“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.”
Questa e’ una citazione tratta da “L’arte della guerra” di Sun Tzu. Riferita alla “lotta” contro il Coronavirus mutato della pandemia in corso ci porta subito alle seguenti considerazioni. Gia’ questo “nemico” lo conosciamo poco, anzi per nulla: saremmo proprio fritti se andassimo a equivocare sin da subito sulle sue origini e la sua natura partendo non da dati scientifici ma da speculazioni fantasiose su chi possa averlo messo in circolazione con una manipolazione genetica. Che e’ a ben vedere una operazione rassicurante: una entità umana, per quanto perversa, controlla questo “nemico” e lo usa come arma per vincere una sua guerra: quindi lo gestisce in modo razionale e ha gia’ i mezzi per difendersene (il vaccino nel cassetto?). Da un certo punto di vista, magari fosse cosi’! A nemico chiaro, soluzione semplice…
Non e’ che la guerra biologica, al pari di altre diavolerie, armi atomiche in primis, non sia coltivata dalle potenze militari ovviamente nell’ufficialità per “scopi difensivi”, visto che tali armi sono proibite per il diritto internazionale. Ma, per quelle che sono le conoscenze di cui disponiamo, e anche facendo un ragionamento di buon senso, oggi non ha nessun senso strategico sostenere che il tipo di coronavirus mutato oggi in circolazione, e causa della covid19, sia stato creato in provetta. E meno che mai che - tanto per cambiare - gli “americani”, i “cattivi imperialisti”, lo abbiano volontariamente buttato tra i piedi dei cinesi, per mettere a terra la potenza avversaria, guarda caso proprio a Wuhan, dove esiste il più importante centro di ricerca biologico in Cina, tra l’altro collegato alla Organizzazione Mondiale della Sanita’. Un minimo di frequentazione dei manuali di geopolitica e di strategia ce lo può ribadire: una grande potenza non attacca un’altra grande potenza con un’arma biologica: poco ma sicuro. Nemmeno se avesse gia’ il famoso vaccino in tasca per evitare diffusioni boomerang degli agenti patogeni che ha sparso. Una grande potenza non commette un atto di guerra grave contro un’altra grande potenza con piccoli sotterfugi sperando di farla franca a gratis. Ha tanti altri modi molto piu’ razionali e diretti per perseguire le sue mire egemoniche. Perché produrre degli effetti distruttivi dubbi o scarsi, quando non, appunto, boomerang, per ottenere in cambio quasi certo che la controparte attui una ritorsione sicura, più intelligente e efficace? L’arma biologica, allo stadio attuale della nostra evoluzione tecnologica, e’ del tutto fallimentare dal punto di vista bellico, in quanto a tutt’oggi inaffidabile, ed e’ buona essenzialmente come spauracchio per contribuire a veicolare una strategia di militarizzazione della sfera pubblica (spesso collegata ai profitti delle grandi aziende tecno-farmaceutiche).
In altra sede ci soffermeremo più ampiamente su questo tipo di ragionamenti logico-strategici, che nascono, ripetiamolo, anche dalla conoscenza, sommaria ma sufficiente, delle linee di impiego strategiche delle armi batteriologiche, spacciate come difesa dalle medesime.
Se si parte invece dall’esame di dati più tecnici, pare che anche su questo versante potremmo chiudere senza grandi dubbi la discussione. L’ipotesi dell’origine naturale del ceppo virale che ha condotto all’attuale pandemia sarebbe stata appena confermata in modo definitivo nel momento in cui scriviamo. Il coronavirus, secondo uno studio pubblicato su Nature Medicine, avrebbe infatti nel suo tracciato costitutivo chiare prove che ne attesterebbero la derivazione dai ceppi virali simili precedentemente identificati.(L’articolo al link: https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9?fbclid=IwAR0ckHMFWkkxVzgRtyqzbHrFYMg8heqAoAuPPd5nws9dYByiwlFm23UpFPE)
Siccome non siamo esperti del ramo, e non possiamo improvvisarci tali su due piedi (anche se da decenni bazzichiamo nell’attivismo disarmista che, con esperti critici, Gianni Tamino tanto per fare un nome, sue competenze critiche ne ha sviluppate) forse, come fa il Bullettin of Atomic Scientists americano, possiamo ancora concedere qualche spiraglio a favore della tesi dell'incidente - in Cina, non negli USA! - su un lavoro comunque sporco, anche se non collegato alla preparazione di armi da guerra biologiche.
Sul versante del “virus cinese”, come lo definisce Trump, sui social ora impazza un vecchio servizio del TG Leonardo su esperimenti in Cina. Il 16 novembre 2015 Maurizio Menicucci da’ la notizia di una “chimera” realizzata a Wuhan.
“Un gruppo di studio ha prodotto un organismo modificato innestando una proteina superficiale di un coronavirus trovato nei pipistrelli su un virus che provoca la SARS, la polmonite acuta, anche se in forma non mortale, nei topi”. “Si sospettava - prosegue Menicucci - che la proteina potesse rendere l’ibrido adatto a colpire l’uomo e l’esperimento lo ha confermato. Ed e’ proprio questa molecola detta Shco14 che permette al coronavirus di attaccarsi alle nostre cellule respiratorie scatenando la sindrome. Secondo i ricercatori l’organismo, quello originale e a maggior ragione quello ingegnerizzato, puo’ contagiare l’uomo direttamente dai pipistrelli senza passare da una specie intermedia come il topo. Ed e’ appunto questa eventualita’ a sollevare molte polemiche”.
Il servizio del 2015 rappresenta una occasione ghiotta per i vari Napalm51 che non vi e’ dubbio se ne abbevereranno a lungo. Nonostante la risposta immediata della stessa RAI: “Il servizio andato in onda sulla rubrica Leonardo e’ tratto da una pubblicazione della rivista Nature. E proprio tre giorni fa la stessa rivista ha chiarito che il virus di cui parla il servizio, creato in laboratorio, non ha alcuna relazione con il virus naturale Covid19”. Parole ribadite a Rainews24 dal professor Enrico Bucci, epidemiologo e docente alla Templey University (USA): “Il Covid19 non e’ lo stesso virus creato in laboratorio dai cinesi nel 2015. Il virus del 2015 non aveva capacita’ epidemica. Inoltre e’ indubbio che il Covid19 non e’ stato creato in laboratorio ma e’ frutto di una selezione naturale".
Passando a Repubblica del 26 marzo 2020, nella rubrica “Vero o Falso”, dedicata alle fake news, Riccardo Luna cita il professor Burioni: “Chiunque sappia di filogenesi virale e sappia quindi interpretare un albero di analisi comparativo puo’ escludere che il virus che circola sia derivato da un esperimento”.
Sul Corriere della Sera della stessa data di giovedì 26 marzo 2020 troviamo le ulteriori spiegazioni della curatrice del TGR Leonardo Silvia Rosa Brusin: “Il pezzo del 2015 si riferiva ad un esperimento fatto con fondi americani e cinesi che avrebbe dovuto essere un avvertimento per il mondo. Tra i due virus non c’e’ parentela”. Quindi si fa intervenire Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità : ”Tutti i gruppi di ricerca scientifica internazionali hanno condiviso le sequenze genetiche dei ceppi isolati e non e’ mai stato ipotizzato lo scenario (della mano dell’uomo)”. E sempre in riferimento allo studio di Nature Medicine del 17 marzo: “Proprio per ricostruire la storia (del nuovo virus che sta sconvolgendo il mondo) i ricercatori insistono che sarà fondamentale identificare l’ospite intermedio tra il pipistrello e l’uomo… Non vengono ritenute plausibili le ipotesi che a fare da ospite intermedio siano stati il serpente e il pangolino. Il veicolo della SARS sembra sia stato lo zibetto. Quello della MERS, altra polmonite da coronavirus diffusa nella penisola arabica, il cammello”. E sempre sulla stessa pagina del Corriere si riferisce la presa di posizione della rivista ScitechDaily a firma dello Scrips Institute di Virologia. Il titolo dice tutto: “Nessuna evidenza che il coronavirus di covid19 sia il risultato dell’ingegneria genetica di laboratorio. L’epidemia ha una origine naturale”.
Su il Fatto Quotidiano del 27 marzo 2020, con un articolo a firma di Laura Margottini, si riportano i dubbi del Bullettin of Atomis Scientists sulla sicurezza del sito scientifico di Wuhan.
(Sotto riportiamo il più recente articolo del Bullettin).
Il Bullettin, con l’esperto Richard Ebright, concorda con i massimi esperti internazionali di biosicurezza che SARSCOV2 non sia stato manipolato in laboratorio allo scopo di creare un’arma biologica, ma non esclude la fuoriuscita accidentale da materiale organico mal gestito.
A Wuhan i centri di ricerca hanno un basso livello di sicurezza: BSL-2 non BSL-4 (la definizione dei livelli e’ stata messa a punto dal CDC di Atlanta).
Non sarebbero quindi adeguati ai rischi che con i loro esperimenti stanno correndo.
“L’articolo di Nature Medicine, sostiene Ebright, offre una base solida per escludere che il virus sia stato creato di proposito in laboratorio, ma non puo’ altrettanto escludere che un progenitore del SARSCOV2 sia stato fatto evolvere su cellule umane nel tempo e che possa essere sfuggito nell’ambiente a causa di un incidente”.
Infine la Margottini cita Thomas Gallagher, virologo alla Loyola University di Chicago, che invece respinge l’idea che la pandemia potrebbe avere origine da un incidente di laboratorio.
“Gli autori dello studio di Nature sostengono che la SARSCOV2 e’ nata negli animali, non in un laboratorio di ricerca. E l’ipotesi che sia fuoriuscito da un laboratorio e’ indifendibile”.
La Margottini conclude: “L’argomento non può essere considerato chiuso senza ulteriori approfondimenti. Tracciare l’origine dell’epidemia e’ importante tanto quanto trovare cure e vaccini contro il Covid19”.
Aggiungiamo noi: al limite, anche se questo disgraziato evento dello scienziato cinese che inciampando “alla Fantozzi o alla Crozza” avesse fatto cadere e rompere una provetta con il virus fosse avvenuto, bisognerebbe pur sempre prendere atto che qualche folle della nostra specie, al servizio della logica della potenza, ha soggiaciuto ad un impulso di presunzione e onnipotenza, al punto da avviare una mirata contaminazione sui suoi simili. Una operazione (americana o cinese o di quanti altri: importa davvero?) che sarebbe con ogni evidenza sfuggita dal controllo dei fautori e della quale la natura si e' appropriata per dare a tutti gli esseri umani una sonora lezione. E succede come sempre che a farne le spese sono e saranno i più deboli e meno colpevoli rispetto a chi ha volontariamente innescato il meccanismo…
Pensiamo che si debba finirla con la ricerca di facili capri espiatori siano essi cinesi, americani, o quanti altri. Per un motivo semplicissimo: gli untori, in un certo senso, siamo tutti noi! Con responsabilità differenziate, e’ ovvio, perché l’élite dell’1% ha organizzato il sistema e ne gode (si fa per dire: l’alienazione dell’egocentrismo lascia sempre l’amaro in bocca di appagamenti vuoti) i principali vantaggi. Ma i piu’ oggi guardano ad essa, con il consumismo praticato e desiderato, come a un modello culturale da imitare. L’equipaggio non si ammutina ed anzi guarda con ammirazione i comandanti condividendo i loro valori.
Persino i poveri che vivono sotto i ponti, per lo più, hanno lo stesso sogno di felicità di un Berlusconi!
Le eccezioni al momento sono minoritarie ed anche con le idee abbastanza confuse. Almeno cosi' mi appare la situazione (e spero che il mio pessimismo sia presto smentito).
Siamo quindi noi che , al timone della barca, come equipaggio di supporto o nella stiva come rematori, stiamo attaccando gli equilibri dell’ecosistema che ci ha creati (ecco il concetto della terrestrita’ sviluppato come formula originale dal sottoscritto sulla base di una idea originaria di Edgar Morin) e che quindi dobbiamo a questo punto aspettarci la logica e spietata risposta di Gaia per ripristinarli. Non come espressione di una volontà deliberata ma perché i sistemi tendono spontaneamente a mantenere il loro equilibrio.
La relazione tra la pandemia e le profonde trasformazioni che il Pianeta sta subendo sono l’oggetto di una intervista rilasciata dal professor Gianni Tamino sul Manifesto del 26 marzo 2020.Titolo: “Il virus e’ la malattia del pianeta stressato”. Gianni Tamino e’ docente di biologia generale all’università di Padova. Tamino e’ un sostenitore della “decrescita” e lo si capisce chiaramente dalle risposte che da’ all’intervistatore Francesco Bilotta.(L’intervista di Francesco Bilotta a Gianni Tamino si trova al link: https://ilmanifesto.it/il-virus-e-la-malattia-del-pianeta-stressato/)
In breve, secondo Gianni Tamino, bisogna pensare al Covid19 come a “una reazione allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta… Per arginare (questa e le) future epidemie dobbiamo modificare il nostro rapporto con l’ambiente, ma anche potenziare le strutture sanitarie pubbliche che vengono smantellate in tutti i paesi”.
Come ci suggeriscono le spiegazioni di Gianni Tamino, quando pensiamo all’emergenza sanitaria da Covid19 non dovremmo rifarci principalmente alle beghe geopolitiche, alla caccia all’untore cinese o americano, a chi sta meglio e furbescamente manovrando sporco per soggiogare il mondo. Dovremmo invece soffermarci e meditare sulle varie emergenze ecologiche, sull’intreccio tra emergenza climatica e nucleare nel loro rapporto con la disuguaglianza sociale. Tutte queste emergenze sono radicate in un modello sociale guidato da una visione del mondo meccanicistica, militaristica, antropocentrica in cui l’essere umano si colloca da dominatore separato rispetto alla comunita’ dei viventi e in cui si persegue una accumulazione senza limiti di potere e di ricchezza.
Le infezioni passano dagli animali all’uomo perché devastiamo e distruggiamo l’habitat delle specie selvatiche, sconvolgendo l’equilibrio tra gli animali e i micro-organismi come i batteri e i virus.
La stabilita’ ecologica globale del pianeta: questa e’ la condizione che dobbiamo ripristinare se vogliamo veramente uscire anche dall’emergenza sanitaria contrapponendo alla globalizzazione, appunto, la terrestrita’. Che significa comunicazione universale ma ritorno al locale delle attività produttive e di consumo rese ecologicamente compatibili: cosi’ si tutela la salute e si riduce l’impronta ecologica lasciando spazio alla diversità di specie, culture ed economie.
Si pensi al solo settore agro-alimentare come lo inquadra l’ecofemminista Vandana Shiva e a come lei proponga delle soluzioni all’insegna del rispetto della Madre Terra, cui l’uomo appartiene: “La crisi del coronavirus deve diventare l’occasione per fermare i processi che minano la nostra salute e quella del pianeta e per avviare invece un processo che le rigeneri entrambe”. (Vandana Shiva sul Manifesto del 26 marzo 2020: Sistema malato, la lezione del coronavirus. Articolo rinvenibile alla URL: https://ilmanifesto.it/sistema-malato-la-lezione-del-coronavirus/).
E’ quanto proponiamo da disarmisti esigenti, convinti che disarmo, ecologia e giustizia sociale siano un’unica lotta internazionale.
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La Cina e l'Asia, con le loro "pseudo-tradizioni" alimentari dove mangiano "praticamente di tutto", unite alla scarsità di condizioni igieniche, e alla sovra-popolazione (altro problema mondiale tabù che pochi osano affrontare) sono responsabil,i dal dopoguerra in po, della maggior parte delle pandemie virali! Tralascio le "pseudo tradizioni mediche" che contribuiscono all'estinzione di molte specie animali in Africa e il bracconaggio.
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Smentita ogni ipotesi complottistica: la fonte più probabile del nuovo coronavirus restano pipistrelli e pangolini
Il coronavirus Sars-Cov-2 è emerso a Wuhan, in Cina, a fine 2019 e da allora ha causato un’epidemia, trasformatasi in pandemia, battezzata Covid-19, che si è diffusa in più di 160 altri Paesi, scatenando paure, accuse e fake news, tesi complottistiche e un’ipotesi che per un certo periodo è andata per la maggiore: il virus era sfuggito (o fatto fuggire, o diffuso) da un laboratorio.
Andersen conferma: «Confrontando i dati disponibili sulla sequenza del genoma per ceppi di coronavirus noti, possiamo stabilire con certezza che la Sars-Cov-2 ha avuto origine attraverso processi naturali».
Alla Scripps Research ricordano che «i coronavirus sono una grande famiglia di virus che possono causare malattie che variano ampiamente per gravità. La prima malattia nota causata da un coronavirus è emersa con l’epidemia di sindrome respiratoria acuta grave (Sars) del 2003 in Cina. Un secondo focolaio di malattia grave è iniziato nel 2012 in Arabia Saudita con la sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers).
Il 31 dicembre dello scorso anno, le autorità cinesi hanno avvisato l’Organizzazione Mondiale della Sanità di un focolaio di un nuovo ceppo di coronavirus che causava gravi malattie, che in seguito fu chiamato Sars-Cov-2. Al 20 febbraio 2020, sono stati documentati quasi 167.500 casi Covid-19, sebbene molti altri casi lievi siano probabilmente non diagnosticati. Il virus ha ucciso oltre 6.600 persone».
Poco dopo l’inizio dell’epidemia, gli scienziati cinesi hanno sequenziato il genoma della Sars-Cov-2 e reso disponibili i dati ai ricercatori di tutto il mondo. Il nuovo studio evidenzia che «i risultanti dati sulla sequenza genomica hanno dimostrato che le autorità cinesi hanno rapidamente rilevato l’epidemia e che il numero di casi Covid-19 è aumentato a causa della trasmissione da uomo a uomo dopo una singola introduzione nella popolazione umana». Andersen e il suo team internazionale hanno utilizzato questi dati di sequenziamento per esplorare le origini e l’evoluzione di Sars-Cov-2 concentrandosi su diverse caratteristiche rivelatrici del virus.
Gli scienziati, grazie a un finanziamento dell’US National Institutes of Health, the Pew Charitable Trusts, the Wellcome Trust, dell’European Research Council e dell’ARC Australian Laureate Fellowship, hanno analizzato il modello genetico per i picchi delle proteine dei picchi, le “armature” esterne che il virus che utilizza per agganciare e penetrare le pareti esterne delle cellule umane e animali. In particolare, si sono concentrati su due importanti caratteristiche della proteina spike: il receptor-binding domain (RBD), una specie di uncino che si aggrappa alle cellule ospiti e il sito di scissione, una specie di apriscatole molecolare che consente al virus di aprire le cellule ospiti e penetrarvi dentro.
Gli scienziati hanno scoperto che «la porzione di RBD del picco delle proteine Ars-Cov-2 si era evoluta per colpire efficacemente una caratteristica molecolare all’esterno delle cellule umane chiamata ACE2, un recettore coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna». Infatti, la proteina del picco Sars-Cov-2 è così efficace nel legarsi alle cellule umane che gli scienziati hanno concluso che «è il risultato della selezione naturale e non il prodotto dell’ingegneria genetica».
Un’evidenza dell’evoluzione naturale è stata confermata dai dati sulla struttura molecolare complessiva del Sars-Cov-2. Gli scienziati evidenziano che «se qualcuno avesse cercato di ingegnerizzare un nuovo coronavirus come patogeno, lo avrebbe costruito dalla struttura portante di un virus noto per causare malattie». Ma gli scienziati hanno scoperto che la struttura portante del Sars-Cov-2 differiva sostanzialmente da quella dei coronavirus già noti e assomigliava per lo più a «virus correlati trovati nei pipistrelli e nei pangolini». Andrsen aggiunge: «Queste due caratteristiche del virus, le mutazioni nella porzione RBD della proteina spike e la sua distinta struttura portante, escludono la manipolazione di laboratorio come una potenziale origine per Sars-Cov-2».
Secondo Josie Golding, responsabile delle epidemie al Wellcome Trust UK, «i risultati di Andersen e dei suoi colleghi sono di fondamentale importanza per fornire una visione basata sulle prove rispetto alle voci che circolano sulle origini del virus (Sars-Cov-2) che ha causato la Covid-19. Concludono che il virus è il prodotto dell’evoluzione naturale, ponendo fine a qualsiasi speculazione su una deliberata ingegneria genetica».
Sulla base dell’analisi del sequenziamento genomico, il team di Andersen ha concluso che le origini più probabili per SARS-CoV-2 derivano da uno di due possibili scenari. Nel primo scenario, il virus si è evoluto al suo attuale stato patogeno attraverso la selezione naturale in un ospite non umano e poi ha fatto il salto nell’uomo. «E’ così – ricordano i ricercatori – che sono emersi i precedenti focolai di coronavirus, con gli esseri umani che hanno contratto il virus dopo l’esposizione diretta agli zibetti (Sars) e ai cammelli (Mers)». I ricercatori hanno indicato i pipistrelli come il serbatoio più probabile per Sars-Cov-2 «in quanto è molto simile a un coronavirus di pipistrello». Il problema è che non ci sono casi documentati di trasmissione diretta pipistrello-umano, il che suggerisce che ci sia stato un ospite intermedio tra pipistrelli ed esseri umani. Gli scienziati spiegano ancora che «in questo scenario, entrambe le caratteristiche distintive della proteina spike di Sars-Cov-2 – la porzione di RBD che si lega alle cellule e il sito di scissione che apre il virus – si sarebbero evolute al loro stato attuale prima di penetrare nell’uomo. In questo caso, l’attuale epidemia sarebbe probabilmente emersa rapidamente non appena gli esseri umani fossero stati infettati, poiché il virus avrebbe già sviluppato le caratteristiche che lo rendono patogeno e in grado di diffondersi tra le persone».
Nel secondo scenario proposto, una versione non patogena del virus sarebbe passata da un ospite animale a un essere umano e poi si sarebbe evoluta all’interno della popolazione umana fino ad assumere il suo attuale stato patogeno. «Ad esempio – dicono i ricercatori – alcuni coronavirus di pangolini, mammiferi simili all’armadillo che si trovano in Asia e in Africa, hanno una struttura RBD molto simile a quella della Sars-Cov-2. Un coronavirus avrebbe potuto essere trasmesso da un pangolino a un essere umano, direttamente o attraverso un ospite intermedio, come zibetti o furetti. Quindi l’altra caratteristica distinta della proteina spike di Sars-Cov-2, il sito di scissione, potrebbe essersi evoluta all’interno di un ospite umano, probabilmente attraverso una circolazione non rilevata, limitata tra la popolazione umana, prima dell’inizio dell’epidemia». I ricercatori hanno scoperto che «il sito di scissione Sars-Cov-2 sembra simile ai siti di scissione di ceppi dell’influenza aviaria che hanno dimostrato di trasmettersi facilmente tra le persone. Sars-Cov-2 avrebbe potuto evolvere un sito di scissione così virulento nelle cellule umane e dare il via presto all’attuale epidemia, poiché il coronavirus sarebbe diventato molto più in grado di diffondersi tra le persone».
Rambaut conclude avvertendo che «a questo punto è difficile, se non impossibile, sapere quale degli scenari è più probabile. Se la Sars-Cov-2 è penetrata nell’uomo nella sua attuale forma patogena da una fonte animale, questo aumenta la probabilità di futuri focolai, dato che il ceppo del virus che causa la malattia potrebbe ancora circolare nella popolazione animale e potrebbe saltare ancora una volta negli esseri umani. Le probabilità sono inferiori per un coronavirus non patogeno che entra nella popolazione umana e quindi evolve proprietà simili a Sars-Cov-2».
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https://www.fanpage.it/attualita/coronavirus-parla-lesperto-galli-non-e-nato-in-laboratorio-come-dicono-i-complottisti/
“Appare evidente che è un virus che si è evoluto e cresciuto in natura, non certo in laboratorio, come ipotizzato da alcuni complottisti”, afferma Massimo Galli, esperto di malattie infettive e primario all’ospedale Sacco di Milano. La precisazione vuole sottolineare che se qualcuno avesse voluto mettere intenzionalmente in circolazione un’epidemia “avrebbe usato quello della Sars che era già pronto”. Ma “non ha senso farne uno simile, solo in parte, a uno già esistente”.
Il Sars-Cov-2 non può essere stato creato in laboratorio: lo afferma Massimo Galli, esperto di malattie infettive e primario all'ospedale Sacco di Milano. Se fosse stato realizzato in provetta sarebbe identico ad altri già esistenti, come ad esempio quello della Sars, ha spiegato Galli. L'esperto ha appena pubblicato uno studio dettagliato sulle caratteristiche del virus: "Appare evidente che è un virus che si è evoluto e cresciuto in natura, non certo in laboratorio, come ipotizzato da alcuni complottisti", si legge.
Quindi viene spiegato che se fosse stato creato in laboratorio, appunto come riportano alcune teorie, "avrebbe avuto una partenza più piatta e un'evoluzione diversa". Un altro punto importante che viene evidenziato è che il Sars-Cov-2 "è molto simile, ma non completamente identico, ad altri coronavirus". Il primario milanese quindi prosegue: "Uno studio pubblicato su Lancet la scorsa settimana ha mostrato che il nuovo coronavirus è uguale a quello del pipistrello per l'88%, a quello della Sars per il 79% e a quello della Mers per il 50%". La precisazione di Galli vuole sottolineare che se qualcuno avesse voluto mettere intenzionalmente in circolazione un'epidemia "avrebbe usato quello della Sars che era già pronto". Ma "non ha senso farne uno simile, solo in parte, a uno già esistente".
Queste teoria, continua, non tengono infine conto del fatto che un esperto capirebbe subito se si trattasse di un virus creato in laboratorio: "Se io volessi fare un supervirus dell'influenza che di per sé è costituito da 8 geni, dovrei mettere insieme 8 geni di provenienza diversa, il cui percorso potrebbe essere individuato facilmente da un esperto del campo. Quello che abbiamo è invece un virus che si è evoluto a partire da quello del pipistrello, a cui è uguale per l'88%"
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“Anche quando sono molto inefficaci, con pochi morti, come nel caso delle lettere all’antrace negli USA, le armi biologiche sono considerabili come armi di ‘rottura’ di massa poichè possono gettare un’intera nazione nel caos. Le armi biologiche influenzeranno molti aspetti della nostra vita di routine, mandandoli fuori schema. Porteranno il terrorismo sulla soglia di casa di ognuno di noi”. Così scriveva nel 2004 l’ufficiale indiano Sharad S. Chauhan nell’introduzione del suo libro “Biological Weapons”, tracciando un affresco che parrebbe realizzarsi oggi, sebbene il virus SARS-CoV-2, meglio noto al pubblico col nome della malattia, Covid-19, venga considerato dai più di origine naturale. E vogliamo comunque pensare che lo sia, anche perchè, storicamente, dalla Cina e in genere dall’Asia, si sono sempre diffuse pandemie che hanno raggiunto l’Europa per via di terra o di mare. E’ chiaro però che in sede di riflessioni geopolitiche non ci si può esimere perlomeno dal rilevare alcuni fatti quantomeno curiosi, lasciando il beneficio del dubbio. E del mistero.
Non è facile tracciare una, peraltro parziale, interpretazione dell’attuale pandemia di virus Covid-19 dal punto di vista dei suoi possibili aspetti strategici e militari. Le informazioni liberamente disponibili possono spesso essere intossicate dalle cosiddette “fake news”, o come preferiremmo dire noi “fandonie”, e da ipotesi complottistiche di ogni tipo.
![5d85234d-94e9-4f9c-9195-a735251b224a](https://www.analisidifesa.it/wp-content/uploads/2020/03/5d85234d-94e9-4f9c-9195-a735251b224a.jpg)
Per ora l’unica certezza assodata è che lo sconvolgimento causato sugli assetti economici mondiali rischia di essere molto duraturo, e forse di mettere pesantemente in discussione il processo di globalizzazione degli ultimi trent’anni, che ha avuto uno dei suoi epicentri proprio nel delegare alla Cina la funzione di “manifattura universale”, attirandovi per decenni investimenti stranieri e delocalizzazioni produttive di ogni risma.
L’emergenza è reale, forse più ancora nelle sue ricadute psicologiche in economia, che nella pur drammatica mortalità, la quale, per fortuna, non è per il momento paragonabile a quella delle grandi pandemie dei secoli passati.
La Peste Nera del XIV secolo uccise nella sola Europa un terzo degli abitanti in appena tre anni, dal 1347 al 1350, mietendo secondo le stime degli storici 25 milioni di morti su un totale di circa 75 milioni di persone che allora vivevano nel nostro continente.
Bilancio terribile fu anche quello, in tempi più recenti, della celebre influenza Spagnola, quella che furoreggiò dal 1918 al 1920, segnando gli ultimi mesi della Prima Guerra Mondiale e i primi mesi del caotico dopoguerra, e che prese il nome non dalla sua origine, in realtà localizzata negli Stati Uniti, ma dal semplice fatto che a darne notizia per prima fu la stampa della Spagna neutrale, non soggetta a censura bellica.
![ap20039174193950-web](https://www.analisidifesa.it/wp-content/uploads/2020/03/ap20039174193950-web.jpg)
Nel caso della spagnola, che essendo dovuta a un virus influenzale è simile nelle modalità di trasmissione all’odierna epidemia, i morti furono almeno 50 milioni in tutto il mondo, di cui 600.000 in Italia (pari suppergiù al numero dei militari caduti al fronte!), anche se c’è chi propende per i 100 milioni.
Al momento attuale il Covid-19 sembra avere un decorso tragico in una parte minoritaria, seppur cospicua, dei contagiati e le problematiche più critiche nello specifico dell’Italia sono il congestionamento e il rischio di collasso del sistema sanitario nazionale per carenza di posti letto di terapia intensiva, complici gli scriteriati tagli finanziari alla sanità pubblica susseguitisi negli ultimi anni. La guardia non va però abbassata nemmeno sotto l’aspetto della pura mortalità, perchè il virus, nelle sue infinite replicazioni, potrebbe mutare in forme ancor più aggressive, sebbene gli scenari peggiori restino per il momento un’ipotesi degli specialisti in biochimica.
La Cina indebolita
Dal canto nostro possiamo rilevare che l’emergenza si annuncia prolungata nel tempo, avendo anche gli altri Stati dell’Unione Europea varato misure di blocco della vita socio-economica paragonabili a quelle italiane e, prima ancora, cinesi. Poichè la Cina è stato il paese dove prima di ogni altro il virus si è manifestato, e dove l’arginamento registratosi attorno al 15 marzo del 2020 sembra avere avuto un relativo successo, i dati divulgati il 16 marzo dalle autorità di Pechino circa le conseguenze dell’epidemia nei primi due mesi dell’anno possono già dare una vaga idea dello sconquasso.
A parte i lutti, che comunque non hanno prezzo dati gli aspetti spirituali ed emozionali irriducibili alle catene del livello economico, la Cina, come “sistema”, ha subìto un crollo del 13,5 % della produzione industriale e un calo del 20,5 % della domanda interna, cioè i consumi dei cinesi, mentre gli investimenti sono affondati del 24 %.
Nelle stesse ore la Banca Centrale Cinese ha stabilito un intervento di sostegno da 100 miliardi di yuan, oltre 14 miliardi di dollari, per le banche commerciali del paese in modo da assicurare crediti alle aziende in crisi.
![merlin_167777571_1a91d6f7-8887-4bb7-b1e9-007bfb0e66c3-superJumbo](https://www.analisidifesa.it/wp-content/uploads/2020/03/merlin_167777571_1a91d6f7-8887-4bb7-b1e9-007bfb0e66c3-superJumbo.jpg)
E’ presto per dire che la “locomotiva” del mondo sia deragliata, ma non c’è dubbio che l’epidemia sia calata come una mannaia su una Cina che già aveva chiuso il 2019 all’insegna di svariate preoccupazioni strutturali.
Il 17 gennaio 2020, quando ancora l’epidemia era agli inizi, il responsabile dell’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino, Ning Jizhe, divulgava i dati aggiornati a fine 2019 che davano la popolazione del paese a 1,435 miliardi di persone, lamentando tuttavia il continuo calo delle nascite, indizio di un invecchiamento del paese. Rispetto alla gran massa cinese, nel 2019 sono nati “solo” 14,65 milioni di bambini, pari a un tasso di natalità di 10,48 ogni mille persone.
E’ il terzo anno consecutivo di calo delle nascite, dopo che nel 2017 queste erano calate a 17,23 milioni (tasso del 12,43) rispetto alle 17,86 milioni (tasso 12,95) del 2016. Nel 2018 erano poi scese a 15,23 milioni (tasso 10,94), per poi, appunto calare ancora di 580.000 “culle vuote”. Da quando Mao Zedong fondò la Repubblica Popolare nel 1949, non sono mai nati così “pochi” bambini in Cina come nel 2019, e alla luce degli sconvolgimenti che il Covid-19 si lascerà dietro è presumibile che anche nel 2020 e forse negli anni successivi potrebbe consolidarsi un’ulteriore diminuzione di natalità.
E’ chiaro che gli effetti pratici in fatto di calo della manodopera si avranno fra una ventina d’anni, quando i nuovi nati entreranno nell’età adulta, ma la prospettiva di un invecchiamento della società cinese analogo, fatte le debite proporzioni, a quello dei paesi occidentali spaventa già adesso una classe dirigente, quella di Pechino, che già di per sè tende a fare programmi a lunga scadenza.
L’Ufficio Nazionale di Statistica ha anche lanciato l’allarme sul fatto che il rallentamento demografico si sta abbinando a un rallentamento della crescita del Prodotto Interno Lordo. Il 2019 è stato per la Cina non solo l’anno col più basso tasso di natalità degli ultimi 70 anni, ma anche quello con la crescita del PIL più bassa, il 6,1 % contro il 6,6 % del 2018. Il PIL cinese cresce sempre meno per vari fattori, registrati dagli economisti, come il calo dei consumi interni, indice di una minor fiducia nel futuro, e una stagnazione delle esportazioni, che nel 2019 sono aumentate solo dello 0,5 %, come riflesso del braccio di ferro con l’America sui dazi.
Come se non bastasse, incombe il crescente indebitamento della Cina a tutti i livelli, privato e pubblico, arrivato al 155 % del PIL. Le insolvenze dei debiti societari sono arrivate a 130 miliardi di yuan (18,7 miliardi di dollari) nel 2019, rispetto ai 121,9 miliardi di yuan del 2018, quando c’era stato un balzo rispetto ai soli 26,6 miliardi di yuan del 2017.
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E’ quindi su una nazione già in affanno che si è abbattuta la “piaga biblica” del Covid-19, questo microscopico essere che minaccia di affossare quello che avrebbe dovuto essere “il secolo cinese”. Al diretto impatto del virus sul tessuto industriale e commerciale cinese, a causa del blocco totale di gigantesche aree come quella dell’Hubei, ma anche altri distretti nevralgici, vanno aggiunte infatti le conseguenze che potrebbe portare sul commercio internazionale.
Cina a parte, se l’emergenza nel resto del mondo dovesse durare troppo tempo, potrebbero levarsi dubbi crescenti sull’opportunità di proseguire con una globalizzazione spinta.
Già di per sè le epidemie pongono ostacoli alla libera circolazione internazionale delle persone, ma in senso indiretto possono coinvolgere anche le merci e la divisione internazionale del lavoro. Prendiamo ad esempio il problema delle mascherine sanitarie di cui si è registrata carenza in Italia, poichè venivano tutte importate dall’estero, tanto che si è iniziato a invocarne una produzione nazionale, leggi “autarchica”.
Discorso simile lo si potrebbe fare per l’arresto della filiera industriale, specie automobilistica, in molti paesi europei per l’interruzione dell’arrivo di parti meccaniche dall’Asia.
E’ plausibile che, per estensione, e per proteggere i posti di lavoro minacciati dalla nuova crisi, col tempo le nazioni occidentali possano ripensare la delocalizzazione, anche con decisi diktat degli Stati, preferendo aumentare la quota di prodotti fabbricati, o almeno “trasformati”, all’interno dei propri confini, a discapito dei prodotti finiti importati dall’estero, e nello specifico dalla Cina (ma lo stesso discorso, almeno in linea di principio, potrebbe valere anche per il “made in Turkey, Bangladesh, India”, eccetera). La tendenza a ritornare, almeno parzialmente, a fabbricarci in patria molti prodotti finiti, a bassa, ma forse anche ad alta tecnologia, finora demandati al “made in China” potrebbe essere devastante per il Dragone, che proprio sulle esportazioni di massa ha fondato la sua uscita dalla povertà, a partire dai timidi esperimenti avviati da Deng Xiao Ping nel 1979 con le prime Zone Economiche Speciali.
In ogni senso, quindi, la Cina potrebbe essere la nazione che più di tutte paga “dazio”, è il caso di dirlo, al virus, nel senso che gran parte dei danni subiti dalle economie occidentali potrebbero, almeno teoricamente, essere ancora “scaricati” sulla stessa Cina invertendo, a poco a poco, la tendenza a far costruire ai cinesi un mucchio di merci, dai cacciavite ai cellulari, che qualsiasi paese occidentale è in grado di produrre sul suo territorio.
In effetti, il gioco dei cambi valutari fra le varie monete che finora ha reso redditizia la delocalizzazione potrebbe entrare in crisi risentendo delle perturbazioni a cascata a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, sempre a causa dell’epidemia.
Il concomitante scenario saudita
Le perdite delle maggiori borse, sia in Europa, sia negli Stati Uniti, e il bisogno di liquidità hanno già spinto il 15 marzo la Federal Reserve a ridurre i tassi d’interesse del dollaro fra 0 e 0,25 %, quasi nulla, e a impegnarsi a comprare ben 700 miliardi di dollari in titoli.
Ma poche ore dopo, il 16 marzo, le borse mondiali seguitavano nonostante ciò a perdere terreno, spingendo il Fondo Monetario Internazionale a impegnarsi per 1.000 miliardi di dollari. Una tempesta del genere è aggravata dalla sovrapproduzione di petrolio che a causa della guerra al ribasso fra Russia e Arabia Saudita, non esclusi gli USA che sgomitano con il loro “shale oil”, ha fatto segnare il 16 marzo un record di soli 29 dollari al barile, dopo una continua discesa. Il brusco calo della domanda di greggio a causa dell’arresto dell’economia e dei trasporti, specie quelli aerei, in tutto il mondo rischia di far collassare il mercato dell’oro nero ponendo in difficoltà soprattutto l’Arabia Saudita, che per pareggiare il suo deficit di bilancio ha bisogno di un prezzo di ben 80 dollari al barile, mentre la Russia inizia a “perderci” solo da quando il prezzo scende sotto i 40 dollari.
E ciò senza contare il fatto che l’economia dell’Arabia Saudita è assai poco diversificata, mentre la sua stabilità politica è un’incognita se si considerano i nuovi arresti ordinati dall’uomo forte del paese, il principe ereditario Mohammed Bin Salman, vicepremier e ministro della Difesa. Il 7 marzo 2020 Bin Salman ha fatto arrestare con l’accusa di preparare un colpo di stato tre suoi parenti della famiglia reale, cioè suo fratello principe Ahmed, l’ex-principe ereditario Mohammed Bin Nayaf, che era designato alla successione dell’anziano re Salman fra il 2015 e il 2017, quando fu “scavalcato” dall’ambizioso Bin Salman, e il di lui fratello Nawaf Bin Nayef.
Non pago, il 16 marzo il principe ereditario ha anche sbattuto in gattabuia, tramite la Nazaha, la Commissione anticorruzione nazionale saudita, ben 298 funzionari governativi, militari, giudici, insomma la “crema” dell’apparato statale saudita, accusati di “corruzione, abuso di ufficio e dell’appropriazione indebita”.
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Una simile purga, che ricorda quella attuata da Bin Salman nell’autunno 2017, conferma che a Riad il clima è torbido e che la posizione dell’ambizioso principe è insicura. I contraccolpi economici causati dal virus stanno mandando in rosso i bilanci sauditi mettendo a rischio i sogni di riforma e modernizzazione del paese che Bin Salman pronosticava entro il 2030.
Mentre l’85enne re Salman, suo padre, si avvia al tramonto, il principe e i suoi avversari sono impegnati in una lotta senza esclusione di colpi che potrebbe portare il paese petrolifero a una difficilissima situazione, già aggravata dal crollo dei prezzi del barile.
E’ chiaro che se l’Arabia Saudita, già impegolata nella lunga guerra in Yemen, “saltasse”, in termini di rivolte, golpe, tentati golpe o guerra civile, ci sarebbero fortissimi contraccolpi sul valore del dollaro, la cui forza come massima moneta internazionale è dovuta in gran parte allo status di petroldollaro basato sull’asse fra Washington e Riad. In caso contrario infatti la Federal Reserve non potrebbe stampare montagne di biglietti verdi senza il rischio che il loro valore cali troppo bruscamente. Ecco quindi che, mettendo da parte lo specifico teatro del Medio Oriente, che in questa sede non ci interessa approfondire, per vie indirette, il virus può danneggiare la Cina anche mettendo potenzialmente in discussione (almeno in parte) gli assetti valutari e quelle differenze di valore monetario che avevano fin qui avvantaggiato gli investimenti produttivi nel colosso asiatico.
Attacco biologico?
Fin dal suo erompere alla fine del 2019 nella città cinese di Wuhan e nella relativa provincia dell’Hubei, l’epidemia di Covid-19 ha portato al proliferare di voci non confermabili che, da un lato parlavano di una “fuga”, per errore umano, del virus dal laboratorio virologico della città-epicentro, noto come Istituto di Virologia di Wuahn dell’Accademia delle Scienze Cinese, in cinese Zhōngguó Kēxuéyuàn Wǔhàn Bìngdú Yánjiūsuǒ, che da anni è fra i principali centri di ricerca della Cina, dall’altro insinuavano che alla base dell’evento ci fosse stato un vero e proprio attacco di guerra biologica ai danni della Cina, poi sfuggito di mano e dilagato in tutto il mondo.
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Voci che non meriterebbero più di tanto credito, se non fosse che il 12 marzo 2020 perfino un pezzo grosso del Ministero degli Esteri di Pechino ha accusato apertamente gli americani di essere all’origine dell’epidemia. Zhao Lijian, portavoce del ministero e vicecapo del dipartimento informativo del medesimo, ha dichiarato pubblicamente su Twitter che “il virus potrebbe essere stato portato a Wuhan da un soldato americano durante i Giochi Militari”. E a ribadire un’origine statunitense del virus, postava un intervento video dello scienziato americano Robert Redfield, in cui egli sosteneva che alcune morti di polmonite verificatesi in America nelle settimane precedenti erano state a posteriori confermate esser dovute al Covid-19.
Zhao si riferiva a un preciso evento sportivo internazionale tenutosi proprio nella città-epicentro del morbo lo scorso autunno, ovvero la settima edizione dei Military World Games, che fra l’altro era ospitata per la prima volta dalla Cina.
I giochi si sono svolti dal 18 al 27 ottobre 2019 e hanno visto arrivare a Wuhan ben 9300 atleti militari da 140 nazioni diverse. Per inciso, anche le Forze Armate italiane vi hanno partecipato, con una squadra di 165 elementi, fra atleti e staff, che hanno totalizzato buoni risultati, con un bottino di 28 medaglie, fra cui 4 ori, 12 argenti e 12 bronzi.
All’edizione di Wuahn è stato dato particolare significato in quanto doveva contribuire ad abbattere la diffidenza militare fra la Cina e i paesi del campo egemonico americano, perciò verso la fine dei giochi il presidente del Consiglio Internazionale dello Sport Militare (CISM), il colonnello francese Hervé Piccirillo, fra l’altro arbitro di calcio, dichiarava il 25 ottobre: “Questi sono giochi che segneranno la storia delle competizioni militari e svilupperanno nuove pratiche in futuro”.
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Piccirillo rilevava che, oltre a essere la prima edizione ospitata in Cina, quella di Wuhan è stata la prima olimpiade militare in grande stile in cui i cinesi hanno investito in notevoli infrastrutture: “E’ il messaggio che viene portato da un intero popolo, perché al di là dei giochi, sono tutti i cinesi a diffondere questo messaggio di solidarietà e di pace, che corrisponde all’amicizia attraverso lo sport”. La squadra degli atleti militari americani, composta da 300 elementi, è arrivata all’aeroporto Tianhe di Wuhan nell’arco di due giorni, fra il 15 e il 17 ottobre, andando ad alloggiare nell’attrezzato villaggio olimpico.
La presenza per diversi giorni di qualche centinaio di militari americani, ancorchè in veste sportiva, in una città ospitante non solo i Giochi Militari, ma anche uno dei maggiori laboratori di virologia della Cina e del mondo, è sicuramente degna di nota, anche solo come curiosa coincidenza, se non di più, considerando poi l’apparire dell’epidemia.
E se l’evento sportivo può aver offerto una copertura perfetta a qualche operazione occulta, a voler dar retta alle accuse di Zhao Lijian, anche la concomitanza della presenza nella città dell’importante laboratorio rappresenta un ideale “alibi” consentendo di incolpare facilmente gli stessi scienziati cinesi per una (vera o presunta) negligenza.
Un regime come quello cinese difficilmente lascerebbe spazio a un alto funzionario di esprimere accuse od opinioni a livello personale e pertanto è probabile che quello del portavoce Zhao non fosse un semplice sfogo, ma una precisa accusa agli Stati Uniti che il governo di Pechino ha voluto affidare a un sottoposto del ministro degli Esteri Wang Yi, per non esporre direttamente il ministro e lanciare a Washington un monito più sommesso: “Noi sappiamo”.
Le accuse circa un militare americano “untore” sono state sufficienti perchè il 13 marzo il Dipartimento di Stato USA convocasse l’ambasciatore cinese a Washington, Cui Tiankai, affinchè David Stilwell, sottosegretario di Stato per lo scacchiere Asia-Pacifico, nonchè ex-ufficiale dell’US Air Force, gli esprimesse “una severa rimostranza”.
Altre fonti del Dipartimento di Stato USA, rimaste anonime, hanno fatto sapere alla stampa che, con l’affondo del portavoce Zhao, “la Cina sta cercando di deviare le critiche per aver dato origine a una pandemia non dicendolo al mondo”. Anche a voler considerare una semplice casualità il passaggio in ottobre di militari stranieri per i giochi di Wuhan, v’è però da considerare un’altra inquietante coincidenza.
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Esattamente un mese prima dell’inizio dei Giochi Militari, ovvero il 18 settembre 2019, l’aeroporto Tianhe di Wuhan è stato teatro di un’esercitazione di contenimento biomedico, riguardante, come ipotesi di lavoro, “l’arrivo di un passeggero affetto da coronavirus”.
La notizia di questa esercitazione è passata in sordina, ma fra le poche testimonianze reperibili in rete che la confermerebbero oltre a svariate immagini, c’è un resoconto di Hubei TV che narra: “Nel pomeriggio del 18 settembre le dogane del Wuhan Tianhe Airport hanno ricevuto un rapporto da una linea aerea secondo cui ‘un passeggero non si sentiva bene, avendo difficoltà a respirare, e i suoi parametri vitali erano instabili’.
Immediatamente, le dogane dell’aeroporto hanno iniziato un piano di contenimento e hanno iniziato a trasferire il passeggero in ospedale. Due ore più tardi, il Centro Medico di Wuhan ha reso noto che al passeggero è stata clinicamente diagnosticata una infezione da Coronavirus”.
Il reportage citava anche un secondo tema di esercitazione, che era “un eccesso di radiazioni” dovuto a un passeggero che tentava di trafugare “un minerale dalla Birmania”. E concludeva inquadrando l’esercitazione nella preparazione delle misure di sicurezza proprio in previsione dei Giochi Militari: “A 30 giorni dall’inizio dei giochi, le dogane di Wuhan hanno fatto ogni sforzo per garantire la sicurezza degli scali e salvaguardare i giochi”.
E’ legittima la domanda del perché i cinesi possano aver pensato al rischio di un coronavirus proprio poche settimane prima dell’arrivo di militari stranieri, e nella fattispecie americani.
Ammesso, e non concesso, che i loro servizi segreti si aspettassero qualche contaminazione dall’esterno, potrebbero essere stati preavvertiti? Ed è forse per questo motivo che il governo cinese ha inizialmente tenuto una condotta riservata sull’esplodere dell’epidemia?
Pechino sostiene che il “paziente zero” di Wuhan deve aver contratto il virus per non meglio determinato “salto di specie” da un pipistrello o da un pangolino all’uomo, verificatosi forse per via alimentare al mercato di Wuhan intorno al 17 novembre 2019.
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La nuova specie di virus sarebbe stata ufficialmente isolata e classificata nei primi malati gravi di polmonite virale registrati nell’Hubei solo il 31 dicembre come SARS-CoV-2, poi sintetizzato in Covid-19.
Subito è emersa la parentela genetica del nuovo virus con quello della SARS che aveva suscitato paure, per poi essere arginato, a cavallo fra 2002 e 2003, avendo in comune l’appartenenza alla famiglia dei coronavirus.
Il superiore tasso di mortalità, inizialmente calcolato attorno al 2,5 %, e i tempi lunghi di incubazione, che facilitano la diffusione per via degli ignari contagiati asintomatici, hanno fatto capire subito alla sanità cinese che la malattia non era da sottovalutare.
Ma le direttive del regime volte inizialmente a minimizzare, nonchè il fatto che a Wuhan fosse presente il famoso laboratorio virologico hanno indotto a credere il virus si fosse diffuso a partire proprio dall’Istituto per un incidente.
E’ stato assodato ad esempio, poichè confermato il 16 febbraio dalla rivista del Partito Comunista Cinese “Qiushi”, che il presidente cinese Xi Jinping conosceva la gravità della situazione fin dal 7 gennaio 2020, quando nel corso di una riunione a porte chiuse del Politburo del partito ordinò di fermare a ogni costo l’infezione.
Cioè 13 giorni prima che, il 20 gennaio, egli parlasse in pubblico del virus. L’indomani, 21 gennaio, le autorità cinesi ammettevano per la prima volta che era confermata la trasmissione da umano a umano del virus.
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Dopo che fin dall’8 dicembre alcuni medici di Wuhan cercavano di dare l’allarme, salvo esser messi a tacere dal regime. Inoltre nel medesimo periodo veniva messo agli arresti domiciliari, per tenerlo lontano dalla scena, l’anziano medico che nel 2003 aveva rivelato i dati reali sull’epidemia di SARS, e che forse Pechino temeva potesse far altrettanto col coronavirus.
E’ il medico militare Jiang Yanyong, 88 anni, in pensione col grado di generale, la cui moglie Hua Zhongwei ha dichiarato il 9 febbraio: “Non è autorizzato a contatti col mondo esterno.
È a casa, la sua salute non è buona. E non sta bene neanche mentalmente. Non sta bene. Scusate, non è opportuno dire di più”. A rincarare la dose, parte della stampa americana pompava sulla possibilità della fuga del virus dai laboratori di Wuhan, specie dopo che il 24 gennaio il “Washington Times” ebbe vagheggiato un “programma cinese di armi biologiche” portato avanti nel centro ricerche di Wuhan e sfuggito al controllo. In verità ciò pare poco probabile per vari motivi.
Il centro virologico di Wuhan, fondato fin dal 1956, si è dotato fin dal 2015 di nuovi laboratori a cui è stato riconosciuto lo standard di sicurezza internazionale BSL-4, del quale si fregiano solo una cinquantina di istituti in tutto il mondo. Inoltre utilizzare un virus di tipo influenzale, per quanto con l’aggressività del ceppo SARS, per caricare testate belliche è militarmente insignificante data la mortalità comunque bassa, non paragonabile a quella di germi ben più letali, come il virus Marburg o il batterio del Botulino.
E allora perchè il governo cinese voleva minimizzare? Solo per prestigio nazionale? Forse solo per non mostrarsi vulnerabile a quello che potrebbe essere stato un attacco “lieve” portato in segreto.
Un duello segreto
Immaginiamo, pur senza dar loro eccessivo credito, che siano verosimili le accuse nei confronti dell’America. Se nel settembre 2019 i cinesi già conducevano un’esercitazione per fermare un ipotetico contagio da “coronavirus” arrivato dall’esterno all’aeroporto di Wuhan, è probabile che si aspettassero qualcosa.
Qualcuno della loro fitta rete di spionaggio negli Stati Uniti potrebbe averli avvisati di un qualche piano per sconvolgere l’economia cinese proprio nel pieno della battaglia commerciale dei dazi.
A riprova della quantità di “antenne” che la Cina mantiene in Nordamerica, non è forse un caso che proprio nel periodo dell’irrompere dell’epidemia il Dipartimento della Giustizia USA si sia mosso in tre direzioni diverse. Il 10 dicembre 2019 è stato arrestato da agenti dell’FBI all’aeroporto Logan di Boston il giovane cinese Zheng Zaosong, che tentava di trafugare in Cina “21 fialette di ricerche biologiche” nascoste in un calzino.
Zheng era entrato negli USA con una visa nell’agosto 2018, poi ha lavorato come ricercatore a Boston, al Beth Israel Deaconess Medical Center, dal 4 settembre 2018 al 9 dicembre 2019, quando ha rubato le fiale venendo però “pizzicato” in aeroporto. In galera già da varie settimane è stato formalmente accusato di contrabbando e frode il 21 gennaio 2020.
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Una settimana dopo, il 28 gennaio, è stata accusata pure di frode e spionaggio una ragazza cinese, Ye Yanqing, che entrata negli USA quasi tre anni fa spacciandosi per studente, ha frequentato dall’ottobre 2017 all’aprile 2019 il Dipartimento di Fisica, Chimica e Ingegneria Biomedica dell’Università di Boston.
Solo il 20 aprile 2019, interrogata dall’FBI all’aeroporto Logan, Ye ha ammesso di essere tuttora un tenente dell’Armata Popolare Cinese, nonchè membro del PCC.
Attualmente si trova in Cina. Sempre il 28 gennaio è stato arrestato perfino un “guru” dell’Università di Harvard, il dottor Charles Lieber, preside del Dipartimento di Chimica e Biochimica, nonchè mago delle nanotecnologie, per contatti poco chiari con la Cina, segnatamente per “conflitto d’interessi” avendo collaborato, dietro lauti compensi, dal 2012 al 2017 con l’Università della Tecnologia di Wuhan (ed ecco rispuntare Wuhan!) senza informare adeguatamente Harvard.
Chiaramente non è assolutamente provato che questi tre personaggi abbiano a che fare con le ipotesi relative al Covid-19, ma le loro vicende sono emblematiche della presumibile rete di studenti e accademici cinesi, o prezzolati da Pechino, che sorveglia l’attività scientifica, e dunque anche biochimica, degli americani. E senz’altro la sorveglianza è reciproca.
Per i cinesi, cercare di far finta di nulla nei primi tempi del contagio potrebbe essere stato un modo di lasciare gli americani nell’incertezza circa l’esito di una qualche operazione segreta. E il riserbo potrebbe anche essere dovuto alla cautela necessaria a non dare indizi che porterebbero allo scoperto preziosi informatori negli USA. Ricordate cosa avevamo scritto nelle prime righe di questo scritto, citando le parole di Chaunan?
“Anche quando sono molto inefficaci, con pochi morti, come nel caso delle lettere all’antrace negli USA, le armi biologiche sono considerabili come armi di ‘rottura’ di massa poichè possono gettare un’intera nazione nel caos. Le armi biologiche influenzeranno molti aspetti della nostra vita di routine, mandandoli fuori schema. Porteranno il terrorismo sulla soglia di casa di ognuno di noi”.
Detto in altri termini, seminare una forte polmonite in un paese avversario può sconvolgere quel tanto che basta il tessuto socio-economico nemico, lasciando gli avversari in un eterno dubbio, se si sia trattato cioè di un evento di origine naturale oppure artificiale. Ben difficilmente ci potrà essere infatti una prova definitiva dell’origine di questo virus. Il fatto che la pandemia si sia poi diffusa in tutto il mondo e che stia facendo breccia anche negli Stati Uniti potrebbe essere la riprova che, in realtà, si tratta solo di complottismo.
Il “fronte” europeo
E’ vero però che gli eventi di questi ultimi mesi stanno mettendo in ginocchio anche un altro importante concorrente economico degli USA, ovvero l’Unione Europea, i cui paesi stanno andando in ordine sparso, rischiando peraltro di sovraccaricare la Banca Centrale Europea con richieste di liquidità d’emergenza. Quanto agli Stati Uniti, se anche la paura dilaga e si annuncia uno stato d’emergenza, non va dimenticato che oltreoceano la sanità pubblica è una chimera e la salute in senso generale tende a essere considerata un fatto più privato che collettivo.
Trattandosi di una influenza più aggressiva del normale, la cui mortalità non è catastrofica, potrebbe esistere la possibilità, per quanto remota, che le élites che governano gli Stati Uniti, per certi aspetti paragonabili al patriziato dell’Impero Romano, possano aver pensato che rischiare il trabocco del Covid-19 anche nei propri confini potesse essere un prezzo adeguato per azzoppare Cina e Unione Europea, contando sul diverso approccio, anche come mentalità, che cinesi ed europei hanno in relazione alla salute pubblica.
![Coronavirus - l'impegno dell'Esercito (6) (002)](https://www.analisidifesa.it/wp-content/uploads/2020/03/Coronavirus-limpegno-dellEsercito-6-002.jpg)
Quanto ai suddetti rischi economici per l’Arabia Saudita, si tratterebbe di un rischioso effetto collaterale dovuto a volontà indipendenti da Washington, cioè la “lotta” al ribasso fra Riad e i russi, che probabilmente gli stessi americani potevano non aver previsto nella loro portata.
La prova del nove la si avrà osservando i rimedi che Washington potrà eventualmente attuare per salvare il proprio mercato azionario e petrolifero, oltre all’eventuale comparsa di un vaccino proprio in America, e magari in tempi brevi. Diversamente, apparirebbe invece plausibile un’origine naturale, o per incidente, della pandemia.
Certo, l’ipotesi naturale, che contempla il passaggio del Covid-19 alla specie umana per un fenomeno di “zoonosi”, da pipistrello o altro vertebrato, complice la diffusa abitudine alimentare cinese, e in genere orientale, di “mangiare tutto ciò che si muove”, resta a prima vista la più credibile per una serie di fattori. Anzitutto gioverà ricordare che la diffusione di epidemie influenzali a partire dalla Cina è un fatto storico di lungo periodo, basti pensare all’influenza detta “asiatica” del 1957 e a quella “di Hong Kong” del 1968 giunta in Europa nell’inverno del 1969. In genere, poi, dall’Asia sono venute anche pandemie assai più distruttive.
Citavamo all’inizio la Peste Nera che arrivò in Europa nel 1347 dopo essere scoppiata in Asia Centrale e trasmessa ai genovesi della base di Caffa, in Crimea, dai cavalieri mongoli che l’assediavano.
Si potrebbe anche citare il colera, che partì lentamente dall’India attorno al 1816, ma si diffuse in tutto il mondo fra il 1840 e il 1870, quando l’introduzione della navigazione a vapore e delle prime ferrovie, in un periodo in cui le città europee ed americane non avevano ancora fogne efficienti, formò una combinazione esplosiva, paragonabile nel caso odierno alla potenzialità del trasporto aereo di massa nella trasmissione di virus e batteri.
Nello specifico della zoonosi, peraltro, è interessante notare che, per fare un singolo esempio, il batterio della peste, lo Yersinia Pestis, era in origine endemico nei roditori della steppa chiamati dai tartari “tarabagan” e che Marco Polo, nel Milione, chiamava “ratti del faraone”.
![Coronavirus - l'impegno dell'Esercito (3) (002)](https://www.analisidifesa.it/wp-content/uploads/2020/03/Coronavirus-limpegno-dellEsercito-3-002.jpg)
Si tratta della specie oggi classificata Marmota Sibirica, una specie di marmotta steppica cacciata e mangiata dai cavalieri nomadi, oltre che infestata di pulci che potevano contaminare gli esseri umani col loro morso. L’apertura di grandi vie carovaniere nell’Eurasia a causa del consolidamento dell’Impero Mongolo, a partire dal 1206 a opera di Gengis Khan e dei suoi successori, aprì vere e proprie corsie preferenziali alla diffusione della peste nel secolo successivo, tantopiù che la Yersinia Pestis, a un certo punto cominciò a esser trasmessa sia attraverso la puntura delle pulci, che saltavano dai roditori all’uomo, sia, nella forma polmonare, da uomo a uomo, in modo simile a quello influenzale.
Il primissimo focolaio di Peste Nera si sarebbe registrato, pare, presso una comunità di tartari nestoriani presso il lago Issyk Kul nel 1339, per poi diffondersi in Cina, dove pure fece sfracelli, e ai mongoli che assediavano Caffa, i quali, peraltro, catapultarono cadaveri infettati oltre le mura come una vera “arma biologica”.
Secondo la ricostruzione più accreditata, i genovesi fuggiaschi da Caffa sulle loro galee diffusero poi la peste nell’arco di poche settimane, fra estate e autunno del 1347, a Costantinopoli e in Sicilia, da cui dilagò in tutta Europa. Sia detto per inciso, la peste resta ancora in agguato in alcune remote parti del mondo e proprio in Cina, nel sostanziale silenzio dei grandi mass media, è stato stroncato sul nascere un nuovo focolaio lo scorso autunno.
Infatti fra il 3 e il 16 novembre 2019 sono stati scoperti tre casi conclamati di peste fra pastori della provincia della Mongolia Interna, sotto la sovranità di Pechino, che avevano mangiato dei tarabagan, causando la messa in quarantena di un totale di 28 persone che avevano avuto contatti con loro.
I cinesi certo non abbassano la guardia nemmeno su questa antica malattia, dato che si teme che i cambiamenti climatici in atto e le loro conseguenze sugli equilibri della popolazione di roditori della steppa possa in futuro portare lo Yersinia Pestis a nuovi salti di specie, forse anche mutazioni. E il fatto che la descrizione dei sintomi della peste medievale, rispetto alle forme più recenti, sembra, a detta degli esperti, ricordare febbri emorragiche più analoghe a quelle del virus Ebola, testimonia una pluralità che non lascia tranquilli gli studiosi.
Profezie letterarie
Il nesso storico fra la Cina e le epidemie è molto profondo, anche dal punto di vista delle sue trasposizioni narrative e non senza sconfinare nell’arma biologica, sia che il grande paese asiatico ne sia vittima o artefice. Ma, come vedremo, al di là delle profezie inquietanti dei romanzi, è interessante ricordare il ben più concreto studio condotto fin dal 2015 a Wuhan da un team di scienziati cinesi e stranieri su un “coronavirus ricavato da un pipistrello e modificato geneticamente per entrare in cellule umane”.
Andando con ordine, si potrebbe partire da un poco noto racconto fantapolitico del romanziere americano Jack London, che nel luglio 1910 pubblicò “The unparallaled invasion”.
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Avendo avuto esperienza, come giornalista inviato speciale, della guerra russo-giapponese del 1904, London diede una sua personale interpretazione del “pericolo giallo” immaginando che nel suo futuro 1922 una Cina modernizzata annettesse il Giappone assommandone a sé le risorse industriali e diventando nel successivo cinquantennio una minaccia crescente invadendo i territori limitrofi. A quel punto, nel 1976 le potenze occidentali decidevano di invadere la Cina con uno stratagemma diabolico.
London immaginava gli eserciti e le marine europei e americani circondare totalmente il colosso asiatico con masse di soldati e forze navali, in modo che nessuno potesse fuggire dal paese.
Poi gli occidentali facevano decollare dalle loro navi da guerra squadriglie di piccoli aeroplani (London scriveva nel 1910, quando l’aereo aveva già dimostrato, fin dal 1909, le sue potenzialità trasvolando la Manica con la nota impresa di Louis Bleriot) che andavano a librarsi sopra le maggiori città cinesi in quelli che parevano innocui voli di ricognizione.
Ma i velivoli facevano cadere qua e là, sulle maggiori concentrazioni demografiche cinesi, centinaia di “tubi di vetro” apparentemente vuoti. Erano in verità i vettori di un’imprecisata combinazione di diverse specie di batteri, capaci di innescare epidemie multiple tali da spopolare quasi totalmente la Cina.
Terribile il quadro del multi-contagio immaginato da Jack London: “Se ci fosse stata una sola malattia, la Cina avrebbe potuto affrontarla, ma da un insieme di morbi, nessuna creatura era immune. L’uomo che scampava al vaiolo moriva per la scarlattina. L’uomo che era immune alla febbre gialla, se lo portava via il colera. E se uno era immune anche a quello, la Morte Nera, cioè la peste bubbonica, lo annientava.
Erano questi batteri e germi e microbi e bacilli coltivati nei laboratori dell’Occidente, che erano stati rovesciati sulla Cina con la pioggia di vetro”. Dopo mesi di martirio, con le forze assedianti che uccidevano qualsiasi cinese cercasse di uscire dai confini, l’immenso territorio risultava infine così deserto da consentire agli eserciti occidentali di invaderlo penetrandovi come un coltello nel burro.
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L’ombra di una guerra batteriologica coinvolgente la Cina si stagliava anche nei retroscena di un film di fantascienza del 1971 diretto da Boris Sagal e interpretato da Charlton Heston, ovvero “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra”. Vi si immaginava una disastrosa epidemia diffusasi in tutto il mondo proprio a partire dal confine russo-cinese, dove crescenti scontri armati fra Unione Sovietica e Cina erano presto passati dal livello convenzionale all’uso di armi batteriologiche.
Nelle ultime settimane, poi, sull’onda del Covid-19, la stampa internazionale ha abilmente ripescato un’altra curiosa “profezia”, il romanzo “The eyes in the darkness”, scritto nel 1981 da Dean Koontz ma edito in Italia solo ora, nel 2020, proprio sull’onda delle notizie di attualità e col titolo “L’abisso”.
In esso si parla della diffusione di un virus letale denominato “Wuhan 400”, perchè frutto di un programma segreto cinese di armi biologiche. La coincidenza è però solo apparente nel senso che il virus del romanzo è qualcosa di totalmente diverso da un’influenza. E sul fatto che sia stato prodotto proprio dai laboratori di Wuhan, anche in tal caso, non si può parlare di vera profezia, nel senso che, semplicemente, quando nel 1981 Koontz partorì il romanzo non poteva fare a meno di riferirsi a uno dei principali laboratori cinesi, già allora operante da tempo.
L’esercizio della fantasia narrativa può essere utile a lanciare preziosi moniti per il futuro, tenendo presente che, in particolare, l’idea di Jack London di una guerra biologica ad ampio spettro, con impiego parallelo di più specie di organismi patogeni spalanca prospettive tremende.
Fortunatamente, a rendere, almeno per qualche generazione, improbabili simili scenari catastrofici, ci sono, da un lato la Convenzione sulla Proibizione delle Armi Biologiche, che firmata il 12 aprile 1972 è in vigore dal 26 marzo 1975 impegnando praticamente tutti gli Stati della Terra, e dall’altro lato la funzione deterrente delle armi nucleari o chimiche.
Scenari possibili
E’ ovvio infatti che se uno Stato identificasse sul suo territorio un’aggressione con agenti biologici portata da un paese nemico, si riterrebbe autorizzato a una simile rappresaglia, oppure, non disponendo di tali armi, reagendo con altrettanto catastrofici attacchi nucleari o chimici.
L’impiego di microrganismi porta inoltre notevoli problemi perché trattandosi di esseri viventi non si esauriscono di per sé una volta raggiunta la finalità del loro impiego, ma potenzialmente possono seguitare a replicarsi, a diffondersi negli ecosistemi, perseguendo i propri scopi di sopravvivenza, divergenti da quelli degli uomini che hanno magari avventatamente tentato di utilizzarli.
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E magari mutando genoma col susseguirsi delle loro fittissime generazioni. In altre parole, i microrganismi, per macabra ironia, é come se, simbolicamente, lasciassero credere all’uomo di potersi servire di loro, mentre in realtà sono essi stessi, questi piccolissimi e invisibili “guerrieri”, a servirsi di noi, ignari e impacciati giganti.
L’unico serio rischio di impiego di armi biologiche letali potrebbe ancora venire dal terrorismo, che non offrirebbe un territorio e una popolazione suscettibili di una rappresaglia proporzionata. Forse, in un futuro più lontano, un remoto pericolo potrebbe venire da un eventuale mutamento del modo di pensare dei nostri discendenti, che potrebbero essere portati, anche da insospettabili sviluppi tecnici, a pensare alle guerre biologiche come a un qualcosa di attuabile.
Per ora, nell’impossibilità di poter esprimere un giudizio su questa ancora poco chiara pandemia, sarà opportuno ricordare che pochi anni fa un team internazionale di scienziati, sia cinesi sia occidentali, aveva pubblicato un’ampia ricerca su un coronavirus modificato proprio nei laboratori di Wuhan, ma con la collaborazione di istituti esteri come la University of North Carolina, per studiarne la virulenza sui tessuti umani in coltura.
Uscito il 9 novembre 2015 sulla prestigiosa rivista “Nature”, il resoconto aveva un titolo che suonava come un ammonimento: “Un gruppo di coronavirus circolanti nei pipistrelli e simili alla SARS mostra un potenziale per una emergenza umana”.
![Pipistrelli](https://www.analisidifesa.it/wp-content/uploads/2020/03/Pipistrelli.jpg)
Autori della ricerca figuravano: Vineet D. Menachery, Boyd L. Yount Jr, Kari Debbink, Sudhakar Agnihothram, Lisa E Gralinski, Jessica A. Plante, Rachel L. Graham, Trevor Scobey, Ge Xingyi, Eric F. Donaldson, Scott H. Randell, Antonio Lanzavecchia, Wayne A. Marasco, Shi Zhengli e Ralph S. Baric.
Come si vede, due scienziati cinesi e svariati americani, indiani e perfino un italiano. La ricerca muoveva le mosse dal rilevare i “rischi di un passaggio di specie” attraverso la modifica con tecniche di bioingegneria di un ceppo SARS-CoV, adattato ai topi, dotandolo delle “spicole” esterne di un altro virus, questo tipico dei pipistrelli cinesi del genere Rhinolophus, ovvero il coronavirus SHC014-CoV.
Scrivevano già nel 2015 questi scienziati: “Il nostro lavoro suggerisce il rischio potenziale del riemergere del SARS-CoV dai virus correntemente circolanti nelle popolazioni di pipistrelli. L’emergere del SARS-CoV preannuncia una nuova era nella trasmissione fra le specie di una grave malattia respiratoria con la globalizzazione che condurrebbe alla sua rapida espansione attorno al mondo e a un impatto economico massivo”.
Creando un virus “chimera”, che avesse il corpo principale del SARS-CoV, ma con le “spikes” dell’SHC014, ovvero quelle che sono un po’ le “chiavi” che consentono l’ingresso nelle cellule parassitate, gli scienziati hanno creato un virus sperimentale dimostratosi in grado di infettare cellule umane in coltura.
E anche se gli ultimi studi sul Covid-19 hanno dimostrato che il suo profilo genetico è in parte diverso da quello del germe modificato, non impossibile che la condivisione di tale ricerca fra Cina e Stati Uniti, oltre al resto del mondo, possa aver in qualche modo portato qualcuno a ipotizzare di proseguire queste ricerche in segreto perfezionando un nuovo agente patogeno.
Già pochi giorni dopo la pubblicazione della ricerca, molti scienziati avevano espresso preoccupazioni. Un virologo dell’Istituto Pasteur di Parigi, Simon Wain-Hobson, commentava: “I ricercatori hanno creato un nuovo virus che cresce molto bene nelle cellule umane. Se il virus fuggisse, nessuno potrebbe prevederne la traiettoria”.
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Il biologo molecolare americano Richard Ebright (nella foto a lato), della Rutgers University in Piscataway, New Jersey, si diceva pure timoroso: “L’unico impatto di questo lavoro è la creazione in laboratorio di un nuovo e non-naturale rischio”.
Insieme a Wain-Hobson, Ebright aveva lanciato il 12 novembre 2015 un appello: “Le autorità scientifiche dovrebbero reputare simili studi con la creazione di virus chimerici (cioè artificialmente ottenuti mescolando componenti di ceppi diversi, n.d.r.) basati su ceppi in circolazione troppo rischiosi da proseguire”.
Si chiedevano inoltre se valesse la pena di tali esperimenti contando “i rischi implicati”. Uno degli autori dei suddetti esperienti, l’americano Ralph Baric ribatteva invece che gli esperimenti erano stati utili, dimostrando che il ceppo SHC014 poteva ora essere considerato una minaccia per l’uomo, mentre prima non lo si sarebbe considerato tale: “Non penso che possiamo ignorare tutto ciò”.
Tutto ciò dimostra che i virus tipo SARS a simili, come appunto il Covid-19, possono essere ampiamente modificati dall’uomo tramite le moderne tecniche di bioingegneria.Certo, non è sufficiente a dire che l’attuale pandemia sia originata artificialmente e non dagli insondabili disegni della Natura. Ma lascia aperte le porte alle due interpretazioni alternative, o la fuga dai laboratori di Wuhan del germe, o la sua, probabilmente voluta, diffusione in Cina a partire da un vettore esterno, che in linea teorica potrebbe essere statunitense.
Nelle scorse settimane, uno dei principali scienziati protagonisti del discusso esperimento del 2015, la dottoressa Shi Zhengli (nella foto sotto), vicedirettrice del laboratorio virologico di Wuhan, ha cercato più volte di fugare le ipotesi complottistiche. Scrivendo insieme ai colleghi Zhou Peng e Yang Xinglou un articolo uscito il 3 febbraio 2020 su “Nature”, la Shi ha spiegato: “Abbiamo ottenuto da cinque pazienti nelle fasi iniziali dell’epidemia le sequenze genetiche del virus.
Le sequenze sono quasi identiche e condividono il 79,6% dell’identità sequenziale col SARS-CoV. Inoltre, noi mostriamo che il 2019-nCoV (alias Covid-19) è al 96% identico, a livello di genoma intero, al coronavirus di un pipistrello”.
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Pochi giorni dopo, il 7 febbraio, la Shi ha ancora dovuto ripetere, un po’ enfaticamente: “Il nuovo coronavirus del 2019 rappresenta la Natura che punisce la specie umana per il fatto di mantenere abitudini di vita incivili. Io, Shi Zhengli, giuro sulla mia vita che esso non ha nulla a che fare col nostro laboratorio”.
La verità sull’origine di questo virus resta insomma avvolta nell’ombra, in un intreccio di omertà, silenzi, accuse internazionali e, forse, disinformazione. Ovviamente va rilevato che la novità di una specie virale finora ignota giustifica ampiamente il fatto che gli stessi esperti spesso discordino fra loro, dato che stanno essi stessi imparando giorno per giorno nuovi dettagli.
A “pensar male”, come si dice nel linguaggio corrente, si può dire la condivisione internazionale dei risultati degli esperimenti del 2015 avrebbe potuto permettere agli Stati Uniti di modificare e sviluppare autonomamente un proprio ceppo da “seminare” in Cina come blanda arma da “interdizione” batteriologica, per creare enormi problemi sociali a un avversario strategico, anche a costo di subire essi stessi dei contraccolpi.
E il discorso si potrebbe teoricamente allargare all’Unione Europea e anche all’Iran, dove si registrano pure moltissimi decessi. Ma la possibilità teorica, ovviamente, non significa certezza. E altrettanto plausibili restano, sia la pista dell’incidente a Wuhan, sia quella del naturale emergere di una nuova specie naturale.
Finché eventuali testimoni non riveleranno qualcosa di più, le versioni ufficiali a uso dell’opinione pubblica di massa prevarranno. E potrebbero, con buona pace di tutti, effettivamente essere quelle veritiere. Ma nessuno può negare che il mondo è già cambiato. E che l’unico che finora ci ha guadagnato di sicuro è quel piccolo ed estremamente essenziale essere vivente il cui successo esistenziale consiste nell’autoreplicazione.
Foto: Twitter, Difesa.it. China TV, Xinhua
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