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Blog

Salute, care amiche e cari amici!

Siamo molto entusiasti di incontrarvi a Vienna! Mancano solo dieci giorni al nostro incontro al Nuclear Ban Forum. Ecco cosa dovete sapere:

Il programma

Ci sono così tante persone straordinarie che si incontrano all'"Aula der Wissenschaften". Il programma si estenderà su quattro fasi su tre piani e si svolgerà continuamente durante i due giorni. Ciò significa che è ora di iniziare a pensare a quali sessioni partecipare.

Volete ascoltare le ultime notizie dall'Ucraina? Vuoi parlare con gli artisti dietro Amnesia Atómica? Volete fare un tuffo profondo nelle questioni intersezionali di razza, colonialismo e armi nucleari? Queste sono solo alcune delle tante sessioni che si svolgono, oltre a un'esperienza VR unica "On the Morning You Wake" e la possibilità di vedere il film "The Vow From Hiroshima".

Esplorate il Programma

Durante i due giorni del Nuclear Ban Forum avremo anche la possibilità di ascoltare coloro che hanno vissuto i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, così come coloro le cui vite sono state alterate per sempre dalla follia dei test nucleari.

La sede

L'Aula der Wissenschaften si trova nel cuore di Vienna ed è facilmente raggiungibile in metropolitana e autobus. Il locale si sviluppa su tre piani ed è completamente accessibile. Oltre alle attività su tutti i livelli e all'esperienza VR, c'è molto spazio per incontrarsi e ritrovarsi con amici e colleghi e pianificare la fine delle armi nucleari.

Sabato mattina le porte aprono alle 8:00, quindi assicuratevi di passare a ritirare i vostri badge.

Volete portare i vostri bambini?

È fantastico! I bambini sono i benvenuti e, per facilitare un po' i genitori, abbiamo anche un servizio di assistenza all'infanzia (3-12 anni) in loco.

Non vediamo l'ora di vedervi presto,

Susi Snyder - ICAN

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IL PROGRAMMA DEL NUCLEAR BAN FORUM

18 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Decidere il nostro destino

18 Giugno

 

PALCO PRINCIPALE

QUESTO è ciò che sono le armi nucleari

18 Giugno

 

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

La realtà del rischio

18 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Terrore e impunità: armi nucleari e invasione dell'Ucraina

18 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Colonialismo di livello militare

18 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Un po' scoraggiato

18 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Dibattito sulla deterrenza, la discussione

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Una lettera d'amore al diritto internazionale

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Costruire la giustizia attraverso la legge

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Il Ban è il piano

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

| del Forum ICAN Il divieto è il piano- ed è per questo che

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

MSP

Riunione Degli Stati Parti

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Cogli l'attimo, cambia il mondo

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Cogli l'attimo, sostieni lo slancio

18 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

ICAN Coinvolgi i media

18 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

Il viaggio di un sopravvissuto

18 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

Il voto di Hiroshima

19 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Finanziare il futuro, non la bomba

18 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Quando la condivisione non si preoccupa? Armi nucleari statunitensi in Europa

19 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Incontra l'Hibakusha

19 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

ICAN Cambia la narrativa

19 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Parlamentari in azione

19 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

In diretta dal South Australia, Hiroshima e Nagasaki

19 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

La mia storia è più della mia foto

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Forum mondiale dei sopravvissuti al nucleare

18 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

Denuclearizzazione nel nord-est asiatico

18 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Genere, femminismo e disarmo nucleare

19 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

| del Forum ICAN Nuove vie chiare per il Pacifico

18 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

| del Forum ICAN TPNW in azione - Assistenza alle vittime e bonifica ambientale

18 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

Come convincere il tuo paese ad aderire al TPNW

18 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Un'eredità contaminante genera resistenza attraverso le generazioni

18 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

TPNW - Sostenibilità Nexus

19 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

Preparazione per l'MSP

19 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

L'impunità si nasconde dietro le armi nucleari

19 Giugno

PALCO PRINCIPALE

FORUM DI ICAN

Un viaggio verso casa

18 Giugno

SALA COLLOQUI

FORUM DI ICAN

Amnesia Atomica, usare l'arte per muovere le menti

19 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

Armi nucleari? No grazie!

19 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

I sostenitori del mondo accademico

19 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

La resistenza non è inutile: sfidare il nuclearismo e il cambiamento climatico

18 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

ICAN ottiene il supporto della mia città

18 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

Applicare il TPNW al mondo oggi

18 Giugno

VIENNA HUB

FORUM DI ICAN

L'inverno nucleare si sta avvicinando, forse dal fianco orientale

18 Giugno

MUNICIPIO

FORUM DI ICAN

ICAN Sposta i soldi

 

LA TERRESTRITA' AL FESTIVAL DEL LIBRO PER LA PACE (EIRENE FEST dal 2 al 5 giugno 2022)

Memoria e futuro

CASA UMANISTA  via dei Latini, 12, Roma

La costruzione della Rete per l’Educazione alla Terrestrità

Terrestrità e nonviolenza al posto dei cannoni: per il coordinamento e la convergenza delle lotte ecopacifiste

Di Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti (30-05-2022)

La “terrestrità”, esposta sinteticamente in “Memoria e futuro” (Mimesis edizioni, 2021, a cura di Alfonso Navarra, Laura Tussi e Fabrizio Cracolici), è la base culturale più coerente per suffragare il “ripudio della guerra”: l’atteggiamento pacifista in sintonia con la Costituzione, espresso, con consenso sorprendentemente maggioritario, stando ai sondaggi, in modo forse ingenuo dal popolo italiano e, stando alle loro manifestazioni, in modo più consapevole, ma culturalmente datato, dalle numerose organizzazioni ecopacifiste, nelle loro varie componenti più o meno storiche.

Lo slogan da lanciare è “dalla parte della Terra, contro la guerra”, intendendo con questo secondo termine “guerra” non solo il combattimento armato con epicentro Ucraina, ma la cinquantina e più di conflitti armati in corso sul globo: in questo momento, secondo Papa Francesco (che citerò spesso), fanno una “guerra mondiale a pezzetti” con la tendenza disgraziatamente ad accorparsi.

Dalla parte della Terra”, significa non essere dalla parte degli imperialismi e dei militarismi nazionalistici, che con le attività militari la aggrediscono e la violentano (la distruzione è inquinamento!); ma dalla parte dell’unico sistema vivente di cui la specie umana è parte organica: la terrestrità, appunto, che afferma, allo stesso modo dei popoli originari, una verità difficilmente contestabile: noi esseri umani siamo figlie e figli della Natura, ad essa inestricabilmente e indissolubilmente legati, come le foglie degli alberi di una grande foresta.

Non siamo i padroni dei diversi ecosistemi locali, uniti nell’unico ecosistema globale: siamo i precari custodi di essi grazie alla particolare responsabilità che ci deriva dal nostro grado speciale di intelligenza, frutto dell’evoluzione.

Le nostre organizzazioni politiche, gli Stati, non sono, ripetiamolo e precisiamolo da ecopacifisti conseguenti, i proprietari degli ecosistemi ma sono legittimi e legittimati in quanto li custodiscono e li tutelano, garantendo la prosperità dei popoli entro la dignità fissata dai diritti umani universali. La sovranità, quindi, non è un valore assoluto ma va relativizzata in funzione della capacità di garantire i diritti della Natura, dell’unica umanità, ed infine i diritti delle persone nelle loro varie dinamiche sociali.

Questo è lo sviluppo che dovrebbe essere garantito da una “Costituente della Terra”, preparata dalla crescita coordinata ed armonizzata del diritto internazionale attuale: una ONU che sempre di più deve rappresentare l’affermazione della forza del diritto sul diritto della forza.

La “terrestrità” ci porta allora a riconoscere più facilmente che la guerra (= le guerre), oggi deve diventare tabù, come ad esempio lo sono già oggi l’incesto o la schiavitù: qualcosa di inconcepibile, un crimine abominevole, che provoca l’automatico allontanamento dal consorzio umano di chi lo pratica. Non solo chi comincia, ma anche chi combatte una guerra ha sempre torto, quale che siano le sue ragioni, incluse le ragioni difensive, vere o presunte. Potevano esserci dei dubbi ieri, quando si poteva contare su una certa razionalità delle conquiste militari; ma nel mondo di oggi, con la potenza tecnologica che fa parlare di antropocene e con l’interdipendenza a tutti i livelli creata dalla globalizzazione, tutte le indecisioni su questo punto andrebbero dismesse.

Chi ricorre alla guerra ha sempre torto per due ragioni fondamentali. Il primo motivo è che si aggredisce comunque la Terra, la si ferisce, la si violenta, determinando danni ingenti (e non più relativamente trascurabili) che colpiscono la vita in quanto tale, quale sistema complesso e interdipendente di equilibri tra specie, e le vite di comunità umane e di persone che nulla hanno a che vedere con la controversia specifica per la quale si pon mano alle bombe.

Il secondo motivo è che, se si hanno ragioni da accampare, soprusi da respingere, violenze da rintuzzare, torti da vendicare, eccetera, oggi, dopo l’esperienza storica del XX secolo, dopo Gandhi e le rivoluzioni dell’Est europeo che hanno abbattuto senza armi il “socialismo reale”, si può essere ragionevolmente sicuri nell’efficacia della nonviolenza: il metodo funziona per fare valere i propri diritti in un arco di tempo non infinito ma accettabile, anche se non immediato. La bacchetta magica che risolve tutto e subito è il mito massimo di chi si affida al sogno, sempre deluso, del colpo di spada violento che spezza un nodo nel momento stesso che crea mille problemi ancora più gravi di quelli che crede di annichilire con l’impeto della forza.

Guardiamo al primo punto relativamente al caso Ucraina e domandiamoci: chi è l’aggressore e chi è l’aggredito? Certo, Putin ha ordinato l’invasione il 24 febbraio, ma il contesto che l’ha preceduta era anche caratterizzato, come ha ricordato il Papa, “dall’abbaiare della NATO ai confini della Russia”. Ma non è questo il punto su cui attardarsi e perdersi. Ogni giorno, per questa guerra nell’est europeo, leggiamo di raffinerie fatte esplodere, di depositi di carburante distrutti, di impianti chimici fatti saltare in aria. Ogni giorno ci riferisce di incidenti in impianti industriali che in periodo normale occuperebbero le prime pagine dei giornali sotto il titolone di “catastrofe”. Allora, in un contesto in cui, secondo l’IPCC nel suo sesto rapporto, abbiamo tre anni per invertire la rotta che gli accordi di Parigi sul clima, firmati all’unanimità dagli Stati, ci chiudono, per non superare gli 1,5° C di aumento della temperatura globale, possiamo tollerare un inquinamento da CO2 che ci manda in vacca (ci si scusi il francesismo) quegli stessi accordi scatenando effetti distruttivi per centinaia di milioni di morti, nella migliore delle ipotesi?

Chi è l’aggressore e chi è l’aggredito? Cerchiamo di dare una risposta sulla base dei fatti veramente rilevanti che non chiuda gli occhi davanti alla realtà! Qui non si sta scherzando come chi discetta sulla “russicità” o “ucrainicità” di questo o quel pezzo di territorio: continuare a sparare, a bombardare, a creare incidenti magari in centrali nucleari, potrebbe risvegliare il Generale Permafrost, con l’immissione di 1.600 miliardi di tonnellate di Co2 nell’atmosfera, il doppio di quella che ha aggiunto l’umanità dall’età industriale. Saremmo allora davvero tutti fritti in senso letterale!

Di qui la risposta più seria e fondata: aggressore è chiunque, per qualsiasi motivo, pratica la guerra (le guerre) in qualsiasi modo e in qualsiasi forma, inclusa quella economica; aggredito è chiunque subisce gli effetti, diretti e indiretti della guerra (delle guerre) per il loro impatto ecologico globale e locale; oppure per le conseguenze energetico-economiche (la fame, il freddo, la disoccupazione); oppure per i fenomeni migratori derivanti, eccetera, eccetera…

Aggressori sono i combattenti, chi spara per primo e chi risponde per secondo con le armi; aggrediti e bombardati siamo tutti noi, gli estranei al fronte, ma coinvolti dalle crisi ecologico-climatiche, energetico-economiche, sociali-culturali (i giacimenti di odio che si vanno coltivando).

La terrestrità ci dice questo: oggi nessun conflitto umano va messo in primo piano rispetto al compito prioritario, e diciamo anche esclusivo per i prossimi decenni, che la società umana globale ha di fare la pace con la Natura, di cessare la guerra portata avanti con i modelli di crescita che aggravano le emergenze del clima, della biodiversità e dell’inquinamento, di cooperare, e non di competere, per un futuro sostenibile che garantisca opportunità di vita dignitosa per tutte e tutti. Lasciamo perdere ogni bega di confine per Stati esistenti e/o sognati: in questo momento è peggio di un delitto occuparsene, è di una stupidità che rasenta l’assurdo. Consideriamo un grande dono per l’umanità intera l’interpretazione del principio di autodeterminazione dei popoli che dà la lotta della popolazione Kurda nel Rojava: ci permette di rifiutare la trappola del ricatto nazionalista-statalista, che ci condurrà dritti dritti verso il precipizio.

La pace con la Natura oggi è anche condizione della pace tra gli esseri umani: lo slogan “non c’è pace senza giustizia”, va ribaltato in “non c’è giustizia senza pace”. Anche e soprattutto perché possiamo costruire la giustizia nella pace attraverso strumenti di resistenza e di lotta pacifici, nonviolenti!

Oltre tre mesi sono passati da quando è suonato il gong per il secondo round della guerra in Ucraina (il primo era stato aperto nel 2014), e morte e distruzione si sta intensificando proprio grazie a chi alimenta gli eserciti in campo da ambedue le parti belligeranti.

Per tutto quello che mi sono sforzato di spiegare, è da ritenersi da tutti i punti di vista una tragica illusione credere che si tratti di un atto etico e di giustizia inviare nuove armi all’esercito ucraino con l’obiettivo, in verità più proclamato che perseguito da parte delle nostre élites governanti, di “fermare l’aggressione di Putin”.  L’aggressione da fermare è la guerra in sé di cui noi siamo già vittime in varie forme, mentre l’umanità intera e la Natura lo saranno sempre di più, se non blocchiamo – prima è meglio è - l’escalation in corso.

In questo senso, ricorrendo alla nutrita cassetta degli attrezzi della nonviolenza, delle obiezioni, delle disobbedienze, dei boicottaggi, nella cui potenza possiamo confidare, abbiamo parecchio che possiamo fare e supportare, per di più mettendo in rilievo un approccio di solidarietà con il popolo più debole e immediatamente martoriato e massacrato nel contesto conflittuale:

  • La resa militare, non quella civile, è quella che proponiamo agli ucraini, preoccupati per le vite di quella popolazione mandate inutilmente allo sbaraglio. Anche nel Paese occupato dall’invasore più numeroso e più armato, fossero gli stessi Stati Uniti ben più potenti della Russia, si può attuare la DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA, sistematizzata teoricamente da Ebert, Galtung, Sharp (e in Italia Drago, L’Abate, Salio, Soccio). Come abbiamo già accennato, molti esempi storici dimostrano che si possono esercitare mille forme di non-collaborazione di massa, disobbedienza civile, tecniche di boicottaggio delle catene di comando oppressive che possono essere disarticolate in mille modi, rendendo costosa e impraticabile l’occupazione;
  • Inviare corpi civili di pace a Kiev e creare una ambasciata di pace in loco (ed anche a Mosca): su questo punto possiamo ricordare che il MEAN (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta) sta organizzando per l’11 luglio una manifestazione di massa di migliaia di civili europei in Ucraina, che si realizzerà se avrà almeno 5.000 partecipanti (per ulteriori informazioni projectmean.it). Ma ci sono state anche le iniziative di “Un ponte per…” che ha coinvolto la “Società della cura”. E altri progetti di Carovane Comiso-Kiev, Comiso-Mosca, bollono in pentola, dalla Sicilia, nella cucina del pacifismo italiano;
  • Un GIORNALISMO DI PACE potrebbe fare da supporto a tali progetti: si dovrebbero stringere accordi tra giornalisti europei e giornalisti russi per realizzare reportages comuni su quanto accade in Ucraina, allo scopo di creare una verità condivisa, e non la propaganda spacciata attualmente per resoconti fattuali sui due lati della barricata;
  • Rifiuto della cultura del nemico costruendo RETI DI SOLIDARIETA’ DAL BASSO: gemellaggi tra associazioni culturali, sportive, Scuole, Università europee e loro omologhe ucraine e russe e creazione o evidenziazione di esperienze di amicizia ad ogni livello tra ucraini e russi. Riti e preghiere comuni tra ebrei, islamici e cristiani cattolici e ortodossi
  • Appoggio degli obiettori ma anche dei disertori ucraini e russi. E degli obiettori e disertori di tutti gli eserciti. Perché dobbiamo sempre distinguere le popolazioni dagli Stati che li governano. Il problema non sono i russi come popolo (anche se all’80% si riconoscono in Putin) ma lo Stato russo con la sua ideologia militarista e nazionalista. Il popolo russo dobbiamo trasformarlo da “nemico” in “amico”. Per quanto riguarda l’Ucraina, la solidarietà va data alla popolazione residente, non allo Stato governato dagli oligarchi o agli Stati fantoccio del Donbass. Chi sta pagando in modo più diretto ed evidente il prezzo della guerra è la popolazione residente in Ucraina; e – repetita iuvant -  è un bene per essa (oltre che per noi) che lo scontro armato si fermi subito. E che noi si agisca in tal senso ostacolando dal basso ed in ogni modo pacifico possibile i governi che mandano le armi agli eserciti belligeranti. La guerra, che, non mi stancherò mai di ripeterlo,  è contro tutti noi, non si ferma mandando le armi, e i soldi per le armi. La guerra finisce quando i soldati smettono di spararsi l’un l’altro e possibilmente si spogliano della divisa. Una misura che dobbiamo imporre contro questa guerra è il riconoscimento dello status di rifugiati a tutti i militari disertori, di tutti gli eserciti. Un esercito è meglio che sia prosciugato dalle diserzioni piuttosto che dissanguato dalle bombe: diventa un esercito che non fa la guerra.

Ora vengo alla seconda parte del discorso.

Si può “collegare fine del mese e fine del mondo” con la conversione della spesa pubblica da produzioni di morte (militari-nucleari-fossili) in investimenti per la conversione ecologica ed il welfare verde. Proponiamo, noi Disarmisti esigenti, questa “convergenza” per le lotte dei movimenti alternativi all’interno della comunità nazionale

Le strategie sopra menzionate avrebbero bloccato immediatamente la macchina militare di Putin, una volta scatenata? Sicuramente no, ma avrebbero evitato ciò che la resistenza armata ha prodotto: le migliaia di morti e feriti, gli stupri, le torture e le violenze di ogni tipo, milioni di profughi, rovina di città ridotte in macerie, catastrofi ambientali, rischio di guerra nucleare totale o parziale, prospettive di collasso finanziario, di recessione e crisi alimentare mondiale. Per gli anni, probabilmente i decenni che verranno, oltre a tutto quello che è da ricostruire, si dovrà fare i conti con un’eredità di odio reciproco tra russi e ucraini (erano quasi fratelli gemelli!), che si spera non abbia bisogno di secoli per un superamento riconciliativo.

Per fare estinguere la pratica della guerra e assicurare un futuro alla Storia ovviamente abbiamo il nostro da fare soprattutto sviluppando strategie e lotte disarmiste nei contesti in cui la nostra azione ha effetti più diretti in quanto si basa sul nostro appartenere a specifiche comunità. L’Opposizione alle politiche di riarmo dell’Italia e dell’Europa (aumento delle spese militari, invio di truppe, spedizione di aiuti militari) può registrare un nuovo impulso riattivando le campagne sulle obiezioni di coscienza. C’è da studiare ed attivare un coordinamento tra obiezione alle spese militari, obiezione al servizio militare e obiezione bellica. La pressione sul governo italiano dovrebbe ostacolare l’allargamento della NATO (è una disdetta la candidatura di Finlandia e Svezia) ed ottenerne la denuclearizzazione come grimaldello per il suo scioglimento in quanto Patto militare contrario alla sostanza dello Statuto dell’ONU. In questo senso la campagna ICAN per la proibizione delle armi nucleari, in collegamento con la campagna per il “NO FIRST USE”, può svolgere un ruolo fondamentale.

Nel 50ennale del riconoscimento della 772/72, che apre la strada al servizio civile nazionale come forma di difesa civile non violenta, la sperimentazione di un modello di difesa sociale nonviolenta in Italia può trovare il suo riferimento nell’approvazione di un riferimento istituzionale dotato di piena indipendenza dal Ministero della difesa e dal Ministero degli Esteri. Per lo scrivente un eventuale Ministero della pace dovrebbe, infatti, essere collegato non con la politica estera e militare nazionale ma con la missione dell’ONU di “evitare il flagello della guerra” e con gli organismi ad essa preposti. Questo riferimento istituzionale potrebbe anche coordinare l’elaborazione e la diffusione di una cultura di pace (a partire dalla preparazione di chi insegna a scuola e dalla ricerca universitaria, storiografica, antropologica etc.) e della conoscenza delle tecniche nonviolente di gestione dei conflitti.

Nel rifiuto della guerra economica condotta attraverso le sanzioni energetiche (il NO ad esse andrebbe inserito nelle piattaforme degli scioperi sindacali contro la guerra), si possono comunque promuovere campagne di risparmio energetico e di promozione delle energie rinnovabili. L’obiettivo di un modello energetico rinnovabile al cento per cento è intrinseco a società strutturalmente pacifiche basate su stili di vita ecosostenibili. Ma deve passare attraverso una “giusta transizione”, per ridurre al minimo i sacrifici da parte di lavoratori e consumatori dei ceti popolari. Politiche di ecologia sociale andrebbero comunque armonizzate con politiche contro le disuguaglianze economiche e di genere.

Per entrare in dialogo con il popolo che vogliamo risvegliare lo slogan che dobbiamo tenere presente è “collegare la fine del mese con la fine del mondo”. Dovrebbe essere chiaro che il conto in particolare della guerra in Ucraina verrà fatto pagare ad una società già allo stremo anche per come è stata gestita la crisi pandemica. In Italia una parte sempre più consistente del corpo sociale vive alla giornata e circa l’8 per cento della popolazione vive già in stato di povertà: ben cinque milioni di persone. La percentuale è destinata presto ad impennarsi di fronte a una situazione di crisi strutturale già operante: nel suo sviluppo andranno a braccetto il carovita con la contrazione dei redditi dovuta alla recessione (licenziamenti, cassa integrazione, precarizzazione generalizzata e blocco dei contratti sindacali). Se a questo aggiungiamo la fine del blocco degli sfratti ed il taglio di tutti i servizi pubblici, a livello nazionale e locale, abbiamo il quadro di un autunno-inverno in cui milioni di persone sono a rischio di finire in mutande se non addirittura in mezzo a una strada!

Il “cambiamento del sistema” non deve essere la scusa per un massimalismo astratto e puramente retorico, ma la bussola sulla quale impostare e orientare vertenze concrete per sostituire, alla guerra contro i poveri interni attualmente praticata, la soluzione strutturale della povertà, con raccordi internazionalisti (ad esempio il rapporto tra gli immigrati e i Paesi d’origine).

Salari e piena occupazione

Un momento di crisi e di impoverimento generale può trasformarsi nell’opportunità di innestare l’apertura di spazi alternativi al modello economico dominante se, non in alternativa con le lotte sindacali e politiche, avvia pratiche di mutualismo autogestito e conflittuale. Per metterlo in piedi non basta la buona volontà di individui o anche singoli collettivi impegnati nel mutuo aiuto: occorrono coordinamenti nazionali con chiarezza di intenti sulle strategie da adottare per andare oltre la mitigazione temporanea delle sofferenze sociali raccordandosi, appunto, con vertenze per trasformazioni sistemiche del welfare.

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EIRENEFEST:  PRIMO FESTIVAL DEL LIBRO PER LA PACE E LA NONVIOLENZA

A Roma, Quartiere San Lorenzo dal 2 al 5 giugno 2022.

Quattro giorni con 130 eventi in programma, tra presentazioni di libri, conferenze, workshop, musica, performance teatrali e mostre fotografiche, a cura delle 70 associazioni realtà editoriali coinvolte. Gli eventi si svolgeranno al Giardino del Verano e all’interno delle sedi delle istituzioni e delle associazioni nel quartiere San Lorenzo.

L'obiettivo del Festival Eirenefest (Eirene era la dea della pace) è approfondire e condividere le tematiche della pace, della nonviolenza, del disarmodella salvaguardia del Pianetadell'educazione alla nonviolenzadel Mediterraneo e accoglienza migranti.

Fra i 200 ospiti nazionali e internazionali che interverranno nei quattro giorni del Festival: il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury; l’attivista per il cambiamento ecologico nonviolento Vandava Shiva; l’ex deputata e Segretaria Generale della Fondazione RUTGiovanna Martelli; lo scrittore ed ex segretario della FIGC, Pietro Folena, il missionario, Alex Zanotelli; la fondatrice della prima Università al mondo per la nonviolenza in Libano - AUNOHR, Ogarit Younan;  l'antropologa e formatrice sulla nonviolenza belga, Pat Patfoort; il fondatore dell'associazione Mondo Senza Guerre e Senza ViolenzaRafael de la Rubia.

Sabato 4 giugno alle 21:00 Jacopo Fo metterà in scena"Sesso Zen Remix", dedicato all’Associazione Nazionale Vittime dell’Uranio Impoverito - Giardino del Verano Spazio Berha Kinnsky Von Sutter.

Tutti gli eventi del festival, interamente autofinanziato, sono gratuiti. Per offrire un sostegno economico : www.eirenefest.it/autofinanziamento

Programma e tutte le informazioni sul sito: www.eirenefest.it/ e https://fb.me/e/22Fao5790

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Una proposta per riconciliare l'umanità con il mondo

di Raffaele K. Salinari da Il Manifesto del 6 luglio 2022

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Giovedi 7 luglio 2022

Il variegato mondo del pacifismo italiano di fronte alla guerra in Ucraina. Articolo di Emanuele Giordana su Il Manifesto quotidiano.

La guerra e l’impervia strada della pace | il manifesto

In Italia in questo momento ci sono almeno quattro fronti del movimento per la pace che guarda all’Ucraina. Danno il segno di una vitalità eccezionale così come, purtroppo e in onore a un vecchio mantra che sembra una condanna, del fatto che il movimento fatica a trovare una voce sola nonostante la strada sia comune. Tutti la pensano infatti e a grandi linee allo stesso modo: dialogo, no alle armi, non violenza, pressione sui governi, società civile.

Ma ognuno va un po’ per la sua strada. Proveremo a darne conto pur con tutti i limiti di una conoscenza, tanto è vasto questo movimento assai poco raccontato, per forza di cose limitata e forse anche lacunosa.
L’aspetto forse più interessante sembra quello che riguarda la coalizione StoptheWarNow, nata grazie soprattutto alla spinta dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, nota anche per il suo impegno all’estero come “Operazione Colomba”. In pochissimo tempo la sigla ha agglutinato formazioni assai diverse: grandi e piccole, prettamente umanitarie, sindacali, laiche e cattoliche. La coalizione ha già organizzato due carovane a Leopoli e a Odessa trasportando tonnellate di generi di prima necessità e spesso riportando in Italia persone (nell’ordine delle centinaia) con fragilità. Ha aperto una base a Odessa e pianifica di aprirne altre due fisse a Kiev e Leopoli in modo da strutturare un lavoro di costruzione di relazioni al momento ai suoi inizi. Una terza carovana è prevista per fine agosto. Al suo interno si muovono progetti diversi come, per esempio, quello che Un ponte per sta costruendo con le realtà associative ucraine di Kiev o l’adesione alla manifestazione nazionale indetta da Europe for Peace per il 23 luglio per una conferenza internazionale di Pace .

Una seconda iniziativa si chiama Mean e Angelo Moretti e Marco Bentivogli l’hanno spiegata così su Repubblica: “è nato un ponte di dialogo straordinario ed inedito tra la cittadinanza attiva italiana e quella ucraina” da cui è nato il progetto di un “Movimento Europeo di Azione nonviolenta” con l’obiettivo di collegare le società civili europee, ucraine e russe. L’idea è di un’azione “corale e civica” che si trasformerà l’11 luglio in un’andata “in massa a Kiev” così che “i leader della società civile italiana ed ucraina prenderanno parola insieme per parlare della pace possibile”. E ancora: “La costruzione della pace è un valore da coltivare ogni giorno… La pace non è una bandiera di posizionamento. Non può essere strumentale”. Discorsi sacrosanti – forse un po’ enfatici – anche se il numero dei marciatori previsto si è realisticamente ridotto dai 5mila iniziali a un più saggio “limite di 150 attivisti, come la legge marziale prevede” (e anche la capienza dei rifugi anti aerei). Quel che stupisce è che non si sia stabilito un legame con StoptheWarNow, se non altro per essere stata la prima iniziativa e soprattutto per aver raccolto nella sua variegata coalizione, a oggi, 176 associazioni. Hai ormai un’esperienza importante di cui far tesoro. C’è stato uno scambio di lettere ma alla fine nessun accordo.

C’è un’altra assenza molto rilevante nella coalizione StoptheWarNow ed è quella della Tavola della Pace o, per dirla in altri termini, del coordinamento della Marcia Perugia Assisi, di cui tutti conosciamo numeri e importanza. Assenza pesante e forse difficile da capire per chi marcia tutti gli anni da Perugia ad Assisi. Ed è proprio a questo popolo di “cani sciolti”, che non fanno parte di nessuna associazione, organizzazione, chiesa o sindacato, che resta da dedicare il finale di questa breve sintesi. Nel seguire le carovane e in diversi incontri in giro per l’Italia sulla guerra, non solo abbiamo registrato un desiderio (specie tra giovani e giovanissimi) di partecipare “fisicamente” ad azioni concrete, ma abbiamo toccato con mano più di una realtà, fatta magari di quattro ragazzi che, affittato un pulmino e riempitolo di pasta e pelati, son partiti per Kiev. Con grande entusiasmo (come ai tempi della guerra nei Balcani) e racimolando fondi qui e là e spesso anche mettendosi in rete con i propri Comuni. Ma senza guida o un’agenda che vada oltre la solidarietà umanitaria. Senza, insomma, un percorso politico che richiede tempo, ricerca, organizzazione.

Facciamo nostro il commento di una grande testimone del pacifismo italiano: “Il movimento per la pace è la parte migliore della società italiana – dice Lisa Clark – ma se non si parte assieme, non si costruisce nulla”.

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Domenica  29 maggio 2022

Le notizie principali apparse sui quotidiani del giorno

Escalation missilistica. Dopo il sistema a lungo raggio promesso dagli Usa a Kiev, la Russia testa una nuova arma ipersonica, lo Zircon che ha colpito un bersaglio situato a una distanza di circa 1.000 km.

Donbass allo stremo sotto i colpi dell’artiglieria russa, Severodonetsk, dove si concentrano gli attacchi di Mosca, prossima alla resa. Le truppe ucraine potrebbero ritirarsi perché rischiano l'accerchiamento. Anche Kherson più a Sud è stata conquistata dalle forze russe

Emergenza grano: Macron e Scholz chiamano Putin, che promette l’accesso al porto di Odessa in cambio di meno sanzioni. L'UE pensa a una missione navale nonostante il "rischio estremo" di uno scontro con la Marina russa. Il primo problema da affrontare sarebbe lo sminamento dei porti. Chi dovrebbe occuparsene? Ci sono 20 milioni di tonnellate bloccate che possono innescare una crisi alimentare globale

Putin può prendersi il 45% del neon. L'Occidente rischia di soffrire una grave carenza di chip e 5G. L'avanzata a Sud consegna alla Russia gli impianti per produrre il gas, fondamentale per i semiconduttori. Il polo di Odessa, se conquistato, può rivelarsi decisivo per tagliare fuori USA ed Europa dalla corsa tecnologica a favore della Cina. 

In Italia la proposta di Salvini di andare a Mosca per parlare con Putin diventa un caso. Di Maio lo gela: "Con il presidente russo ci parla Draghi". Critica pure la Meloni. Il leader della Lega ora tentenna. 

La Cina all'assalto di realtà tecnologiche e industriali italiane: la nostra tecnologia le fa gola per acquisire il dominio dei cieli con droni militari ed elicotteri.   

Trump prenota la rivincita alle presidenziali USA alleandosi con la "lobby del grilletto". Ricevute donanzioni record per 119 milioni di dollari

COMMENTO DI ALFONSO GIANNI SU IL MANIFESTO DEL 29 MAGGIO 2022

L’economia di guerra non è più una metafora

CRISI UCRAINA. L'Italia hub mondiale della produzione bellica. Nel 2021 record dell’export di armi: oltre 4,7 miliardi di euro. In campo la fusione Fincantieri e Leonardo. L’«occasione» ucraìna

Se c’è ancora qualcuno che si domanda per quale ragione il cosiddetto piano italiano per la pace sia stato accolto dalle parti in causa e nell’ambito internazionale con reazioni oscillanti fra il disinteresse e il rifiuto, può forse trovare una risposta più plausibile in quel che accade in queste ore.

L’artiglieria pesante italiana è entrata in azione del Donbass. Si tratta dei cannoni FH70, esito di un progetto tedesco, inglese e italiano, capaci di sparare tre colpi al minuto centrando obiettivi situati a 25 chilometri di distanza. Fanno parte delle armi letali che il nostro esercito ha consegnato alle forze armate ucraine in attuazione dei tre decreti interministeriali del governo Draghi su cui, essendo secretati, il Parlamento italiano non ha potuto mettere lingua. È evidente che la credibilità di un piano di pace, al di là dei punti in esso contenuti, è minata alle fondamenta dal sempre maggiore coinvolgimento, attuato senza dichiararlo, del nostro paese nella guerra in atto fra Russia e Ucraina.

Le armi italiane si aggiungono a una dotazione bellica alimentata da tempo in particolare da americani e inglesi. Esattamente un mese dopo l’invasione russa, si è tenuta a Roma una riunione, passata quasi sotto silenzio, dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) che risponde direttamente al Presidente del Consiglio ed ha il compito di ricercare e fornire ogni informazione su quanto si muove fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia.

Nella riunione si sottolineava come i russi avessero incontrato difficoltà impreviste anche per il vantaggio ucraino negli armamenti, dal momento che per ogni tank russo vi sarebbero 11 armi anticarro in dotazione agli ucraini. Infatti, parlando agli inizi di maggio ai lavoratori della Lockeed Martin – protagonista 50 anni fa di un famoso scandalo nelle relazioni con l’Italia – Biden era andato sul pesante, celebrando la produzione dei missili anticarro Javelin, di cui 5.500 inviati in Ucraina, e commentando perfino che i genitori ucraini chiamavano i neonati Javelin e Javelina – una esaltazione del complesso militare industriale Usa denunciato nella storia dal presidente Eishenower come «nemico della democrazia».

Davanti al nuovo pacchetto di aiuti di 40 miliardi di dollari a favore dell’Ucraina, il New York Times il 19 maggio si interrogava seriamente se l’obiettivo di Biden non fosse in realtà quello di destabilizzare e mortificare la Russia piuttosto che salvare gli ucraini. E il vecchio Kissinger ammoniva quanto tale obiettivo fosse sciagurato, dati i rischi concreti di una guerra nucleare. Ma la spinta bellicista e riarmista ha oramai invaso l’Europa. Lo abbiamo visto nelle scelte del nuovo governo tedesco in aperta controtendenza con quelle praticate nel dopoguerra da quel paese.

Lo vediamo nitidamente anche da noi. Il pregevole lavoro degli analisti della Rete italiana Pace e Disarmo ha condotto a significative correzioni del Rapporto annuale al Parlamento sull’export di armi, mettendo in luce che nel 2021 si è verificato il record storico di esportazioni effettive e definitive di materiale bellico (oltre 4,7 miliardi di euro) rimanendo alte le nuove autorizzazioni (per 4,6 miliardi). In totale gli Stati del mondo verso cui sono state autorizzate nel 2021 vendite italiane di armamenti sono stati ben 92. Il nostro paese si presenta come un hub della produzione militare, tanto per quantità che per qualità distruttiva. Progetti in sé non nuovi traggono alimento da questa rinnovata spinta alla produzione di armi.

Riappare il tormentone di una fusione fra Leonardo e Fincantieri. Così sono state intese le parole di Giorgetti, ministro dello sviluppo economico, durante la sua recente visita alla Fincantieri di Monfalcone, dove ha avanzato l’ipotesi di costruire «un polo militare italiano». Il governo è azionista di riferimento sia di Leonardo (partecipata dal Mef al 30%) che di Fincantieri (che Cdp industria controlla con il 71.32%). La sua è dunque la voce del padrone. Ma non ha finora trovato consensi tra gli Ad delle due imprese e neppure nel mercato. La reazione negativa di Profumo, Ad di Leonardo, ha subito fatto risalire le quotazioni azionarie dell’azienda, proponendo in alternativa di fare di Leonardo il polo di aggregazione per un gruppo europeo dell’elettronica della Difesa.

Altri centri finanziari si sono dichiarati contrari alla fusione. Ma l’ipotesi resta in campo, più forte che nel passato, in un curioso braccio di ferro tra politica e finanza. Infatti Giorgetti ribadisce che la domanda di difesa in Europa crescerà e quindi l’Italia deve mostrarsi all’altezza. Come a dire che non abbiamo ancora dato il peggio di noi stessi.

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da LA VERITA' DEL 29 MAGGIO 2022

Putin può prendersi il 45% del neon - di Claudio Antonelli

(...) E' ormai chiaro che l'obiettivo russo (in Ucraina - ndr) sarebbe di prendersi l'intera linea costiera e salire a Nord verso il fiune Dniepr, là dove sono presenti gli altri poli siderurgici (...). Il vero bottino non sarebbe però nell'acciaio da essi prodotto ma nei suoi gas di scarto (...). Tra i sottoprodotti dell'acciaio abbiamo, soprattutto negli impianti vecchi, il celebre neon, (...) che poi viene venduto ai maggiori consumatori: i produttori di chip. (...) Ed è qui che si sviluppa la guerra nella guerra. Il mercato del neon oggi vale soltanto 45 milioni di dollari, ma è destinato a crescere del 30% all'anno nel prossimo decennio. Soprattutto è un mercato strategico. (...) Se la Russia dovesse prendersi Odessa con gli impianti di neon già trattato diventerebbe per prima cosa ago della bilancia nel prezzo di questo materiale; in seconda istanza bloccherebbe la produzione di semiconduttori e di microchip negli USA; e in terza istanza - una volta rimesse in funzione le acciaierie - potrebbe dirottare il neon verso la Cina, (...) che punta a una supremazia militare nei settori del futuro. Dalla cybersecurity alla intelligenza artificiale, passando dal 5G e il 6G (...) E' chiaro quindi che attorno a Odessa si combatte la guerra del futuro e della supremazia tecnologica. Da un lato l'Occidente e dall'altro l'Asia, la Russia e la dittatura cinese...

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Dal Corriere della Sera del 29 maggio 2022

 RIPARTE IL MOTORE FRANCO-TEDESCO di Danilo Taino

Al World Economic Forum di Davos, George Soros è stato duro parlando di Angela Merkel e della eredità che l'ex cancelliere ha lasciato all'Europa. (...)

L'ex finanziere e attivista dei diritti civili ha però esplicitato una realtà (...): ha detto che l'economia tedesca è di fronte alla necessità di riorentarsi per ridurre la subordinazione ai paesi antidemocratici. (...) Detto in altri termini, il modello di crescita tedesco, così di successo negli scorsi anni, è arrivato drammaticamente alla fine di fronte all'invasione dell'Ucraina. (...) La svolta è un problema enorme per il cancelliere Olaf Scholz, anche perché non tutta l'élite tedesca ne è entusiasta (...).

Se negli scorsi 16 anni la leadership di Berlino, per quanto riluttante, è stata una conseguenza dei successi economici del Paese, ora Scholz sarà difficilmente in grado di svolgere un ruolo trascinante e unificante nel continente. (...) Il motore franco-tedesco, che a lungo ha mosso la UE, era già indebolito da anni: ora avrà uno dei due cilindri quasi bloccato. Proprio mentre l'altro cilindro, del quale Soros non ha parlato, sembra andare per i fatti suoi. Emmanuel Macron non è un leader che in Europa unisce, anzi. (...) La sua proposta di creare una Comunità politica europea - in sostanza una entità a corona attorno alla UE nella quale parcheggiare l'Ucraina e i Paesi in attesa (lunga) di accedere a Bruxelles - è vista a Est come una doccia fredda sulle speranze di Kiev (...). L'idea per la quale "stiamo vivendo la morte cerebrale della NATO, ha suscitato dubbi sulla saggezza dei suoi giudizi, visto il protagonismo attuale della Alleanza, e sospetti di vizio antiamericano. (...) Lo stesso obiettivo di "non umiliare Putin" solleva la domanda se con ciò Macron intenda che il capo del Cremlino non deve andarsene dall'Ucraina a mani vuote. (...) Ieri Macron e Scholz hanno telefonato a Putin assieme (...), hanno ricevuto le solite risposte/disponibilità generiche di quando telefonavano separatamente. (...) La rilevanza dei Paesi UE più vicini all'Ucraina è destinata ad aumentare nei palazzi di Bruxelles (...) perché saranno in prima linea nella relazione con la Russia, indipendemente da come finirà l'invasione dell'Ucraina. (...) La Germania disorientata, la Francia sempre più "francese", l'Est e il Nord europei in gran movimento, l'Italia con Draghi ma anche con un quadro politico che vacilla. La guerra di Putin ci ha uniti nell'obiettivo di respingerlo ma ha anche cambiato i rapporti e la conversazione nella UE. Gli anni sotto il segno di Angela Merkel sono davvero un'epoca finita. Forse dovremmo dircelo.

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Giovedi 26 maggio 2022

Le notizie principali apparse sui quotidiani del giorno

Donbass accerchiato e Kiev si lamenta della NATO. Acquisizione semplificata della cittadinanza nei territori occupati, il decreto di Putin scatena le ire di Kiev: "Violata nostra sovranità"

Svezia- Finlandia, la visita ad Erdogan non strappa il SI all'entrata nella NATO

Zelensky dice che ci verranno 600 miliardi per la ricostruzione dell'Ucraina e che i soldi dovranno essere presi alla Russia (legalmente però non è semplice).

L'UE minaccia punizioni a chi viola le sanzioni contro la Russia. Intanto resta sospeso il sesto pacchetto di misure. L'Ungheria continua a opporsi. Si tenta l'unità europea sugli  acquisti

Mosca sostiene di non avere mai ricevuto formalmente il piano di pace di Di Maio. 

Sui corridoi per il grano c'è una apertura della Russia, condizionata al ritiro di parte delle sanzioni. Ma l'Ucraina si indigna: "Nessun negoziato, pensate ai bimbi morti" 

Speculazione in corso sul grano. Il problema dei cereali non è solo la guerra, ma il boom dei prezzi. Causato dalle mosse di quattro multinazionali mondiali (e tre sono USA)

COMMENTO DI ALBERTO NEGRI SU IL MANIFESTO DEL 26 MAGGIO 2022:

"UN PIANO DI PACE BUTTATO NELLA BUCA DELLE LETTERE"

CRISI UCRAINA. Depositato all’Onu da un poco convinto ministro Di Maio senza spiegarlo, il piano italiano sull’Ucraina è contraddetto e «non letto» a Est come a Ovest. Peccato perché sarebbe una buona cosa da sostenere, in linea con la nostra Costituzione e con l’opinione pubblica del Paese. L’unica in cui non si parla di missili e cannoni

Che ci sia ognun lo dice ove sia nessun lo sa. L’amore degli amanti del Metastasio è come il piano di pace italiano per l’Ucraina: chi l’ha visto? È stato «depositato» alle Nazioni unite.

Ma come se il Palazzo di Vetro fosse una buca delle lettere, senza spiegarlo a nessuno, quasi scappando via da qualche cosa di cui non dico vergognarsi ma non essere troppo coinvolti, il piano italiano, impallinato da Est e Ovest, sembra che non l’abbia letto nessuno.

Peccato perché sarebbe una buona cosa da sostenere, in linea con la nostra Costituzione e con l’opinione pubblica del Paese. In più è anche l’unica iniziativa, al momento, in cui non si parla di missili e cannoni.

UN PECCATO se l’occasione venisse sprecata. Presentato la scorsa settimana al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres dal ministro degli esteri Luigi Di Maio a nome del governo Draghi, consiste per quanto è dato sapere in quattro punti.

1 – Cessate il fuoco con il conseguente smantellamento della linea del fronte in Ucraina.

2 -Status internazionale dell’Ucraina. Contempla la neutralità del Paese basata su una «garanzia» internazionale e prevede un futuro ingresso nell’Unione europea.

3 -Il destino delle zone contese, Crimea e Donbass, che godrebbero di una piena autonomia, a patto però che Kiev conservi la sovranità sull’intero territorio nazionale.

4- Garanzie sull’equilibrio internazionale. Il piano propone un accordo multilaterale sulla pace e sulla sicurezza in Europa. Con alcune priorità: disarmo e controllo degli armamenti, prevenzione dei conflitti. Per quanto riguarda l’esercito russo si dovranno stabilire i termini del ritiro dal suolo ucraino con parallelo smantellamento delle sanzioni a Mosca.

«IL PIANO, di cui ho letto una sintesi, delinea una nuova Helsinki», commenta il generale Salvatore Farina, ex capo di stato maggiore, comandante in Bosnia e Kosovo, oggi docente di peacekeeping al corso di laurea (l’unico in Italia) in Scienza della Pace dell’Università Lateranense.

«Certo se ogni giorno dobbiamo sentire affermazioni roboanti dai leader occidentali come “l’Ucraina deve assolutamente vincere”, è difficile coltivare speranze”». Eppure Farina davanti al pubblico di studenti della Lateranense è in un certo senso ottimista: «Nelle prossime settimane è probabile una svolta e se i russi assumeranno qualche posizione di vantaggio, consolidando l’obiettivo minimo del Donbas e Mariupol, potrebbero anche negoziare».

Ma come mai il piano di pace italiano non piace? Forse non è stato «comunicato» nel modo giusto. «Da Roma non ci hanno inviato nulla, ma da quello che leggiamo sui media le proposte italiane sono talmente distaccate dalla realtà che in linea di principio è difficile che possano essere prese sul serio», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, facendo eco alle parole de vice presidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente russo, Dmitri Medvedev.

INSOMMA I RUSSI questo piano non l’hanno letto o non gli è stato recapitato? Più o meno le stesse reazioni, con toni ovviamente diversi, le hanno avute gli ucraini.

«Qualsiasi tentativo internazionale di riportare la pace sul territorio ucraino e in Europa è benvenuto», ha detto il ministro degli Esteri ucraino Kuleba. Il quale però ha aggiunto: «Bene l’iniziativa italiana ma l’integrità territoriale dell’Ucraina va rispettata». E si vede che questo benedetto piano Kuleba non l’ha letto perché si parla di conservare la sovranità ucraina anche su eventuali territori autonomi.

Ma peggio va con gli alleati (presunti) dell’Italia. La portavoce del governo di Berlino, Christiane Hoffmann, afferma di non conoscerlo ancora e che comunque «spetta all’Ucraina decidere se il piano sia accettabile». Insomma pure i tedeschi non ne sanno nulla o dicono di non averlo visto. Sembra quasi incredibile – e comunque assai improvvisato – che su un’iniziativa del genere la diplomazia italiana non abbia consultato anche i suoi partner o per lo meno provveduto a recapitare il documento.

L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, è apparso persino piccato: «Abbiamo preso nota del piano di pace dell’Italia…ma dal punto di vista europeo tutto questo deve passare dall’immediata cessazione dell’aggressione e dal ritiro senza condizioni dell’esercito russo». Una porta in faccia al negoziato.

MA FORSE neppure noi ci crediamo. Lo stesso Di Maio afferma che «il piano di pace italiano è ancora un lavoro embrionale, ci vorrà tempo. Noi abbiamo delineato un percorso che parte da un gruppo di facilitazione internazionale e ha l’ambizione di arrivare a una nuova Helsinki». Mah..

L’impressione è che si tratti di un’iniziativa arruffona – visto che secondo il ministro è «embrionale» – messa in piedi dal governo Draghi per tenere buoni alleati di governo come M5S, Lega e Forza Italia, contrari spesso solo a parole all’invio massiccio di armi ora pesanti e che vorrebbero un’azione diplomatica con Mosca. Dall’altra c’è anche la protesta di quel poco di sinistra pacifista che rimane.

L’IMPRESSIONE soprattutto, è che il piano sia stato elaborato all’interno della Farnesina e che la sua esistenza sia stata resa pubblica – in maniera maldestra – senza consultare le parti in conflitto né gli alleati. Eppure, anche nell’estrema sintesi che abbiamo dato del piano. non pare che sia tutta acqua sporca da buttare insieme al bambino.

Ma ci vuole determinazione e pazienza per sostenerlo, anche soltanto per arrivare a una tregua su una linea di cessate il fuoco dove, dice il generale Farina, «le truppe russe resteranno per anni». Che il governo italiano dovesse frequentare un corso di Scienza della Pace? Magari fa bene.

 

 

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Mercoledi 25 maggio 2022

Le notizie principali apparse sui quotidiani del giorno

L'offensiva russa stringe il cerchio attorno alle città del Donbass. Tutti e due i contendenti con il fiato corto. Si prevede una estate di guerra

A Severodonetsk colpito un impianto chimico 

Cresce l'allarme per il grano bloccato. Rischio di battaglia navale. Londra progetta di mandare una flotta militare nel Mar Nero per scortarlo. Ma serve l'ok di Putin ed Erdogan

L'Ucraina alla carica nel Forum di Davos: "Dateci armi più potenti". Ma Zelensky appare addirittura possibilista  nel suo "realismo" rispetto all'oltranzismo dei suoi. 

Piano di pace italiano, primo No da mosca. Medvedev boccia la proposta. Di Maio: è solo allo stato embrionale . Kissinger sdogana l'idea che Kiev ceda qualcosa in cambio della pace

Sanzioni: l'Ungheria non toglie il veto all'embargo al petrolio russo. Per la commissione UE l'intesa è lontana. Il vertice dei capi di Stato è in programma il prossimo 30 e 31 maggio 

La UE  lavora per un riarmo di cui l'Italia sarebbe ruota di scorta

QUAD: nessuna condanna di Mosca. Biden ribadisce il sostegno a Taiwan

Il Corsera vuole l'inciucio PD - FdI nell'interesse di Kiev

 

 

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Martedi 24 maggio 2022

Le notizie principali apparse sui quotidiani del giorno

La partita militare per il Donbass si gioca sulla sorte di Severodonetsk assediata dai russi.

Zelensky apre il forum di Davos, dove esplode il tema della crisi del grano, con la richiesta di più armi e soldi.

Mosca: «Studiamo il piano italiano per la pace».

Si dimette il diplomatico russo all’Onu Bondarev: «Mi vergogno del mio Paese»

Biden gela Pechino. «Pronti a intervenire per Taiwan».

MOSCA ACCELERA L'OFFENSIVA MILITARE NEL DONBASS: LA PRIORITA' ADESSO E' SEVERODONETSK

Si profila una nuova Mariupol? Sembra di no, perché la posizione geografica di Severodonetsk è meno difendibile di quella di Mariupol.

Secondo il governo di Kiev, ogni giorno, per l’Ucraina, sul fronte est possono morire sui 100 soldati.

IL FORUM DI DAVOS SI OCCUPA DI UCRAINA. IL RAPPORTO DI OXFAM SULLA DISUGUAGLIANZA

Zelensky ha inaugurato ieri (23 maggio) il Word Economic Forum di Davos, il primo appuntamento in presenza dopo la parentesi del Covid.
Gli sconvolgimenti geopolitici e le conseguenze sull’economia hanno concentrato l’attenzione dei circa 2.200 invitati, tra cui una quarantina di capi di stato e di governo accanto ai dirigenti dell’economia mondiale (ma del G20 c’è solo il cancelliere Olaf Scholz).

Una prima decisione è la convocazione a luglio, a Lugano, di una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina. Zelensky valuta ad almeno 500 miliardi di dollari il costo della ricostruzione e appoggia l’idea della Ue di congelare gli averi russi per finanziare parte dei bisogni.

Il tema del Forum quest’anno è Restoring Trust, ritrovare la fiducia: il mondo è entrato in una fase post-neoliberista, è meno aperto, più frammentato, è in corso una de-mondializzazione che tende a costituirsi in grosse aree potenzialmente rivali. Come ricostruire la «fiducia» con la crisi climatica, che condiziona tutti i settori e che richiederebbe una collaborazione mondiale, mentre crescono protezionismo e tensioni? La guerra sta sregolando produzione e scambi.

Al centro dell’attenzione c’è la crisi alimentare, che ha cause molteplici, climatiche ed economiche, aggravata dal blocco dei cereali ucraini da parte dei russi nel Mar Nero, che ha già portato a un aumento dei prezzi del 30% negli ultimi mesi (e contemporaneamente a un aumento dei profitti nell’agroalimentare del 45%). L’aggressione all’Ucraina da parte della Russia sregola l’export di due grandi produttori mondiali. Ma anche altri paesi, presi dal panico per la minaccia di carestie, hanno bloccato l’export: ultima l’India per il grano, prima l’Indonesia per l’olio di palma, ma anche Ungheria, Serbia, paesi caucasici, Argentina per la carne, Iran per le patate, la Cina per i fertilizzanti, c’è una corsa pericolosa al protezionismo, anche solo parziale, che secondo la Fao non fa che aggravare la minaccia di crisi alimentare.

Tutti gli esperti mondiali, dalla Fao al Pam (Programma alimentare mondiale) sottolineano che non c’è una penuria globale di prodotti alimentari, ma che la minaccia di carestia proviene da distorsioni nella distribuzione, dalle spinte protezioniste alle diseguaglianze mondiali e all’eccessiva concentrazione nella produzione e nel controllo del commercio.

LA RUSSIA RIGETTA SULL'OCCIDENTE LA CRISI DEL GRANO.

LA CATASTROFE globale della “crisi del grano” scatenata dalla guerra in discussione proprio al forum economico viene evocata ieri da Peskov, che citato da Reuters addossa le responsabilità della crisi all’Occidente: Mosca «è sempre stata un’esportatrice di grano affidabile. Non siamo noi la fonte del problema». «La Russia – gli fa eco su Twitter il diplomatico Mikhail Ulyanov, rilanciando il ricatto sulle sanzioni – si aspetta un raccolto di grano da record nel 2022. Siamo pronti a offrire l’export di 25 milioni di tonnellate di grano… Cosa offriranno gli Stati uniti?».

Intanto la Lituania propone la formazione una «coalizione di volenterosi» – una «missione umanitaria e non militare» in cui la Nato non dovrebbe giocare alcun ruolo – che scorti le navi nel Mar Nero al di là del blocco russo per prelevare il grano fermo nei silos ucraini. Sempre la Lituania, insieme a Slovacchia, Estonia e Lettonia, manderà oggi una lettera al ministero delle Finanze Ue che esorta a impiegare i beni congelati agli oligarchi per contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina.

Ieri Oxfam ha ricordato nel rapporto Profiting from Pain, che con la pandemia del Covid ogni 30 ore c’è stato un nuovo miliardario nel mondo e ogni 33 ore un milione di poveri in più. La strada per evitare una grave crisi alimentare passa per un aumento delle produzioni locali, per una maggiore diversificazione e minore concentrazione degli scambi internazionali: il mercato mondiale è dominato da 4 produzioni (zucchero, farina, mais, riso), da pochi paesi esportatori (24 paesi al mondo dipendono enormemente da Russia e Ucraina, Libano e Egitto all’80%, l’Eritrea al 100%), ci sono 4 multinazionali dominanti (Abcd: Archer Daniels Midland, Bunge, Cargill, Louis Dreyfus).

MOSCA STUDIA IL PIANO ITALIANO PER LA PACE

Cessate il fuoco immediato, smilitarizzazione del fronte, neutralità dell'Ucraina con garanzie di sicurezza, colloqui per risolvere la questione dello status di Crimea e Donbass, un nuovo patto di sicurezza europea e internazionale. Sono questi i quattro punti principali del piano di pace per tentare di risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina, presentato dall'Italia questa settimana al segretario generale dell'Onu Antonio Guterres.

Dopo il silenzio iniziale, è arrivata una prima risposta da Mosca. La Russia «sta valutando» il piano presentato da Roma, dice il viceministro degli Esteri Andrei Rudenko.
L'Alto rappresentante per la Politica Estera dell'Unione Europea Josep Borrell ha subordinato qualsiasi ipotesi di accordo al «ritiro incondizionato della Russia».

Una sponda per la proposta di Di Maio è invece arrivata negli scorsi giorni dalla Francia, con fonti della presidenza francese dell'Ue a Bruxelles che hanno sottolineato: «C'è coordinamento tra Francia e Italia per arrivare a un cessate il fuoco, i due paesi sono in contatto».

Il nodo - appositamente lasciato sul vago nel testo presentato dall'Italia - è lo status dei cosiddetti «territori contesi» del Donbass e della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014. La proposta italiana prevede che a contribuire a una trattativa sui confini e la sovranità territoriale delle due regioni cuore del conflitto sia una commissione internazionale. Secondo lo schema studiato dalla Farnesina, infatti, a supervisionare tutti i processi per arrivare a un accordo dovrebbe essere il Gruppo Internazionale di Facilitazione, a cui spetterebbe il compito di garantire imparzialità e sicurezza alle trattative di pace. Precisano da ambienti della Farnesina: «Ogni trattativa di pace dovrà essere approvata e decisa dall'Ucraina, che in questo caso è il paese che è stato invaso dalla Russia, quindi le decisioni sui termini di una futura pace devono essere prese da Kiev».

Il fronte europeo continua però a essere freddo in merito all’ingresso di Kiev nella Ue: «Dobbiamo essere onesti, se diciamo che l’Ucraina entrerà nell’Unione in sei mesi, un anno o due, sarebbe una bugia», ha detto in un’intervista il segretario francese degli affari europei Clément Beaune. «Ci vorranno probabilmente 15 o 20 anni». Ma nessuno si tira indietro sull’invio di armi: a un incontro “virtuale” per coordinare gli aiuti militari a Kiev 20 paesi (fra cui Italia, Grecia, Norvegia e Polonia) hanno concordato – ha detto il segretario della Difesa Usa Lloyd Austin – nuovi «pacchetti» di armamenti da destinare all’Ucraina.

LE DIMISSIONI DI BONDAREV, AMBASCIATORE RUSSO ALL'ONU

Boris Bondarev, il diplomatico russo con più anzianità alle Nazioni unite a Ginevra, nella lettera con cui ieri ha rassegnato le dimissioni, scrive: «Non mi sono mai vergognato tanto del mio Paese».

BIDEN E' PRONTO A INTERVENIRE CONTRO LA CINA SE SI PRENDESSE TAIWAN

Ora sappiamo che forse gli Stati uniti interverrebbero militarmente in caso di aggressione a Taiwan. O quantomeno questo è il messaggio che vuole dare Joe Biden, intervenuto durante la conferenza stampa congiunta col premier giapponese Fumio Kishida.
I rapporti tra Washington e Taipei si basano sulla celeberrima «ambiguità strategica» per la quale gli Usa si impegnano a tutelare la difesa taiwanese (per esempio attraverso la vendita di armi) senza stabilire l’obbligo di intervento diretto in caso di conflitto. Anche se da sempre l’impegno di Washington è quello di tutelare lo status quo. Quello status quo che da qualche tempo entrambe le potenze coinvolte in questo gioco a scacchi vedono minacciato dalle manovre o dalle parole del rivale. SECONDO LA CNN, gli alti funzionari sarebbero stati «colti alla sprovvista» dalla dichiarazione di Biden. Ma pare ormai limitativo bollare le sue uscite come «gaffe». Anche perché questa volta il messaggio è stato lanciato dal Giappone, il paese più deciso non solo nel seguire gli Usa ma anche a costruire un’architettura asiatica alternativa a quella cinese.

Ma Taiwan incassa al contempo la delusione (per ragioni geopolitiche) dell’esclusione dall’Indo-Pacific Economic Framework, al quale hanno aderito in 12. Oltre a Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda ci sono tutti i paesi dell’Asean tranne Cambogia, Laos (quelli più “filo cinesi”) e il Myanmar dei generali.

IL COMMENTO SU IL MANIFESTO DEL PATTO INDO-PACIFICO

Guido Moltedo

Patto indo-pacifico, le sorti incrociate di Biden, Xi e Putin
BIDEN IN GIAPPONE E COREA DEL SUD. Al via in Asia il mercato comune di 13 Paesi che gli Usa vogliono in chiave anti-cinese. Il presidente americano la spara grossa: avverte Pechino sulla sovranità di Taiwan

Gli Usa pronti a «intervenire militarmente» in difesa di Taiwan, se attaccata dalla Cina. Sarà la sua proverbiale inclinazione ai passi falsi. O sarà la vecchiaia, come spesso lo stuzzica il suo coetaneo Trump. Forse, più semplicemente, si tratta della sperimentata tecnica di spararla grossa per poi affidare all’ufficio stampa il compito di stemperare, smussare, spiegare.

No, la linea della politica americana nei confronti di Pechino – “One China” – non è cambiata. L’obiettivo, alla fine, è lanciare all’interlocutore/avversario il messaggio che si desidera fargli pervenire, anche se successivamente depotenziato dagli assistenti. Astuzie da politico stagionato a cui Joe Biden fa spesso ricorso. Troppo spesso, lasciando così intravvedere un disegno di politica internazionale non ben definito, se non confuso, dettato soprattutto dall’esigenza di prendere le distanze – se di progetto si trattava – da quello del suo predecessore e, probabilmente, di nuovo suo sfidante nelle prossime presidenziali.

SE SULLA MISSIONE di Joe Biden in Asia domina la sua affermazione muscolare su Taiwan, con il prevedibile carico di reazioni irritate delle autorità cinesi, il suo obiettivo principale è la costruzione di un “blocco” economico asiatico-pacifico, una sorta di mercato comune con la partecipazione di tredici nazioni, con gli Usa in posizione centrale.

In parte è la riedizione della Trans-Pacific Partnership (TPP) avviata da Barack Obama, che Donald Trump cancellò nel corso della prima settimana della sua presidenza, per concentrare il grosso della sua politica nella regione in un dialogo velleitario con la Corea del nord, in chiave anticinese.

Biden non immagina tuttavia una continuità con il TPP, al quale pure lavorò come vice di Obama, per il semplice fatto che fu molto contestato sia negli Usa e nel Partito democratico sia tra i partner asiatici. Resta lo stesso obiettivo, che è quello di strutturare una forte presenza politica americana nella regione asiatico-pacifica, incentrata sul commercio, con una dichiarata aspirazione a contrapporsi alla superpotenza cinese nella sua stessa area di influenza e di proiezione.

L’avvertimento pesante su Taiwan – quindi non una frase “scappata” ma voluta – sottolinea che l’operazione è sì di carattere economico ma è sostenuta da una forza militare operativa che la Cina non possiede.

È la medesima “tecnica” usata nei confronti della Federazione Russa, con l’escalation degli improperi rivolti a Putin stesso, anche se le forze militari americane non sono formalmente presenti sul terreno e se, ai massimi livelli militari, il titolare della difesa Austin parla con il omologo Shoigu e il generale Milley con il suo omologo Gerasimov, due fatti enormi, curiosamente sottovalutati dai media.

IN ENTRAMBI I TEATRI, quello cinese e quello russo, Biden si muove volendo dare l’impressione – proprio con le sue minacce che possono perfino sembrare gaffe – di potersi concedere il lusso di fare il bullo. Perché dispone d’informazioni specifiche sulla situazione ai vertici sia di Mosca sia di Pechino, secondo le quali le leadership di Putin e di Xi sono vulnerabili? Così si dice a Washington. Delle difficoltà di Putin si sa, meno di quelle di Xi, che sono considerevoli. Il controllo della Cina, sotto attacco di Covid, si rivela sempre più problematico, con una repressione che sembra riportare il paese ai tempi della rivoluzione culturale (intesa non nella sua accezione e portata “rivoluzionaria” ma piuttosto nelle sue manifestazioni duramente repressive).

BIDEN VEDE DUNQUE in questo momento due finestre di opportunità per l’America, per ridisegnare il mondo a suo favore, occasioni impensabili al momento del suo insediamento alla Casa bianca. Sembra un’epoca remota quando, due anni fa, a Davos – ricorda l’agenzia Bloomberg – un terzo dei partecipanti miliardari erano tycoon russi e “feste a base vodka e caviale sponsorizzate dai russi erano note per la partecipazione di gruppi di giovani senza accredito fatte passare per traduttrici”. Quest’anno l’ospite d’onore del Forum è Volodymir Zelenskyy.

Il fatto è che lo stesso Biden è in una condizione non troppo dissimile da quella di Putin e Xi per poter davvero approfittare della loro debolezza. A parte i sondaggi drammatici, lo stesso varo dell’Indo-Pacific Economic Framework (Ipef), l’intesa annunciata in questi giorni con i paesi asiatici e pacifici, presenta una serie notevole di complessità d’attuazione e di ostacoli, il primo dei quali riguarda la natura stessa dell’operazione.

I PARTNER VORREBBERO maggiore accesso nel mercato americano, ma questo non piace agli elettori di Biden, non solo a quelli di Trump. Inoltre gli asiatici sono contrari a una sua configurazione in chiave anticinese. «Non desideriamo vedere l’Ipef come meramente uno strumento per contenere altri paesi», ha detto al NYT il ministro indonesiano Lufti. Nei confronti della Cina, d’altra parte, sono gli stessi Usa a tenere un atteggiamento a dir poco ambivalente, se Biden, a Tokyo, ha confidato di voler rimuovere alcune tariffe imposte da Trump a beni cinesi, che, secondo il segretario al tesoro Janet Yellen, fanno più male che bene ai consumatori e alle imprese americane.

E sì, Biden, Putin, Xi, i loro destini sono più interdipendenti di quanto ciascuno di loro vorrebbe ammettere e simili tra loro rispetto alla reale possibilità per ognuno di lucrare sulla disgrazia degli altri due.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA FONDAZIONE DEGLI ARCHI  ORGANIZZA A COMISO, DAL 9 ALL'11 MAGGIO 2022, LA MARCIA DEL SOLE COMISO-NISCEMI.

I DISARMISTI ESIGENTI ADERISCONO INSIEME AI COMUNI DEL RAGUSANO, ALLA DIOCESI DI RAGUSA, ALLA FONDAZIONE BUFALINO, ALLA FONDAZIONE SCIASCIA, ALLA PAGODA PER LA PACE

La città di Comiso è un simbolo del movimento pacifista mondiale e in questo periodo storico caratterizzato dal conflitto russo-ucraino, con la NATO coinvolta, a pochi giorni dal quarantesimo anniversario della marcia contro l’istallazione dei missili Cruise, la Fondazione degli Archi organizza la  “MARCIA DEL SOLE” che si svolgerà dal 9 all'11 maggio da Comiso a Niscemi.

Raccolta dagli organizzatori la nostra idea di due carovane della pace: da Comiso a Kiev e da Comiso a Mosca (per le quali è in preparazione l'appello).

Raccolta anche l'esigenza di riaprire RADIO IRENE (con un programma intitolato: RAGGIO IRENE).

 

marcia - comiso - niscemi

Qui di seguito il comunicato e il manifesto degli organizzatori; e in fondo la lettera di adesione dei Disarmisti esigenti.

COMISO - A piedi e in marcia. Per gridare la pace, per chiedere la pace, affinché la guerra finisca, quella in corso tra Ucraina e Russia, così come tutte le guerre attuali nel mondo. Torna da domani lunedì 9 maggio alle ore 15,45 dal Santuario Immacolata di Comiso per giungere in serata al Castello dei Biscari di Acate, “La marcia del sole_La marcia dei Conigli” con la carovana della pace e la fiaccolata. Si proseguirà poi martedì 10 maggio per continuare a camminare da Acate fino al bosco di San Pietro e poi ancora mercoledì 11 per raggiungere il Santuario di Santa Maria del Bosco a Niscemi. Tre giorni di cammino, tre giorni senza sosta, per 18 chilometri, per chiedere il disarmo nel mondo, contro tutte le guerre. L’idea, promossa dalla Fondazione degli Archi e dall’Antica Trasversale Sicula, prosegue un percorso di attività pacifiste avviate nei mesi scorsi e che si pone l’obiettivo di anticipare i focolai che potrebbero, come tutte le guerre preventive, infiammare e divampare irreversibilmente il globo. Come le tante guerre, già scoppiate sulla terra in questo nuovo millennio, ma lontane dall’Europa, ad eccezione di questa odierna insostenibile aggressione perpetrata dalla Russia alla sorella Ucraina e dell’altra sferrata, nella guerra del Kosovo, appellata ipocritamente come giusta, con lo stesso assurdo orrore, di quella odierna. “Vogliamo far scoppiare la pace, prima che scoppi l’ultima guerra mondiale nel cuore dell‘Europa – spiega Salvatore Schembari, ideatore de La marcia del sole – Il nostro manifesto e l’appello che viene rivolto a tutti gli uomini di buona volontà, vuole invogliare i politici a fermarsi e a ritrovare i valori della fratellanza, ma chiediamo anche al nostro Sommo Pontefice di fare leva sul potere della Misericordia Divina e rilanciare storicamente l’esempio che si impose in India dal 12 marzo al 5 aprile 1930 “La marcia del sale” (Salt Satyagraha o Salt March) di Gandhi, con una iniziativa simile a quella voluta dal grande spirito del Mahatma. Ricalchiamo i passi di quella marcia, chiamiamo a farlo con poesia e spirito religioso tutta l’umanità, camminando con due immense carovane della Pace, con le mani alzate in preghiera al cielo, al Padre Nostro, verso Kiev e verso Mosca in direzione inversa alla guerra, in accordo con la volontà dell’Immacolata Concezione Regina della pace, con fede spropositata capace di trasformare e sommuovere le popolazioni della Russia e dell’Ucraina, in fulgido strumento di pace universale, lasciando che divampino da soli, consumati dalla loro stessa rovente natura, coloro che ora sgozzano con inaudita ferocia ancora gli agnelli. Ecco il nostro auspicio che il Papa venga a Comiso, in accordo con la volontà del Padre Nostro, a benedire questa fulminea fiduciosa corsa verso il disarmo totale”. Hanno aderito i Comuni di Comiso, Acate, Caltagirone, Vittoria, Niscemi, Caltanisetta, Racalmuto, San Cataldo, Libero Consorzio Comunale di Ragusa, Diocesi di Ragusa, Pagoda della Pace, Fondazione Bufalino, Fondazione Sciascia, Disarmisti Esigenti, Lega per il disarmo universale, Wilpf, Kronos Pro Natura, Zeme, movimento civico Le Spighe di San Cataldo.

Ecco il manifesto redatto da Totò Schembari, presidente della Fondazione Bufalino e promotore, con Alfonso Navarra, di Radio Irene ai tempi della resistenza contro la base dei missili Cruise.

La marcia del sole_ La marcia dei Conigli - Carovana della Pace&Fiaccolata

Dalla Sicilia «Isola Nuda», storia di boschi, di mandorli fioriti, d’ulivi, di vigne, d’orti e seminati, campo di grano del mediterraneo, dalla città universale della Pace, da El Homs, «fulmini di bellissima intelligenza» guizzeranno su tutta l’Europa. Dalla Marcia del Sole, in direzione inversa alla guerra, per le strade di Comiso e Niscemi, un raggio Irene e un’onda di Pace si orienteranno doppiamente a risanare la ferita d’oggi, inflitta ferocemente ancora a popoli inermi, agli agnelli figli di Dio, con l’ennesimo scoppio di una guerra (ora forse finale) e a consolare quel sangue già versato nelle terre gemelle di Russia e Ucraina, nel secolo scorso, quando furono trucidati milioni e milioni e milioni di contadini.

Da Comiso dal giorno dello smantellamento della base missilistica nucleare (convertita in aeroporto della condivisione europea Pio La Torre, cambiamento radicale sostenuto per primo da Alexander Langer) bisogna tentare di ritrovare la felicità dei papaveri rossi, che resusciteranno, ancora insieme al frumento, come un continuo oro di stelle a venire, nel Carmelo, nel giardino di Dio.

La MARCIA DEL SOLE_ La Marcia dei Co>Ni>g>li (acronimo da declinare in cammino così: ampio Raggio Irene in marcia da Comiso a Niscemi – a piedi, in bici o in carovane – in direzione inversa alla “g” di guerra, verso la “g”di Gesù, di Gandhi e simili, matrici di Spirito che liberano dal male, per educare per sempre alla pace e alla non violenza, per disarmare il mondo dagli ordigni nucleari e da qualsiasi arma letale).

La marcia già inaugurata il 9 agosto del 2021, svoltasi in tre tappe della durata di tre giorni dal 9 all’11 di ogni mese, ha l’obiettivo di tessere una rete di vigilanza mistica e politica in armonia con la fioritura di un ramo di mandorlo e la realizzazione biblica della misericordia sulla terra (vedi il prezioso ed illuminante passo da meditare e introiettare come verbo, per sempre, nel libro di Geremia:

– E avvenne parola del Signore a me – «Geremia che cosa vedi?». E io: «vedo un ramo di mandorlo» Il signore soggiunse: «hai visto bene, poiché Io vigilo sulla mia parola per realizzarla».

Inoltre sempre ogni mese, subito dopo il pellegrinaggio, verrà associata la figurazione pittorica di “Un assolo per la Pace”

Per mantenere alta la tensione in direzione inversa alla guerra, noi continueremo a camminare ogni mese da Comiso a Niscemi declinando, nello stesso mese, una nuova lingua parlata e scritta da artisti, poeti, scrittori, musicisti e intellettuali, nell’ambito di un’assoluta e singolare declinazione della Pace come meditazioni, parole, azioni e fatti. E ancor di più, sempre ogni mese, subito dopo il pellegrinaggio, verrà associato “Un assolo per la Pace” di un’artista con un’opera d’arte realizzata appositamente sul tema della pace, esposta alla Galleria degli Archi di Comiso, già ampiamente accolto dall’Osservatore Romano, con l’articolo apparso il 27 aprile del 2022 dedicato all’Assolo per la Pace di Fabio Salafia intitolato Nuovo giorno. Felici per averci ricordato, a 40 anni di distanza, dell’innata vocazione all’arte della nostra città, come portafortuna e scrigno necessario all’attualità della pace, oggi più che mai, e di averci colorati così: «Comiso e l’arte della pace. Non missili ma pennelli».

Non dimentichiamo le parole del vangelo che qui parafrasiamo poeticamente:

«Ecco ti metto le mie parole sulla tua bocca»

Si consacra di nuovo /oggi, adesso, di sabato /nella piccola sinagoga /di Gesù a Nàzaret. /Ancora dal rotolo /del profeta Isaia /viene l'annuncio, /passo dopo passo, /il lieto messaggio /dice le stesse cose: – che ormai la porta che si aprì non si è chiusa più al cuore –

La compassione del Samaritano /ha il volto del figlio dell'Uomo, /la sua misericordia attraversa /gli invisibili testimoni della storia: /la vedova in Sarepta di Sidone / Il lebbroso risanato, Naaman, il Siro, Amali tutti i colori, /custodisci il vedanta, il buddista, /Il musulmano, il cristiano stesso...

8 maggio 2022

 

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DA COMISO A NISCEMI SI MARCERA' PER LA PACE DAL 9 ALL'11 MAGGIO
ADESIONE DEI DISARMISTI ESIGENTI CON COMUNICATO DEL PORTAVOCE ALFONSO NAVARRA
L'iniziativa, voluta dalla Fondazione degli Archi,  è denominata MARCIA DEL SOLE - MARCIA DEI CONIGLI ed intende protestare contro le guerre per proporre una alternativa nonviolenta.
E' dall'agosto 2021 che ogni mese si è in cammino da Comiso, luogo simbolo del movimento pacifista mondiale, con l'obiettivo di spargere semi per una cultura di pace.
Nella impostazione della manifestazione, si prende spunto dal ricordo del 4 aprile 1982, quando la cittadina siciliana ospitò una mobilitazione massiccia a livello nazionale (e internazionale) per l'opposizione all'installazione degli euromissili.
Una via a nuovi simboli di vita, uno spiraglio nel buio che la guerra in Ucraina ha datto calare sull'Umanità.
Le tappe previste sono 3.
Il 9 maggio si parte da Comiso e si va ad Acate.
Partenza ore 15:45 dalla Chiesa dell'Immacolata. Si arriva alle 19:45 al Castello dei Principi di Biscari di Acate.
Il 10 maggio da Acate a Santo Pietro.
L'11 maggio da Bosco Santo Pietro a Niscemi.
Si parte alle 9:00 da Bosco Santo Pietro e si arriva a Niscemi alle 13:00, Santuario di Santa Maria del Bosco.
L'Osservatore Romano ne ha parlato il 27 aprile 2022 con un articolo intitolato: "NON MISSILI MA PENNELLI".
"Comiso, decisa a proseguire quella che è diventata la missione di una comunità, ha scelto la strada della bellezza, del messaggio incorrotto".
La lotta nonviolenta, influenzando i pensieri e le decisioni dei potenti, 35 anni fa si è liberata dei missili.
Noi, disarmisti esigenti, aderiamo nella speranza che una nuova grande mobilitazione raccolga il testimone di quello spirito e dia forza a coloro che vogliono dare voce alla volontà maggioritaria del popolo italiano riassumibile in tre punti.
1- Non farci trascinare nella guerra con riarmi e sostegno ai belligeranti, pur nella consapevolezza che occorre distinguere tra aggressore e aggredito; ed anche che, come dice il Papa, "l'abbiaiare della NATO ai confini della Russia può avere facilitato l'invasione";
2- Non attivare una guerra economica attraverso una spirale di sanzioni e controsanzioni: occorre cooperare per la conversione energetica globale in senso ecologico;
3- Sostenere un governo che proponga subito l'Europa come mediatrice per un cessate il fuoco immediato, senza condizioni, base per l' avvio successivo di seri negoziati di pace, con lo spirito del win-win che nasce solo se ogni parte in causa è disposta a una qualche rinuncia.
Abbiamo sentito gli organizzatori della manifestazione.
Concordiamo che può essere ripresa la vecchia Radio Irene, funzionante all'epoca della resistenza ai missili, con un programma: "RAGGIO IRENE".
E pensiamo che da Comiso può partire l'iniziative di due carovane contro la guerra: una diretta a Kiev, l'altra a Mosca.
In questo momento critico, ogni tentativo può essere la scintilla perché scoppi la pace, e Comiso qualche titolo per parlare di riconciliazione nonviolenta ed essere ascoltata ce l'ha, in quanto esempio vincente di una lotta nonviolenta che ha aperto la strada, con gli accordi tra Reagan e Gorbachev del 1987, al più grande disarmo nucleare della storia .
Elaboreremo un appello in questo senso per far sì che dalla idea di passi alla realizzazione concreta...
Alfonso Navarra - portavoce dei Disarmisti esigenti
(gcon un accordo di massima di  LOC- LDU- WILPF Italia - Kronos Pro Natura)

 

TPNW: prima conferenza di revisione

 

La prima riunione degli Stati parti del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) si svolgerà presso l'Austria Center di Vienna, in Austria, dal 21 al 23 giugno 2022.

Il presidente designato della riunione è l'austriaco Alexander Kmentt.

In questa riunione inaugurale, gli Stati parti del TPNW si riuniranno per impegnarsi in azioni concrete per attuare gli obblighi previsti dal Trattato, tra cui fornire assistenza alle vittime dell'uso e dei test di armi nucleari, iniziare a rimediare agli ambienti contaminati (articolo 6) e universalizzare il trattato (articolo 12). Sarà anche un'opportunità per gli Stati di discutere alcuni dei dettagli tecnici del trattato, come la fissazione di una scadenza per l'eliminazione delle armi nucleari per gli Stati dotati di armi nucleari che aderiscono (articolo 4).

Altri Stati non parti del Trattato, così come le agenzie competenti delle Nazioni Unite, altre organizzazioni o istituzioni internazionali, organizzazioni regionali, il Comitato Internazionale della Croce Rossa, la Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e le organizzazioni non governative, sono invitati a partecipare alla Riunione in qualità di osservatori.

Il 20 giugno 2022 l'Austria ospiterà una conferenza internazionale sull'impatto umanitario delle armi nucleari.

(Originariamente prevista per gennaio 2022, la riunione degli Stati parti è stata rinviata a causa della pandemia di COVID-19).

Documenti

Partecipazione della società civile

Ai sensi dell'articolo 8 del Trattato, "le organizzazioni non governative competenti sono invitate a partecipare alle riunioni degli Stati Parti [...] come osservatori". In qualità di coordinatore ufficiale della società civile della PSM, ICAN fornirà informazioni a tutte le organizzazioni non governative interessate sui preparativi, la registrazione, la partecipazione delle ONG e altre attività della società civile intorno alla riunione. Per ricevere informazioni su come la tua organizzazione può partecipare all'MSP, iscriviti qui utilizzando questo modulo.

Aggiornamento 27 aprile 2022:

L'ONU ha condiviso una copia avanzata della sua nota informativa sulle modalità di partecipazione della società civile al 1MSP qui.

Per partecipare al 1MSP sarà necessario completare un processo in due fasi:

1. Richiesta di accreditamento della propria organizzazione della società civile

Per richiedere l'accreditamento nell'ambito della propria organizzazione, si prega di andare qui per inviare il modulo di richiesta di accreditamento direttamente al Segretariato delle Nazioni Unite entro e non oltre il 20 maggio 2022. È inoltre necessario inviare una richiesta di accreditamento scritta separata a Diane Barnes sulla carta intestata ufficiale della propria organizzazione, elencando i nomi completi e i titoli dei rappresentanti che parteciperanno.

Per le istruzioni complete, consultare la sezione IV della nota informativa delle Nazioni Unite, disponibile qui. Le Nazioni Unite invieranno un'e-mail alle organizzazioni della società civile entro il 30 maggio 2022 per informarle se la loro richiesta di accreditamento è stata approvata o meno. Le organizzazioni con status consultivo ECOSOC saranno accreditate. L'ONU valuterà le richieste di tutte le altre organizzazioni della società civile in base allo scopo e alle attività dell'organizzazione in relazione al lavoro della PSM.

Partner ICAN: per far parte della delegazione
ICANICAN sarà un'organizzazione accreditata della società civile presso il 1MSP. Tutti i partner ICAN sono invitati a partecipare al 1MSP come parte della delegazione ICAN. I partner che non hanno lo status consultivo ECOSOC sono particolarmente incoraggiati ad aderire come il modo migliore per garantire l'accreditamento. Se desideri unirti alla delegazione di ICAN, fai domanda qui.

2. Registrazione online dei singoli partecipanti

Dopo che la richiesta di accreditamento della tua organizzazione è stata approvata, dovrai registrare i singoli rappresentanti della tua organizzazione che parteciperanno al 1MSP tramite il sistema Indico online delle Nazioni Unite. Ogni partecipante deve creare il proprio profilo e gli verrà chiesto di fornire (a) la lettera di richiesta di accreditamento, incluso il nome del partecipante, e (b) la nazionalità del passaporto e l'indirizzo e-mail. La registrazione online sarà disponibile dal 30 maggio al 14 giugno 2022.

 

Eventi collaterali

Le organizzazioni non governative avranno una sala conferenze riservata al loro uso presso le Nazioni Unite a Vienna in tutta la PSM. I dettagli su quale camera saranno confermati in un secondo momento. Gli eventi collaterali possono essere organizzati in questa sala senza la sponsorizzazione di uno stato membro delle Nazioni Unite. Se stai pensando di organizzare un evento collaterale, invia un'e-mail a Christina Hawley al tpnw-1msp@icanw.org il prima possibile e non oltre il 6 maggio 2022 con una breve descrizione dell'attività proposta.

Forum della società civile

ICAN organizzerà una conferenza della società civile il 18-19 giugno 2022, insieme a una serie di eventi a Vienna per le ONG che partecipano alla PSM e per il pubblico. Il programma e le iscrizioni a questo evento si apriranno il 9 maggio 2022.

 

A causa delle preoccupazioni per la salute pubblica legate alla pandemia globale di COVID-19, i dettagli relativi alla partecipazione alla PSM non sono ancora chiari. Aggiorneremo questa pagina con ulteriori informazioni non appena sarà disponibile.

Manifestazione a Bruxelles il 27 marzo 2022 collegata in Italia con il presidio del 26 marzo a Milano (piazzale Stazione di Porta Genova, dalle ore 14:00 alle ore 16:00): Disarmisti esigenti & partners per l'Europa di pace contro l'Europa di guerra 

Domenica 27 marzo incontro su Zoom al seguente link: 

https://us02web.zoom.us/j/86160241758?pwd=dGxWRGxsUXZPWlhORnJJUUlyazAvZz09 

ID: 861 6024 1758
Password: 2022

La presa di posizione è stata pubblicata, il 22 marzo 2023, sul quotidiano Il MANIFESTO al seguente link:

A Bruxelles l’Europa di pace contro l’Europa di guerra

A Bruxelles l’Europa di pace contro l’Europa di guerra

Appello. L’ecopacifismo si prepari per contrastare e fare cessare, nella lunga durata, la guerra economica globale

Primi firmatari: 

Andrea Bulgarini, Nina Cabero, Marco Giorgini

Tre vertici a Bruxelles per un’unica linea dettata dagli USA

Gli stessi giorni, contemporaneamente, il 24 e il 25 marzo, insieme al vertice del G7, si tengono a Bruxelles sia il summit NATO che il Consiglio UE. In tutti gli incontri sarà presente in persona il presidente USA Joe Biden. La domanda che sorge spontanea è: chi darà la linea a chi? La NATO alla UE (Biden a Scholz e Macron) o la UE alla NATO (i leaders europei all’America)? La risposta è semplice, se si guarda a quanto sta avvenendo nei Palazzi e nei parlamenti europei, dove ci si allinea al nuovo muro contro l’Est e si votano bilanci militari al 2% del PIL. 

L’invasione russa dell’Ucraina strumentalizzata per il rilancio del riarmo, del nucleare, dei combustibili fossili. In nome di una diversificazione urgente dal valore strategico

La linea la daranno gli USA per il tramite della NATO. Lo faranno approfittando della crisi ucraina, da lungo tempo in essere, diventata oggi guerra grazie all’ingiustificabile e imperdonabile colpo di testa di Putin (l’aggressione militare all’Ucraina va condannata senza se e senza ma). Scontro armato sul terreno della ex-Repubblica sovietica tra esercito russo e esercito ucraino (per disgrazia della popolazione civile, assistito dalle armi NATO, incluse quelle italiane) ma anche e soprattutto guerra economica globale che gli USA stanno dichiarando alla Cina. Ma attaccano per l’intanto il “nemico” russo con sanzioni mal concepite che rischiano di risultare più distruttive per chi le impone, in particolare per l’Europa. È paradossale che il clima di guerra sia usato per giustificare una corsa verso le fonti fossili di energia (gas, petrolio e carbone) ed il rilancio del nucleare cosiddetto civile invece di accelerare la conversione energetica rinnovabile, a parole da tutti perseguita.

A Bruxelles il 27 marzo l’alternativa ecopacifista

Veramente vogliamo ancora rischiare la guerra nucleare, esplicitamente minacciata, per una contesa su dove devono essere situati i confini tra l’impero americano (inclusivo del blocco atlantico) e il nuovo impero russo sognato da Putin? 

Oltre alle citate scadenze del 24 e 25 marzo, il 27, sempre a Bruxelles, la società civile belga, con alla testa le organizzazioni ecopacifiste e con l’obiettivo di fermare la guerra, mobilita “l’Europa per la pace” in una manifestazione cui saremo collegati dall’Italia, dalla Germania e dalla Francia, per cominciare ad incardinare una “alternativa programmatica” che vogliamo sempre più definita e concreta.

Le parole d’ordine del Coordinamento antinucleare e disarmista europeo

Stiamo costruendo un “coordinamento antinucleare e disarmista europeo” e vorremmo presentare con i nostri amici belgi i nostri obiettivi e la nostra strategia di pace in una sede istituzionale del Parlamento europeo, quando le normative anticovid lo consentiranno. Puntiamo in esso a costruire un ponte nonviolento tra i “nemici”.

Le nostre parole d’ordine sono le seguenti:

  • FERMIAMO IL CONFLITTO MILITARE IN UCRAINA CON L’UNIONE DEI MOVIMENTI ECOPACIFISTI EUROPEI (RUSSI E UCRAINI INCLUSI)!
  • FERMIAMO LA GUERRA ECONOMICA ED ENERGETICA CHE STA MONTANDO A LIVELLO GLOBALE!
  • CHIUDIAMO IN TUTTA EUROPA I REATTORI NUCLEARI E GLI IMPIANTI NUCLEARI! ALTRO CHE TASSONOMIA PER FINANZIARLI! 
  • ESIGIAMO IL DISARMO, A PARTIRE DALLE ARMI NUCLEARI GIA’ PROIBITE DA UN TRATTATO ONU! 
  • LAVORIAMO INSIEME PER IL MODELLO ENERGETICO RINNOVABILE: LA PACE CON LA NATURA SARA’ LA STRADA PER CONSOLIDARE LA PACE TRA GLI ESSERI UMANI!

Le tre partite per l’unico campionato dell’Europa di pace

La nostra strategia la denominiamo, per intenderci, “tre partite per un unico campionato sul destino dell’Europa”: la partita locale dei piani energia e clima (PNIEC); la partita europea del rifiuto della tassonomia UE pro nucleare e pro gas (si decide con un voto del Parlamento europeo a luglio); la partita globale della denuclearizzazione come strada concreta per ottenere lo scioglimento dei patti militari e la fuoriuscita dalla logica degli Stati-potenza (in essa si gioca anche la neutralità attiva dell’Europa).

Neutralità attiva: per fermare la guerra l’Europa istituzionale deve proporsi come mediatrice, non come cobelligerante dietro le quinte 

Volere la pace e perseguirla significa, a partire dai rapporti di forza dati, muoversi per fare entrare in campo, esercitando la pressione dal basso, soggetti istituzionali che abbiano reale potere decisionale, con l’abilità di supportare negoziati che si mantengano entro i binari del diritto internazionale e dei suoi organismi. Dobbiamo continuare a lavorare per un ruolo da protagonista dell’Unione Europea nel mediare tra USA e Russia (e anche la Cina), in autonomia (la “neutralità attiva”), per conseguire la pace, un obiettivo già iscritto nei Trattati di Roma. 

Rifiutare il conflitto militare locale (di breve periodo) e la guerra economica globale (di lungo periodo).

Per la pace duratura serve una collaborazione economica finalizzata alla conversione ecologica, alla transizione verso le energie rinnovabili. Se questo è vero, componente essenziale di tale strategia è oggi lavorare per fermare quel conflitto economico (il gioco delle sanzioni e delle controsanzioni) che rappresenta un altro modo di “fare la guerra con altri mezzi”: anche la guerra contro gli ecosistemi. Lo scontro militare in Ucraina cesserà molto probabilmente in tempi brevi e temiamo che, spariti i bombardamenti dagli schermi televisivi, molti dei “pacifisti intermittenti” (Luciana Castellina è autrice della definizione) se ne torneranno alle usate lotte di piccolo cabotaggio. La guerra economica globale, molto più impattante e mortifera (per la FAO, ad esempio, circa 250 milioni di nuovi denutriti), sicuramente è di medio e lungo termine: noi promettiamo di essere sempre lì a contrastarla, contro la fame e la povertà di cui è apportatrice, nello spirito della durata cui siamo abituati con le nostre organizzazioni centenarie di riferimento: l’IFOR, la WRI, la WILPF. Saremo sempre ad organizzare, a combattere in modo nonviolento, ad ammonire ed esortare i popoli di tutto il mondo: invece di assecondare élites sfruttatrici e ammazzarci a colpi di sanzioni disarmiamo e attuiamo insieme gli accordi di Parigi sul clima (che oltretutto abbiamo tutti sottoscritto); e diamoci una mano per portare avanti l’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile!

L’orizzonte della “pace con la Natura” è indispensabile per superare il crinale apocalittico della Storia che stiamo attraversando

Per la realizzazione di tali obiettivi “complessi” e “intersezionali”, comuni a tutte e tutti, occorre connettere e coordinare le risorse organizzative e politiche di base, con una impostazione culturale e di approccio ai problemi che superi molti schemi otto-novecenteschi.

La chiara visione della “pace con la Natura”, individuata come decisiva priorità politica e culturale, è, a nostro avviso, la molla che può rendere attraente e vincente un ecopacifismo nonviolento all’altezza delle sfide vitali del XXI secolo: forse l’unica bussola per evitare il baratro del collasso ecologico, ormai alle porte e con aspetti irreversibili secondo la Scienza ufficiale.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco un testo sulla Pace (da Le parole delle donne)

NOTA BIOGRAFICA

ANTONIA BARALDI SANI, nata a Ferrara nel 1936. È stata docente di materie letterarie nella scuola secondaria di secondo grado. Vive a Roma dove ha svolto una costante attività nei movimenti di base, nei comitati di quartiere degli anni ‘70, e dove è stata eletta nelle istituzioni municipali e provinciali scolastiche. Ha inoltre ricoperto gli incarichi di coordinatrice dell'Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica e di presidente di WILPF-Italia (Womens International League for Peace and Freedom). Scrive per varie testate giornalistiche on line.

L’AVVENTURA DELLA PACE

La Pace è un’avventura. Colgo l’espressione dal titolo di una recente pubblicazione di Bruna Bianchi, già docente di Storia delle donne all’Università «Ca' Foscari» di Venezia. Avventurosa è la percezione di una pace non priva di contraddizioni nei secoli. Sulla sua interpretazione sono stati spesi fiumi di inchiostro e di parole ai tavoli dei trattati, dove in suo nome si spartivano territori ed esistenze umane.

La parola «Pace» è comunemente intesa come “assenza di conflitti”, a partire dagli ambienti familiari; è l'aspirazione a una quiete senza ansie, è il leopardiano «e il naufragar m'è dolce in questo mare»; è la parola più frequentemente impressa in lingua italiana e latina su tombe e monumenti funebri, presso i quali ogni essere umano ha raggiunto la fine delle angosce, delle lotte, delle amarezze, delle travolgenti gioie della vita. Una pace passiva può consistere, dunque, sia  nel trionfo  dell’egoismo  e  dell’inerzia  che,  al  contrario,  nella esaltazione dell’altruismo e della generosità nel caso di una rinuncia pacifica all’autoreferenzialità.

Pace è talvolta una generica proclamazione del nulla. Pensiamo agli iridati tessuti di borse e valigie, alle bandiere arcobaleno pendenti dalle finestre di case e balconi al tempo della guerra in Iraq (2002-2003) con al centro la scritta PACE, lasciate pian piano sbiadire prima della decisione individuale/collettiva di rimuoverle. Cosa intendevano coloro che le avevano appese? Chi pensava al mito di Iride? Chi al ponte variopinto tra Dio  e  l’umanità? Pace significava essere uniti nel dire NO ad una guerra lontana, ad indicare (ma non tutti consapevolmente) da che parte si stava; soprattutto ad auspicare per se stessi e i propri familiari una vita “sicura”, come se lo stendardo della pace fungesse da amuleto e potesse servire a tenere lontani gli appetiti violenti e le aggressioni alla propria abitazione.

Ma “un mondo di pace” significa anche un mondo in cui tutti/e abbiano cibo e lavoro in un ambito di giustizia sociale; a questo tendono i gruppi di volontari, a casa nostra e nel mondo, uomini e donne, ragazzi e ragazze che impegnano la propria vita nell’educazione dei bambini, nell’assistenza agli anziani e, in questi anni recenti, nell’accoglienza dei migranti; ma anche volontari e volontarie che si scontrano su terreni di guerra mettendo a rischio la propria vita per un sogno. Il sogno di un mondo di pace. Sono costoro una netta minoranza. La stragrande maggioranza della popolazione, a partire dai più giovani, intreccia oggi       la pace con l’emergenza climatica e il rispetto per l'ambiente, battaglie ideali che affascinano come sull'orlo di un precipizio ma che non trovano riscontro in una quotidianità fatta di abitudini consolidate che mettono a repentaglio una pace vagheggiata, sì, ma contrastata quotidianamente a partire dalle politiche di governi protesi alla conservazione del potere in perfetta assonanza con le aspettative dei propri cittadini (che peraltro aspirano solo a un maggiore benessere, incuranti - essi e i governanti - delle conseguenze capaci di mettere a forte rischio la sostenibilità del pianeta, in primis l’inquinamento).

Qui sta LA GRANDE CONTRADDIZIONE. I sistemi adottati dagli stati nel mondo globalizzato restano gli stessi di sempre. «Si vis pacem para bellum» («Se vuoi la pace prepara la guerra»), si diceva a Roma alla vigilia della caduta dell'Impero Romano d'Occidente. L’uso delle armi, la cui vendita è oggi moltiplicata al parossismo, serve a tenersi  sempre   pronti   a   proseguire   nella   direzione   del possesso dei   beni   e   dello sfruttamento delle popolazioni, ciò che ha contribuito allo sviluppo delle nostre società nella direzione che oggi i sostenitori della green economy contestano, pur non essendo in grado di opporre le necessarie rinunce a livello individuale. Un esempio lampante è l’incendio delle foreste dell'Amazzonia per consentire la prosecuzione della direzione mondiale intrapresa dai poteri forti. Troppo flebili sono le voci nel mondo dei gruppi che si oppongono.

La Pace è stata storicamente il prodotto delle guerre. La famosa Pax augustea ne è la rappresentazione. Le “orrende” armi tacciono quando sulle migliaia di morti, sui viventi che hanno perso le proprie case - i luoghi cari passati in mano nemica -, sulle leggi dettate dalla parte vittoriosa, si stende la pace, una “pace subìta” dai vinti, che reca in sé il germe della ribellione, una “pace proprietà esclusiva” dei vincitori, pronti a gestirla con proprie modalità. Così è stato sempre.

Come superare la contraddizione lacerante tra una pace intesa come “serenità individuale” e l’astrattezza del concetto nel momento di passaggio al piano della “pace bene comune”, ovunque proclamata ma lungi dall’essere praticata?

Alcune delibere ONU ci vengono in aiuto, a partire dalla celebre risoluzione 1325 del 2000:

«Donne, Pace, Sicurezza», epigona di varie altre risoluzioni concernenti i «Diritti delle Donne e della Pace». Qui la Pace è finalmente intesa nel suo autentico connotato. Il testo della risoluzione ci conduce subito su un terreno concreto: la risoluzione riguarda il ruolo delle donne nei conflitti armati: a) prevenzione e soluzione del conflitto; b) consolidamento della pace e partecipazione paritetica, in particolare nei ruoli decisionali in materia di prevenzione e soluzione dei conflitti.

Le azioni che la 1325 attribuisce alle competenze degli stati devono essere attuate dai rispettivi governi. Le associazioni internazionali di donne - e tra queste in primo piano la WILPF di antica data - lamentavano, a cinque anni dalla risoluzione, l’assenza di interventi da parte dei rispettivi governi, tra gli altri la non paritetica presenza dei generi nelle istituzioni. Ma l’aspetto più interessante della 1325 riguarda la “costruzione” della pace. Al di là di una vaga idea di pace si dispone la messa in atto di interventi atti a tutelare e a proteggere le parti più a rischio delle popolazioni vittime dei conflitti armati. Ha inizio qui l’avventura della pace intesa come percorso post-bellum, nella convinzione che «la comprensione degli effetti dei conflitti armati sulle donne e le ragazze, i meccanismi istituzionali efficaci per garantire la loro protezione e piena partecipazione nel processo di pace possano contribuire considerabilmente al mantenimento e alla promozione della pace e della sicurezza internazionali».

Il cammino si articola in tre tappe: la prevenzione, la gestione e la soluzione dei conflitti. In tutti e tre i livelli viene ribadita la necessità della rappresentanza femminile nelle fasi di adozione delle decisioni.

La prevenzione si innesta sulla soluzione di un precedente conflitto al fine di evitare nuove guerre. La soluzione prevede negoziazioni degli accordi di pace adottati in una prospettiva di genere, nel rispetto dei diritti umani e politici delle donne e della loro possibile attività in iniziative di pace durante il reinsediamento. Tutte le parti coinvolte in un conflitto armato - recita la 1325 - devono adottare misure specifiche per proteggere donne e ragazze da violenze di genere, stupri e altre forme di abusi sessuali.

La 1325 ha ormai quasi vent’anni ma i suoi dettami sono ancora ben lungi dal garantire il rispetto in ambito nazionale e internazionale dei diritti umani! Eppure, la Pace non può che fondarsi su questi presupposti. Essa deve liberarsi dai proclami universalistici non in grado di sventare appetiti e violenze che minaccino “il bene comune”. Questo “bene comune” bisogna poi pensare a come rappresentarlo. A tale proposito ci viene in soccorso l'Agenda ONU 2015-2030 «Per lo sviluppo sostenibile», dove il significato del termine

«Pace» fa i conti con i linguaggi contemporanei: «Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e creare istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli». Da questa risoluzione prende le mosse la recente proposta di un seminario dal titolo «Cultura della Pace in Sicilia», che fonda il suo progetto su un'educazione interculturale e sul pluralismo religioso.

L’obiettivo è la formazione di una generazione in grado di “gestire la pace”, senza tabù, in un clima di laicità in cui le diversità non siano da respingere; le armi convenzionali e nucleari siano il nemico da distruggere; la green economy non sia un finto stratagemma; la parola

«Pace», infine, non significhi nascondere la testa sotto la sabbia o sventolare vessilli di facciata ma rappresenti la fucina nella quale forgiare gli strumenti per una reale, pacifica convivenza a partire dai territori in cui si vive.

Antonia Sani

 

Fukushima 10 anni dopo: il Giappone ricorda la catastrofe nucleare del 2011

 

DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA – PORTAVOCE DEI DISARMISTI ESIGENTI

FUKUSHIMA CI SPRONI A FUORIUSCIRE DALLA MINACCIA NUCLEARE EVIDENZIATA DALLA GUERRA

Siamo all’11esimo anniversario del disastro di Fukushima (l’evento catastrofico si verificò in Giappone l’11 marzo del 2011) ed il rischio nucleare oggi con la guerra in Ucraina si sta manifestando nella sua orribile concretezza.

Non è fantascientifico, con tutta evidenza, lo scenario di incidenti collocabili sulla scala INES 7, come quello che accadde nella località giapponese, in caso di bombardamento accidentale o di un attacco deliberato alle quattro centrali nucleari del Paese, non solo l’ormai famosa Zaporizhzhia.

Ma anche la chiusa e “insarcofagata” Chernobyl, dove nel 1986 si verificò il più grave disastro civile di sempre, è attiva nel suo nocciolo, ed è quindi da attenzionare in quanto luogo possibile di altri gravi incidenti.

Si tratterebbe, se qualche missile, da chiunque sparato, finisse sui reattori, di conseguenze disastrose a livello continentale: i morti e le malattie sarebbero molto superiori alle stime ufficiali, dell’ordine delle centinaia di migliaia di persone nel corso degli anni (dovrebbero essere potenziati gli inadeguati studi sulle base dosi di radioattività per potere fare calcoli più precisi).

Una premessa possiamo farla subito: fermare la guerra in corso è l’unico modo ragionevole per ridurre i rischi in modo sostanziale, se si considerano la fragilità ingegneristica delle centrali nucleari, la loro dipendenza da un complesso sistema di supporto infrastrutturale ed il tempo necessario per portare gli impianti a un livello di sicurezza passivo.

Ma nell’immediato abbiamo un altro suggerimento da proporre ai tavoli dei negoziati in corso tra i belligeranti russi (aggressori) e ucraini (aggrediti, ma non bisogna dimenticare le antecedenti responsabilità NATO): accompagnare ai corridoi umanitari l’istituzione di aree di salvaguardia intorno agli impiantì nucleari (anche ai depositi di scorie radioattive), per un raggio di 25 km. Aree da interdire ad ogni forma di presenza militare per evitare combattimenti.

La minaccia costituita dalla guerra agli impianti nucleari dovrebbe rafforzare la tendenza ad uscire da questa fonte energetica rischiosissima: lo ricordiamo ai decisori che si incontreranno a Bruxelles il 24 e il 25 marzo per varare una tassonomia delle fonti sostenibili che include il nucleare tra esse.

Sottolineiamo altresì l’urgenza di procedere ad una denuclearizzazione anche militare, nella consapevolezza del legame indissolubile tra “atomo civile” e “atomo di guerra”. Anche qui si parla di cose molto concrete, dato che l’autocrate Putin in questa crisi bellica ha esplicitamente brandito la minaccia delle armi nucleari e ha allertato le sue forze strategiche.

Per sollevare questi problemi e sensibilizzare l’opinione pubblica a Milano saremo, Disarmisti esigenti e partners, LOC, WILPF Italia eccetera, in piazza il 12 marzo (Stazione di Porta Genova, dalle 13:00 alle 15:00, collegati con manifestazioni previste in Germania, ad esempio a Treviri) e stiamo organizzando una iniziativa a livello europeo con obiettivo il Consiglio che a Bruxelles voterà sia la Bussola strategica che l’atto delegato sulla tassonomia UE.

Anche a livello nazionale ci diamo da fare per smentire il governo Draghi: il nuovo piano energetico dell’Italia non deve guardare a un possibile “nuovo nucleare” (e ritorno al carbone!) ma ridurre subito la domanda di combustibili fossili e potenziare l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, base per una pace con la Natura e quindi per una società di pace.

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Il volantino distribuito alla manifestazione di Treviri dell'11 marzo 2022 (alcuni passi)

2 settimane circa di guerra in Ucraina - 11 anni dal disastro nucleare di Fukushima (Giappone)

Profondamente rattristati dalla sofferenza del popolo ucraino dopo l'invasione militare russa, nell'anniversario del disastro nucleare, rivolgiamo un pensiero alle persone di Fukushima: sembra una località lontana, ma la guerra in Ucraina l'ha portata molto vicina!

Le truppe russe hanno attaccato i sei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhia in Ucraina orientale la notte del 4 marzo, con 6.000 MW il più grande complesso nucleare in Europa. Nelle operazioni di occupazione del sito si è sviluppato un incendio negli uffici amministrativi. I lavoratori continuano a prestare servizio nell' impianto sotto il controllo dei militari russi. Tuttavia pare che non ci sia più un cambio di turno , e i dipendenti troppo stanchi, non concentrati e sotto stress ne sono la pericolosa conseguenza. E anche quando è spenta una centrale nucleare è una bomba a orologeria , perché se qualcosa va storto non sono più possibili l'alimentazione elettrica dell'impianto: quindi il suo raffreddamento, quindi la sua sicurezza. In tutta Europa abbiamo visto le conseguenze del disastro del reattore di Chernobyl 36 anni fa. Un disastro oggi in una delle attuali quattro centrali ucraine (vecchie di almeno 30 anni) supererebbe di molte volte questa catastrofe!

Una guerra nucleare distruggerebbe tutta l'Europa. Ma per ottenere lo stesso risultato con una bomba convenzionale su una centrale nucleare!

Non è una ipotesi fantastica: ciò che non credevamo possibile si è avverato. Un Putin destinato a fare qualsiasi cosa , la cui spietatezza è già stata mostrata nella guerra siriana e nell'azione contro i dissidenti nel suo stesso Paese sta distruggendo le città e le infrastrutture ucraine.  Che sofferenza umana!

Putin costruisce uno scenario di difesa della popolazione russa contro una presunta minaccia di un regime nazista ucraino - assurdo!  Se dovesse inscenare incidenti contro altri Stati vicini e attaccare altri membri della NATO, ci sarebbe una escalation incalcolabile.

Gli attuali 56 reattori nucleari rendono la Francia particolarmente vulnerabile e noi con lei. Tre reattori nucleari ancora in funzione in Germania e 17 impianti di stoccaggio provvisorio con scorie nucleari altamente radioattive rappresentano un pericolo particolare.

Non c'è alternativa alla transizione più rapida possibile verso le energie rinnovabili decentralizzate. Solo allora saremo veramente indipendenti dalle materie prime russe (compreso l'uranio!) e non suscettibili di ricatti. E' terribile che la Repubblica Federale continui a finanziare la guerra di Putin con l'acquisto di gas naturale.

Anche il percorso della Commissione UE nell'attuale regolamento sulla tassonomia è deprecabile: si suppone assurdamente che il nucleare e il gas siano sostenibili e degni di promozione.

FERMATE LA GUERRA IN UCRAINA!

CHIUDETE TUTTE LE CENTRALI NUCLEARI E GLI IMPIANTI NUCLEARI!

NEGOZIATI PER IL DISARMO, SPECIALMENTE PER QUANTO RIGUARDA LE ARMI NUCLEARI!

ENERGIA NUCLEARE E GAS FUORI DAL REGOLAMENTO DI TASSONOMIA DELLA UE!

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Il Manifesto del 10 marzo 2022 ci informa che secondo l'AIEA per Chernobyl non vi sarebbero pericoli di rilasci radioattivi. Sale invece la tensione nell’attesa dell’attacco russo all’impianto di Yuzhnoukrainsk, il più grande d'Europa.

L'articolo è a firma di Piergiorgio Pescali.

L’Aiea smentisce l’allarme del governo ucraino per Chernobyl | il manifesto

Nonostante il tanto temuto attacco russo non sia ancora stato sferrato e le notizie di movimenti diplomatici lascino aperti spiragli di speranza, ieri è arrivato l’ordine di mobilitazione generale per i coscritti e i riservisti dai 18 ai 60 anni nella zona di Yuzhnoukrainsk.

Per molti è il segnale atteso da giorni: nelle prossime ore i russi potrebbero sferrare l’attacco per il controllo della centrale nucleare di South Ukraine che, dopo la presa di Zaporizhzhie, è la principale fonte di energia da nucleare ancora sotto controllo ucraino.

La mobilitazione è giunta nelle stesse ore in cui l’Ispettorato ucraino per il controllo delle norme di sicurezza negli impianti nucleari denunciava, con eccessivo allarmismo, un blackout nella linea ad alto voltaggio di Kyivska, la sola rimasta ad alimentare la centrale di Chernobyl dopo che la seconda rete era stata scollegata circa una settimana fa. I generatori diesel di emergenza hanno immediatamente ripristinato tutte le funzioni all’interno del sito, ma, a differenza di quanto denunciato dalle autorità ucraine, non vi è nessun pericolo di rilasci radioattivi, come ha confermato anche l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).

L’ENERGIA ELETTRICA SERVE solo ad alimentare i sistemi di sorveglianza, computer, luci degli uffici e sistemi ausiliari, ma non è più necessaria per azionare le pompe di raffreddamento dei reattori, visto che questi sono ormai sufficientemente freddi. Anche il corium del reattore numero 4 non viene più raffreddato da anni e non presenta nessun pericolo di ulteriore fusione.

Infine, le barre di combustibile esausto del reattore numero 3, le ultime ad essere ancora nelle piscine di raffreddamento, hanno perso la quasi totalità del loro potere radioattivo e il calore rilasciato è talmente esiguo che l’acqua viene riciclata solo sporadicamente.

LA STESSA AIEA HA AFFERMATO che «il volume delle acque nelle piscine di raffreddamento è già di per sé sufficiente per rimuovere il calore emesso dalle barre di combustibile senza l’ausilio di impianti elettrici». Non vi è nessun pericolo che si sprigioni iodio-131, l’elemento più pericoloso per l’uomo, il cui tempo di dimezzamento di soli otto giorni ha ormai fatto decadere completamente l’isotopo.

I dosimetri che rilevano automaticamente i livelli di radioattività sono stati disattivati immediatamente dopo l’occupazione russa, ma militari, dipendenti ucraini e Guarda nazionale ucraina ancora presente nella centrale continuano a monitorare manualmente la quantità di radioisotopi presenti nel sito e sin qui nessun pericolo è stato segnalato.

Quello che invece preoccupa maggiormente è l’aumento di radioattività dovuto ai continui movimenti delle truppe russe all’interno della Zona di esclusione di Chernobyl. I livelli di radiazioni sono più elevati del solito e si stanno diffondendo anche all’esterno dell’area contaminata, trasportati dal vento e dai mezzi che si spostano senza sosta entro e fuori le aree precluse.

ALTRA FONTE di apprensione sono le condizioni di lavoro stressanti a cui sono sottoposti i 210 lavoratori nella centrale di Cherbobyl: ormai da due settimane operano senza possibilità di uscire dal sito e senza ricevere cambi di turno e questo getta un velo di inquietudine per via delle ripercussioni fisiche e psicologiche che potrebbero compromettere la sicurezza dell’impianto.

Migliore invece la situazione a Zaporizhzhia, in cui due dei sei reattori funzionano a pieno regime e dove i lavoratori hanno potuto essere sostituiti al termine dei loro turni di lavoro. Nei giorni scorsi i militari russi hanno anche permesso alle autorità ucraine di mantenere collegamenti telefonici con gli operatori.

Nessuna preoccupazione anche per il reattore NSI al Centro nazionale di ricerche dell’Istituto di fisica e tecnologica di Kharkiv, il cui sito era stato colpito dai bombardamenti del 6 marzo. Le 37 barre di uranio sono attualmente in stato di shut-down e i livelli di radiazioni sono stabili e sotto i limiti di sicurezza.

LA TENSIONE È ALTA invece nella centrale nucleare di South Ukraine. Qui, dei tre reattori, due sono in funzione alla massima potenza di 980 MW. Ciascuno di essi contiene 317 barre di combustibile riempite con 455 kg di combustibile con uranio arricchito al 3,5%, ma in caso di pericolo vengono portati immediatamente in condizioni di sicurezza. Il rischio, seppur diminuito, però non viene completamente estinto: un reattore, anche quando è in stato di shut-off, continua a rilasciare calore di decadimento e deve essere continuamente raffreddato.

Nei primi due giorni la temperatura crolla a livelli ambientali, ma per essere sicuri che le reazioni di fissione non ricomincino, innalzando il calore di decadimento, si continua a raffreddare il reattore per un’altra settimana.

Questo significa che la centrale deve sempre essere collegata alla rete elettrica per far sì che le pompe insufflino acqua nel reattore. Nel caso di un blackout completo intervengono i generatori di emergenza alimentati a diesel. In più, i reattori ucraini VVER, di fabbricazione russa, hanno sistemi di raffreddamento alternativi che possono intervenire anche in caso i generatori di emergenza siano fuori uso.

Infine, anche se il reattore fondesse, il rilascio di radiazioni verso l’esterno potrebbe essere evitato, o almeno ritardato perché l’intero sistema è inserito in un vessel di acciaio di 19 centimetri di spessore e da un contenitore primario in calcestruzzo in grado di contenere la maggior parte delle radiazioni.

 

 

PORRE FINE ALLA GUERRA IN UCRAINA COSTRUIRE - CON GLI EUROPEI - UN SISTEMA DI PACE IN EUROPA

 Un taccuino bianco con la pittura della bandiera russa a sinistra e la bandiera dell'Ucraina a destra. Una colomba sventola nel mezzo di entrambe le bandiere. Un pennello si trova sopra il dipinto.

L'aggressione militare della Russia in Ucraina si sta intensificando, con città e civili presi di mira: la catastrofe umanitaria è in corso. Il mantenimento e l'espansione della NATO giocano un ruolo di antecedente non trascurabile. La violenza cui assistiamo afferma una nuova Guerra fredda tra imperi, accende la minaccia di una guerra nucleare, promette miliardi di dollari al militarismo, aggrava le restrizioni razziste sui valichi di frontiera e distrae dall'emergenza climatica (sulla quale getta ulteriore benzina sul fuoco). 

Per evitare una apocalisse possibile, la guerra e i profitti bellici devono cessare, le armi nucleari devono essere abolite, i blocchi militari devono essere sciolti: anche nell'interesse della lotta per l'eguaglianza sociale dobbiamo stipulare la pace con la Natura contrastando il sistema della potenza, della guerra e della violenza che è stato deliberatamente costruito a spese dei diritti umani e della sopravvivenza di tutto l'ecosistema.

 

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DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA - portavoce dei Disarmisti esigenti

Care amiche e cari amici 

partecipando alle manifestazioni di questi giorni "per la pace", ferma restando la condanna di chi sciaguratamente chi ha dato la parola alle armi (l'autocrate Putin), possiamo notare che:

da una parte abbiamo la marea montante di chi chiama pace la guerra per procura per conto della NATO (che ha scagliato l'Ucraina contro la Russia mantenendo e allargando un blocco militare che si sarebbe dovuto sciogliere, un antecedente da non sottovalutare);

dall'altra, a sinistra, abbiamo gli irriducibili che confondono la follia putiniana con gli interessi della Russia ("E' la NATO la vera guerrafondaia; Putin non aveva altra scelta per difendersi che invadere l'Ucraina").

E la corrente dell'Europa di pace che promuove il dialogo per un sistema permanente di sicurezza comune? Eccoci qua pronti a "fare rete"! E a sostenere, per evitare il peggio, i mediatori intelligenti: in questo momento il Vaticano e la Cina...

Di qui l'adesione al digiuno di Papa

Segnaliamo, con lo stesso spirito,  un supporto attivo anche la manifestazione nazionale del 5 marzo a Roma, indetta dalla RIPD: partendo da una base di contenuti accettabili  consente di partecipare con piattaforme e impostazioni autonome, quale la nostra.

Qui di seguito il testo che proponiamo di sottoscrivere, che può essere considerato anche una "aggiunta nonviolenta" alla mobilitazione del 5 marzo.

Per quella data (5 marzo, ore 18:00) ci confronteremo online, chi vuole. Scambieremo idee su come integrare il pacifismo "specialistico" con il programma costruttivo della "pace con la Natura"...

Link zoom   https://us02web.zoom.us/j/85811695144?pwd=ZWhad3JrdGp0V25hVWRWUW4xRFIrZz09 

ID: 858 1169 5144 

Codice di accesso: 2022

Un caro saluto con l'invito ad attivarsi e non mollare!

Per sottoscrivere online l'appello di cui riportiamo il testo:

 

ADERIAMO AL DIGIUNO DI PAPA FRANCESCO PER LA PACE CON LA NATURA, PER LA PACE IN EUROPA

L’escalation bellica in Ucraina ha subito una accelerazione drammatica dopo la decisione di Putin, che condanniamo senza riserve, di invadere con i carri armati il territorio del Paese confinante con lo Stato russo.

L’autocrate da Mosca brandisce addirittura l’arma nucleare e il gesto - “inconcepibile” secondo il segretario generale dell’ONU - rischia di marcare una via di non ritorno sulla strada di una nuova Guerra fredda, da scongiurare, di cui anche l’Occidente con il mantenimento e l’espansione della NATO porta però responsabilità.

Le sottoscritte e i sottoscritti, nel solidarizzare con le vittime popolari della guerra, esprimono l’accorata convinzione che bisogna evitare ulteriori escalation, fermare i combattimenti sul campo e agire innanzitutto, da parte di istituzioni e cittadinanza attiva europea, e da parte di ogni formazione della società civile (quelle religiose!), per ridare la parola ai negoziati, per i quali esiste sempre spazio, tanto più se si è capaci di soluzioni creative nella logica del win-win.

Le parti in conflitto dovrebbero riconoscere che esiste un nemico comune dell'intera umanità che incombe: la crisi climatica ed ecologica, intrecciata con la minaccia del nucleare militare e civile. Per questa ultima segnaliamo il rimedio della proibizione giuridica delle armi nucleari già entrata in vigore e da concretizzare con la eliminazione effettiva degli ordigni atomici, inclusi quelli dispiegati sul suolo europeo.

Collaborare nella denuclearizzazione e nella conversione energetica ed ecologica per sconfiggere insieme il “Generale Permafrost” – il metano intrappolato nel terreno ghiacciato in gran parte in Siberia che sta per sciogliersi - potrebbe salvaguardare tutti i popoli del Pianeta che vivono sotto l’incubo di un riscaldamento globale incontrollabile.

Con questo spirito aderiamo alla “Giornata di digiuno e preghiera” indetta da Papa Francesco il 2 marzo e alla volontà di mediazione e riconciliazione che la informa.

Auspichiamo che ovunque sorgano iniziative di base* per sostenerla e per appoggiare un dialogo tra le comunità umane attualmente in conflitto. Uniamoci all’appello del Papa a tutti i popoli “affinché si fermi subito la follia della guerra, affinché possa scoppiare la pace”: noi, in sintonia con l’enciclica “Laudato Si’”, la designamo anzitutto come necessaria, preliminare e universale “pace con la Natura”.

* A Milano, ad esempio, ci si vede per un presidio informativo dalle ore 13:00 alle ore 15:00 davanti alla Stazione di Porta Genova

Primi firmatari:

Alfonso Navarra e Luigi Mosca (Disarmisti esigenti) - Mario Agostinelli (Energia Felice) - Massimo Scalia (fisico, Università di Roma La Sapienza) - Antonia Sani e Patrizia Sterpetti (WILPF Italia) - Francesco Lo Cascio (presidente Consulta per la pace di Palermo) - Pola Natali (Lega per il disarmo unilaterale) - Ennio Cabiddu (LDU Sardegna) - Oliviero Sorbini ( Federazione media ambientalisti) - Daniele Barbi (Comitato antinucleare Treviri) - Massimo Aliprandini e Mario di Padova (Lega obiettori di coscienza) - Giuseppe Farinella (Kronos Pro Natura)- Andrea Bulgarini (Mondo senza guerre e senza violenza) - Sabina Santovetti  (Extinction Rebellion) - Federico Butera (Osservatorio sull'attuazione del PNNR) - Paolo Candelari (MIR) - Piercarlo Racca (Movimento nonviolento) - Cosimo Forleo (Scuola per la repubblica )

Aderisce la Consulta per la Pace, la nonviolenza, i diritti umani, il disarmo. Comune di Palermo

più contatti in attesa di conferma....

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Vi sono momenti in cui critiche e distinguo devono essere messi in secondo piano ed è opportuno convergere in piazza, considerata oltretutto la possibilità di mantenere l'autonomia delle proprie posizioni...

SABATO 5 MARZO MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER LA PACE A ROMA

Roma, sabato 5 marzo 2022
ore 13:30 partenza da Piazza della Repubblica,
ore 14:30 arrivo a Piazza san Giovanni in Laterano e palco fino alle 17:00
Contro la guerra, cambia la vita
Dai una possibilità alla pace
Bisogna fermare la guerra in Ucraina. Bisogna fermare tutte le guerre del mondo.
Condanniamo l’aggressione e la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Vogliamo il “cessate il fuoco”, chiediamo il ritiro delle truppe.
Ci vuole l’azione dell’ONU: disarmo e neutralità attiva.
Dall’Italia e dall’Europa devono arrivare soluzioni politiche, non aiuti militari.
Protezione, assistenza, diritti alla popolazione di tutta l’Ucraina, senza distinzione di lingua e cultura.
Siamo con la società civile, con le lavoratrici e i lavoratori ucraini e russi che si oppongono alla guerra con la nonviolenza.
No all’allargamento della NATO. Sì alla sicurezza condivisa.
Vogliamo un’Europa di pace, senza armi nucleari dall’Atlantico agli Urali.
Costruiamo ponti e solidarietà tra i popoli, non con le armi ma con la democrazia, i diritti, la pace.
Basta armi, basta violenza, basta guerra!

L'aggressione dell'Ucraina è una scusa!
di Antonia Sani - già presidente di WILPF Italia

La posizione di Putin nell'opposizione alla Nato e sui confini con l'Ucraina ci riportava di colpo agli anni della "guerra fredda" , non tanto per l'allora dura separazione (soprattutto ideologica) tra paesi europei usciti dalle ceneri del dopoguerra col Patto di Varsavia, quanto per la decisa volontà del leader russo attuale di rimuovere l'ostacolo rappresentato dal potere degli  USA/Alleanza Atlantica sul territorio europeo.

Ci siamo svegliati con la guerra in tv. Un nuovo spettacolo. Immagini da un mondo lontano su cui Putin ha deciso di estendere due delle sue fondamentali posizioni. 1) il miraggio della vecchia URSS .Ricordiamo il suo discorso di qualche sera fa con spirito unitario nei confronti dell'Ucraina, della comune cultura e tradizioni .     2) l'insopportabilita' del mondo occidentale che tutto  unito da NATO in poi minaccia il potere autoritario , o meglio l'autonomia del Capo russo. È  una prova dj potere e di forza. Le due repubbliche filosovietiche, la Crimea, la società dei separatisti hanno dato sicurezza a Putin , l'intenzione di esibirsi con un bagaglio da mostrare al mondo occidentale. Tutto può succedere, dall' unità  di tutti gli Stati europei e il Consiglio Nordatlantico con sanzioni volte a bloccare l'economia russa, all'uso non sia mai di armi nucleari, all' accerchiamento prolungato dei territori limitrofi,.. ci saranno, questo è prevedibile, tavoli diplomatici. Come reagirà Putin a questo tavolo? L'Ucraina aggredita è la dimostrazione di non cedere alla Nato, sotto qualsiasi forma. L'aggressione all'Ucraina è una scusa! Ma anche la dimostrazione della propria autonomia . Restano i due nemici storici  .                           Antonia Sani