15. Cyberspace is contested at all times. Malign actors seek to degrade our critical
infrastructure, interfere with our government services, extract intelligence, steal
intellectual property and impede our military activities.
16. Strategic competitors and potential adversaries are investing in technologies
that could restrict our access and freedom to operate in space, degrade our space
capabilities, target our civilian and military infrastructure, impair our defence and
harm our security.
17. Emerging and disruptive technologies bring both opportunities and risks. They are altering the character of conflict, acquiring greater strategic importance and becoming key arenas of global competition. Technological primacy increasingly influences success on the battlefield.
18. The erosion of the arms control, disarmament and non-proliferation architecture has negatively impacted strategic stability. The Russian Federation’s violations and selective implementation of its arms control obligations and commitments have contributed to the deterioration of the broader security landscape. The potential use of Chemical, Biological, Radiological and Nuclear materials or weapons against NATO by hostile state and non-state actors remains a threat to our security. Iran and North Korea continue to develop their nuclear and missile programmes. Syria, North Korea and the Russian Federation, along with non-state actors, have resorted to the use of chemical weapons. The PRC is rapidly expanding its nuclear arsenal and is developing increasingly sophisticated delivery systems, without increasing transparency or engaging in good faith in arms control or risk reduction.

19. Climate change is a defining challenge of our time, with a profound impact on Allied security. It is a crisis and threat multiplier. It can exacerbate conflict, fragility and geopolitical competition. Increasing temperatures cause rising sea levels, wildfires and more frequent and extreme weather events, disrupting our societies, undermining our security and threatening the lives and livelihoods of our citizens. Climate change also affects the way our armed forces operate. Our infrastructure, assets and bases are vulnerable to its effects. Our forces need to operate in more extreme climate conditions and our militaries are more frequently called upon to assist in disaster relief.

NATO’s Core Tasks

Deterrence and Defence

20. While NATO is a defensive Alliance, no one should doubt our strength and resolve to defend every inch of Allied territory, preserve the sovereignty and territorial integrity of all Allies and prevail against any aggressor. In an environment of strategic competition, we will enhance our global awareness and reach to deter, defend, contest and deny across all domains and directions, in line with our 360-degree approach. NATO’s deterrence and defence posture is based on an appropriate mix of nuclear, conventional and missile defence capabilities, complemented by space and cyber capabilities. It is defensive, proportionate and fully in line with our international commitments. We will employ military and non-military tools in a proportionate, coherent and integrated way to respond to all threats to our security in the manner, timing and in the domain of our choosing.
21. We will significantly strengthen our deterrence and defence posture to deny any
potential adversary any possible opportunities for aggression. To that end, we will
ensure a substantial and persistent presence on land, at sea, and in the air, including through strengthened integrated air and missile defence. We will deter and defend forward with robust in-place, multi-domain, combat-ready forces, enhanced command and control arrangements, prepositioned ammunition and equipment and improved capacity and infrastructure to rapidly reinforce any Ally, including at short or no notice. We will adjust the balance between in-place forces and reinforcement to strengthen deterrence and the Alliance’s ability to defend. Commensurate with the threats we face, we will ensure our deterrence and defence posture remains credible, flexible, tailored and sustainable.
22. We will continue to enhance the collective readiness, responsiveness, deployability, integration and interoperability of our forces. We will individually and collectively deliver the full range of forces, capabilities, plans, resources, assets and infrastructure needed for deterrence and defence, including for high-intensity, multi-domain warfighting against nuclear-armed peer-competitors. We will ensure a robust, resilient and integrated command structure, increase the alignment of national and NATO defence plans and strengthen and modernise the NATO force structure. We will strengthen training and exercising, adapt and streamline our decision-making processes, enhance our planning and improve the effectiveness of our crisis response system.

23. Maritime security is key to our peace and prosperity. We will strengthen our posture and situational awareness to deter and defend against all threats in the maritime domain, uphold freedom of navigation, secure maritime trade routes and protect our main lines of communications.
24. We will expedite our digital transformation, adapt the NATO Command Structure for the information age and enhance our cyber defences, networks and infrastructure.
We will promote innovation and increase our investments in emerging and disruptive technologies to retain our interoperability and military edge. We will work together to adopt and integrate new technologies, cooperate with the private sector, protect our innovation ecosystems, shape standards and commit to principles of responsible use that reflect our democratic values and human rights.
25. Maintaining secure use of and unfettered access to space and cyberspace are key to effective deterrence and defence. We will enhance our ability to operate effectively in space and cyberspace to prevent, detect, counter and respond to the full spectrum of threats, using all available tools. A single or cumulative set of malicious cyber activities; or hostile operations to, from, or within space; could reach the level of armed attack and could lead the North Atlantic Council to invoke Article 5 of the North Atlantic Treaty. We recognise the applicability of international law and will promote responsible behaviour in cyberspace and space. We will also boost the resilience of the space and cyber capabilities upon which we depend for our collective defence and security.
26. We will pursue a more robust, integrated and coherent approach to building national and Alliance-wide resilience against military and non-military threats and challenges to our security, as a national responsibility and a collective commitment rooted in Article 3 of the North Atlantic Treaty. We will work towards identifying and mitigating strategic vulnerabilities and dependencies, including with respect to our critical infrastructure, supply chains and health systems. We will enhance our energy security and invest in a stable and reliable energy supply, suppliers and sources. We will ensure civil preparedness to provide for continuity of government, the delivery of essential services to our populations and civil support to our armed forces. We will boost our capacity to prepare for, resist, respond to, and quickly recover from strategic shocks and disruptions, and ensure the continuity of the Alliance’s activities.
27. We will invest in our ability to prepare for, deter, and defend against the coercive use of political, economic, energy, information and other hybrid tactics by states and nonstate actors. Hybrid operations against Allies could reach the level of armed attack and could lead the North Atlantic Council to invoke Article 5 of the North Atlantic Treaty. We will continue to support our partners to counter hybrid challenges and seek to maximise synergies with other relevant actors, such as the European Union.

28. The fundamental purpose of NATO’s nuclear capability is to preserve peace, prevent coercion and deter aggression. Nuclear weapons are unique. The circumstances in which NATO might have to use nuclear weapons are extremely remote. Any employment of nuclear weapons against NATO would fundamentally alter the nature of a conflict. The Alliance has the capabilities and resolve to impose costs on an adversary that would be unacceptable and far outweigh the benefits that any adversary could hope to achieve.

29. The strategic nuclear forces of the Alliance, particularly those of the United States, are the supreme guarantee of the security of the Alliance. The independent strategic nuclear forces of the United Kingdom and France have a deterrent role of their own and contribute significantly to the overall security of the Alliance. These Allies’ separate centres of decision-making contribute to deterrence by complicating the calculations of potential adversaries. NATO’s nuclear deterrence posture also relies on the United States’ nuclear weapons forward-deployed in Europe and the contributions of Allies concerned. National contributions of dual capable aircraft to NATO’s nuclear deterrence mission remain central to this effort.
30. NATO will take all necessary steps to ensure the credibility, effectiveness, safety and security of the nuclear deterrent mission. The Alliance is committed to ensuring
greater integration and coherence of capabilities and activities across all domains
and the spectrum of conflict, while reaffirming the unique and distinct role of
nuclear deterrence. NATO will continue to maintain credible deterrence, strengthen
its strategic communications, enhance the effectiveness of its exercises and reduce
strategic risks.
31. We will continue to invest in our defence against chemical, biological, radiological and nuclear threats. We will enhance our policies, plans, training and exercises and assess our capabilities to ensure that these requirements are integrated into our deterrence and defence posture.
32. Strategic stability, delivered through effective deterrence and defence, arms control and disarmament, and meaningful and reciprocal political dialogue remains essential to our security. Arms control, disarmament, and non-proliferation strongly contribute to the Alliance’s objectives. Allies’ efforts on arms control, disarmament and nonproliferation aim to reduce risk and enhance security, transparency, verification, and compliance. We will pursue all elements of strategic risk reduction, including promoting confidence building and predictability through dialogue, increasing understanding, and establishing effective crisis management and prevention tools.
These efforts will take the prevailing security environment and the security of all Allies into account and complement the Alliance’s deterrence and defence posture. We will make use of NATO as a platform for in-depth discussion and close consultations on arms control efforts.
33. The Nuclear Non-Proliferation Treaty is the essential bulwark against the spread
of nuclear weapons and we remain strongly committed to its full implementation,
including Article VI. NATO’s goal is to create the security environment for a world
without nuclear weapons, consistent with the goals of the Nuclear Non-Proliferation
Treaty.

34. Countering terrorism is essential to our collective defence. NATO’s role in the fight against terrorism contributes to all three core tasks and is integral to the Alliance’s 360-degree approach to deterrence and defence. Terrorist organisations threaten the security of our populations, forces and territory. We will continue to counter, deter, defend and respond to threats and challenges posed by terrorist groups, based on a combination of prevention, protection and denial measures. We will enhance cooperation with the international community, including the United Nations and the European Union, to tackle the conditions conducive to the spread of terrorism.

Crisis Prevention and Management

35. NATO Allies have a shared interest in contributing to stability and managing conflicts together through NATO. We will continue to work to prevent and respond to crises when these have the potential to affect Allied security. We will build on the unique capabilities and expertise we have acquired in crisis management. To that end, we will invest in crisis response, preparedness and management, through regular exercises and leverage our ability to coordinate, conduct sustain and support multinational crisis response operations.
36. We will ensure the resources, capabilities, training and command and control
arrangements to deploy and sustain military and civilian crisis management,
stabilisation and counter-terrorism operations, including at strategic distance. Building on the lessons learned over the past three decades, including through our operations in Afghanistan, we will continue to improve our readiness, our military and civilian capabilities and civil-military planning and coordination. We will further develop the Alliance’s ability to support civilian crisis management and relief operations and to prepare for the effects of climate change, food insecurity and health emergencies on Allied security. This will allow us to respond to any contingency at short notice.
37. Partners make an important contribution to NATO-led crisis management. We will continue to ensure sustained political engagement and military interoperability with partners who express an interest in contributing to our missions and operations.
38. We will increase our efforts to anticipate and prevent crises and conflicts. Prevention is a sustainable way to contribute to stability and Allied security. We will enhance support for our partners, including to help build their capacity to counter terrorism and address shared security challenges. We will scale up the size and scope of our securit and capacity-building assistance to vulnerable partners in our neighbourhood and beyond, to strengthen their preparedness and resilience and boost their capabilities to counter malign interference, prevent destabilisation and counter aggression.
39. Human security, including the protection of civilians and civilian harm mitigation, is central to our approach to crisis prevention and management. We will work with other international actors to address the broader conditions fuelling crises and pervasive instability and contribute to stabilisation and reconstruction. We will reinforce our coordination and cooperation with the United Nations and the European Union, as well as with other regional organisations such as the Organisation for Security and Co-operation in Europe and the African Union.

Cooperative Security

40. NATO’s enlargement has been a historic success. It has strengthened our Alliance, ensured the security of millions of European citizens and contributed to peace and stability in the Euro-Atlantic area. We reaffirm our Open Door policy, consistent with Article 10 of the North Atlantic Treaty, as an expression of our fundamental values and our strategic interest in Euro-Atlantic peace and stability. Our door remains open to all European democracies that share the values of our Alliance, which are willing and able to assume the responsibilities and obligations of membership, and whose membership contributes to our common security. Decisions on membership are taken by NATO Allies and no third party has a say in this process.

41. The security of countries aspiring to become members of the Alliance is intertwined with our own. We strongly support their independence, sovereignty and territorial integrity. We will strengthen political dialogue and cooperation with those who aim to join the Alliance, help strengthen their resilience against malign interference, build their capabilities, and enhance our practical support to advance their EuroAtlantic aspirations. We will continue to develop our partnerships with Bosnia and Herzegovina, Georgia and Ukraine to advance our common interest in Euro-Atlantic peace, stability and security. We reaffirm the decision we took at the 2008 Bucharest Summit and all subsequent decisions with respect to Georgia and Ukraine.
42. Political dialogue and practical cooperation with partners, based on mutual respect and benefit, contribute to stability beyond our borders, enhance our security at home and support NATO’s core tasks. Partnerships are crucial to protect the global commons, enhance our resilience and uphold the rules-based international order.
43. The European Union is a unique and essential partner for NATO. NATO Allies and EU members share the same values. NATO and the EU play complementary, coherent and mutually reinforcing roles in supporting international peace and security. On the basis of our longstanding cooperation, we will enhance the NATO-EU strategic partnership, strengthen political consultations and increase cooperation on issues of common interest, such as military mobility, resilience, the impact of climate change on security, emerging and disruptive technologies, human security, the Women, Peace and Security agenda, as well as countering cyber and hybrid threats and addressing the systemic challenges posed by the PRC to Euro-Atlantic security.
For the development of the strategic partnership between NATO and the EU, nonEU Allies’ fullest involvement in EU defence efforts is essential. NATO recognises the value of a stronger and more capable European defence that contributes positively to transatlantic and global security and is complementary to, and interoperable with NATO. Initiatives to increase defence spending and develop coherent, mutually reinforcing capabilities, while avoiding unnecessary duplications, are key to our joint efforts to make the Euro-Atlantic area safer.
44. We will strengthen our ties with partners that share the Alliance’s values and interest
in upholding the rules-based international order. We will enhance dialogue and
cooperation to defend that order, uphold our values and protect the systems, standards and technologies on which they depend. We will increase outreach to countries in our broader neighbourhood and across the globe and remain open to engagement with any country or organisation, when doing so could bolster our mutual security. Our approach will remain interest-driven, flexible, focused on addressing shared threats and challenges, and able to adapt to changing geopolitical realities.

45. The Western Balkans and the Black Sea region are of strategic importance for the Alliance. We will continue to support the Euro-Atlantic aspirations of interested
countries in these regions. We will enhance efforts to bolster their capabilities to
address the distinct threats and challenges they face and boost their resilience against malign third-party interference and coercion. We will work with partners to tackle shared security threats and challenges in regions of strategic interest to the Alliance, including the Middle East and North Africa and the Sahel regions. The Indo-Pacific is important for NATO, given that developments in that region can directly affect EuroAtlantic security. We will strengthen dialogue and cooperation with new and existing partners in the Indo-Pacific to tackle cross-regional challenges and shared security interests.
46. NATO should become the leading international organisation when it comes to
understanding and adapting to the impact of climate change on security. The Alliance will lead efforts to assess the impact of climate change on defence and security and address those challenges. We will contribute to combatting climate change by reducing greenhouse gas emissions, improving energy efficiency, investing in the transition to clean energy sources and leveraging green technologies, while ensuring military effectiveness and a credible deterrence and defence posture.

Ensuring the Alliance’s Continued Success
47. Investing in NATO is the best way to ensure the enduring bond between European and North American Allies, while contributing to global peace and stability. We will continue to reinforce our political unity and solidarity and to broaden and deepen our consultations to address all matters that affect our security. We commit to reinforce consultations when the security and stability of an Ally is threatened or when our fundamental values and principles are at risk.
48. We will share equitably responsibilities and risks for our defence and security. We will provide all the necessary resources, infrastructure, capabilities and forces to deliver fully on our core tasks and implement our decisions. We will ensure our nations meet the commitments under the Defence Investment Pledge, in its entirety, to provide the full range of required capabilities. We will build on the progress made to ensure that increased national defence expenditures and NATO common funding will be commensurate with the challenges of a more contested security order.
49. NATO is indispensable to Euro-Atlantic security. It guarantees our peace, freedom and prosperity. As Allies, we will continue to stand together to defend our security, values, and democratic way of life.