Vai al contenuto

Il 7 novembre 1985, Reagan e Gorbaciov a Ginevra, enunciarono il concetto di “Guerra Nucleare Non Intenzionale”, ossia l’inizio di attacchi con armi atomiche causati da un errore tecnico o umano.

Nel film War Game, del 1983, viene narrata la vicenda immaginaria di una guerra nucleare tentata per errore da un computer che sfugge al controllo dell'uomo e bloccata all'ultimo momento. Quella storia non e' disgraziatamente fantascienza, ha avuto nella realtà numerose anticipazioni, e tante repliche, tanto che i capi di stato hanno dovuto probabilmente fare i conti più con l'eventualità di una guerra nucleare per errore che di una guerra nucleare per scelta volontaria.

Su questo argomento della guerra nucleare per errore dal sito Sputnik (www.sputnikneus.com) abbiamo selezionato 3 recenti articoli e, da essi, segnaliamo in particolare l’attivita’ dell’ International Luxembourg Forum on Preventing Nuclear Catastrophe, un’organizzazione non governativa internazionale che riunisce esperti di fama mondiale.

L'ultimo articolo, l'intervista a Daryl Kimball, direttore della Arms Control Association, ci suggerisce una proposta. 

Se fosse riconosciuto da tutti gli Stati nucleari il principio, proposto nel 1985 dal presidente sovietico Mikhail Gorbachev e dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, secondo cui" una guerra nucleare non può essere vinta e non può essere iniziata", ne deriverebbe come prima conseguenza immediata il rientro dallo stato di allerta delle testate nucleari attualmente predisposte a una situazione pericolosissima tipo quella della pistola spianata con le pallottole in canna senza sicura.

Gli esperti hanno valutato le possibili cause dello scoppio della guerra nucleare
5 dicembre 2019
Al giorno d'oggi, una guerra nucleare rischia d'iniziare non per causa delle azioni consapevoli di un esercito, ma piuttosto a causa di un errore di qualcun altro o di sistemi informatici, ha affermato Vyacheslav Kantor, presidente del Forum lussemburghese per la prevenzione di una catastrofe nucleare.
Secondo lui, il degrado del sistema di stabilità strategica va a pari passo con l’aumento di crisi e guerre in tutto il pianeta, che minacciano l’esplosione di una escalation incontrollata.
"Il pericolo non risiede nell'uso deliberato di armi nucleari, ma nel fatto che la guerra potrebbe scoppiare a causa di errori umani, errori di sistema, incomprensioni o calcoli errati. I rischi aumentano a causa delle nuove tecnologie informatiche", ha affermato Kantor a Ginevra durante una riunione del consiglio di sorveglianza del Forum di Lussemburgo.
Secondo lui, le minacce informatiche ora riguardano direttamente l'infrastruttura statale degli stati nucleari (la Russia ha ripetutamente parlato dell’incremento di attacchi informatici dall'estero). Lo stesso fattore può "teoricamente contribuire all'uso non autorizzato delle armi nucleari", ha osservato l'esperto.
L'ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, William Perry, ha dichiarato che, mentre lavorava al Pentagono ha affrontato due volte situazioni che avrebbero potuto portare a una vera e propria apocalisse nucleare. La prima è la crisi dei Caraibi, quando Perry stava preparando rapporti analitici per il presidente John F. Kennedy sull'intelligence in arrivo.
"Ogni giorno, quando andavo al centro analitico, pensavo che sarebbe stato il mio ultimo giorno sulla terra... Quella esperienza ha dimostrato che esiste un reale pericolo dell’inizio di una guerra nucleare a causa di un errore di calcolo politico", ha ammesso Perry.
Il secondo evento è stato il malfunzionamento del sistema americano di allarme missilistico NORAD nel 1979, quando Perry era sottosegretario alla Difesa.
"Alle tre di notte, l'ufficiale di turno mi svegliò... Mi disse che il suo computer mostrava 200 ICBM in volo dall'Unione Sovietica agli Stati Uniti. Spiegò rapidamente che, a suo avviso, il computer era andato in tilt e che mi aveva chiamato per aiutarlo a risolverlo", ha ricordato Perry.
Questa esperienza, ha detto, "ha mostrato che esiste un reale pericolo d'iniziare accidentalmente una guerra nucleare e a causa di un errore tecnico".
Per ridurre al minimo questi rischi, ha osservato Kantor, è necessario rafforzare la fiducia, non smantellare i trattati strategici di stabilità e, se ciò non funzionasse, cercare di preservare almeno alcuni strumenti dagli accordi affondati nell'oblio.
"Ad esempio, in caso di un rinnovo del trattato START-3 nel 2021, raccomandarsi che gli Stati Uniti e la Russia mantengano una serie di disposizioni sulla trasparenza su questo trattato. Avvisare le parti in merito all'avvio d'ICBM e vettori di veicoli spaziali, esercitazioni strategiche e altri tipi di azioni in questo ambito. Non una serie di misure per nascondere le armi strategiche dai sistemi di ricognizione spaziale nazionale", ha affermato Kantor.
Il Forum di prevenzione delle catastrofi nucleari del Lussemburgo è una delle principali organizzazioni non governative internazionali che studiano la sicurezza nucleare. Unisce esperti autorevoli provenienti da Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi, tra cui ex ministri.
A un passo dalla catastrofe nucleare: gli errori che costerebbero la vita dell’uomo
20 novembre 2019
“Decine di missili balistici sovietici furono lanciati dalle piattaforme di lancio e si diressero verso obiettivi siti sul territorio statunitense”: 40 anni fa, il 9 novembre 1979, questo comunicato giunse alla stazione del Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America (NORAD) sito in un bunker sul monte Cheyenne.
I missili balistici intercontinentali Minuteman ricevettero l’ordine di preparazione al lancio. Il mondo trattenne il fiato di fronte alla possibilità di una guerra nucleare, ma il tutto si rivelò un falso allarme. Sputnik vi elenca oggi i casi più eclatanti di malfunzionamento dei sistemi di allerta di attacchi missilistici.
“Scherzetto” lunare
Il 5 ottobre 1960 il NORAD ricevette un segnale da una stazione sita in Groenlandia impegnata nella rilevazione su lungo raggio di eventuali attacchi missilistici sovietici contro gli USA. La base statunitense più a nord segnalò un attacco missilistico. Il comunicato arrivò in pochi minuti, ma gli ufficiali preposti, una volta elaborati i dati, capirono subito che qualcosa non andava. Infatti, quello stesso giorno si trovava a New York Nikita Khuschev in visita all’Assemblea generale dell’ONU.
Si acclarò piuttosto rapidamente che l’errore era stato dato dal sistema automatico statunitense. Il malfunzionamento del sistema di allerta era stato provocato da un segnale radio riflesso dalla Luna. Il “contrattacco” in questo caso non venne inferto solamente per miracolo. Questo è il primo caso di malfunzionamento del sistema di allerta nella storia della corsa al nucleare.
Errore di un operatore
 Il 24 novembre 1961 la stazione principale del Comando strategico USA perse contemporaneamente il collegamento sia con il NORAD sia con le stazioni di allerta precoce. Dal punto di vista dei militari questo poteva significare solamente una cosa: le altre stazioni erano state rase al suolo dalle testate nucleari sovietiche.
L’equipaggio in servizio sui bombardieri strategici ricevette l’ordine di decollare. Uno di questi velivoli si diresse verso la base aeronautica di Thule e il pilota riuscì a vedere quelle stazioni delle quali in caso di attacco nucleare non sarebbe rimasto altro che polvere. Anche gli altri equipaggi riferirono informazioni analoghe.
In quel momento al decollo era pronta l’intera flotta dei B-52 strategici. Tuttavia, poco dopo fu acclarato che la ragione dell’accaduto era dovuta a un errore commesso da un operatore della centrale AT&T (American Telephone and Telegraph), ossia la società delle telecomunicazioni transnazionali con sede a Dallas, Texas. Una delle trasmittenti aveva semplicemente smesso di funzionare.
Nel pieno della Crisi dei missili di Cuba
Mentre la visita del leader sovietico negli USA del 5 ottobre 1960 contribuì a raffreddare le teste calde degli americani, il mese di ottobre del 1962 aveva tutte le carte in regola per diventare il mese più tragico della storia dell’umanità. Al culmine della Crisi dei missili di Cuba 4 basi missilistiche segrete site a Okinawa ricevettero l’ordine di lanciare missili termonucleari da crociera Mark 28 verso l’URSS. L’ordine fu trasmesso via radio e tutte le informazioni sembrava combaciassero. Tuttavia, il capitano William Basset, scoprendo una lettera con le coordinate, scoprì che 3 dei 4 presunti obiettivi non si trovavano in realtà in URSS.
Il capitano contattò il centro di comando e, mentendo sul fatto di aver ricevuto un preciso ordine, richiese una conferma delle coordinate. Contemporaneamente diede ordine a due soldati di sparare all’ufficiale in servizio se avesse provato a lanciare i missili. Alla fine Bassett e i suoi colleghi delle altre basi ricevettero ordine di non aprire il fuoco. Questo caso fu reso noto poco tempo fa, nel 2015, ovvero 4 anni dopo la morte di Bassett.
Allerta notturna
Il 3 giugno 1980 alle 02:26 fuso orario EST presso la stazione principale del Comando strategico dell’Aeronautica militare statunitense giunse l’allerta relativa al lancio di 2 missili balistici a partire da sommergibili diretti verso gli USA. Dopo poco furono rilevate decine di altri missili. Gli equipaggi dell’aeronautica strategica si prepararono al decollo, ma il centro di controllo del NORAD non vedeva nulla. Agli equipaggi dei B-52 fu ordinato di rimanere nelle cabine fino a ulteriori istruzioni.
Fu appurato che i computer avevano sbagliato ancora. Il generale James Hartinger a capo del NORD ammise la presenza di un errore nel sistema di allerta, dunque fu ordinato di spegnere i motori dei bombardieri. Tutto questo accadde nell’arco di pochi minuti. E casi analoghi in cui i computer misero a repentaglio l’esistenza stessa dell’umanità si contano a decine.
40 minuti per prendere una decisione
Il 26 settembre 1983 il sottocolonnello delle Forze missilistiche strategiche russe, Stanislav Petrov, era in servizio presso il Centro di controllo principale del sistema di allerta missilistico sito nella cittadina militare Serpukhov-15 nei pressi di Mosca. Alle ore 00:15 il sistema intercettò il lancio di missili balistici intercontinentali Minuteman dagli USA. Rimaneva meno di un’ora per prendere una decisione su un eventuale contrattacco.
Sulla grande mappa elettronica degli USA presso il Centro di controllo fu evidenziato il punto di tiro, ossia una delle basi militari sita sulla costa occidentale. Petrov diede tempestivamente il segnale di allerta. Tuttavia, sugli schermi dei sistemi di monitoraggio video che avrebbero già dovuto rendere le immagini dei missili tutto era invece in regola. Il sistema satellitare Oko, però, dopo qualche istante comunicò l’effettuazione di un secondo, un terzo e un quarto lancio di missili Minuteman a partire da quello stesso punto. Nuovamente, tuttavia, gli operatori ai dispositivi di monitoraggio non erano in grado di confermare tale informazione.
Il sottocolonnello Petrov allora si assunse la responsabilità e comunicò ai suoi superiori il malfunzionamento del sistema di allerta. Per ragioni di segretezza questi eventi furono resi noti solamente 10 anni dopo.
Fu appurato che il satellite sovietico fu ingannato dal Sole. Infatti, il presunto punto di tiro dei missili si trovava nella cosiddetta zona crepuscolare, ossia la linea fittizia che delimita la zona diurna della Terra da quella notturna. Proprio in corrispondenza di questa linea di demarcazione tra luce e tenebre i raggi del sole, riflessi dalle nuvole, accecarono i sensori del satellite Oka.
10 novembre 2019
I rischi di una guerra nucleare per un falso allarme secondo esperto americano
Esiste ancora la possibilità di un falso allarme relativamente ad un attacco missilistico: questa situazione minaccia una catastrofe globale, quindi i presidenti di Stati Uniti e Russia devono agire immediatamente, ritiene Daryl Kimball, direttore della Arms Control Association.
Esattamente quarant'anni fa il sistema di allarme missilistico del comando di difesa aerospaziale del Nord America (NORAD) entrò in funzione accidentalmente, provocando quasi un attacco missilistico di ritorsione contro l'Unione Sovietica.
"L'incidente del 9 novembre 1979 è stata una delle decine di situazioni pericolose con le armi nucleari durante la guerra fredda. Sebbene il periodo che portò gli Stati Uniti e la Russia a costruire enormi arsenali nucleari sia terminato decenni fa, restano le armi nucleari e le strategie che potrebbero portare al lancio di centinaia di testate nucleari per falsi allarmi", ha dichiarato Kimball a Sputnik.
Ha ricordato che oggi Russia e Stati Uniti dispongono di 1.400 testate nucleari strategiche, centinaia di missili marittimi e terrestri e bombardieri strategici.
"Ciascuna parte ha centinaia di testate che possono essere lanciate nel giro di pochi minuti dopo che il presidente ha dato l'ordine. E ciascuna parte consente l'utilizzo di armi nucleari prima che venga confermata l'avvenuta esplosione nucleare sul proprio territorio", ha detto l'esperto.
Secondo Kimball, queste concezioni pericolose sul "lancio in risposta all'aggressione" fanno sì che sia concreto il rischio di un conflitto con attacchi nucleari a seguito di un falso avvertimento. La situazione è complicata dal fatto che Washington e Mosca lasciano a se stessi la possibilità di essere i primi a usare le armi nucleari durante una crisi o un conflitto non nucleare.
"Entrambi gli Stati hanno centinaia di cosiddette bombe nucleari tattiche con un potere esplosivo relativamente piccolo da usare sul campo di battaglia. Entrambe le parti conducono regolarmente esercitazioni militari per affrontare una guerra nucleare. Ma l'uso di armi potenti, anche per la cosiddetta azione limitata, tiene aperta la possibilità di un disastro globale", ha detto Kimball.
Non appena viene utilizzata una singola testata nucleare, non vi è alcuna garanzia che una guerra nucleare su vasta scala venga evitata, ha affermato. Secondo l'interlocutore dell'agenzia, i ricercatori dell'Università di Princeton hanno elaborato una nuova simulazione dello scenario in cui una delle parti ricorrerà all'impiego "tattico" di armi nucleari e l'altra reagirà analogamente.
"In base alle attuali concezioni militari possono concretizzarsi attacchi nucleari a ripetizione contro obiettivi militari e civili, che segnerebbero 1.700 esplosioni. In cinque ore, circa 100 milioni di persone rimarranno uccise o ferite", Kimball riporta i risultati dell'analisi.
A suo avviso, i presidenti degli Stati Uniti e della Russia dovrebbero prendere immediatamente provvedimenti sostanziali per ridurre questi rischi.
"Inizialmente dovrebbero esortare tutti gli Stati con armi nucleari a riconoscere il principio proposto nel 1985 dal presidente sovietico Mikhail Gorbachev e dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, secondo cui" una guerra nucleare non può essere vinta e non può essere iniziata", ha evidenziato l'esperto.
"Allo stesso tempo i Paesi con armi nucleari dovrebbero delineare una politica che precluda di usare per primi le armi nucleari e di impiegarle senza la conferma dell'uso di ordigni nucleari sul proprio territorio".
Un altro passo necessario, a suo avviso, dovrebbe essere il rapido raggiungimento di accordi tra i presidenti degli Stati Uniti e della Russia sull'estensione del Trattato strategico sulle armi offensive (START-3) per cinque anni, come previsto nel documento.
"Siamo fortunati che falsi allarmi durante la guerra fredda non abbiano portato ad una guerra nucleare. Potrebbe non esserci tanta fortuna in futuro, quindi i nostri leader devono agire ora", ha aggiunto Kimball.

Thousands gathered in Trafalgar Square on Tuesday night to protest as NATO leaders assembled in London to celebrate the 70th anniversary of the nuclear-armed military alliance. Placards and banners opposing NATO’s nuclear weapons were in evidence, alongside those opposing President Trump’s nuclear arms race.

No to Trump - No to NATO

Donald Trump was present for the summit and this brought many campaigners out on the streets to join us. There was a large contingent of NHS workers and supporters, concerned about what a Trump-Johnson trade deal could mean for the future of public health care in Britain. Other protestors included those campaigning in support of Palestinian rights, for Kurdistan and against Trump’s racism and far-right agenda.

Despite the reported arguments amongst NATO leaders and the claim that the future of the military bloc is threatened, we know that the reality on the ground is increased military spending and expansion and intervention into new areas like Latin America and Africa.

Activists from across Europe and the United States addressed the Trafalgar Square rally, making clear that if we are to rid the world of nuclear weapons and bring an end to permanent war, we must dismantle the apparatus of war. That has to mean disbanding NATO and developing a foreign policy that upholds common security based on peace, justice and respect for all nations.

Public opinion

The good news is that opposition to NATO is growing. In 2017, polls showed that 27% were ambivalent or opposed to the bloc. By 2019, that number has risen to 41%. Those who strongly support NATO has fallen from 42% to 25%.

But there is much more work to be done. One of the frustrating aspects of the NATO summit was the complete absence of discussion and debate about the bloc in the media. It is still assumed by many - including by the main political parties - that NATO is a good thing.

Our movement must therefore continue to make clear the relationship between nuclear weapons, war, the growing instability in the world, and NATO. To this end, together with our partners from the European peace movement, we held a well-attended ‘counter-summit’ in London last Saturday, to discuss and plan the kind of alternative foreign and security policies we would like to see.

Making a stand for peace

After Tuesday's rally, protesters marched to Buckingham Palace where leaders were gathering for a reception with the Queen. Unfortunately, we were prevented by the police from travelling down the agreed route along The Mall for almost an hour. But better late than never. We eventually marched toward the palace and then made our demands for peace and disarmament very clear when we arrived. None of the leaders can have been in any doubt about the opposition to NATO, war and nuclear weapons that exist in our society.


Our mailing address is:

Campaign for Nuclear Disarmament

162 Holloway Road

London, London N7 8DQ

United Kingdom

Report di Alfonso Navarra da Londra (www.disarmistiesigenti.org) - 5 dicembre 2019
Il vertice del 70ennale della NATO, quello preceduto dalla sparata di Macron sulla “morte cerebrale” dell’Alleanza, si e’ concluso ieri (4 dicembre 2019), ribadendo che il militarismo transnazionale non chiude affatto i battenti, ma va avanti, incluse le strategie di condivisione nucleare, oggi sicuramente più per inerzia che per convinzione.
L’articolo 5, cuore del Trattato, viene riaffermato nel comunicato finale emerso da Londra: “Riconfermiamo il duraturo legame fra Europa e America del Nord e il nostro solenne impegno contenuto nell’articolo 5 del trattato di Washington che un attacco contro uno degli alleati debba essere considerato un attacco contro tutti noi”.
Ma cominciano a rafforzarsi i dubbi sulla effettiva volontà americana di volerlo rispettare, in termini stringenti come ai tempi in cui il problema centrale era il confronto globale tra i due "sistemi": la presunta libertà occidentale contro il presunto egualitarismo sovietico.
Sulla deterrenza nucleare il Summit decide "l’ulteriore rafforzamento della nostra capacità di difenderci con un appropriato mix di capacità nucleari, convenzionali e anti-missilistiche, che continueremo ad adattare: finché esisteranno armi nucleari, la Nato resterà una alleanza nucleare". E ricordiamo che per la NATO gli arsenali nucleari restano sempre "la suprema garanzia di sicurezza".
Chi scrive ritiene che il presidente francese abbia colpito nel segno quando coglie la crescente divaricazione odierna tra gli interessi strategici ed economici degli USA e quelli dell’Europa: ma la soluzione non può essere quella, prospettata con molta retorica da Parigi, di creare un pilastro militare europeo autonomo nell’Alleanza.
A latere del vertice imperversa infatti la guerra dei dazi, con le ritorsioni USA alle tasse sulle grandi aziende digitali decise in particolare dalla Francia.
Questo contrasto USA-Europa diventerà sempre piu’ profondo a partire dalle esigenze economiche degli stessi complessi militari industriali energetici: e questo potra’ essere il motore della disgregazione di un “blocco” occidentale che non esiste più in seguito alla fine, l’altro ieri, della Guerra Fredda, e, ieri, dell’unipolarismo americano subentrato dopo il crollo del comunismo sovietico.
Ed in seguito anche al cedimento del collante ideologico che compattava l'alleanza, quella idea, appunto, di "Occidente liberale e democratico" ora messa in crisi dall'affermarsi del sovranismo nazionalista persino nella superpotenza leader dell'ex blocco.
I "reali interessi" su cui si fondano i rapporti tra gli alleati non sono quelli di un complesso militare industriale unico, che esiste solo nella testa degli economicisti vecchio stampo, i quali non colgono la complessità strutturale nonché pluridimensionale delle logiche della potenza.
I gruppi multinazionali rivaleggiano per accaparrarsi il controllo dei mercati e delle materie prime, ma hanno sempre una base statuale nazionale dietro le spalle, e gli interessi delle varie potenze, grandi e medie, possono convergere ma mai coincidere del tutto, anche se la tendenza e' quella al compromesso conflittuale finche' e' possibile.
Di qui la centralità, nella tendenza alla convergenza nel contesto delle divergenze, della questione del burden sharing, vale a dire di come dividersi il carico delle spese per la sicurezza comune: l’obiettivo del 2% del PIL nelle spese militari che gli americani, ed in particolare Trump, pretendono. E su cui hanno ottenuto impegni ulteriori dei Paesi europei per ben 400 miliardi di dollari entro il 2024 (vedi sotto dichiarazioni di Stoltenberg). Gli Alleati si impegnano non solo a portare la loro spesa militare almeno al 2% del PIL (solo 8 paesi su 29 sono in regola), ma a destinare almeno il 20% di questa all’acquisto di armamenti. Obiettivo già raggiunto da 16 paesi su 29, tra i quali l’Italia. In tale quadro si inserisce il riconoscimento dello spazio quale quinto campo operativo, cioe'  si annuncia un costosissimo programma militare spaziale della Alleanza, che si aggiunge come sbocco affaristico per i complessi militari industriali (notare il plurale - ndr).
Nel comunicato finale della NATO per la prima volta si cita la “sfida” della poderosa ed opaca ascesa cinese, già seconda potenza militare al mondo, in via di ulteriore espansione. Ma ancora, in questa crescita, soprattutto dal lato economico, si riconosce una “opportunità” per tutti. Ricordiamo che, assieme alle accuse sulle violazioni russe, la modernizzazione nucleare cinese è stata presa a pretesto dagli USA per la disdetta degli accordi INF sulle armi nucleari intermedie, gli euromissili smantellati anche grazie alle lotte di Comiso, Greenham Common, Florennes, Woensdrect e Mutlangen (la Rete internazionale del Cruisewatching).
L’Italia sulla questione cinese e’ sul banco degli imputati perché è stato il primo paese occidentale ad aderire alla Via della Seta, lo strumento di penetrazione economico-politica di Pechino. Ne’ intende rinunciare alla tecnologia cinese sul 5G di Huawei, che Washington considera una minaccia alla sicurezza.
Conte ha avuto, a latere, un incontro a due con Trump e a questo proposito ha dichiarato: “Non è che l’Italia può sfilarsi da una tecnologia. l’Italia applica tutte le misure di protezione e tutti i controlli per assicurare la riservatezza dei dati”.
Conte con Trump ha anche parlato della Libia perché ha bisogno dell’appoggio USA al traballante governo ONU amico dell’ENI, mentre Berlino, Parigi e Londra si sono riuniti a parte per affidare l’ex colonia italiana alla primaria influenza turca.
Un risultato concreto del vertice riguarda appunto il veto che Erdogan ha lasciato cadere al piano per rafforzare le difese NATO nei Paesi Baltici contro la minaccia russa. La Turchia lo aveva ventilato se gli alleati non le avessero manifestato maggior sostegno nella campagna militare contro i curdi in Siria: ma alla fine ha ceduto senza vere contropartite.
Per quanto riguarda i rapporti con la Russia, nel comunicato finale la NATO parla di “azioni aggressive” di Mosca che costituiscono una minaccia per la sicurezza. Quindi ancora sanzioni per la Crimea e l’Ucraina.
Nella conferenza stampa finale (che Trump ha disertato come ripicca per il video in cui viene preso in giro da Macron, Trudeau e Johnson), il segretario Stoltenberg ha detto che comunque la NATO e’ aperta al dialogo per migliorare le relazioni con Mosca. Opinioni del sottoscritto: la guerra non è ghiacciata ma freddina, e comunque un certo ruolo di Putin in Medio Oriente non è del tutto mal visto da una parte dell'Amministrazione USA, nel momento in cui si sta operando un disimpegno strategico dall'area, anche in considerazione del fatto che la superpotenza americana è ormai diventata energicamente autosufficiente.
Da parte di chi lotta per il disarmo, la pace, il futuro dell'umanità, le difficoltà e le contraddizioni interne all'Alleanza non possono che essere accolte con piacere. Ma noi non dovremmo chiederne ancora con più forza lo scioglimento  attaccandoci alla sua "obsolescenza", cosi' come non ci battiamo per il disarmo nucleare in quanto giudichiamo "obsolete" le armi atomiche. Noi vogliamo sciogliere la NATO perché la riteniamo in contrasto con lo spirito della Carta dell'ONU, nata per evitare ai popoli il flagello della guerra e la corsa agli armamenti che ad essa inevitabilmente conduce ...
La NATO istituzionalmente nel suo Statuto si propone il rafforzamento delle capacità militari dei Paesi membri: e noi, nonviolenti con il sale in zucca e non cerebro lesi, nell'ordine fondato sulla forza del diritto e non sul diritto della forza, dobbiamo andare verso una società' internazionale disarmata e in pace con la Natura, combattendo una macchina militare che spende molto di più di tutto il resto del mondo messo insieme.
Qui di seguito, dal sito ufficiale della NATO, ecco le dichiarazioni del segretario generale Stoltenberg, che annunciano trionfalmente gli aumenti delle spese militari (vai su: nato.int) :
NATO leaders took a number of important decisions to increase the readiness of Allied forces, declared space as the fifth operational domain and committed to ensuring the security of telecommunications infrastructure, including 5G. Allies also agreed on a new action plan to step up efforts in the fight against terrorism and recognised unprecedented progress on fairer burden-sharing. “This is the fifth year of rising defence investment. In fact, European Allies and Canada have added 130 billion US dollars. And by the end of 2024, that figure will rise to 400 billion US dollars”, said the Secretary General.
During the meeting, Allied leaders had a substantive discussion about Russia, and the future of arms control. The Secretary General underlined that “for the first time, we addressed the rise of China - both the challenges and opportunities it poses and the implications for our security”. He added: “we must find ways to encourage China to participate in arms control arrangements”.
Allies also agreed to initiate a reflection process under the leadership of  Secretary General Jens Stoltenberg to further strengthen the political dimension of NATO.
The Secretary General stressed that “as the world changes, NATO will continue to change”, adding that NATO leaders have agreed to meet again in 2021.

La nonviolenza è cervello, non solo cuore.
Una spedizione a Londra, alla manifestazione anti-NATO del 3 dicembre, per porre le basi di XR PACE in Italia

di Alfonso Navarra - portavoce dei Disarmisti esigenti
(www.disarmistiesigenti.org)

Un summit a Londra oggi festeggia, si fa per dire, i 70 anni della NATO, una organizzazione che sente tutti gli anni di cui è carica: mai come in questo periodo deve affrontare un momento di grandi contrasti interni.
Quale è la situazione dell’Alleanza Atlantica oggi, dopo la fine - e da un bel pezzo - della Guerra Fredda USA-URSS per la quale era nata per l’appunto nel 1949?
Macron aveva dichiarato qualche giorno fa all’Economist addirittura che l’Alleanza e’ “in stato di morte cerebrale”, prendendo lo spunto da come USA e Turchia divergono su Siria e questione Curda, con Erdogan che va a comprare batterie missilistiche difensive dalla Russia di Putin, secondo gli americani incompatibili con il mantenimento della riservatezza per altre tecnologie militari.
Il mondo, dopo il crollo del comunismo sovietico, è diventato, dopo un periodo di unilateralismo americano, multipolare, con una competizione globale a dominanza economica che, da un lato, comprende la Cina come grande sfidante degli Stati Uniti, e dall’altro lato, si alimenta con l’incancrenimento di altri teatri di crisi, come ancora in Est Europa, in Asia e soprattutto nel Medioriente ultra-instabile.
La NATO, residuo allora di un mondo che non esiste piu’, si presenta oggi come l’unico patto militare esistente dagli scopi e dalle funzioni non bene chiariti, ma nonostante questo capace di aspirare una spesa stratosferica: annualmente siamo a 963 miliardi di dollari, a fronte dei 61 della Russia e dei 250 della Cina!
Risorse che, ad esempio, potrebbero essere investite nella vera e concreta emergenza climatica, incombente su tutta l’umanita’: nelle previsioni più ottimistiche, tanto per citare una conseguenza molto temuta in Italia per il pugno di sbarchi dalla Libia contro cui sbraita Salvini, portera’ in pochi decenni alle migrazioni forzate di almeno due miliardi di persone.
L’ambasciatore Sergio Romano, nei suoi editoriali sul Corriere della Sera, continua a ripetere la fatidica domanda: a che serve la NATO oggi?
Nel frattempo che a Londra i capi di Stato e di governo si riuniscono per trovare la risposta, l’organizzazione atlantica va e andrà avanti per inerzia, senza convinzione: l’unico interesse che si può individuare è quello da parte degli Stati Uniti, per giunta rimesso in discussione dal suo presidente, di garantirsi una storica posizione egemonica sull’Europa.
Ma ora proprio dall’America vengono fatte le pulci sulla redistribuzione delle spese per il mantenimento del “servizio sicurezza”: Trump sostiene che gli USA se ne accollano troppo e che gli europei fanno i portoghesi! Ma non dimentichiamo che il progetto degli F35, i cacciabombardieri più costosi nella storia dell’areonautica, gli Stati Uniti sono riusciti a svilupparlo solo grazie all’impegno economico degli alleati.
Una decisione cruciale che dovrebbe venire fuori da Londra e’ quindi l’aumento delle spese militari per i Paesi europei di ben 400 miliardi di dollari complessivi entro il 2025. Scusate se stiamo parlando di noccioline!
Ieri Trump ha incontrato la Regina Elisabetta e, in contemporanea, sotto Buckingam Palace si e’ concentrata la protesta di varie organizzazioni pacifiste e di XR PEACE, un migliaio di manifestanti giunti in corteo da Trafalgar Square, che era il luogo di raduno iniziale.
Nella piazza sono stati organizzati dei blocchi stradali alla maniera dello swarming (lo sciame di insetti) che hanno creato qualche problema al traffico della città.
E veniamo adesso al ruolo del sottoscritto.
Dall’Italia per le manifestazioni di Londra, in verità, come dovrebbe essersi già capito, un flop politico, siamo venuti in due, chi scrive, appunto, disponibile a farsi arrestare (ma - per quanto mi riguarda per fortuna, visto che sono attempato e molto malconcio in salute - non ce n’e’ stato alcun bisogno) e il giovane Valerio Ferrandi, molto attivo nei centri sociali milanesi.
Perche’ non sono gran che soddisfatto del tipo di mobilitazione che si e’ messa in campo da parte del pacifismo inglese?
Quello che, ad esempio, mi sento subito di osservare e’ l’insipienza tattica della decisione di protestare ieri contro Trump e non oggi contro il vertice in se’, per il quale non sono previste oggi iniziative.
Ci si riduce come movimento a fare una scontata parte di comparsa in commedia sul copione organizzato dal circo mediatico: come Trump saluta la regina, come veste la moglie Melania, quanto storto li guarda Elisabetta…
Mentre, manifestando oggi, a mio parere, si sarebbe potuti giocare un ruolo da protagonisti mettendo il dito sulla piaga delle difficolta’ interne all’Alleanza: celebrare, che so, cogliendo la palla al balzo delle dichiarazioni di Macron, noi il suo funerale simbolico (credo sia proprio probabile che ci troviamo all’inizio della fine dell’Alleanza perché gli interessi strategici tra USA ed Europa vanno sempre piu’ divaricandosi), mettersi la maschera dei 28 leader con la parte superiore della testa tagliata, regalare al summit le corone funebri, ed idee del genere…
Dovrebbe essere logico che la critica diventa credibile quando si appunta su problemi grossi ed evidenti che ha il bersaglio della medesima.
Pensando ad un dibattito che si sta accendendo in giro, quando si parla di non violenza penso si debba pensare alla seguente definizione: la forza dell’unione popolare guidata da una intelligenza strategica collettiva. E’ quella che - se non ricordo male - do nel libro di cui è coautrice Laura Tussi, intitolato “Antifascismo e nonviolenza” (Mimesis edizioni).
E’ il cervello, non la forza muscolare quello che ha permesso alla scimmia uomo di prevalere su felini poderosi e numerosi come le tigri con i denti a sciabola.
Ed è sulla intelligenza che noi umani dobbiamo contare per prevalere sulle elite in trasbordo verso il trans e post-umano, a pregiudicare la fondamentale uguaglianza che caratterizza la nostra specie.
Se non si usa il cervello ma si fa affidamento solo sul cuore che spinge le gambe ci si agita ma non si raggiunge nessuna meta… questa è una delle considerazioni che mi sorge spontanea nel vivo di questa spedizione londinese che per me e’ ancora in corso e terminera’ con il ritorno a Milano domani sera.
Vengo ora allo scopo centrale del mio viaggio.
Gli incontri politici con le organizzazioni che hanno costituito XR PEACE in UK ci sono stati (e ci saranno) e sono andati molto bene, in particolare quello con la WILPF UK nel loro ufficio, con la segretaria Paula Shaw.
Molti contatti e scambi si sono avuti in piazza, a Trafalgar Square.
Domani sara’ la volta del CND, con Sara Medi Jones, anche esso nel suo ufficio.
Per concludere, volendo, sul loro modello di XR PEACE possiamo proporre in Italia una XR PACE, che potrebbe anche fare da antidoto al possibilismo nuclearista che si sta diffondendo tra i giovani: le ambiguità di Greta e di Roger Hallam rischiano di aprire la strada alla strumentalizzazione, da parte della lobby nucleare, del nuovo ’68 ecologista che sta riempiendo le piazze di tutto il mondo, comprese quelle italiane.

Risultato immagini per No to Trump – No to NATO"

XR si mobilita a livello europeo per la COP 25 a Madrid (dal 2 al 13 dicembre 2019).
Sappiamo che si tratta del summit globale dell’ONU sul clima (ed è importante, tra l’altro, che il nucleare, cacciato dalla porta dagli accordi di Parigi, non rientri dalla finestra, con la scusa che emette poca CO2 mentre forse ci ha già spacciato con l’inquinamento radioattivo che ha diffuso il suo ciclo).
Ma c’è anche una chiamata a Londra, da parte di uno specifico gruppo di affinità, XR PEACE, il 3 (in particolare) e il 4 dicembre, per il summit del 70ennale della NATO, contro il quale il mondo ecopacifista si mobilita.

Ecco come la mobilitazione viene presentata sul sito del CND inglese (vai su: https://cnduk.org/nato-summit/)

On the 3rd and 4th of December the North Atlantic Treaty Organisation (NATO) will mark its 70th anniversary with a Heads of State Summit in London. With US President Donald Trump, Prime Minister Boris Johnson and Turkish President Recep Tayyip Erdoğan set to attend this gathering of the world’s largest nuclear-armed military alliance, it’s vital that the peace and anti-war movements mobilise.

NATO is an aggressive and expansionist nuclear-armed military alliance which plays a dangerous global role – it’s still in Afghanistan 18 years on and is expanding further into Eastern Europe, the Middle East and Latin America.

Kate Hudson, CND general secretary, said:

“The NATO summit will be a crucial opportunity for our movement to oppose Trump’s nuclear warmongering and highlight the dangerous role NATO, as a nuclear alliance, plays in raising international tensions.”

CND is working with British and international partners to co-ordinate protests in London.

Se c’è qualcuno degli attivisti italiani di XR che vuole partecipare alle manifestazioni di Londra, indette da un ampio fronte pacifista, ed è disposto a correre rischi per azioni dirette nonviolente, meglio se collegandosi al nostro forum antinucleare, scriva innanzitutto a:
xrpeace@gn.apc.org
e metta in cc il sottoscritto, Alfonso Navarra, (parto per la capitale inglese avendo già comunicato la mia disponibilità a farmi arrestare): alfiononuke@gmail.com

Questa esperienza contro il nucleare NATO a Londra potrebbe essere un primo passo per costituire in Italia una XR PACE analoga alla XR PEACE inglese.

Cosa è XR PEACE?

XR Peace è una coalizione di organizzazioni per la pace e la giustizia che fa capo a Extinction Rebellion.

È stato stimato che circa il 6% dell’impronta di carbonio globale deriva da attività militari. [1] Il militarismo e la guerra sono indissolubilmente legati all’imperialismo, al razzismo e alla distruzione degli habitat. XR Peace propone di rendere espliciti i legami tra militarismo e emergenza climatica. Evidenzieremo anche le opportunità che si presentano trasferendo risorse, abilità e potere delle persone dai militari per affrontare la crisi climatica. Abbiamo bisogno di un cambiamento sistemico se vogliamo sopravvivere noi e il nostro ecosistema.

Attireremo persone che lavorano in questo campo, comprese quelle associate a gruppi antinucleari, di pace e di giustizia, persone credenti e non, e attivisti della Ribellione all’estinzione. Alcune di queste organizzazioni faranno parte formalmente di XR Peace e i membri di altre potranno partecipare come individui.

fonti:

[1] L’impronta ecologica dei militari. Dott. Stuart Parkinson. SGR. Questa cifra è una stima informata basata su dati disponibili limitati. https://www.sgr.org.uk/sites/default/files/2019-07/SGR_Military-carbon-bootprint_London19.pdf

Le organizzazioni che hanno aderito finora a XR Peace: Trident Ploughshares, CND, Scottish CND, CND Cymru, Stop the War, Women’s International League for Peace and Freedom, War Resisters International, Nukewatch, Edinburgh Peace & Justice Centre, Iona Community, Nipponzan Myohoji UK Peace Pagodas, Forces Watch e XR Against Arms Trade.

Contatti
Scrivici a xrpeace@gn.apc.org
La posta ordinaria (via Trident Plowshares) è c / o Edinburgh Peace & Justice Centre, Central Edinburgh Methodist Church, 25 Nicolson Sq, Edinburgh EH8 9BX.

Per seguire la pagina Facebook: https://www.facebook.com/groups/394177674567092/

Gli attuali coorganizzatori di XR Peace sono Angie Zelter e Jane Tallents.

LA NUOVA “ANORMALITÀ”  

di Alessandro Pascolini* (tratto dal sito della rivista telematica “Odissea” diretta da Angelo Gaggione - https://libertariam.blogspot.com/2019/02/la-nuova-anormalita-di.html)

A 2 minuti dall’ora del giudizio

A ricordarci quanto sia delicato e incerto l’equilibrio che permette la sopravvivenza dell’umanità in presenza delle armi nucleari e di nuove destabilizzanti tecnologie e nella fase dei cambiamenti climatici che condizionano le condizioni di vita sul nostro pianeta, il Doomsday Clock (“l’orologio del giudizio universale”) della Federation of atomic scientists ogni anno segna quanto tempo rimane prima della mezzanotte antecedente al giorno del giudizio.

Questi scienziati, che già dal 1945 si sono posti l’obiettivo di combattere lo sviluppo delle armi nucleari, diffondono le loro analisi e proposte nel Bulletin of the atomic scientists, il cui Science and security board indica annualmente con il suo orologio la vulnerabilità del mondo alla catastrofe.

La prima indicazione, siamo nel 1947, fu di mezzanotte meno sette minuti: si sta accendendo la guerra fredda ed è fallito il tentativo del controllo internazionale dell’energia nucleare nell’ambito dell’apposita commissione creata dall’ONU. Nel 1949, con l’acquisizione delle armi nucleari da parte dell’URSS, la situazione si aggrava e le lancette vengono portate a 3 minuti da mezzanotte. Un ulteriore aggravamento (e siamo a meno due minuti) si ha nel 1953 con lo sviluppo delle armi termonucleari. Nel corso degli anni, a fronte dell’evoluzione del confronto nucleare fra le superpotenze e la proliferazione ad altri paesi, l’orologio si è allontanato e avvicinato alla mezzanotte; il momento più sicuro si è avuto nel 1991 alla fine della guerra fredda (17 minuti da mezzanotte) per poi via via aggravarsi negli anni successivi di fronte all’incapacità del mondo politico internazionale di superare il confronto nucleare e di affrontare le problematiche legate al cambiamento climatico globale, fino a ritornare lo scorso anno a meno due minuti.

 

 

Lo scorso 24 gennaio, il gruppo internazionale di 20 esperti incaricato di muovere le lancette dell’orologio ha annunciato ai leader e ai cittadini del mondo(https://thebulletin.org/doomsday-clock/current-time/) di dover mantenere la distanza dalla catastrofe globale a due soli minuti, come nel 2018 e 1953: la peggior situazione di sempre.

“L’umanità si trova ad affrontare due minacce esistenziali simultanee, ciascuna delle quali estremamente preoccupante e necessaria di immediata attenzione: le armi nucleari e il cambiamento climatico. Queste minacce sono state esacerbate nello scorso anno dall’impiego crescente della guerra dell’informazione per minare la democrazia in tutto il mondo, amplificando i rischi di tali minacce e ponendo il futuro della civilizzazione in estremo pericolo.”

Sia per gli armamenti nucleari che per i rischi climatici nel corso del 2018 abbiamo osservato un duplice sviluppo negativo: da una parte l’aggravamento oggettivo della situazione e dall’altra l’indebolimento degli strumenti faticosamente predisposti precedentemente per il loro controllo.

Quest’anno il board attira l’attenzione su nuovo fattore destabilizzante che aggrava i rischi globali: “la corruzione intenzionale dell’ecosistema informativo da cui dipende la civilizzazione contemporanea. In molti fora, in particolare neisocial media, leader nazionalistici e loro surrogati mentono senza alcuna vergogna, insistendo che le loro menzogne siano la verità e la verità ‘fake news’. Questi tentativi intenzionali di distorcere la realtà esasperano le divisioni sociali, minano la fede nella scienza e diminuiscono la fiducia nelle elezioni e nelle istituzioni democratiche. Perché queste distorsioni attaccano l’approccio razionale necessario per risolvere i complessi problemi che sfidano l'umanità, questa guerra cibernetica dell’informazione mina la civiltà in generale.”

“Non c'è nulla di normale nella complessa e spaventosa realtà appena descritta” e pertanto gli estensori decidono di caratterizzare la corrente situazione mondiale come “nuova anormalità”, che si sta consolidando nel tempo. Infatti l’indicazione di meno due minuti, “sebbene invariata dal 2018, dovrebbe essere presa non come segno di stabilità ma come un forte avvertimento ai leader e cittadini di tutto il mondo. Lo stato corrente è tanto preoccupante quanto i più pericolosi tempi della Guerra Fredda, uno stato che presenta un paesaggio imprevedibile e mutevole di dispute litigiose che moltiplicano le possibilità che scoppino dei gravi conflitti militari. Questa nuova anormalità è semplicemente troppo volatile e pericolosa da poter venire accettata come uno stato permanente del mondo.”

Per quanto possa sembrare duro il presente, nulla è senza speranza o predestinato per il futuro. “Il bollettino crede fermamente che gli esseri umani possano gestire i pericoli posti dalla tecnologia che essi stessi hanno creato. Ma le minacce devono essere riconosciute prima che possano essere affrontate in modo efficace. La situazione attuale, in cui le intersecate minacce nucleari, climatiche e della guerra dell’informazione sono tutte insufficientemente riconosciute e affrontate, se non del tutto ignorate o negate, è insostenibile. Più a lungo i leader e i cittadini mondiali abitano incautamente questo nuova e anormale realtà, più è probabile che il mondo debba sperimentare una catastrofe di proporzioni storiche.”

 

Le preoccupanti tendenze nucleari.

L’ordine nucleare globale si sta deteriorando da molti anni e il 2018 non ha fatto eccezione a questa tendenza. Le relazioni tra gli Stati Uniti e sia la Russia che la Cina sono ulteriormente peggiorate. L’architettura del controllo degli armamenti nucleari costruita in oltre mezzo secolo continua a decadere, mentre sono moribondi i negoziati per riduzioni delle armi nucleari e delle scorte di materiale fissile. Gli stati dotati di armi nucleari rimangono attaccati ai loro arsenali, sono determinati a modernizzarne le capacità e sviluppano dottrine che prevedono l’impiego nucleare. “Leader sfacciati, violente dispute diplomatiche e instabilità regionali si combinano a creare un contesto internazionale in cui i pericoli nucleari sono fin troppo reali”. La convinzione che la minaccia della guerra nucleare sia stata sconfitta era ed è un miraggio. Il board individua cinque sviluppi negativi che hanno “colorato” la storia nucleare nel 2018.

  1. Gli Stati Uniti hanno abbandonato il Piano d’azione globale congiunto (JCPOA), che ha imposto restrizioni e verifiche senza precedenti al programma nucleare iraniano, uno dei maggiori successi di non proliferazione nucleare degli ultimi anni. Inoltre gli USA hanno lanciato una campagna di “massima pressione” contro l’Iran, aumentando la probabilità di un nuovo conflitto in Medio Oriente.
  2. A ottobre l’amministrazione Trump ha annunciato il ritiro dal trattato INF, che vieta i missili di gittata intermedia. Sebbene tormentato da accuse reciproche sul suo rispetto, l’accordo INF, in vigore per più di 30 anni, ha contribuito alla stabilità in Europa. La sua potenziale estinzione prefigura una nuova competizione per armi a lungo vietate.
  3. La lunga e urgente questione nucleare della Corea del Nord rimane irrisolta. Alcuni buone notizie sono emerse nel 2018. La retorica bellicosa del 2017, che aveva sollevato timori di guerra, è in gran parte svanita. Il vertice tra il presidente Trump e il presidente Kim a Singapore nel giugno 2018 è stato un passo avanti diplomatico, ma non si è fatto un singolo passo concreto sostanziale e duraturo per limitare o rallentare il programma nucleare della Corea del Nord, che continua la modernizzazione delle sue capacità nucleari.
  4. Mentre si riducono le forme di controllo, la modernizzazione delle forze nucleari continua a ritmo sostenuto in tutto il mondo. Questi programmi prevedono la conservazione nei decenni a venire di sostanziali capacità nucleari, con nessun segnale di interesse a ridurre o limitare forze nucleari.
  5. Appare crescere la dipendenza dalle armi nucleari e le dottrine militari stanno aumentando l’attenzione sull’utilizzo effettivo armi nucleari. Le speranze dell’irrilevanza delle armi nucleari nella politica internazionale vengono spazzate via.

“I preoccupanti sviluppi del 2018 sono ulteriori indicazioni che l’ordine nucleare si sta deteriorando e che i rischi nucleari stanno aumentando. Un’urgente azione è necessaria per invertire le tendenze che stanno spingendo il mondo lungo un pericoloso percorso nucleare.”

 

 

I pericolosi sviluppi dei cambiamenti climatici.

Il documento osserva che la minaccia esistenziale del riscaldamento globale causato dall’uomo è inquietante e sta peggiorando. Ogni anno che le attività umane continuano ad aggiungere anidride carbonica nell’atmosfera aumenta irreversibilmente il livello futuro di sofferenza umana e di distruzione dell’ecosistema a seguito dalle variazioni climatiche globali.

“La misura chiave di miglioramento sul fronte climatico è il grado di progresso nel portare a zero le emissioni globali di anidride carbonica. Su questa misura, i paesi del mondo hanno fallito in modo sconfortante.” I tassi globali di emissioni di anidride carbonica sono aumentati esponenzialmente fino al 2012 e hanno cessato la crescita dal 2013 al 2016, a valori tali tuttavia da non fermare l’aumento del riscaldamento. A tal fine, le emissioni nette devono essere portate a zero, data la persistenza dell’anidride carbonica nell’atmosfera per migliaia di anni.

I dati del 2017 e dal 2018 vedono le emissioni mondiali in preoccupante salita. Anche le nazioni che hanno fortemente sostenuto la necessità di de-carbonizzare non stanno facendo abbastanza. Le stime preliminari mostrano che quasi tutti i paesi, compresi gli Stati Uniti e alcuni membri dell’Unione Europea, hanno contribuito all’aumento delle emissioni.

“Gli Stati Uniti hanno più risorse delle nazioni più povere e la loro incapacità di ridurre decisamente le emissioni costituisce un atto di grave negligenza. Gli USA rimasero da soli mentre gli altri paesi del G20 hanno firmato una dichiarazione congiunta che riafferma il loro impegno ad affrontare il cambiamento climatico.”

A fronte del fallimento della riduzione delle emissioni di anidride carbonica, cresce l’evidenza scientifica della severità dell’impatto del riscaldamento terrestre sull’economia, la salute, l’agricoltura e gli ecosistemi naturali, inclusi fenomeni catastrofici, quali i massicci incendi in California, Grecia, Svezia e le mortali ondate di calore in Asia, Australia, Europa e Nord America.

Un gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici ha dimostrato che anche un modesto aumento del riscaldamento globale - fra 1,5 e 2 gradi Celsius - porterà gravi conseguenze. Eppure anche se il mondo fosse sulla buona strada per rispettare gli impegni previsti dagli accordi sul clima di Parigi (ma chiaramente non lo è), non sarebbe sufficiente per fermare il riscaldamento a 2 gradi. Ma anche di fronte al peggioramento delle manifestazioni di un clima sempre più disgregato, i negazionisti continuano a ostacolare ogni azione.

“C'è ancora tempo per salvare il mondo dagli effetti veramente catastrofici dei cambiamenti climatici. Perché tale salvataggio possa diventare realtà, tuttavia, occorre che il progresso verso la de-carbonizzazione acceleri drammaticamente, e molto presto.”

 

 

Le minacce della guerra dell’informazione e di altre tecnologie dirompenti.

“La guerra nucleare e il cambiamento climatico minacciano l’infrastruttura fisica che fornisce il cibo, l’energia, e le altre necessità per la vita umana. Ma per crescere, prosperare e avanzare, le persone hanno anche bisogno di informazioni affidabili e reali sul mondo, e in abbondanza.”

Secondo il board, oggi il caos regna in gran parte dell’ecosistema dell’informazione da cui dipende la civiltà moderna. In molti fora per il discorso sociale e politico, si vedono leader nazionali che tacciano di notizie false le informazioni che non piacciono loro. Questi stessi leader mentono spudoratamente, definendo le loro bugie verità; agendo oltre i confini nazionali, questi leader e i loro surrogati esacerbano le divisioni esistenti, creano rabbia e aumentano la sfiducia nelle istituzioni pubbliche e private.

Negazionisti generano paure e sollevano dubbi su posizioni scientifiche ben provate sui cambiamenti climatici e altre urgenti tematiche. Istituzioni consolidate, giornalismo ed educazione, che hanno garantito tradizionalmente stabilità, sono ora sotto attacco precisamente perché garanzie di stabilità. “In questo ambiente, la comunicazione esaspera le passioni piuttosto che informare la ragione.”

Propaganda e menzogne sono sempre state uno strumento nei conflitti fra stati, ma nell’era di Internet il volume e la velocità dell’informazione sono cresciuti per ordini di grandezza tanto da costituire un salto qualitativo nella guerra dell’informazione. Questo accesso diffuso ed economico a un’udienza mondiale ha permesso a professionisti di questa guerra di trasmettere a basso costo messaggi falsi e manipolatori a vaste popolazioni, e allo stesso tempo di adattare messaggi politici a ristretti gruppi di interesse. Manipolando la predisposizione cognitiva naturale degli esseri umani, i guerrieri informativi possono esacerbare pregiudizi, preconcetti e differenze ideologiche. Possono invocare “fatti alternativi” a sostegno di posizioni politiche basate su vere e proprie menzogne, erodendo la fiducia e la coesione su cui si basano le società civili.

“L’illuminismo ha cercato di stabilire la ragione come il pilastro fondamentale del discorso civilizzato. In questa concezione contano gli argomenti logici e la verità di una affermazione è basata sull’esame di valori, ipotesi e fatti, non da quanta gente ci crede. La guerra dell’informazione minaccia di sostituire questi pilastri di logica e verità con fantasticherie e rabbia. Se non combattuta, tale distorsione minerà la capacità di riconoscere e affrontare le minacce urgenti poste dalle armi nucleari e dal cambiamento climatico e aumenterà il rischio della fine della civiltà come la conosciamo.” Da ciò la necessità di un impegno urgente per la comunità internazionale per scoraggiare la guerra dell’informazione e sostenere le istituzioni impegnate a garantire la razionalità e fattualità nel discorso e prassi politici.

 

Il mondo affronta altre gravi minacce dovute a tecnologie distruttive: sono particolarmente preoccupanti gli sviluppi della biologia sintetica, dell’intelligenza artificiale e del sabotaggio informatico. La velocità del cambiamento in questi e altri fronti tecnologici è estremamente alta e lo sforzo internazionale per gestire questi rapidi progressi è stato finora grossolanamente insufficiente.

Un evento particolarmente grave del 2018 è stato la manipolazione del genoma umano in Cina, una sfortunata dimostrazione della debolezza dei vincoli istituzionali sull’ingegneria genetica e altre ricerche biotecnologiche. L'avvento di esseri umani “modificati” costituirebbe un vero evento storico con significative conseguenze potenzialmente imprevedibili, grandi, e pericolose. La comunità internazionale ha un comune interesse a rimandare la sperimentazione nella manipolazione del genoma umano fino a quando tale ricerca non potrà ricevere il massimo livello di controllo scientifico ed etico.

Allo stesso tempo, continuano a minacciare la sicurezza mondiale altri pericoli biologici, che vanno da attacchi terroristici biologici all’emergenza di malattie mortali e in rapida diffusione. Il controllo della biologia sintetica e di altre minacce biologiche deve diventare una priorità mondiale.

I progressi nel campo dell’intelligenza artificiale (AI) stanno progredendo a un ritmo rapido e in gran parte non gestito. Il board è particolarmente preoccupato per l’incorporazione di AI in armi autonome che prendano la decisione di uccidere senza supervisione umana. Poiché l’intelligenza artificiale avrà effetti sempre maggiori in campo militare, economico e sociale nei prossimi decenni, la comunità internazionale deve sviluppare un sistema cooperativo che massimizzi il potenziale positivo dei progressi in AI minimizzando potenziali aspetti negativi.

Oltre la guerra dell’informazione, il sabotaggio delle reti di calcolo costituisce una minaccia multiforme alla sicurezza globale. Il sofisticato sabotaggio dell’ “Internet delle cose” - reti di computer che controllano le principali infrastrutture finanziarie ed energetiche e hanno accesso a più di 20 miliardi di dispositivi personali - potrebbe avere impatti così gravi da ispirare risposte militari, potenzialmente coinvolgenti armi nucleari.

 

 

Verso un mondo più sicuro e più sostenibile.

La presente situazione di “nuova anormalità” per i suoi aspetti estremamente pericolosi è assolutamente inaccettabile e non è sostenibile. “Esistono i mezzi per gestire le tecnologie pericolose e ridurre i rischi su scala globale; anzi, molti di loro sono ben noti e alla portata della società, se i leader prestassero la giusta attenzione a preservare le prospettive a lungo termine dell'umanità e se i cittadini imponessero loro di farlo.”

Il board passa quindi a suggerire alcune azioni di buon senso che renderebbero il mondo più sicuro:

  • Gli Stati Uniti e la Corea del Nord dovrebbero procedere con decisione nei difficili negoziati necessari per raggiungere un accordo concreto per il processo di denuclearizzazione coreano a beneficio di tutto il mondo.
  • I leader statunitensi e russi dovrebbero tornare al tavolo dei negoziati per risolvere le divergenze sul trattato INF; per estendere oltre al 2021 i limiti agli arsenali nucleari posti dal New START e cercare ulteriori riduzioni nelle armi nucleari; discutere di un abbassamento dello stato di allerta degli arsenali nucleari di entrambi i paesi; limitare i programmi di modernizzazione nucleare che minacciano di creare una nuova corsa agli armamenti nucleari; e iniziare colloqui per l’eliminazione delle armi per il campo di battaglia.
  • Gli Stati Uniti e la Russia dovrebbero discutere e adottare misure per prevenire incidenti militari in tempo di pace lungo i confini della NATO ed evitare esercitazioni provocatorie.
  • I cittadini statunitensi e di tutto il mondo dovrebbero chiedere al proprio governo il riconoscimento del problema climatico e azioni conseguenti. L’amministrazione Trump dovrebbe rivedere la grave decisione del ritiro dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
  • Gli obiettivi dell’accordo di Parigi - mantenere il riscaldamento al di sotto di 2 gradi Celsius e, idealmente, sotto 1,5 gradi - sono coerenti con le risultanze scientifiche e sostanzialmente realizzabili ed economicamente fattibili, se si dà ai paesi poveri il supporto di cui hanno bisogno. Ma i paesi devono agire prontamente e raddoppiare i loro sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra ben oltre i loro attuali inadeguati impegni.
  • L’amministrazione Trump dovrebbe rivedere la sua deplorevole decisione di uscire dallo JCPOA per la limitazione programma nucleare iraniano. L’accordo con l’Iran non è perfetto, ma serve l’interesse del comunità internazionale a frenare la diffusione di armi nucleari.
  • La comunità internazionale dovrebbe iniziare discussioni multilaterali volte a stabilire norme di comportamento, sia domestiche che internazionali, che scoraggino e penalizzino l’uso improprio della tecnologia dell’informazione a minare la fiducia del pubblico nelle istituzioni politiche, nei media, nella scienza e nell’esistenza della stessa realtà oggettiva. La guerra dell’informazione nel contesto cibernetico è una minaccia per il bene comune. Campagne di disinformazione e manipolazione sono gravi minacce alla stessa democrazia e riducono la capacità di affrontare le armi nucleari, il cambiamento climatico e altri pericoli esistenziali.

 

Il documento conclude osservando che “lo stato di nuova anormalità in cui si trova attualmente il mondo è insostenibile ed estremamente pericoloso. La situazione della sicurezza mondiale può essere migliorata, se i leader cercano il cambiamento e i cittadini lo impongono. Siamo a due minuti da mezzanotte, ma non vi è alcun motivo per cui il Doomsday Clock non possa allontanarsi dalla catastrofe. Lo ha fatto in passato, perché leader saggi hanno agito sotto la pressione di cittadini informati e impegnati.

Oggi i cittadini di ogni paese possono usare il potere di Internet per combattere la disinformazione dei social media e migliorare le prospettive a lungo termine dei loro figli e nipoti. Possono insistere sui fatti e combattere le assurdità. Possono pretendere azioni per la minaccia esistenziale della guerra nucleare e del cambiamento climatico incontrollato.

Data l'inerzia dei loro leader fino ad oggi, i cittadini del mondo dovrebbero fare una richiesta forte e chiara: #RewindTheDoomsdayClock.”

[*Università di Padova]

 

 

dal "Manifesto" quotidiano edizione del 29 novembre 2018 -

https://ilmanifesto.it/militari-di-tutto-il-mondo-in-guerra-col-clima/

Conflitti per il petrolio e più petrolio per nutrire la macchina della guerra, un cortocircuito letale che uccide e provoca il cambiamento climatico

di Marinella Correggia

C'è chi la chiama carbon bootprint: impronta climatica degli scarponi militari. E' l'impatto climalterante di energivori sistemi d'arma, basi e apparati, aerei, navi, carri armati, eserciti; e soprattutto degli interventi bellici veri e propri. Un cappio al collo del pianeta e un vero circolo vizioso, come sintetizzava l'appello «Stop the Wars, stop the warming» lanciato dal movimento globale World Beyond War alla vigilia della Conferenza sul clima di Parigi (2015): «L'uso esorbitante di petrolio da parte del settore militare statunitense serve a condurre guerre per il petrolio e per il controllo delle risorse, guerre che rilasciano gas climalteranti e provocano il riscaldamento globale. È tempo di spezzare questo circolo: farla finita con le guerre per i combustibili fossili, e con l'uso dei combustibili fossili per fare le guerre».

L'IMPATTO DELLE ATTIVITA' MILITARI (non solo statunitensi, ovviamente) sul clima è negletto perfino dai movimenti, lamenta Ben Cramer, autore del libro Guerre et paix...et écologie. Sarà così anche alla COP 24 (Conferenza Onu sul clima) che si apre fra pochi giorni in Polonia? Eppure, il rapporto Demilitarization for Deep Decarbonization dell'International Peace Bureau (Ipb) spiega: «Ridurre il complesso militar-industriale e ripudiare la guerra è una condizione necessaria per salvare il clima, destinando le risorse risparmiate all'economia post-estrattiva e alla creazione di comunità resilienti».

Le spese militari mondiali (gli Usa fanno la parte della tigre) sono arrivate a 1,74 trilioni di dollari nel 2017, secondo il Sipri di Stoccolma. Trilioni traducibili in un'enormità di tonnellate di gas serra. Trilioni per distruggere. Meno male che si stampano petrodollari.

Aerei, navi, carri armati, bombe. Secondo il rapporto A Climate of War. The war in Iraq and global warming, i primi quattro anni di pesantissime operazioni militari in Iraq dal 2003 hanno provocato l'emissione di oltre 140 milioni di tonnellate di gas serra (CO2 equivalente), più delle emissioni annuali di 139 paesi. Una stima al ribasso, avvertono gli autori.

Del resto, il bombardiere strategico B-52 Stratocruiser, fa notare la Citizen Climate Lobby,

consuma all'ora circa 3.334 galloni di combustibile (un gallone: oltre 3,7 litri). Un carro armato beve meno: in compenso, compatta il terreno e questo non è che uno dei danni delle attività belliche. Non finisce qui: «Il Pentagono è una ragnatela di 1.000 basi all'estero, un arco nero dalle Ande al Nordafrica, dal Medioriente all'Indonesia, ricalcando la distribuzione delle principali risorse fossili e delle rotte commerciali» (Patricia Hynes su Truthout). Strutture ed edifici che coprono circa 10 milioni di ettari in giro per il mondo (ci dice www.energytoday.net, il sito della American Energy Society), e oltre a inquinare bruciano fossili in quantità.

Ecco perché il complesso militar-industriale statunitense è l'imputato principale. Solo 35 paesi al mondo consumano più energia fossile (e quindi emettono più gas serra) di quest'entità.

Pensiamo anche ad altri costi energetico-climatici. Per esempio per la produzione delle armi. O per la ricostruzione dalle macerie belliche (non certo con la bioedilizia): ricavare un chiletto di cemento significa aggiungere un chilo di gas serra al totale.

Eppure, la maggior parte delle emissioni legate al consumo di combustibili fossili usati dal settore militare è stata esclusa dagli obblighi di riduzione stabiliti dagli accordi sul clima. Un'esenzione che ha dell'incredibile e che è derivata dall'intensa lobby statunitense durante i negoziati per il Protocollo di Kyoto alla metà degli anni 1990. Per ottenere la ratifica da parte degli Usa (che poi non arrivò!), ne fu accettato il ricatto: «US exempts military from Kyoto Treaty», denunciava l'agenzia Inter Press Service nel maggio 1998.

CON L'ACCORDO DI PARIGI DEL 2015, le forze armate dei vari paesi non sono obbligate a tagliare le emissioni, ma almeno non è più prevista un'esenzione automatica di queste ultime. Ovviamente l'interpretazione degli Stati uniti è stata la seguente (come ha riportato il Guardian): «La decisione su che cosa tagliare resta agli Stati».

In realtà, benché il presidente Donald Trump abbia dichiarato che l'effetto serra è un inganno e un complotto dei cinesi, il Pentagono e i militari statunitensi non ignorano affatto gli effetti dei cambiamenti climatici. Come leggiamo su news.mongabay.com, «i militari Usa si preparano per i cambiamenti climatici, non certo per proteggere l'ambiente della Terra, bensì per mantenere l'efficienza operativa - la capacità di combattere». Così quando possibile si punta sulle energie rinnovabili: il Forte Hunter Liggett in California installa a gran forza pannelli fotovoltaici per non rimanere al buio in caso di black-out.

Nelle guerre, il trasporto di combustibile per carri armati, jet e navi è uno dei crucci logistici principali del Pentagono. Il National Defense Authorization Act (Ndaa) per il 2018 firmato dallo stesso presidente Donald Trump si preoccupa della «vulnerabilità delle installazioni militari ai prossimi eventi climatici» e la US Navy ha pubblicato un manuale, Climate Change Installation Adaptation and Resilience Planning, sulle tecniche di resilienza grigioverde. La base di Norfolk, in Virginia, la più grande base del mondo, finisce ormai regolarmente allagata, e uno studio della Union of Concerned Scientists (Ucs) prevede lo stesso destino per una ventina di basi americane costiere sparse in tutto il mondo.

MA DI CERTO LA MACCHINA DA GUERRA non diventerà verde e sostenibile: lungi dall'affrontare le cause vere del caos e giocare un ruolo nella riduzione delle emissioni climalteranti, il Pentagono gonfia i muscoli e prevede grandi aumenti nel settore militare (e quindi più emissioni), per affrontare meglio un mondo destabilizzato dagli eventi nefasti causati dall'eccesso di emissioni climalteranti, appunto.

Del resto, il Dipartimento Usa alla difesa già nel 2004 sottolineava come i cambiamenti climatici siano un «moltiplicatore di minacce alla sicurezza nazionale, suscettibile di aumentare frequenza, scala e complessità delle future missioni militari». Sempre più necessarie visto che, come si legge nella Quadrennial Defense Review (2010) del DoD, «il caos climatico contribuirà alla scarsità di acqua e cibo, aumenterà le spese sanitarie e potrebbe determinare migrazioni di massa».

Il libro The Secure and the Dispossessed. How the Military and Corporations are Shaping a Climate-Changed World (Pluto Press) curato da Nick Buxton e Ben Hayes spiega la «convergenza catastrofica fra militarismo, neoliberismo e cambiamenti climatici» illustrando le strategie del settore militare e delle multinazionali per gestire i rischi (anche con la geoingegneria che pretenderebbe di attenuare gli effetti del riscaldamento globale senza la necessaria drastica riduzione delle emissioni).

IL FINE E' PROTEGGERE POCHI IN NOME della sicurezza escludendo i non privilegiati. In barba alla giustizia climatica, visto che (si veda sul sitowww.globalcarbonproject.org) i grafici sulle emissioni cumulative di gas serra dal 1870 al 2016 indicano con chiarezza le schiaccianti responsabilità storiche dell'Occidente nel disastro climatico che sta minacciando la vita stessa sul pianeta Terra.

E' da un pezzo che la dirigenza internazionale di ICAN va sostenendo in giro che la deterrenza nucleare è oramai solo un residuo fossile di una Guerra Fredda appartenente ai polverosi archivi della Storia.

Non si tratta solo delle recentissime dichiarazioni della giovane direttrice esecutiva di ICAN su "IO DONNA" del Corriere della Sera, alla vigilia di "Science for Peace", organizzata a Milano dalla Fondazione Umberto Veronesi.

Ecco quanto, ad esempio, la stessa Beatrice Fihn ha detto al quotidiano "L'Avvenire" già il 10 novembre 2017.

"Gli ordigni nucleari sono obsoleti, vecchi, superati. Un rimasuglio scomodo e pericoloso di un’altra era, da riporre definitivamente in soffitta. (Bisogna quindi) fare da pungolo ai loro stessi possessori, gli Stati nucleari, perché accettino una loro proibizione sul modello del Trattato contro le mine antiuomo".

Per prima cosa sarebbe da osservare che riferirsi ad uno strumento rimasto per lo più sulla carta, cioé il Trattato antimine, non è affatto di buon auspicio sull'efficacia del nuovo TPAN.

A che serve, infatti, avere una proibizione delle armi nucleari di impatto puramente morale, senza obblighi stringenti a condizioni e a percorsi che portino alla loro effettiva eliminazione?

Ma il cuore della critica da svolgere è molto più profondo: si tratta della sottovalutazione di quanto la logica del sistema della potenza e della guerra caratterizzi ancora oggi le relazioni internazionali.

Una logica che viene esplicitata nei documenti ufficiali NATO ad esempio senza equivoci e tentennamenti (vedi ultimo summit di Varsavia, lo scorso settembre).

Parlare di opposizioni ad armi "inutili" rischia di smobilitare proprio quella opinione pubblica che si vorrebbe chiamare all'attivismo per convincere i governanti a ratificare il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (adottato in una Conferenza ONU il 7 luglio 2017): attualmente siamo solo a quota 19 Stati sui 50 che occorrerebbero per l'entrata in vigore.

Il processo di ratifica va avanti, insomma, lentamente e questo succede mentre all’ONU ci si accapiglia con accanimento come non mai sulle varie risoluzioni in materia di disarmo; nel mondo si varano modernizzazioni con investimenti stratosferici negli armamenti nucleari (1.200 miliardi di dollari solo da parte USA); Trump denuncia i Trattati INF e gli euromissili vengono reinstallati (quelli per cui tanti attivisti a Comiso si fecero un bel po’ di galera); si rompe da parte americana l’accordo con l’Iran, si boicotta la Zona denuclearizzata in Medio Oriente (e si teme che su questo argomento si impantanerà il prossimo incontro TNP, come già è successo nel 2015).

Se si deve stare ai fatti nudi e crudi, e non alla narrazione edulcorata tipica da marketing di ONG "accreditata" ai balletti del Palazzo di Vetro, essere "ottimisti"

alla maniera dei nostri scienziati Rubbia e Calogero acquista allora quota e purtroppo consistenza!

Vale a dire, secondo le nostre illustri teste d'uovo: arriveremo sicuramente al disarmo nucleare, ma solo dopo una piccola guerra locale che avrà fatto un miliardino "sopportabile" di vittime...

Le uniche buone notizie perciò non vengono oggi dalle assemblee ONU, ma paradossalmente arrivano invece dalla California, che, supportando il TPAN, si ribella a Trump trascinandosi dietro altri 16 Stati e chiama alla lotta contro l'intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica; lo Stato USA però, proprio per i problemi climatici, più che un posto da sogno sembra stia diventando da incubo, considerati gli incendi devastanti che lo rendono ampiamente inabitabile!

Se vuoi/volete sentire a Milano una campana fuori dai luoghi comuni deresponsabilizzanti (lasciate fare a noi lobbysti pacifisti che vi toglieremo dai piedi questo noioso fastidio del nucleare, che non ha alcun senso nemmeno per Washington e Mosca), l'occasione ce l'hai/l'avete a questa presentazione del libro "La follia del nucleare", Mimesis edizioni, seconda edizione del 2018 (con riferimento al Premio Nobel per la Pace 2017 attribuito ad ICAN).

L'incontro si tiene questa domenica, 25 novembre, con inizio alle ore 17.00, a Chiamamilano, via Laghetto,2, presenti autori del libro (Alfonso Navarra) e altri che vi hanno contribuito con interventi (Laura Tussi, Fabrizio Cracolici, Virginio Bettini). Con “ospiti” di livello come Milly Moratti e Paolo Limonta.

Siamo anche allietati dalla musica civile dell'Orchestrina del Suonatore Jones!

Spero siate venuti "armati" di caustico spirito critico: sparate pure contro questa provocatoria introduzione e chiedete conto e ragione di ogni suo aspetto!

E non mancate di mettervi in lista per fare parte della quarta grande ondata di mobilitazione globale antinucleare: quella “ecopacifista” (al centro il rischio, non considerazioni giuridiche o geopolitiche) a cui stiamo lavorando e che verrebbe dopo le altre tre. Quelle che: 1) hanno impedito l'attacco contro l'URSS chiesto da Churchill; 2) hanno portato al divieto dei test in atmosfera; 3) sospinto Reagan e Gorbachev a smantellare Cruise, Pershing e SS20 dall'Europa.

Alfonso Navarra - cell. 340-0736871 email alfiononuke@gmail.com

 

 

 

Mir sulla conferenza di Palermo sulla Libia: “Non saranno i militari a portare la pace”

DA PALERMO LE AMBASCIATE DI PACE PER UN MEDITERRANEO DISARMATO ED UNITO DALLA CULTURA DELL'UMANITA'

a cura  di Francesco Lo Cascio - portavoce della Consulta per la pace del Comune di Palermo
La Consulta per la pace di Palermo ha organizzato una quattro giorni, dal 29 settembre al 2 ottobre 2018,  sul tema del “Mediterraneo mare di pace”  per lanciare il progetto di una “Rete delle ambasciate di pace”. Tale Rete è stata considerata uno strumento fondamentale per realizzare il sogno di un bacino di popoli non squassati da conflitti distruttivi, ma costruttori di ponti di dialogo, di scambi, di libera circolazione di persone impegnate in un lavoro comune .  Primi promotori della Rete, oltre alla Consulta, saranno  i Disarmisti esigenti, la WILPF Italia, l’IPRI, PeaceLink.
Nella ricca discussione sono intervenuti i protagonisti delle esperienze nonviolente in Sicilia.
Le Ambasciate di pace, ha sottolineato il portavoce della Consulta Francesco Lo Cascio, nascono dall’esperienza nei conflitti dell’Iraq e dei Balcani (fondamentale il ruolo di Alberto L’Abate nella loro ideazione e sperimentazione); ed il convegno ha inteso delinearne una forma innovativa adatta a mettere in relazione i soggetti della società civile già impegnati nella risoluzione nonviolenta dei conflitti, favorendo lo scambio di esperienze al fine di inserire più facilmente nel conflitto locale l’aggancio con una prospettiva  globale di diritto internazionale.
Tale progetto, come è scritto nel Manifesto che il Convegno ha adottato all’unanimità , troverà una occasione di diffusione con la Marcia Mondiale della Nonviolenza, che nel suo percorso italiano farà tappa a Palermo.  Un grosso contributo alla diffusione internazionale della Rete sarà dato dal coinvolgimento di WILPF Internazionale, assicurato dalla presidente onoraria della sezione italiana Giovanna Pagani.
Il convegno ha espresso la sua adesione al progetto di pace per la Siria, proposto da Operazione Colomba; all’ICE “Welcome Europe”;  alla campagna “Salva Acquarius e il soccorso in mare”.
Ha deciso di impegnarsi  in una mobilitazione perché Turi Vaccaro, attivista No MUOS attualmente in carcere,  ottenga la grazia; e ha fatto  proprio un appello, presentato nella giornata dedicata all’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica, relatori Alfonso Navarra e Gianni Silvestrini, perché sia valorizzata ed imitata in Italia la decisione dello Stato di California di supporto al Trattato di proibizione delle armi nucleari anche in vista della mobilitazione per la COP24 in Polonia. 
L’incontro ha deciso di promuovere un nuovo Convegno sul “diritto alla pace” nei suoi vari aspetti (disarmo, ecologia, diritti umani, equo cosviluppo) i giorni in cui la marcia mondiale  passerà per Palermo.
Il Convegno ha infine proposto che Palermo si gemelli con la capitale della California, Stato all’avanguardia nella lotta contro la minaccia climatica ed insieme nucleare; e di candidare  la città a sede della Conferenza internazionale tra Unione Europea ed Unione Africana di cui si è parlato nella sessione del Parlamento Europeo convocata per le sanzioni all’Ungheria.
Il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha ricevuto gli organizzatori del convegno ribadendo che ritiene “criminale” l’intenzione di fare dell’Europa una fortezza blindata e che il respingimento di uomini e donne che esercitano il loro diritto umano alla migrazione è passibile di un “processo di Norimberga”. Orlando ha ricordato di aver già presentato alla Procura della Repubblica di Roma, al presidente della Commissione Ue, a quello del parlamento europeo e alla Corte dell'Aia nel dicembre del 2017 un esposto contro le istituzioni europee e le loro "criminogene" politiche sull'immigrazione.  

IL MANIFESTO DI PALERMO

  • Vogliamo affermare il Diritto alla Pace per tutta l’umanità, l’ONU ha sancito questo diritto con le dichiarazioni 71/189, vogliamo che sia applicato ai nostri popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente.
  • Vogliamo che questo diritto abbracci i diritti sanciti dalla Carta della Terradall’Accordo di Parigi (COP21)dalla Carta di Palermo e dalla Dichiarazione di Barcellona.
  • Vogliamopertanto che il diritto alla Pace sia in primo luogo riaffermazione della necessità del disarmo – a cominciare dalla proibizione delle armi nucleari – e della facoltà di obiezione a tutte le guerre. Vogliamo che il diritto alla Pace includa l’Ecologia nei rapporti tra gli esseri umani e la Natura[.
  • Sogniamoun Mediterraneo libero da conflitti, libero da armi di distruzione di massa, libero da muri, frontiere, vigilanze armate, libero nella circolazione delle persone e delle idee, ponte di dialogo tra persone impegnate in un lavoro comune, Mare di Pace e non di conflitti.
  • Vogliamoche la zona libera dalle armi nucleari dell’Africa si estenda a tutto il Mediterraneo e all’intero Medio Oriente.
  • Vogliamo farci Ambasciatori della Pace, in modo organizzato e non soltanto simbolico.
  • Il convegno “Mediterraneo, Nonviolenza Pace”, promosso dalla Consulta della Pacedel Comune di Palermo, lancia il progetto per una Rete di Ambasciate di Pace – sostenitrice del Diritto alla Pace e delle campagne che lo promuovono – collegandosi con le principali reti nonviolente europee e internazionali.
  • Le Ambasciate di Pace nascono dall’esperienza maturata nei conflitti dell’Iraqe dei Balcani, oggi vogliamo proporle in Europa e nel Maghreb. Il transito della 2a Marcia Mondiale della Nonviolenza sarà occasione per la loro diffusione, coinvolgendo realtà istituzionali e di base che operano per l’affermazione dei Diritti Umani, della Solidarietà, dello Stato di Diritto, della Giustizia.
  • Chiediamoa codeste realtà di esporre le insegne di “Ambasciata di Pace” e di condividere in rete il proprio operato in vista della promozione di un convegno internazionale nella città di Palermo.
  • Auspichiamo un comune eco-sviluppo euro-africano, attingendo ai finanziamenti resi disponibili dal green climate found, che possa soppiantare gli interventi aggressivi con logica da vecchie e nuove potenze coloniali.
  • Vogliamo che Palermo e la Sicilia siano gemellate con le città all’avanguardia nella lotta contro la minaccia climatica e nucleare, come Sacramento, Los Angeles e la California.
  • Vogliamo che Palermo sia candidata a sede di una prossima Conferenza internazionale tra Unione Europea ed Unione Africana.

Appello sostenuto da:

  • Consulta per la Pace, la Nonviolenza, i diritti umani, il disarmo del Comune di Palermo
  • IPRI CCP italian Peace research Institute
  • WILPF
  • Disarmisti Esigenti
  • PeaceLink

 

 Una presa di posizione del Coordinamento dei Disarmisti Esigenti, tra i promotori della Rete delle Ambasciate di Pace, sulla “Conferenza per la stabilizzazione della Libia”

(5 ottobre 2018)

Apprendiamo dalla stampa che il 12 e 13 novembre 2018 si terrà a Palermo, per iniziativa del Ministero degli Affari Esteri - MAE, la conferenza internazionale sulla Libia.

Il comunicato del ministro Moavero ricorda che “Palermo è una importante città italiana vicina allo scenario libico”, situata nel contesto Mediterraneo, “sul quale l’Italia ha una proiezione geografica, storica e politica naturale che le assegna un ruolo di primo piano per la stabilizzazione del Paese nordafricano”.

Moavero assicura che in Sicilia saranno invitati gli attori più importanti, sia a livello internazionale che regionale. Tra gli altri, ci saranno rappresentanti di Paesi come Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Francia, Germania, Spagna, Marocco, Tunisia, Gran Bretagna, Canada, Ciad, Algeria, Cina, Giordania, Malta. Ma anche rappresentanti dell’Unione Europea, dell’Onu, della Lega araba e dell’Unione africana. E, sempre secondo quanto riferito dal ministro, avrebbe confermato interesse a partecipare alla conferenza anche il generale libico Khalifa Haftar, uomo forte del governo cirenaico di Tobruk.

Sulla base delle posizioni espresse dal nostro Manifesto politico-culturale, frutto della 4 giorni di dibattito dal 29 settembre al 2 ottobre 2018 dalla Consulta di Palermo per la pace, possiamo da subito formulare alcune osservazioni ed avanzare alcune proposte.

Dovremmo seriamente riflettere sul ruolo che può giocare la diplomazia popolare di base partendo da un assunto fondamentale: non dobbiamo, noi italiani, alimentare guerre per procura con la posta del petrolio e del gas (= ENI contro TOTAL) né aspirare, come Paese, al ruolo di media potenza che punta neocolonialmente a controllare il destino del territorio libico.

La Libia è un crocevia di interessi internazionali di vecchio stampo, noi dovremmo provare a prospettare l'interesse nuovo ad un cosviluppo comune di tutta l'area all'insegna della conversione energetica ed ecologica. E questo senza temere che i discorsi sull’”economia verde” possano risultare ostici o addirittura improponibili per i libici.

La Libia, che, come tutti, ha come grande, vera ricchezza il sole e la terra (ed il lavoro degli uomini), ha aderito all’accordo di Parigi sul clima globale, come del resto Israele (e tutti nel mondo tranne gli USA di Trump che si sono ritirati).

L’accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016 (30 giorni dopo la ratifica del 55% degli Stati parte “carichi” contemporaneamente del 55% delle emissioni di CO2).

(Per lo stato delle ratifiche si vada su: https://unfccc.int/process/the-paris-agreement/status-of-ratification)

Per essere precisi, Israele ha ratificato (il 26 novembre 2016) mentre la Libia ha solo firmato (il 22 aprile 2016).

Quando si parla di riconciliazione e di pace tra gruppi umani squassati da lotte distruttive sembra logico partire da ciò che gli attori in conflitto hanno già di condiviso.

Il processo di conversione alle energie rinnovabili riguarda anche e soprattutto gli Stati carboniferi e petroliferi: si parla però nelle COP del percorso di Parigi di “giusta transizione”.

Una gradualità, con il gas risorsa ponte, che deve considerare anche il lavoro e il reddito di chi è impiegato nel settore fossile.

Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, nella sessione del nostro convegno che il 1 ottobre ha svolto con il portavoce dei Disarmisti esigenti Alfonso Navarra su minaccia climatica e minaccia nucleare - da contrastare insieme! - ha ricordato che i Paesi sviluppati nel 2050 dovranno azzerare le emissioni mentre i Paesi in via di sviluppo dovranno solo dimezzarle.

Questi risultati dovranno essere raggiunti attraverso le rinnovabili, l’efficienza ed il risparmio energetico.

L’accordo di Parigi, stipulato nel dicembre 2015, impegna i Paesi sviluppati ad aiutare i Paesi in via di sviluppo nella conversione energetica attraverso il “Green Climate Found”.

Entro il 2020 dovranno essere raccolti ed investiti allo scopo 100 miliardi di dollari. Da lì in poi verrà stabilita una cospicua cifra annuale che potrà essere considerata anche “restituzione del debito ecologico” accumulato dai “ricchi” che hanno sfruttato le risorse dei “poveri”.

Noi, al convegno di Palermo, abbiamo proposto di coinvolgere questo Fondo in un Piano per l’Africa ed abbiamo anche candidato la città ad un vertice tra UE ed Unione Africana con l’obiettivo di un ecosviluppo comune.

Il fatto che siamo tutti sulla stessa barca dell’emergenza climatica, espressione del conflitto principale tra società e natura, non è uno slogan ma una drammatica realtà cui ci richiama la scienza ufficiale dell’IPCC.

Che non è onnisciente, ha sicuramente i suoi limiti, ma come metodologia per affrontare i problemi è sicuramente meglio dell’affidarsi all’oscillazione del pendolino…

L’obiettivo di “attuare Parigi”, cioè di attuare l’accordo di Parigi (nel momento in cui paradossalmente è proprio la Francia a minare l’accordo che di fatto bandisce i combustibili fossili), può, a ben vedere, lo spiegheremo meglio in seguito, favorire le condizioni per una denuclearizzazione del Mediterraneo, al momento impraticabile (anche se dobbiamo continuare ad esigerla!) per tutta una serie di fattori ostativi che ora andiamo ad elencare.

  1. Esistono nell’area Stati dotati di armi nucleari: la Francia ed Israele.
  2. Insiste nell’area una alleanza nucleare: la NATO. Vi sono quindi Paesi direttamente coinvolti nella “condivisione nucleare NATO”: l’Italia e la Turchia, che ospitano caccia e bombe atomiche programmati per l’impiego nucleare.
  3. Esistono “Stati con capacità nucleari”, vale a dire che, già impegnati in programmi di nucleare “civile”, con un po’ di sforzo potrebbero procurarsi la Bomba. Riportiamo in proposito l’elenco dell’IAEA: Algeria, Egitto, Iran, Spagna;
  4. Esistono Stati che si stanno buttando ora nella costruzione di centrali nucleari che possono coprire ambizioni militari. Citiamoli: Arabia Saudita, Bahrein, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Yemen. I progetti attualmente allo studio riferiscono di 90 reattori nucleari posti in 26 siti in tredici Paesi dell’area, il tutto entro il 2030.

 

Il nucleare, apprezzato per il doppio uso civile-militare cui consente di fare capo in quanto tecnologia intrinsecamente ambigua, quindi è ben presente e fa da retrovia alle contese politiche che squassano l’area.

E’ anche possibile, per tale motivo, che diventi presto il pretesto per l’innesco di una guerra regionale ad ampia scala, generalizzata, non più solo “a pezzetti”, considerato il contenzioso che in materia, con posta l’egemonia regionale, oppone Israele e l’Iran e gli orientamenti assunti da Netanyahu che si è trascinato dietro Trump.

Non a caso Limes intitola la sua copertina del luglio 2018: “Attacco all’Impero persiano”.

E’ un fatto gravissimo che Trump abbia denunciato il JPCOA (l’accordo sul nucleare) firmato da Teheran con il P5+1 (le 5 permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania) e che abbia scelto il “falco” John Bolton a consigliere della sicurezza nazionale USA. Il consiglio del nuovo consigliere è semplicissimo: appoggiare Israele in un attacco preventivo contro il nucleare iraniano che dovrebbe ripetere i precedenti di quelli contro l’Iraq nel 1981 e contro la Siria del 2007.

Lo “Stato ebraico” (ormai si autodefinisce così) si percepisce come “ostaggio strategico” di un Iran che avrebbe raggiunto la situazione di “soglia” rispetto alle capacità nucleari militari e che si starebbe allargando troppo con il suo “fronte sciita”, che governa l’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein, e comprende l’Azeibagian, la Siria dell’alauita Assad, il Bahrein, il Libano con gli Hezbollah, gli Houthy in Yemen; ed ha arruolato Hamas a Gaza.

In opposizione, schierato al fianco di Israele, l’Arabia saudita ha creato un “fronte sunnita” che comprende Emirati arabi, Qatar, Kuwait, Egitto, Giordania.

Potenze “sunnite” interessate a giocare un ruolo nell’area sono anche Turchia, Pakistan e Afghanistan. E, a ben vedere, lo giocano con eserciti schierati che in questo momento stanno sparando (vedi ingerenze turche in Siria contro i Kurdi)!

Questo incandescente guazzabuglio geopolitico, che vede l’intervento sul campo anche delle grandi potenze militari come USA e Russia e delle medie potenze europee (Francia, Gran Bretagna e Italia!) non è sgrovigliabile prendendo di petto fattori che incidono direttamente sugli equilibri militari di potenza.

Ecco perché è facile dedurre che non è il momento adatto per la realizzabilità di obiettivi di denuclearizzazione proposti in modo separato da un contesto complessivo e percepiti come “destabilizzanti” mentre bisognerebbe gettare acqua sul fuoco su conflitti che vanno a polarizzarsi sul polo attrattivo Israele contro Iran.

E’ la strada che proponiamo di fare leva sull’unica vera “buona notizia”, basata sulla reazione al rischio climatico coinvolgente tutta l’umanità, che possiamo registrare in un mondo che sembra andare alla deriva, tra nuove recessioni globali in arrivo, massicci riarmi nucleari e convenzionali, conflitti pronti a generalizzarsi su scala regionale, crescite esplosive del sovranismo nazionalistico e razzista in grandi e piccoli Paesi.

Ci riferiamo alla “secessione verde” della California, che ha deciso di supportare il Trattato di proibizione delle armi nucleari (risoluzione AJR 33, approvata dalle camere congiunte il 28 agosto del 2018), nel momento stesso in cui propone una rivoluzione energetica ed ecologica, esplicitamente indirizzata contro l’amministrazione Trump, e supportata dalla prospettiva di un “New Green Deal”.

Nel “Manifesto” lanciato dalla 4 giorni di Palermo abbiamo proposto il gemellaggio tra la capitale siciliana e la capitale dello Stato della California.

Questa proposta può assumere il significato dell’indicazione di una via di pace globale fondata sulla ricerca di un “diritto alla pace” che deve poggiare sulle intese già ufficialmente concordate dalla comunità internazionale.

In questa ottica possiamo considerare l’utilità di aggregare, per il 12 e 13 novembre a Palermo, non la solita adunata protestataria no-global e no-tutto, ma un momento di riflessione ed organizzazione regionale di coloro che, nell’intento di promuovere la Rete delle ambasciate di pace, intendono combinare l’opposizione alle guerre (e alle guerre per il petrolio, come in Libia) ai programmi costruttivi tipo il citato Piano per il Medio Oriente e per l’Africa.

 

Comunicato del M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) in riferimento alla Conferenza di Palermo sulla Libia (13 novembre 2018)

“Vogliamo affermare il Diritto alla Pace per tutta l’umanità, l’ONU ha sancito questo diritto con le dichiarazioni 71/189 vogliamo che sia applicato ai nostri popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente”.

(Convegno di Palermo “Mediterraneo, Nonviolenza, Pace”)

In riferimento alla conferenza di Palermo sulla Libia, il MIR Italia, ramo italiano dell’IFOR, unitamente al MIR Palermo ed alla Consulta della Pace del Comune di Palermo, ritengono che il ripristino di condizioni di pace in Libia non possa venire da accordi all’estero tra le potenze che hanno causato la crisi libica stessa.

Il conflitto trae origine dai bombardamenti francesi e inglesi contro Gheddafi, che – differentemente dalle rivoluzioni nonviolente arabe (Tunisia, Egitto, etc.), tentavano una via militare al cambiamento di regime. Via militare volta a tutelare gli interessi commerciali degli eserciti coinvolti, nel tentativo di acquisire alle compagnie petrolifere nazionali il controllo delle risorse libiche. Il risultato dell’intervento militare è stato il proliferare delle bande armate e la divisione della Libia in più aree d’influenza.

Invece di contribuire agli sforzi di pace, L’Italia schiera in Africa circa 800 militari, asservisce le basi siciliane, come Sigonella e Birgi, alla guerra globale mediante i droni, aliena il proprio territorio per l’installazione del MUOS.

Non sono i militari a poter portare la pace.

Dalla crisi libica discende anche il dramma dei profughi e delle vittime in mare delle migrazioni.

Il tale quadro il governo italiano si sta muovendo unicamente in funzione della limitazione dell’operatività delle ONG che operano dell’ambito della Search and Rescue (SAR), fino ad arrivare a sollecitare la sottrazione, per ben due volte in un mese, della bandiera di navigazione della nave Aquarius di SOS Mediterranée, cui va la nostra incondizionata solidarietà.

 

Chiediamo in particolare che cessino tali provocazioni, sia ripristinato il diritto di navigazione, sia restituita la bandiera di navigazione all’Aquarius, nave che da sola ha salvato – direttamente e indirettamente – circa 70.000 vite umane.

Chiediamo inoltre l’istituzione di un corridoio umanitario che consenta l’evacuazione in sicurezza di tutti i profughi, a rischio di violazione dei diritti umani, attualmente in Libia.

Nel Mediterraneo soltanto un quadro di relazioni multilaterali tra tutti i paesi africani ed europei potrà governare i processi in atto, dalle migrazioni, ai conflitti, al proliferare delle armi di distruzione di massa (per la quale chiediamo l’estensione al Mediterraneo di una zona libera da armi nucleari).

“Vogliamo quindi che Palermo sia candidata a sede di una prossima Conferenza  internazionale tra Unione Europea e Unione Africana”.

(Convegno di Palermo “Mediterraneo, Nonviolenza, Pace”)

I processi di riconciliazione nel Mediterraneo possono partire dalla base comune dell’accordo di Parigi sul clima globale, non a caso firmato sia dagli israeliani, sia dagli arabi (inclusi libici e palestinesi), sia dagli iraniani: in particolare dal fondo di 100 miliardi di dollari che può essere in cospicua parte destinato all’ecosviluppo dell’Africa: il possibile tema di un vertice UE-Africa per il quale abbiamo candidato la città di Palermo.

MIR – Movimento Internazionale della Riconciliazione

INVESTIRE IN MODO RAGIONEVOLE NEL FUTURO DI TUTTI

100 miliardi almeno che sprechiamo in opere nocive potremmo reindirizzarli nell’occupazione “verde-rosa”, attuando l’accordo di Parigi sul clima

 Editoriale di Alfonso Navarra – direttore responsabile de "IL SOLE DI PARIGI" (www.ilsolediparigi.it)

No alle formule magiche - Si alle proposte concrete per la giustizia ecologica e sociale

L’economia “verde” genera posti di lavoro in quantità ed è una svolta necessaria per la sopravvivenza dell’intera umanità. La comunità internazionale la postula attraverso tutti gli accordi giuridici nei quattro “campi” in cui si articola il “diritto alla pace”: disarmo, ecologia, diritti umani, giusto sviluppo. Il problema da porsi non è quindi semplicemente la creazione di reddito e di occupazione, ma come garantire reddito ed occupazione ai lavoratori dei settori economici nella fase della transizione. Questo è, nell’essenziale, il problema della “giusta transizione”.

La svolta è necessaria tuttavia non è facile perseguirla: perché gli imprenditori, siano singoli lavoratori autonomi, siano cooperative, siano ditte di varie dimensioni che impiegano salariati, devono cambiare paradigma ed adottare nuovi modelli di business, possibilmente trovando un mercato regolato dai poteri pubblici in tal senso.

L’accoppiata tra grande burocrazia di Stato e profitti delle Corporations multinazionali spesso rema contro, all’insegna di cortine fumogene che nascondono la sostanza delle vecchie logiche e dei vecchi comportamenti.

Si adottano come dei mantra formule retoriche confuse e persino fuorvianti: della serie “sviluppo sostenibile” ed “economia circolare”.

Se qualcuno ci tiene, le usi pure, queste che sono spesso usate come formule magiche, ma quello che va messo in chiaro sono alcune cose che attengono alla corrispondenza tra i concetti e la realtà:

-         non basta che si riciclino gli scarti produttivi, quando è meglio evitare in partenza le emissioni nocive;

-         il “privato” è una cosa, altra cosa è l’appropriazione indebita da parte degli oligopoli di risorse (e beni comuni);

-         si deve poter misurare una “prosperità”, una situazione florida di appagamento duraturo, che ha da coincidere non con l’accumulazione di cose ma con il benessere psico-fisico delle persone e con la loro socializzazione conviviale;

-         diventa quindi determinante detronizzare il PIL dal trono in cui è stato posto. Ma anche in questo caso, come si può intuire da quanto si è affermato nel punto precedente, al dogma della “crescita” non bisogna contrapporre una altrettanto ideologica smania della “decrescita”! (Anche questa ultima  espressione, per molti mantrica, chi vuole la usi, purché non si resti schiavi delle parole!).

Quello di cui comunque bisogna prendere atto, con uno sguardo pragmatico è che già oggi il mercato è “libero” solo fino ad un certo punto e la logica della potenza lo condiziona pesantemente.  I movimenti dei capitali sono controllati, i dazi sono applicati, i lavoratori sono contingentati, le risorse sono spesso estorte con la violenza, le leve monetarie e fiscali sono usate a vantaggio di pochi. Dall’altro lato, pur in un ambiente sfavorevole, c’è, tra gli operatori economici,  chi pensa ai profitti senza voler danneggiare il prossimo e c’è anche chi, nel sociale – molti di più di quanto non si pensi -, si dà da fare secondo la logica del dono!

Dobbiamo, se possibile, evitare di essere ingabbiati in categorie che ci separano dalla complessità e contraddittorietà del reale.

La società, se la intendiamo  come la maggioranza dei membri che la compongono, non è guidata già oggi dalla “ricerca del massimo profitto monetario” e non può essere guidata domani con lo spirito (che era di San Francesco, ma oggi nemmeno francescano, a ben guardare) del “do tutto senza voler ricevere nulla in cambio”.

La verità è che i soldi sono importanti per tutti ma solo per alcuni “fuori di testa” (gli “affamati e folli” secondo l’invito di Steve Jobs) sono l’unica cosa che conta nella vita. Quello che dobbiamo evitare è che i “fuori di testa”, i dominati dall’avidità accumulatoria, siano al posto di comando della società, come oggi per lo più e disgraziatamente succede.

Detto e precisato questo, possiamo rivolgerci al “mondo economico” che vuole ragionare e prosperare “con giudizio” perché usi l’ultima crisi da cui veniamo come occasione di un profondo ripensamento verso uno “sviluppo” equilibrato e duraturo, che riconcilii l’antagonismo che abbiamo creato tra società e natura.

Il “bando ai combustibili fossili” che abbiamo adottato a Parigi con l’accordo sul clima, che perfezioneremo alla COP24 di Katowice, dobbiamo prenderlo sul serio e dobbiamo accompagnarlo, per le stesse ragioni di sopravvivenza, al “bando nei confronti del nucleare”. Quella proibizione giuridica che dopo il 7 luglio del 2017 con un voto dell’ONU a New York è ora a portata di mano come ci dimostra il supporto ricevuto nientepopodimenoché  dallo Stato USA della California il 23 agosto 2018.

Un decalogo di investimenti pubblici per l’occupazione ambientalmente e socialmente utile

Finora abbiamo stampato tanta moneta per immetterla nel circuito di una distorta finanza mondiale imperniata sulla centralità del dollaro. Si parla di 20.000 miliardi, mica noccioline! Da oggi un po’ di denaro pubblico, qui in Italia per cominciare, dove in seguito alle politiche del 4 marzo abbiamo mandato su un “governo del cambiamento”(speriamo non in peggio), faremmo bene magari a crearlo, ma soprattutto ad impiegarlo, per investimenti, trainanti i privati, con l’obiettivo della conversione energetica ed ecologica.

Questi investimenti dobbiamo attivarli non solo perché guardiamo ai loro vantaggi a breve termine, che pure indubbiamente esistono. Ma anche e soprattutto perché ormai – ce lo dicono gli scienziati dell’IPCC – non abbiamo alternative. Comunque è sempre bene stare attenti a che “sprechi verdi” non subentrino a “sprechi bruni” e che si indirizzino i soldi a ciò che più risparmia inquinamento, moltiplica giri economici, promuove innovazione, cioè saggio uso di nuove conoscenze.

Abbiamo un decalogo virtuoso di misure da implementare:

1-   convertire il più possibile i cannoni in mulini perché la preparazione della guerra è il processo più distruttivo per l’ambiente che possiamo immaginare

2-   sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, riqualificare energeticamente abitazioni, scuole, uffici, fabbriche, sviluppare un modello energetico democratico e decentrato

3 - puntare sulla mobilità elettrica riequilibrando verso il trasporto pubblico e verso il ferro contro la gomma

4-   risistemare le città e ripopolare le campagne con una agricoltura deindustrializzata, rafforzando le produzioni biologiche e sostenibili

5-   sviluppare riutilizzo e riciclo dei rifiuti, ma anche prevenire la loro formazione

6-  intervenire per la riduzione del rischio idrogeologico mettendo in sicurezza i territori

7-   bonificare i siti inquinati e contaminati, a partire da quelli devastati dall’eredità  delle scorie radioattive

8-   riqualificare il sistema idrico nazionale nel rispetto del referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua

9-  tutelare e valorizzare beni comuni e pubblici: il suolo e i paesaggi, ma anche le strutture per poter rendere effettivi i diritti alla casa, alla salute, allo studio, alle pari opportunità per uomini e donne

10-    potenziare ed orientare ricerca, istruzione e formazione verso la conversione energetica ed ecologica e verso il “diritto alla pace”.

Questo decalogo può benissimo rimanere una serie di slogan vuoti. Per passare a piani concreti, ai fatti, abbiamo bisogno del sincero contributo di mente e di cuore delle donne e degli uomini di buona volontà. E del riferimento a situazioni concrete, con tanto di bei numeri stimabili e calcolabili in operazioni ben precise di addizioni e sottrazioni sul bilancio dello Stato. Uno sforzo in questo senso, ad esempio, è stato fatto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile durante gli “Stati generali dell’economia verde”, svoltisi a Rimini lo scorso novembre nell’ambito della Fiera “ECOMONDO”.  Il presidente Edo Ronchi ha proposto investimenti e misure per raddoppiare entro 5 anni l’attuale occupazione nei settori ambientali portandola a 6,5 milioni di unità.

I Disarmisti esigenti, con i loro partner WILPF, Accademia Kronos, Energia Felice, PeaceLink, pensano invece ad un più radicale gruppo di lavoro per l’occupazione verde-rosa. La proposta, ribadita durante l’assemblea di SI’-AMO LA TERRA (Roma 11 novembre 2018), è quella di convertire ad opere ambientalmente e socialmente utili (vedi decalogo sopra riportato) i 100 miliardi circa ricavabili dai risparmi sulla legge Gentiloni che individua 24 opere prioritarie nocive, dai tagli sulle spese militari incostituzionali (riarmo atomico a Ghedi ed Aviano, F35, MUOS...), dallo stop a nuovi oleodotti/gasdotti e pozzi petroliferi, dall'abolizione degli incentivi alle fonti fossili...

La WILPF Italia, con il suo progetto “PACE FEMMINISTA IN AZIONE”, dovrebbe garantire quell’innovativo approccio di genere capace di sviluppare proposte per un nuovo lavoro in una nuova società con le donne protagoniste.

La verità della Grande Rapina va sostituita alla narrazione fake della Grande Invasione

A dire il vero, guardando a come si è messa la politica italiana, sia di “cambiamento”, sia di “opposizione”, abbiamo l’impressione che, per quanto pieni di buona volontà, resteremo voci declamanti al vento: forse dovremmo, come italiani,  rimettere il cervello al primo posto perché con la pancia abbiamo già dato.

Sembra, nel nostro dibattito pubblico sconclusionato e del tutto surreale, che il principale problema da fronteggiare sia una inesistente “invasione degli immigrati” che ci condurrebbe ad una “sostituzione etnica e culturale”: l’Italia rischierebbe di diventare addirittura musulmana!

La risposta efficace, a detta di chi scrive, non è contrapporre al “cattivismo” dilagante un “buonismo” ebete ed a volte anche peloso dell’”accogliamo tutti perché noi siamo umani e gli altri no” (il giorno delle manifestazioni in cui indossiamo le magliette rosse, perché gli altri giorni si ritorna agli affari usuali).

La mia convinzione è che dobbiamo contrapporre alla falsa narrazione dell’invasione musulmana che staremmo subendo una capacità di ricondurre l’attenzione sui problemi veri che ci affliggono e bellamente ignoriamo, cioè ci fanno ignorare con le balle di distrazione di massa propinate a tutto spiano.

Ne elenco due.

La finanziarizzazione imperniata sul dollaro (l’euro è subalterno) insieme all’appropriazione da parte dei proprietari dei grandi mezzi di produzione del progresso tecnologico “digitale” hanno operato una grande redistribuzione della ricchezza dai redditi da lavoro a favore dell’1% già più facoltoso. Per fare un esempio, se si guadagnano 1.600 euro al mese, che pare sia lo stipendio medio in Italia, avendo perso, dal 2008 al 2018, un terzo del potere di acquisto grazie al trasferimento di ricchezza sopra richiamato (dati Banca d’Italia), ci si dovrebbe lamentare per i 2.400 euro che si dovrebbero percepire e invece non si percepiscono!

La narrazione della “Grande Invasione” dovrebbe, insomma, essere soppiantata dalla narrazione della “Grande Rapina” subita!

Questa Grande Rapina spiega, ad esempio, perché il vero problema dell’Italia non è la Grande Invasione, che non c’è, ma la Grande Emorragia dei giovani che scappano, specialmente dal Sud,  e scappano dalle province periferiche alle città e soprattutto all’estero!

Per farla breve, prendiamo per buone le cifre che spara il Ministro Salvini: abbiamo, in Italia, 5 milioni di stranieri e 500.000 clandestini, su una popolazione di 60,5 milioni di abitanti. Allora, entrano 150.000 stranieri l’anno, con tendenza alla diminuzione (quest’anno se ne prevedono solo poco più di 100.000, di cui 20.000 dal mare),  ma quanti sono gli italiani che abbandonano il loro paesello? Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 elaborato dal centro studi e ricerche IDOS e Confronti registra che oggi gli emigrati italiani sono tanti quanti erano nell’immediato dopoguerra. In numero ufficiale, oltre 250.000 l'anno, di cui 150.000 con la valigia per l’estero.

A emigrare - sottolinea il report - sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore: 1/3 circa laureati. Un laureato che va all’estero è costato allo Stato italiano la bellezza di 200.000 euro per formarlo! Queste cifre, poi, udite udite!, dovrebbero essere aumentate di almeno di 2,5 volte perché, ad esempio, le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti nei registri pubblici tedeschi e britannici!

Morale della favola, stiamo subendo, specialmente nel Meridione, da decenni, uno spopolamento intellettuale e giovanile, un vero e proprio dissanguamento, ed invece nei talk show televisivi non si fa che dibattere se respingere o accogliere quelli che a paragone potrebbero essere considerati quattro gatti!

Il Paese rapinato, devastato e vessato è quello che subisce in silenzio l’emorragia dei suoi giovani senza speranza incazzandosi invece in modo inconsulto contro gli immigrati che, per quanto “cattivi” –  gli spacciatori nigeriani al servizio della ‘Ndrangheta calabrese, ad esempio – possono fare un danno sicuramente sensibile ma tutto sommato modesto!

Quello che allora dovremmo fare è trovare le risorse per gli investimenti pubblici nell’economia verde anche dalla restituzione da parte dei ricchi felloni dell’1% e dei loro maggiordomi politici e professionali (il 10%) di quanto ci hanno sottratto.

Se ci preoccupiamo di restituire la speranza ai giovani di casa nostra avremo anche la credibilità per portare avanti il giusto discorso della solidarietà con gli immigrati. Magari ricordandoci che la libertà di circolazione e di residenza è un diritto umano fondamentale (art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, di cui ricorre quest’anno il 70esimo anniversario).

Quando proponiamo un muro contro lo straniero in realtà stiamo rinchiudendo noi stessi dentro una prigione che riteniamo fortezza difensiva: sono le nostre libertà e sono i nostri diritti a cui per paura rinunciamo e questo non dovremmo dimenticarlo. Mai e poi mai.