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Comunicato stampa del 9 gennaio 2023

GUERRA IN UCRAINA, I DISARMISTI ESIGENTI ORGANIZZANO A ROMA IL "DIGIUNO DI COERENZA" CONTRO IL DECRETO PER L'INVIO DELLE ARMI ALL'ESERCITO UCRAINO

APPELLO PER PRESIDI INFORMATIVI IN TUTTA ITALIA (ciascuno con contenuti e modalità autogestiti) 

1O GENNAIO 

PIAZZA DELLA ROTONDA ROMA, VICINO IL PANTHEON (ore 15:00-19:00)

dedicato alla memoria di Antonia Sani, ex presidente WILPF Italia

Il 10 gennaio 2023 viene sottoposto a voto parlamentare al Senato, il decreto del Consiglio dei Ministri n. 185 del 2 dicembre 2022* per prorogare «fino al 31 dicembre 2023» l’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all'esercito ucraino al fine di combattere l’invasione russa.

  • * Si veda l’appendice sotto riportata: illustrazione del DL 185/2022 da parte del servizio studi del Senato;

Si tratta di una proroga del provvedimento introdotto dopo l’inizio della guerra dal governo Draghi, che era in scadenza a fine 2022.
In seguito al 185/2022, che fa da cornice giuridica, all’inizio del 2023, il governo Meloni varerà il sesto decreto di aiuti militari (e gli eventuali decreti successivi) all’Ucraina: per quanto ci è dato sapere, si verrà incontro, da parte italiana, alla necessità manifestata da Kiev di di avvalersi di sistemi missilistici di difesa aerea per proteggere le infrastrutture energetiche dagli attacchi russi.
Ma il nuovo pacchetto, stando a quanto promesso dal ministro della Difesa Guido Crosetto, passerà in ogni caso da una comunicazione parlamentare.
Si profila nel voto del 10 gennaio, come già avvenuto il 30 novembre, e il 13 dicembre 2022, una ampia "unità nazionale", trasversale rispetto agli schieramenti destra-sinistra (più precisamente: centro-destra, centro-sinistra), perché le modalità del decreto (segretezza della lista di armi riferita solo al COPASIR) sono le stesse del governo Draghi votate a suo tempo anche da Fratelli d'Italia.
Il decreto dovrà essere convertito entro sessanta giorni, quindi max fine gennaio- primo febbraio 2023,
e va a seguire il nodo sciolto della approvazione delle legge di Bilancio, caratterizzata dall’aumento delle spese militari in ottemperanza delle direttive NATO (raggiungere il 2% del PIL entro il 2028).
Una parte dell’opposizione annuncia battaglia, a nostro giudizio blanda; e su di essa pesano comunque  le accuse di incoerenza e di strumentalità. A prescindere dal grado di fondatezza delle critiche, interfacciarsi con una presenza pacifista in piazza sarebbe per essa un modo per limitare l'isolamento e la cattiva stampa, pronta a scagliarsi contro chi tradisce la “causa della libertà” presuntamente incarnata dal governo di Zelensky.

I Disarmisti esigenti, tenendo conto di questi dati politici, promuovono un "digiuno di coerenza pacifista", facendo seguito a un appello portato alla manifestazione del 5 novembre, con l'invito ai manifestanti, tramite striscione e volantino, a riconvocarsi quando si sarebbe discusso in Parlamento l'invio delle armi all'Ucraina.
Si parla di "coerenza pacifista" perché, se ci battiamo affinché "tacciano le armi", ci sembra logico e doveroso darsi da fare per impedire che l'Italia le passi a chi le usa per combattere in guerra.
Siamo contro la guerra e quindi siamo contro a che degli esseri umani si sparino l’uno contro l’altro, a prescindere dalle ragioni e dai torti reciproci. Anche se le ragioni fossero tutte da una parte e i torti tutti dall’altra. Il che nella vita reale, nella Storia, quasi mai accade.

Un presidio si svolgerà, appunto il 10 gennaio, in piazza della Rotonda, nei pressi del Pantheon, dalle ore 15:00 alle ore 19:00.

Verrà esposto lo striscione "OGGI NON ESISTONO GUERRE GIUSTE (PAPA FRANCESCO)", portato in quel corteo del 5 novembre (dalle 100mila presenze, non una però fattasi viva il 30 novembre  e nemmeno il 13 dicembre durante le discussioni parlamentari sulla guerra in Ucraina) promosso allora da Europe for Peace e dalla CGIL (più altri).
Oggi, a nostro giudizio, non ci sono più guerre giuste per due motivi: 1) perché, nella concreta situazione di guerra, qualsiasi impiego ormai indispensabile di armi pesanti in battaglia oggi danneggia più gli innocenti estranei che gli implicati direttamente nel conflitto e danneggia la Terra, cioè il corpo vivente di tutti; 2) perché esiste, nella risoluzione dei conflitti, l’alternativa efficace dei metodi di resistenza nonviolenta.

(Non è azzardato stimare che la guerra con epicentro Ucraino oggi produca molti più morti per fame in Africa e stia facendo saltare gli accordi di Parigi sul clima globale).

Vi sono, al momento, cinque digiunatori promotori, in presenza a Roma, Alfonso Navarra, Ennio Cabiddu, Mino Forleo, Gianpiero Monaca e Marco Palombo.

Si aggiunge un supporto a distanza con Moni Ovadia, Turi Vaccaro, Francesco Lo Cascio, Maria Carla Biavati, Totò Schembari, Alessandro Capuzzo, Angelo Gaccione.

Il digiuno è dedicato alla memoria di Antonia Sani, già presidente WILPF Italia, scomparsa il 12 novembre 2022.

La WILPF Italia aderisce allo sciopero, insieme ad altre organizzazioni partners dei Disarmisti esigenti: la LDU, la LOC, IPRI-CCP, Kronos, Per la Scuola della Repubblica, Marcia dei Girasoli/Comiso…

Altre adesioni:  Melitea, Coordinamento No Green Pass di Trieste (vedi documento in calce)

Un presidio informativo di supporto è già organizzato a Trieste ed altri sono in via di preparazione in altre città: Brescia, Firenze...

Alfonso Navarra è il portavoce dei Disarmisti esigenti, Ennio Cabiddu segue per l'organizzazione l'obiezione di coscienza alle spese militari e l'opzione fiscale, Mino Forleo è il responsabile di Per la scuola della Repubblica, Marco Palombo è della Rete No War di Roma.
Giampiero Monaca, maestro elementare, è impegnato a tutelare l'esperienza di scuola attiva, all'aperto, cooperativa e partecipata di Bimbisvegli

Dalle 18:00 alle 19:00 del 10 gennaio, diretta online su RADIO NUOVA RESISTENZA al seguente link:https://streamyard.com/3vyvqhp2rg

Lo concepiamo, questo digiuno, come un giorno di riflessione e di rinnovato impegno per trovare la strada di un rapporto di servizio con il popolo italiano inascoltato per come andremo spiegando.
Nella consapevolezza che il concetto di "popolo" non coincide con quello di "popolo della pace", questo ultimo in buona parte identificabile con i manifestanti del 5 novembre. Quindi
si tratta di costruire un ponte di dialogo e di servizio tra "popolo della pace" e "popolo italiano".
I digiunatori fanno rilevare che un movimento pacifista indipendente che volesse fare il suo mestiere ed influire politicamente dovrebbe in primo luogo farsi carico dei 4 punti su cui i media all'unanimità riferiscono di un consenso popolare maggioritario.
I punti sono i seguenti:
1- Non rifornire di armi e di aiuti militari l’esercito di Kiev (pur solidarizzando con il popolo martoriato dall’aggressione russa. Ma martirizzato anche da una guerra che cresce in intensità e durezza, senza sapere dove si potrà finire all’interno della logica che persegue la “vittoria militare”)
2- Darsi da fare diplomaticamente per “fare tacere le armi” (appunto) ed avviare subito, senza precondizioni, trattative di tregua e poi di pace con l’intervento dell’ONU
3- Non alimentare la corsa al riarmo né convenzionale né tantomeno nucleare. Quindi riduzione delle spese militari e rifiuto di ospitare vecchie e nuove bombe atomiche. Ancor meglio: aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari e comportarsi di conseguenza fuoriuscendo dalla condivisione nucleare NATO
4- Non alimentare una guerra economica parallela con quella militare: le sanzioni energetiche alla Russia, in particolare, risulta chiaro che vanno a danneggiare più i popoli che le élites che profittano dalle guerre.
È questo ultimo punto il contenuto più focalizzato dell’appello che ancora sottoponiamo per le adesioni dal titolo:
SALVIAMO LA TERRA – BLOCCHIAMO LA GUERRA
Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!
PACE SIGNIFICA ANCHE PANE!
I primi firmatari sono:
Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Alex Zanotelli - Angelica Romano - Luciano Benini - Antonino Drago - Antonella Nappi ... e altre/i
Si vada, per leggere il testo al completo, e per sottoscrivere, al link:
https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni/

I digiunatori auspicano che, con il 10 gennaio, e dal 10 gennaio, una pluralità di iniziative fiorisca declinando, con i valori e le posizioni delle varie componenti dell'arcipelago, diverse impostazioni della esigenza sopra indicata, ciascuna libera di esprimersi con le modalità che ritiene opportune. Occorre intraprendere una discussione su come rendere l'iniziativa di carattere continuativo, tenendo conto del fatto bisogna far sentire, da parte del movimento, il fiato sul collo delle istituzioni tutte le volte che si andrà a concretizzare con pacchetti di aiuti militari la "cornice giuridica" del "metodo Draghi" per tutto il 2023. Cornice giuridica, varata nel CDM del 2 dicembre 2022, che sarà presto convertita in legge con un altro voto alla Camera. La discussione dovrà inoltre affrontare come possono essere attivate convergenze con altre campagne, ad esempio il sostegno agli obiettori sia russi che ucraini (il fronte va prosciugato da ambedue i lati) e l'obiezione di coscienza alle spese militari anche come protesta nei confronti della corsa agli armamenti scatenata dallo scenario bellico in cui ci muoviamo.

Per adesioni e info: coordinamentodisarmisti@gmail.com - cell. 340-0736871

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ADESIONE DEL COORDINAMENTO NO GREEN PASS DI TRIESTE

Trieste, 10 gennaio 2023

Disarmo e Neutralità per il Friuli Venezia Giulia: Tiare de Pâz, Tera de
Pase, Dežela Miru, Land des Friedens

PERCHÈ NON DOBBIAMO NE’ VOGLIAMO INVIARE ARMI IN UCRAINA

La nostra Regione ha vissuto in prima persona tutte le guerre del ‘900.
Popolazioni divise, confini mobili, lingue contrapposte, invasioni e
occupazioni; tragedie inenarrabili, che impongono grandi responsabilità.
Fin dall’inizio della guerra in Ucraina, le misure governative relative alla
pandemia che ora sembrano nel complesso rientrare, hanno dato a molti
la sensazione di vivere una sorta di collaudo, di preparazione per uno
Stato autoritario prossimo venturo.
Abbiamo partecipato alle mobilitazioni contro la guerra organizzate a
Trieste e in Regione, e fin dalla comparsa di un chiaro pericolo abbiamo
richiesto ai prefetti di Pordenone e Trieste il rilascio o l’aggiornamento dei
Piani di emergenza in caso di incidente nucleare militare, al porto di
Trieste e alla base di Aviano. Richiesta ripresa dalla stampa e che ha
stimolato analoga presa di posizione, indirizzata al prefetto di Brescia, per
la base nucleare americana, e italiana di Ghedi.
Nel lontano 2005, la Tavola per la Pace del FVG, stigmatizzò la mancata
approvazione parlamentare che fece saltare le norme statutarie sulla
Pace, approvate dall’Amministrazione in occasione del tentativo di riforma
statutaria regionale. Da allora, abolita la legge promossa nel 1989 da
Augusta De Piero, non è più esistita una Legge regionale sulla Pace.
In prossimità delle elezioni regionali di aprile, proponiamo di caratterizzare
l’azione di Movimento durante e dopo la campagna elettorale, con una
proposta programmatica di revisione dello Statuto Regionale; a iniziare
dall’inserimento in Statuto del Trattato di Pace con l’Italia, i cui obblighi
derivanti dal 1947 nell’ambito del Diritto internazionale, sono stati finora
rimossi dallo Stato.
Ci si riferisce in particolare allo status di Disarmo e Neutralità, previsto dal
Trattato di Pace per l’ex Territorio Libero di Trieste, che comprende l’ex
Provincia di Trieste, il Litorale Sloveno e il Bujese Croato. Da rivendicare
con assoluta fermezza, nella presente situazione di “guerra mondiale a
pezzi”, che riguarda l’Ucraina i Balcani l’intero Medioriente e l’Africa.
Si puntualizza che il Trattato in questione è stato ratificato dal Parlamento,
e fatto proprio con Risoluzione n.16 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU
che, a quanto dato di sapere ne avrebbe affidato il protettorato militare
alla NATO. Alleanza che perduta la fisionomia difensiva e divenuta
apertamente aggressiva, manca delle caratteristiche necessarie e
indispensabili per poter “proteggere” un territorio Disarmato e Neutrale.
Il Trattato di Pace statuì la cessazione della Sovranità italiana sulla Zona
A, la cui Amministrazione civile venne concessa col Memorandum di
Londra al Governo Italiano nel 1954. In quanto appartenente al regime di
“protezione” NATO, vi potè accedere anche l’esercito italiano. A seguire,
vennero create la Regione Friuli Venezia Giulia e la Provincia di Trieste;
mentre nel 1975 il Trattato di Osimo lasciò inalterata la situazione di Diritto
riguardante il Disarmo e la Neutralità del Territorio, come accaduto per gli
Atti di diritto precedenti.
La proposta programmatica della Tavola regionale per la Pace comprende
anche - come da lettera inviata al Commissario del Governo a Trieste, e
che rinnoveremo al nuovo prefetto - il supporto alla Proposta di
denuclearizzazione del Golfo internazionale di Trieste, che ospita due
porti nucleari militari di transito, Trieste e la slovena Capodistria; proposta
presentata alla Conferenza ONU istitutiva del Trattato di Proibizione delle
Armi Nucleari, realizzabile in base al nuovo Trattato - entrato in vigore nel
gennaio 2021 - e al più volte citato Trattato di Pace con l’Italia.
Lo status di Disarmo e Neutralità di Trieste è sistematicamente violato,
dalla produzione e traffico di armi verso Paesi in guerra o che violano
gravemente i Diritti umani, traffici che hanno come epicentro il nostro
territorio. Nel 2015 denunciammo le spedizioni di armi dal porto verso gli
Emirati Arabi Uniti, che invasero lo Yemen.
Dal sito The Weapon Watch, osservatorio sui movimenti di armi nei porti
Europei e Mediterranei, si possono evincere notizie sui traffici miliardari di
armi Fincantieri verso l’Egitto, autorizzati dal Governo, in contrasto con la
Costituzione, la Legge 185/‘90 e il Trattato di Pace. In collusione con
l’ormai evidente ostruzionismo internazionale, verso il raggiungimento
della verità sull’omicidio Regeni.
Nelle scorse settimane, è emersa quindi la problematica industriale e
occupazionale legata alla Wärtsilä, la cui produzione militare è stata negli
ultimi anni di ben 43 milioni di euro; fabbrica che potrebbe essere
destinata a costruire carri armati per Rheinmetall, l’azienda tedesca che in
Sardegna produce le bombe lanciate sullo Yemen dai Sauditi, ponendo
l’Italia a rischio di processo per crimini di guerra in ambito internazionale.
Tutte le questioni sollevate contribuiscono a definire con chiarezza la
nostra contrarietà all’invío di armi in Ucraina, che verrebbe
immeditamente denunciata nel caso che partisse dalla città di Trieste.

Per Tavola Pace FVG, Alessandro Capuzzo

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PRESA DI POSIZIONE DEL CENTRO SOCIALE 28 MAGGIO - BRESCIA

INVITO A PARTECIPARE

Martedì 10 gennaio alle 16.30 nell’aula del Senato inizierà la discussione generale per la conversione in legge del decreto 185 del 2 dicembre 2022 che autorizza la cessione di armi all’Ucraina per tutto il 2023.

Per protestare contro la fornitura di armamenti italiani all’Ucraina e chiedere un impegno dell’ONU per una soluzione pacifica del conflitto armato interimperialistico che vede opporsi la Russia e la Nato e che causa migliaia di vittime innocenti alle popolazioni coinvolte ,  invitiamo tutte le realtà di movimento e tutti i soggetti che non vogliono essere complici di questo sistema guerrafondaio sotto la Prefettura di Brescia  martedì 10 gennaio dalle ore 16 alle ore 19.

Donne e Uomini contro la guerra / CentroSociale28maggio

Aderiscono:

RC, Unione Popolare, SA, PCI, USB, Tavolo della Pace Franciacorta, Risorgimento Socialista, Comitato Spontaneo contro le Nocività, Carc, Associazione interculturale il Cerchio delle Donne Rovato, Restiamo Umani, Associazione di Amicizia Italia Palestina, Collettivo Gardesano Autonomo,

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APPENDICE 1

Senato: Dossier n. 19 Camera: Progetti di legge n. 10 5 dicembre 2022

Senato Servizio Studi del Senato Ufficio ricerche nel settore politica estera e difesa Studi1@senato.it - 066706-2451 SR_Studi Camera Servizio Studi Dipartimento Difesa st_difesa@camera.it - 066760-4172 CD_difesa

 

Disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell'Ucraina D.L. 185/2022 / A.S. 389

A.S. 389 D.L. 185/2022 Titolo: Conversione in legge del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell'Ucraina

Iter al Senato: Sì Numero di articoli: 2 Date: pubblicazione in G.U.: 2 dicembre 2022

L'articolo 1 del decreto proroga fino al 31 dicembre 2023, l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, già prevista, fino al 31 dicembre 2022, dall'articolo 2-bis del decreto 25 febbraio 2022, n. 14, convertito con modificazioni dalla legge 5 aprile 2022, n. 28. L'autorizzazione è concessa "nei termini e con le modalità" stabilite nella normativa richiamata, e "previo atto di indirizzo delle Camere". A tal proposito si ricorda che l'articolo 2-bis, del decreto legge n. 14 del 2022 ha autorizzato, previo atto di indirizzo delle Camere, la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine, in deroga alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e agli articoli 310 e 311 del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo, n. 66 del 2010 e alle connesse disposizioni attuative, che disciplinano la cessione di materiali di armamento e di materiali non di armamento.

L'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione, nonché le modalità di realizzazione della stessa (anche ai fini dello scarico contabile), sono definiti con uno o più decreti del Ministro della difesa, adottati di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze (art. 2 bis, comma 2 del decreto legge n. 14/2022). Ai sensi dello stesso art. 2-bis (al comma 3) del decreto legge n. 14 del 2022, il Ministro della difesa e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con cadenza almeno trimestrale, riferiscono alle Camere sull'evoluzione della situazione in atto, "anche alla luce di quanto disposto dai precedenti commi 1 e 2" (che disciplinano, appunto, la cessione di armi). Si ricorda che il 1° marzo 2022 i due rami del Parlamento, a conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio, hanno approvato risoluzioni (al Senato 6-00208, alla Camera 6-00207), che impegnano, tra l'altro, il Governo ad attivare "con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie per assicurare assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché- tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati - la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione".

Tale orientamento è confermato e precisato nelle risoluzioni approvate dal Senato e dalla Camera, rispettivamente il 21 e il 22 giugno (con le risoluzioni 6-00226 e 6-00224) in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno 2022. Le risoluzioni impegnano il Governo, tra l'altro, a "continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari". In relazione alle cessioni in oggetto, sono stati finora emanati i seguenti decreti ministeriali - d.m. 2 marzo 2022 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 marzo); - d.m 22 aprile 2022 (Gazzetta Ufficiale del 28 aprile); - d.m. 10 maggio 2022 ( Gazzetta Ufficiale del 28 aprile); - d.m. 26 luglio 2022 (Gazzetta Ufficiale del 29 luglio); - d.m. 7 ottobre 2022 (Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre). In relazione a ciascuno di questi decreti ministeriali, il Ministro della difesa pro-tempore, Lorenzo Guerini, è stato audito presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (sedute del 2 marzo, 28 aprile, 16 maggio, 27 luglio e 4 ottobre). I decreti ministeriali appena citati hanno un medesimo contenuto. I mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari di cui si autorizza la cessione sono elencati in un allegato, "elaborato dallo Stato maggiore della difesa", che è però classificato. Lo Stato maggiore della difesa viene anche autorizzato ad adottare "le procedure più rapide per assicurare la tempestiva consegna dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti". Si segnala che lo scorso 30 novembre la Camera dei deputati ha approvato la mozione 1/00031, che impegna tra l'altro il Governo a sostenere le iniziative normative necessarie a prorogare fino al 31 dicembre 2023 l'autorizzazione, previo atto di indirizzo delle Camere, alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative dell'Ucraina nei termini e con le modalità stabilite dall'articolo 2-bis del decreto legge 25 febbraio 2022, numero 14» e «ad assumere tutte le iniziative necessarie per conseguire l'obiettivo di una spesa per la difesa pari al 2% del Pil entro il 2028, anche promuovendo, nel quadro della riforma del Patto di stabilità e crescita, l'esclusione delle spese per gli investimenti nel settore della difesa dal computo dei vincoli di bilancio e a incrementare le risorse umane e finanziarie destinate alla politica estera, quale strumento fondamentale per tutelare l'interesse nazionale».

Nel dettaglio lo scorso 30 novembre la Camera ha esaminato le mozioni concernenti iniziative in relazione al conflitto tra Russia e Ucraina ed ha respinto le mozioni Conte ed altri n. 1-00010 e Zanella ed altri n. 1-00020; ha approvato la mozione Richetti ed altri n. 1-00022, limitatamente al dispositivo, ad eccezione del 1° capoverso, che ha respinto con distinta votazione, approvandone con successiva votazione la premessa; ha approvato la mozione Serracchiani ed altri n. 1-00025, limitatamente al dispositivo ad eccezione dei capoversi 2°. 4° e 9°, che ha approvato con distinte votazioni, approvandone con successiva votazione la premessa; ha infine approvato la mozione Tremonti, Formentini, Mulè, Bicchielli ed altri n. 1-00031, limitatamente al dispositivo ad eccezione dei capoversi 3°, 5°, 6° 7° e 8°, che ha approvato con successive distinte votazioni, approvandone con successiva votazione la premessa. Pe un approfondimento si veda qui Come si legge nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto legge in esame, dall'attuazione della disposizione (art.1) non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigentI. Si precisa che le cessioni di mezzi, materiali e armamenti avvengono a titolo non oneroso per la parte ricevente (cioè il governo ucraino) ma, al pari di quelle realizzate dagli altri Stati membri, sono parzialmente rimborsate dall'Unione europea attraverso i fondi dello Strumento europeo per la pace (European Peace Facility). Su tale strumento vedi il nota di documentazione. Per tali cessioni Il Consiglio dell'Unione ha finora disposto lo stanziamento di 3 miliardi di euro (di cui 180 milioni per forniture "non letali"). Si segnala anche che l'articolo 29 bis, del decreto legge n. 21 del 2022 ha novellato l'articolo 2-bis del citato decreto legge n. 14 del 2022, al fine di specificare che le somme in entrata derivanti dai decreti ministeriali che definiscono l'elenco dei mezzi, dei materiali e degli equipaggiamenti militari oggetto di cessione alle autorità governative dell'Ucraina, devono essere riassegnate integralmente sui pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero della difesa.

Da ultimo, il comma 13 dell'articolo 166 del ddl di bilancio per l'anno 203, attualmente all'esame della Camera (A.C. 643-bis) autorizza il Ragioniere generale dello Stato a provvedere, con propri decreti, alla riassegnazione, allo stato di previsione del Ministero della difesa, per l'anno finanziario 2023, delle somme versate all'entrata del bilancio dello Stato dalle istituzioni dell'Unione europea, concernenti le misure di assistenza supplementari connesse allo strumento europeo per la pace(EPF) tese a sostenere ulteriormente le capacità e la resilienza delle forze armate ucraine. L'articolo 2 dispone l'entrata in vigore del provvedimento il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ovvero il 2 dicembre 2022. Relazioni allegate o richieste Il testo è corredato dalla relazione illustrativa e dalla relazione tecnica. Precedenti decreti-legge sulla stessa materia In relazione aal provvedimento in esame si ricorda che successivamente all'aggressione militare della Russia nei confronti dell'Ucraina del 24 febbraio scorso, il Governo ha adottato il decreto legge legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, che ha previsto, tre le diverse misure urgenti, anche la cessione previo atto di indirizzo delle Camere, di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine, in deroga alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e agli articoli 310 e 311 del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo, n. 66 del 2010 e alle connesse disposizioni attuative, che disciplinano la cessione di materiali di armamento e di materiali non di armamento. Motivazioni della necessità ed urgenza Come precisato dal Governo nel preambolo del decreto legge, la necessità e l'urgenza della proroga in esame è dovuta al protrarsi della grave crisi internazionale in atto in Ucraina. Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite Le disposizione del decreto legge riono riconducibili sia alla materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, di competenza esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettera a) della Costituzione), sia alla materia "difesa e Forze armate" di competenza esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettera d) della Costituzione).

 

Gli aiuti militari a Kiev già prolungati con il metodo Draghi a tutto il 2023? occhio alla disinformazione! 

Non molliamo e continuiamo la protesta del digiuno di coerenza ecopacifista!

Corriere della sera di oggi 14 dicembre. Fronte trasversale per l'invio di armi a Kiev. Articolo di Marco Galluzzo. 
"Giorgia Meloni parla alla camera, Guido Crosetto in Senato. Sul dossier relativo agli aiuti militari verso l'Ucraina per la seconda volta in pochi giorni  passano anche le risoluzioni di PD e Italia Viva. Si manifesta una maggioranza trasversale che dimostra a livello internazionale che la posizione di Roma sugli aiuti a Kiev continua ad avere, nonostante il cambio di governo, un sostegno molto ampio. Le dichiarazioni del ministro Crosetto passano con 143 voti a favore e 29 contrari, ma il dato politico è che passano anche le risoluzioni presentate dal PD e da Italia Viva che poco si differenziano da quelle del governo e sulle quali convergono decine di esponenti della maggioranza di Meloni. Mentre vengono bocciate le risoluzioni di 5 Stelle e AVS.  Alla Camera nel passaggio sull'Ucraina la premier Meloni rimarca che "il governo garantisce il suo pieno appoggio a Kiev in tutte le sue dimensioni interconnesse", e dunque sul piano umanitario, finanziario e militare.  Su questo ultimo punto si stanno completando le consegne di armamenti previsti dall'ultimo decreto, mentre il sesto è in fase di preparazione".
Commento di Alfonso Navarra all'articolo del Corsera e agli altri analoghi che troviamo nelle edicole.
La stampa comunque fa disinformazione. Ieri ci sono stati solo atti di indirizzo, non il via libera formale, il decreto CDM del 2 dicembre deve essere ancora approvato con voto parlamentare. Quale è lo scopo di questo inganno?  Comunque deve passare l'idea che la prosecuzione del "metodo Draghi" è cosa fatta e che l'opposizione è solo partitica e strumentale. L'inazione del pacifismo avalla di fatto.
A opporsi in piazza solo i cinque digiunatori per la coerenza pacifista (Alfonso Navarra, Ennio Cabiddu, Cosimo Forleo, Giampiero Monaca, Marco Palombo) con il supporto a distanza della iniziativa promossa dai Disarmisti esigenti di Moni Ovadia, Turi Vaccaro, Francesco lo Cascio e Adriana Saja. E di Maria Carla Biavati e di tutta la Rete IPRI-CCP. Per il popolo della pace, quello che ha manifestato il 5 novembre, in tutto ciò non c'è problema. Ma è probabile che si tratti della sindrome del cavaliere dimezzato di Italo Calvino...
L'iniziativa del digiuno la abbiamo dedicata a Antonia Sani, ex presidente WILPF, scomparsa il 12 novembre scorso. C'è un articolo per il  Manifesto quotidiano  in questo senso che aveva preparato con il sottoscritto prima di passare nel mondo dei più. Aveva sentito la redazione che le consigliava di riproporlo dopo l'ondata de "la pace è bella la guerra è brutta " che avrebbe travolto il giornale a ridosso del 5 novembre
Con due eccezioni di concretezza significative in questo mare magnum di retorica autorassicurativa: il lavoro sugli obiettori russi e ucraini e l'iniziativa di opzione fiscale lanciata dal palco del 5 novembre da don Luigi Ciotti. Ma anch'esse hanno bisogno di essere inquadrate nella costruzione del dialogo tra "popolo della pace" e popolo tout court, le cui istanze nessuno sta rappresentando in modo coerente e completo.
Qui di seguito riproponiamo il comunicato stampa diramato ieri. Nota bene: siamo andati in diretta su Radio Nuova Resistenza e siamo collocati nell'archivio di Radio Radicale ...

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Comunicato stampa del 13 dicembre 2022

GUERRA IN UCRAINA, I DISARMISTI ESIGENTI ORGANIZZANO IL "DIGIUNO DI COERENZA" CONTRO IL DECRETO CROSETTO PER L'INVIO DELLE ARMI ALL'ESERCITO UCRAINO

13 DICEMBRE

LARGO ARGENTINA ROMA, angolo via San Nicola de Cesarini (ore 10:30-13:30)

VIALE TRASTEVERE 76/a ROMA (ore 17:00 - 18:30)

dedicato alla memoria di Antonia Sani, ex presidente WILPF Italia

Il 13 dicembre, su comunicazioni del Ministro Crosetto, viene sottoposto a esame, non ancora a voto parlamentare, il decreto del Consiglio dei Ministri del 2 dicembre 2022 per prorogare «fino al 31 dicembre 2023» l’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all'esercito ucraino al fine di combattere l’invasione russa.
Si tratta di una proroga del provvedimento introdotto dopo l’inizio della guerra dal governo Draghi, che era in scadenza a fine 2022.
In seguito ad esso, che fa da cornice giuridica, tra fine 2022 e inizio 2023 il governo Meloni varerà il sesto decreto di aiuti militari (e gli eventuali decreti successivi) all’Ucraina: per quanto ci è dato sapere, si verrà incontro, da parte italiana, alla necessità manifestata da Kiev di di avvalersi di sistemi missilistici di difesa aerea per proteggere le infrastrutture energetiche dagli attacchi russi.
Ma il nuovo pacchetto, ha ribadito il ministro della Difesa Guido Crosetto, passerà in ogni caso dal Parlamento.
Si profila nel voto del 13 dicembre, come già avvenuto il 30 novembre, una ampia "unità nazionale", trasversale rispetto agli schieramenti destra-sinistra (più precisamente: centro-destra, centro-sinistra), perché le modalità del decreto (segretezza della lista di armi riferita solo al COPASIR) sono le stesse del governo Draghi votate a suo tempo anche da Fratelli d'Italia.
Il decreto dovrà essere convertito entro sessanta giorni, in cui il Parlamento sarà occupato anche ad affrontare il nodo legge di bilancio. Quindi è importante capire questo punto: il 13 dicembre ancora non si approva il decreto del CDM del 2 dicembre, si ascolta una relazione di Crosetto e si propongono le solite mozioni parlamentari di sostanziale appoggio alla linea atlantica. 
Una parte dell’opposizione annuncia battaglia ma su di essa pesano le accuse di incoerenza e di strumentalità. A prescindere dal grado di fondatezza delle critiche, interfacciarsi con una presenza pacifista in piazza sarebbe per essa un modo per limitare l'isolamento e la cattiva stampa.

(Su questo punto riportiamo sotto una nota con più informazioni preparata da Marco Palombo).

I Disarmisti esigenti, tenendo conto di questi dati politici, promuovono un "digiuno di coerenza pacifista", facendo seguito a un appello portato alla manifestazione del 5 novembre, con l'invito ai manifestanti, tramite striscione e volantino, a riconvocarsi quando si sarebbe discusso in Parlamento l'invio delle armi all'Ucraina.
Si parla di "coerenza pacifista" perché, se ci battiamo affinché "tacciano le armi", ci sembra logico e doveroso darsi da fare per impedire che l'Italia le passi a chi le usa per sparare.
Siamo contro la guerra e quindi siamo contro a che degli esseri umani si sparino l’uno contro l’altro, a prescindere dalle ragioni e dai torti reciproci. Anche se le ragioni fossero tutte da una parte e i torti tutti dall’altra. Il che nella vita reale quasi mai accade.

Un presidio si svolgerà, appunto il 13 dicembre, in Largo Argentina (più precisamente, angolo con via San Nicola di Cesarini), dalle ore 10:30 alle ore 13:30; successivamente dalle ore 17:00 alle ore 18:30 davanti al Ministero dell'istruzione - viale Trastevere 76/A - anche in appoggio all'iniziativa "BIMBI SVEGLI".

Verrà esposto lo striscione "OGGI NON ESISTONO GUERRE GIUSTE (PAPA FRANCESCO)", portato in quel corteo del 5 novembre (dalle 100mila presenze, non una però fattasi viva il 30 novembre*) promosso da Europe for Peace e dalla CGIL (più altri).
Oggi non ci sono più guerre giuste per due motivi: 1) perché qualsiasi impiego di armi oggi danneggia più gli innocenti estranei che gli implicati direttamente nel conflitto e danneggia la Terra, cioè il corpo vivente di tutti; 2) perché esiste l’alternativa efficace dei metodi di resistenza nonviolenta.

Vi sono, al momento, cinque digiunatori promotori, Alfonso Navarra, Ennio Cabiddu, Mino Forleo, Gianpiero Monaca e Marco Palombo.

Si aggiunge un supporto a distanza con Moni Ovadia, Turi Vaccaro, Francesco Lo Cascio.

Il digiuno è dedicato alla memoria di Antonia Sani, già presidente WILPF Italia, scomparsa il 12 novembre 2022.

Alfonso Navarra è il portavoce dei Disarmisti esigenti, Ennio Cabiddu segue per l'organizzazione l'obiezione di coscienza alle spese militari e l'opzione fiscale, Mino Forleo è il responsabile di Per la scuola della Repubblica, Marco Palombo è della Rete No War di Roma.
Giampiero Monaca, maestro elementare, è impegnato dal 7 novembre in un presidio permanente a Roma presso la sede del Ministero della pubblica istruzione per tutelare l'esperienza di scuola attiva, all'aperto, cooperativa e partecipata di Bimbisvegli

Dalle 17:00 alle 19:00 del 13 dicembre, diretta online su RADIO NUOVA RESISTENZA al seguente link:  https://streamyard.com/3vyvqhp2rg

Lo concepiamo, questo digiuno, come un giorno di riflessione e di rinnovato impegno per trovare la strada di un rapporto di servizio con il popolo italiano inascoltato per come andremo spiegando.
Nella consapevolezza che il concetto di "popolo" non coincide con quello di "popolo della pace", questo ultimo in buona parte identificabile con i manifestanti del 5 novembre. Quindi si tratta di costruire un ponte di dialogo e di servizio tra "popolo della pace" e "popolo italiano".
I digiunatori fanno rilevare che un movimento pacifista indipendente che volesse fare il suo mestiere ed influire politicamente dovrebbe in primo luogo farsi carico dei 4 punti su cui i media all'unanimità riferiscono di un consenso popolare maggioritario.
I punti sono i seguenti:
1- Non rifornire di armi e di aiuti militari l’esercito di Kiev (pur solidarizzando con il popolo martoriato dall’aggressione russa. Ma martirizzato anche da una guerra che cresce in intensità e durezza, senza sapere dove si potrà finire all’interno della logica che persegue la “vittoria militare”)
2- Darsi da fare diplomaticamente per “fare tacere le armi” (appunto) ed avviare subito, senza precondizioni, trattative di tregua e poi di pace con l’intervento dell’ONU
3- Non alimentare la corsa al riarmo né convenzionale né tantomeno nucleare. Quindi riduzione delle spese militari e rifiuto di ospitare vecchie e nuove bombe atomiche. Ancor meglio: aderire al Trattato di proibizione delle armi nucleari e comportarsi di conseguenza
4- Non alimentare una guerra economica parallela con quella militare: le sanzioni energetiche alla Russia, in particolare, risulta chiaro che vanno a danneggiare più i popoli che le élites che profittano dalle guerre.
È questo ultimo punto il contenuto più focalizzato dell’appello che ancora sottoponiamo per le adesioni dal titolo:
SALVIAMO LA TERRA – BLOCCHIAMO LA GUERRA
Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!
PACE SIGNIFICA ANCHE PANE!
I primi firmatari sono:
Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Alex Zanotelli - Angelica Romano - Luciano Benini - Antonino Drago - Antonella Nappi ... e altre/i
Si vada, per leggere il testo al completo, e per sottoscrivere, al link:
https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni/

I digiunatori auspicano che, dal 13 dicembre, una pluralità di iniziative fiorisca declinando, con i valori e le posizioni delle varie componenti dell'arcipelago, diverse impostazioni della esigenza sopra indicata, ciascuna libera di esprimersi con le modalità che ritiene opportune. Occorre intraprendere una discussione su come rendere l'iniziativa di carattere continuativo, tenendo conto del fatto bisogna far sentire, da parte del movimento, il fiato sul collo delle istituzioni tutte le volte che si andrà a concretizzare con pacchetti di aiuti militari la "cornice giuridica" del "metodo Draghi" per tutto il 2023. Cornice giuridica, varata nel CDM del 2 dicembre 2022, che non viene approvata oggi ma sarà presto convertita in legge. La discussione dovrà inoltre affrontare come possono essere attivate convergenze con altre campagne, ad esempio il sostegno agli obiettori sia russi che ucraini (il fronte va prosciugato da ambedue i lati) e l'obiezione di coscienza alle spese militari anche come protesta nei confronti della corsa agli armamenti scatenata dallo scenario bellico in cui ci muoviamo.

 

Per adesioni e info: coordinamentodisarmisti@gmail.com - cell. 340-0736871
 
*Nota bene: il 30 maggio 2022 la Camera ha discusso e approvato (e respinto) mozioni sulla guerra in Ucraina... 

Nota di Marco Palombo  

Senato e Camera vedranno il 13 dicembre comunicazioni di Crosetto sulle armi all' Ucraina per tutto il 2023 con voto finale su mozioni che sancirà l' invio di armi dall' Italia all' Ucraina per tutto il 2023, qualsiasi cosa succeda.
Le comunicazioni alla Camera erano previste da alcuni giorni e calendarizzate dai capogruppo la settimana passata.
Le comunicazioni di Crosetto al Senato alle 9,30 di domani,  e la decisione dei senatori, sono state fissate questa mattina dai capogruppo del Senato.
Quindi contemporaneamente (alle 9,30 del 13 dicembre)
Alle ore 9:30 del 13 dicembre il Senato deciderà sulle armi all'Ucraina e la Meloni in diretta televisiva parlerà alla Camera sul Consiglio europeo del 15 dicembre.
Le decisioni annunciate a sorpresa da Crosetto sono ormai una abitudine:
-la nomina a ministro della Difesa,
-l' emendamento per il rinnovo dell' invio delle armi, poi ritirato forse per intervento di Mattarella,
- ora "le comunicazioni", ma è da leggere "il voto decisivo" per le armi all' Ucraina per tutto il 2023 annunciate meno di 24 ore prima dall' inizio.
Aggiunta alla nota
Da indiscrezioni della stampa apprendiamo che Crosetto farà il punto sugli aiuti militari all’Ucraina e spiegherà il motivo della proroga: senza le armi dei Paesi occidentali, sarà il senso del suo ragionamento, Kiev avrebbe già perso la guerra contro Mosca. Il ministro della Difesa inoltre spiegherà che il sesto decreto interministeriale non arriverà prima del nuovo anno e potrebbe concedere qualche sorpresa sulla fornitura di armi: non diffondere la lista ma far sapere al Parlamento che gli equipaggiamenti italiani “sono tutti di carattere difensivo”.
"Non è ancora chiaro invece se cambierà qualcosa nel metodo di invio delle armi: fino ad oggi i decreti interministeriali sono stati secretati e presentati solo al Copasir. Il ministro Crosetto è tentato da renderli pubblici, ma la scelta avverrà più avanti se condivisa con la premier Meloni. Poi sfiderà le opposizioni facendo un appello a tutto il Parlamento per chiedere unità sull’invio di armi: “Avete votato invii fino a oggi, non c’è motivo per smettere”. Una sfida soprattutto nei confronti del M5S che chiederà, insieme a Verdi e Sinistra, di interrompere gli invii militari. È molto probabile, invece, che Pd e Iv/Azione decidano di votare a favore sulla risoluzione di maggioranza che ricalcherà la mozione in Aula del 30 novembre scorso. La risoluzione di maggioranza invece prevede di continuare a supportare in ogni forma Kiev tra cui la cessione di armi concordandola “in ambito Nato e Ue” per tutto il 2023. Poi si chiederà di “favorire ogni utile sforzo per una progressiva risoluzione del conflitto che possa giungere ad una pace rispettosa della sovranità ed indipendenza dell’Ucraina”. La relazione di Crosetto avverrà in contemporanea alle comunicazioni di Meloni alla vigilia del Consiglio europeo in cui ribadirà che “sugli aiuti a Kiev e le sanzioni alla Russia non si torna indietro” (come ha ribadito ieri al G7) e nello stesso giorno della Conferenza di pace a Parigi convocata dal presidente Macron: una riunione per sostenere Kiev a cui parteciperà il ministro degli Esteri Antonio Tajani".
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Un problema: come mai l'attivista pacifista tipo non si rende conto che è disastroso politicamente non manifestare sotto le Camere quando si prendono decisioni vitali sulla pace e sulla guerra?
Qualcuno è fuori dal mondo e non ha il senso della misura e delle proporzioni sugli eventi.
Si vedano le osservazioni di un certo Angelo.
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Interessante questa considerazione di Carlo Calenda riportata da "Il Giornale" del 14 dicembre 2022.

L'articolo è di  e si intitola

"È una cretinata totale". Così Calenda asfalta Conte sull'Ucraina

La linea del governo Meloni, ribadita ieri in Aula dal ministro della Difesa Guido Crosetto, è limpida: gli aiuti militari da destinare alla resistenza ucraina continueranno anche nel 2023 e “finiranno solo quando ci sarà un tavolo di pace”. Con queste premesse, la posizione del governo testimonia la continuità in politica estera con il governo Draghi e si allontana, sempre di più, dal pacifismo grillino dell'ultima ora, ormai isolato all’interno dell’arco parlamentare.
Carlo Calenda appoggia la linea della maggioranza sull’invio di armi a Kiev e si scaglia contro Giuseppe Conte. Ieri, per la prima volta, il M5S ha votato esplicitamente contro l’invio delle armi in Ucraina. E il leader di Azione, intervenendo da Kiev a Mattino 5 non perde l’occasione di pungolare il leader grillino. “La linea di Conte sull’invio di armi – esordisce il leader del Terzo Polo – è una cretinata totale”. “Levare le armi agli ucraini non vuol dire cercare la pace ma la resa”. E arriva il rimprovero al leader del M5S: “Conte non faccia propaganda sulla pelle degli ucraini”. A ben vedere, la visita di Calenda a Kiev può nascondere due obiettivi politici: per un verso mostrare la volontà della resistenza ucraina ai cittadini italiani e, per altro verso, rivelare l’opportunismo politico di Conte che, pur di recuperare qualche voto, alimenta un diffuso sentimento di rabbia nel Paese. Il leader del Movimento 5stelle “sa che una larga parte degli italiani associano alla guerra i rincari delle bollette e non ne possono più”. Portando avanti questa narrazione, Conte vuole esasperare le difficoltà dei cittadini italiani nel superare il caro bollette e dare loro un capro espiatorio con cui prendersela. Questo, secondo Carlo Calenda è puro “qualunquismo”.
E il monito di Calenda si estende a tutti i partiti dell’opposizione: “Anche in ospedale la prima cosa che ti dicono è che servono armi perché vogliono continuare a combattere. Lo dico agli amici che cantano Bella Ciao, questa si chiama resistenza”. Un attacco più o meno velato, a quell'ala del Partito democratico, più vicina alle istanze pacifiste di Giuseppe Conte.

Ieri intanto il Parlamento ha dato il via libera alla proroga, anche per il 2023, all’invio di armi in Ucraina. E lo ha fatto con uno schieramento molto ampio: sia alla Camera che al Senato il Pd e il Terzo Polo hanno appoggiato la risoluzione della maggioranza. Gli unici a votare contro sono i grillini, che confermano, una volta per tutte, la loro posizione scettica su nuovi invii di armi a Kiev. La posizione presa dal governo di Giorgia Meloni in politica estera sembra convincere il leader di Azione: “Condivido la linea del governo che ha ribadito il sostegno incondizionato, anche militare a Kiev” e conlude: "Su questo la linea di Giorgia Meloni coincide con la nostra”.

 

Anche nel 2023 più investimenti per armi nel bilancio della difesa italiana mentre nel mondo aumenta la vendita degli strumenti di morte

a cura di redazione sulla base di dati ed elaborazioni forniti dall'Osservatorio MILEX e con riferimenti al rapporto annuale del SIPRI

La tendenza di decisa crescita per la spesa militare italiana continua anche per il 2023. Lo si evince dalle Tabelle dei bilanci previsionali allegate alla Legge di bilancio 2023. Si tratta delle Tabelle del Ministero della Difesa, del MISE e del MEF che vengono analizzate secondo la metodologia elaborata dall'Osservatorio MILEX. Il nuovo incremento complessivo sarebbe di oltre 800 milioni di euro.

Secondo le elaborazioni dell'Osservatorio, si passa dai 25,7 miliardi previsionali del 2022 ai 26,5 miliardi stimati per il 2023. Questo tenendo conto anche della spesa pensionistica militare netta a carico dell'INPS, in aggiunta alle dotazioni dei fondi dei tre Ministeri (MdD, ex MISE e MEF).

Tenendo conto anche della spesa pensionistica militare netta a carico dell’Inps, in aggiunta alle dotazioni di fondi dei Ministeri secondo la metodologia adottata da Mil€x, si passa infatti dai 25,7 miliardi previsionali del 2022 ai 26,5 miliardi stimati per il prossimo anno.

A trainare l’aumento è il bilancio ordinario della Difesa (comprendente anche le spese non militari per i Carabinieri in funzione di ordine pubblico) che passa da 25,9 a 27,7 miliardi in virtù dei maggiori costi del personale di Esercito, Marina e Aeronautica (oltre 600 milioni in più) e delle maggiori risorse dirette destinate all’acquisto di nuovi armamenti (quasi 700 milioni in più). Circa cento milioni di euro in più sono previsti per le amministrazione e i comandi centrali, nonché per indennità varie come l’ausiliaria. Va sottolineato come l’aumento complessivo registrato nel bilancio della Difesa sia derivante per circa un miliardo da fondi previsti “a legislazione vigente” (e cioè derivanti dalle scelte degli anni precedenti, in particolare quelle del Governo Draghi) e per i restanti 700 milioni circa da decisioni direttamente ascrivibili alla manovra di bilancio del Governo Meloni.

Altra voce ormai fondamentale della spesa militare (e da anni molto rilevante sia dal punto di vista delle cifre che della valenza operativa e strutturale) è quella dei costi per le missioni militari all’estero, che vengono finanziate da un fondo assegnato al bilancio del Mef e poi trasferito alla Difesa dopo passaggio parlamentare. Nel 2023 la dotazione sarà di oltre 1,5 miliardi di euro (in crescita di 150 milioni rispetto all’anno precedente) di cui il 90% (cioè quasi 1,4 miliardi) possono essere ascritti a funzioni militari dirette. Rimangono sugli alti livelli già registrati nel 2022 gli investimenti per nuovi armamenti: l’aumento già evidenziato nell’ambito del bilancio del Ministero della Difesa viene infatto compensato da una quasi equivalente diminuzione delle risorse indirette provenienti dall’ex Mise (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy) con una conseguente conferma del budget annuale complessivo destinato al riarmo nazionale a oltre 8 miliardi di euro.

A Legge di Bilancio approvata l’Osservatorio Mil€x pubblicherà un report più approfondito sulle spese militari italiane 2023 comprendente la stima del cosiddetto “bilancio integrato in chiave Nato” e quindi del suo percentuale sul PIL nazionale.

NOTA METODOLOGICA DI MILEX

Ricordiamo che, a partire da una definizione di spesa militare ormai condivisa (e allineata con quella dei maggiori istituti di ricerca internazinoali), l' Osservatorio Mil€x considera l’importo totale del Bilancio della Difesa come mero punto di partenza per valutare la spesa militare italiana complessiva. Tale cifra deve infatti registrare fondi in aggiunta iscritti presso altri ministeri (principalmente il fondo per le Missioni militari all’estero che viene istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e i fondi che l’ex Ministero per lo Sviluppo Economico mette a disposizione per acquisizione e sviluppo di sistemi d’arma) e deve invece vedere sottratta per coerenza di destinazione e tipologia di utilizzo la grande maggioranza del bilancio dell’Arma dei Carabinieri (per lo specifico ruolo che gioca tale struttura, in particolare la parte forestale) che viene considerata solo per la componente legata alle missioni all’estero.
La nuova metodologia dell’Osservatorio Mil€x sulla spesa militare, aggiornata e migliorata nel 2021, comprende nel conteggio anche cifre derivanti da altre considerazioni (quota parte costo basi USA, ammortamenti mutui su spesa armamenti MISE, impatto delle pensioni militari) come verrà esplicitato nel report approfondito di inizio 2023.

Per maggiori info: https://www.milex.org/

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Aumenta la vendita di armi nel mondo, anche sulla scia della guerra in Ucraina

Lo confermano i dati del rapporto annuale dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).

Le vendite di armi e servizi militari nel 2021 da parte delle 100 maggiori società di difesa del mondo sono aumentate dell'1,9% a 592 miliardi di dollari.

La crescita è, però inferiore, alle aspettative, a causa dei

I problemi della catena di approvvigionamento, provocati in buona parte della pandemia avrebbero però moderato la tendenza alla crescita. I problemi dovrebbero aggravarsi  quando verranno presi in considerazione i dati del 2022, legati inevitabilmente alla guerra in Ucraina.

40 delle 100 aziende leader del settore-armi (nonché le prime cinque in assolute) hanno sede negli Usa: totale vendite per 299 miliardi di dollari, in calo dello 0,8% a causa, dell'alta inflazione nell'economia americana nel corso del 2021.

Come scritto, le cinque aziende "militari" più grandi del mondo sono tutte americane: Lockheed Martin (produttrice dei lanciarazzi Himars), Raytheon Technologies, Boeing, Northrop Grumman e General Dynamics.

L'azienda dell'Unione europea meglio classificata è l'italiana Leonardo, al 12° posto: il gruppo, di cui il maggior azionista è il Ministero italiano dell'Economa, ha realizzato vendite per 13.9 miliardi di dollari nel 2021, con un incremento del 18% rispetto all'anno precedente.

 

 

 

È scomparsa Antonia Sani, non più corpo vivente tra noi, ma ancora viva nella "fede" disarmista

E' stata la più stretta partner che i Disarmisti esigenti abbiano mai avuto nella "battaglia" per il disarmo atomico.

Crediamo che chiunque l'abbia frequentata, in questo triste momento, possa richiamarla  con dei bellissimi ricordi e rimpiangere la sua saggezza, la sua determinazione, il suo bel carattere.
Condividiamo il dolore di tutte le amiche della WILPF

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IL RICORDO DE IL PAESE DELLE DONNE

La Camera ardente di Antonia Sani Baraldi sarà aperta in Via Misurina 69, Roma (piano 4°, citofono Sani-Baraldi) dalle ore 15.00 di sabato 12 novembre 2022 a tutta la giornata di domenica 13 novembre.

I funerali si svolgeranno martedì 15 novembre, ore 15 30, presso la Certosa di Ferrara.

È mancata a chi l’amava, a tutte noi, in questa triste notte, Antonia Sani, donna generosa e intelligente, democratica e femminista, che ha investito la sua vita nel rispetto e nella difesa dell’umanità: diritti, scuola , pace, Costituzione.

Non ci sono parole e ringraziamenti bastevoli per quanto ha dato alla Wilpf-Italia, di cui a lungo è stata Presidente, alla Casa internazionale delle donne, alla nostra stessa associazione.

I nostri abbracci e le più sincere condoglianze a chi, vicino o lontano da lei in questo momento, la piange.

Associazione e redazione de Il Paese delle Donne.

Da parte di Alfonso Navarra – portavoce dei Disarmisti esigenti 

(sotto riportato il volantino che distribuiremo alla manifestazione per la pace del 5 novembre)

 

PER IL 5 NOVEMBRE OLTRE IL 5 NOVEMBRE

IL CESSATE IL FUOCO ESIGE, PER COERENZA, IL NO ARMI AI BELLIGERANTI, NO RIARMO, NO SANZIONI

 

Cara/o presidente cristiano

In vista della mobilitazione del 5 novembre ti avanziamo una proposta che riteniamo vada nel senso della tua ricerca di soluzioni pratiche e nonviolente al problema di come fermare l’escalation bellica con epicentro Ucraina.

Un tuo bell’intervento, firmato con altri 43 presidenti, termina con l’invito a “percorrere l’utopia della Pace”, citando Papa Franceso all’Angelus del 24 marzo 2022:

La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari ma un'altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo e di impostare le relazioni internazionali”.

La manifestazione del 5 novembre, nel suo senso POLITICO, è un tentativo di  messa in pratica di un altro invito del Papa, ad un Angelus più recente (3 ottobre 2022):

In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate il fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”.

E’ un tentativo, quello di Europe for Peace, a nostro giudizio parziale, perché il “tacciano le armi” per “consentire all’ONU di avviare negoziati positivi”, risulterebbe più forte e credibile alle seguenti condizioni, che esprimono coerenza tra il mezzo e il fine (“sii il cambiamento che vuoi vedere realizzato”).

Prima condizione: Se invito il governo italiano ad agire per fare tacere le armi, è bene che l’Italia non faccia parte di quei Paesi che forniscono bombe e missili ai belligeranti. La legge 185 vieta di rifornire i Paesi in guerra e qui non c’è una risoluzione dell’ONU che autorizza l’uso della forza (che è cosa diversa da una presa posizione assembleare di condanna di una invasione militare). Né risulta che qualcuno abbia delegato alla NATO di ergersi giudice e poliziotto del mondo. Quindi noi dall'Italia chiediamo di non sparare e lo possiamo fare senza imbarazzo perché siamo i primi a non passare le armi a chi le usa e le userà sul campo di battaglia, quale che sia il giudizio che formuliamo sulla fondatezza delle sue ragioni.

Seconda condizione. Chiediamo, come Italia, che l’ONU intervenga a mediare perché noi stessi siamo autorevoli e affidabili come promotori di dialogo e di mediazione. Non è certamente questa la situazione di chi è cobelligerante di fatto perché supporta un esercito con soldi, cannoni, tecnologia, addestramento al combattimento. Ed accompagna il supporto alla guerra militare con una guerra economica attraverso sanzioni energetiche mal concepite (pare che oltretutto danneggiano più il sanzionatore che il sanzionato).

L’appello che avete proposto giustamente propone che l’Italia ratifichi il Trattato di proibizione delle armi nucleari: questo rientra perfettamente nel nostro ragionamento perché, da parte di chi la denuncia, è logico gettare acqua sul fuoco di una escalation atomica che viene esplicitamente e sciaguratamente brandita.

Stante le argomentazioni finora esposte, ecco che si può capire il significato dello striscione (sopra riportato) con cui saremo presenti il 5 novembre alla manifestazione di Roma e dell’invito che vi rivolgiamo ad essere pronti a scendere di nuovo in piazza quando, all’inizio del 2023, il governo italiano metterà ai voti parlamentari la decisione di supportare ancora l’esercito ucraino. (Il sesto pacchetto di aiuti militari nei prossimi giorni probabilmente seguirà il “metodo Draghi”, provvedimento secretato comunicato solo al COPASIR, senza dibattito in aula).

Il miglior modo di fare tacere le armi è smetterla di apparecchiarle nella illusione che servano a risolvere le controversie internazionali! Se solo uno su 100 di quelli che scendono in piazza il 5 novembre lo ribadissero sotto Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi, ecco che forse potremmo inaugurare un’altra storia più incisiva del pacifismo:  meglio agire prima piuttosto che lamentarsi dopo dei fallimenti e dell’incomprensione da parte delle moltitudini popolari!

La dinamica purtroppo la conosciamo: a) emergenza bellica; b) risposta emotiva di massa canalizzata in un contenitore generico (spesso strumentalizzato da soggetti della dimensione politico-istituzionale); c) delusione della base e isolamento degli animatori pacifisti, che tornano minoranza inascoltata. È ora, se possibile, di uscire da questo circolo vizioso mostrando il senno del prima.

Facci sapere se sei disponibile, per questa mobilitazione in presenza contro l’invio di armi a Kiev:

1)     A contattarci direttamente il 5 novembre. Ci trovi dietro lo striscione che apriamo alle 11:30 all’ex Planetarium davanti Santa Maria degli Angeli (Piazza Repubblica - angolo via Romita)

2)     Ad un incontro on line a due voci da concordare (quando e come vuoi);

3)     Ad un incontro collettivo che indiciamo domenica 13 novembre con inizio alle ore 17:00 su piattaforma Google Meet

meet.google.com/hke-wexi-dde

Se siete d’accordo potete subito scrivere a: coordinamentodisarmisti@gmail.com – cell. 340-0736871

Potete trovarci da subito in presenza dietro questo striscione (Pza Repubblica, angolo via Romita, vicino ex Planetario, ore 11:30)

Si ricorda anche che è ancora possibile aderire all'appello:

SALVIAMO LA TERRA - BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

PACE SIGNIFICA ANCHE PANE!

Con primi firmatari: Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Alex Zanotelli - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti - Luciano Benini - Antonino Drago - Federica Fratini - Antonella Nappi ... e altre/i  

Questo il link: https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni

 


IL VOLANTINO PER IL 5 NOVEMBRE

 

DIAMOCI APPUNTAMENTO, NOI DEL 5 NOVEMBRE, PER CONTESTARE IL VOTO SULL’INVIO DELLE ARMI A KIEV!

Stiamo, oggi 5 novembre, manifestando perché tacciano le armi e l’ONU intervenga per arrivare a una tregua tra i combattenti, propedeutica a negoziati di pace.

Molto bene. È positivo il tentativo di riportare il tema della pace al centro del dibattito pubblico. Non può, infatti, essere ignorato il contesto politico-culturale per il quale, in Italia (ma anche per lo più nel resto d’Europa) il solo parlare di pace è tacciato di filoputinismo!

Per essere coerenti e conseguenti adesso è giusto che ci riconvochiamo, con la stessa logica e la stessa forza, per evitare che, dall’Italia, si getti benzina sul fuoco della guerra. Se ci battiamo perché le armi non sparino è doveroso battersi perché non siano passate a chi le usa per sparare. Siamo contro la guerra e quindi siamo contro a che degli esseri umani si sparino l’uno contro l’altro, a prescindere dalle ragioni e dai torti reciproci. Anche se le ragioni fossero tutte da una parte e i torti tutti dall’altra. Oggi non ci sono più guerre giuste, ci ricorda lo stesso Papa Francesco. Per due motivi: 1) perché qualsiasi impiego di armi oggi danneggia più gli innocenti estranei che gli implicati direttamente nel conflitto e danneggia la Terra, cioè il corpo vivente di tutti; 2) perché esiste l’alternativa efficace dei metodi di resistenza nonviolenta.

Quindi è la guerra in sé l’aggressore che ci aggredisce tutti. E dobbiamo boicottarla in tutti i modi (nonviolenti) possibili. Per altruismo ed anche per egoismo: abbiamo capito che è in gioco la nostra stessa pelle se scattano escalation mal guidate…

Le armi tacciano, perciò non siano apparecchiate per chi dà loro la parola. Non le si fornisca ai russi e nemmeno le si fornisca all’esercito ucraino, che non siamo affatto obbligati a sostenere se vogliamo sostenere il popolo ucraino. La differenza, ci segnalano i sondaggi, il popolo italiano l’ha colta, quando per il 75% manifesta contrarietà al coinvolgimento armato anche indiretto dell’Italia nella guerra in corso.

Quando allora dovremmo rivederci in piazza per contestare un voto parlamentare per nuovi aiuti militari all’Ucraina? È possibile più presto di quanto non ci immaginiamo. Forse prima del 1° gennaio 2023, data in cui dovrebbe scadere la prassi instaurata dal governo Draghi: provvedimenti segretati a conoscenza solo del COPASIR. Stando alle parole del nuovo ministro della difesa Crosetto i nuovi eletti potrebbero essere presto chiamati a dimostrare con un voto l’”unità nazionale” sulle armi a Kiev.

All’”unità nazionale” dei partiti noi possiamo rispondere con l’”unità popolare” che va a fare sentire la sua voce sotto Montecitorio e Palazzo Madama. La ragione ci sembra chiara. Non vogliamo alimentare il mostro orrendo della guerra! Non un cannone, non un soldo, non un soldato per essa! L’umanità deve porre fine alle guerre o saranno le guerre, sarà questa guerra, a porre fine all’umanità!

Dobbiamo essere pronti per questa mobilitazione, che attiveremo quando l’agenda del nuovo governo Meloni sarà esplicitata. Ogni soggetto, individuale e collettivo, ci arrivi con le proprie posizioni nonviolente. Convergiamo rispettando le nostre differenze!

Per quanto ci riguarda, Disarmisti esigenti & partners, andremo in quell’occasione in piazza con la stessa piattaforma riconoscibile con la quale partecipiamo a questo 5 novembre: stop, appunto, all'invio di armi, fine delle sanzioni, disarmo atomico a partire dalla ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari con il conseguente ritiro dalla condivisione nucleare NATO, apertura di spazi percorribili per la soluzione politica, lotta per lo scioglimento dei blocchi militari, e immediata connessione tra “fine del mese” e “fine del mondo”. La lotta alla guerra, in parole povere, va agganciata alle conseguenze in termini di crisi economica e deterioramento delle condizioni di esistenza, carovita e carobollette, crisi energetica e crisi alimentare.

Ma, ripetiamo, ognuno si faccia vivo e presente con le sue parole d’ordine, sotto i Palazzi del Potere! Quanti saremo? Basterebbe un decimo di questa manifestazione del 5 novembre per cominciare a costruire una storia diversa (dalle solite manipolazioni politiche di cui il movimento spesso finisce vittima)!

Se siete d’accordo potete subito scrivere a: coordinamentodisarmisti@gmail.com – cell. 340-0736871

Potete trovarci da subito in presenza dietro questo striscione (Pza Repubblica, angolo via Romita, vicino ex Planetario, ore 11:30):

 

COMUNICATO STAMPA del 20 ottobre 2022 

per info: Alfonso Navarra cell. 340-0736871 email alfiononuke@gmail.com

BASTA GUERRA IN BOLLETTA!

Presidio informativo, sabato 22 ottobre, in Piazzale Stazione di Porta Genova, dalle ore 17:00 alle ore 19:00

Incontro online, domenica 23 ottobre, dalle ore 17:00 alle ore 19:30, degli attivisti ecopax su piattaforma Google Meet al link:

meet.google.com/pvf-xivq-evy 

Iniziativa consapevolmente e volontariamente non inserita in "Europe for Peace" (ma non contrapposta)

NO guerra economica affiancata allo scontro militare: PACE significa PANE!

Energia ponte di pace. Trattiamo direttamente col produttore per abbassare i prezzi. Così si batte la speculazione!

Si fanno tacere le armi quando non le si apparecchiano sul campo. NO a nuovi aiuti militari secondo la volontà inascoltata della maggioranza del popolo italiano!

NO a soffiare sul fuoco dell'escalation, che può deragliare in guerra nucleare. Oggi non ci sono più guerre giuste, dice anche Papa Francesco! Resistenza nonviolenta contro gli invasori militari e sostegno alle obiezioni e alle diserzioni!

E sempre con il Papa conveniamo che bisogna proibire ed eliminare le armi nucleari e impedire il commercio delle armi!

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I Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org) e i loro partners (Lega Obiettori di Coscienza, Mondo senza guerre e senza violenza) organizzano un presidio informativo sabato 22 ottobre, in Piazzale Stazione di Porta Genova, dalle ore 17:00 alle ore 19:00.

Il titolo dell'iniziativa è "BASTA GUERRA IN BOLLETTA" perché, nel suo scopo principale, è focalizzata sull'obiettivo della revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia, giudicate come causa principale della crisi energetica e del carovita: la speculazione, già iniziata sotto la pandemia da Covid19, si innesta oggi su una scarsità reale dei prodotti energetici, ed è quindi, a differenza della vulgata corrente (a destra come a sinistra, al governo come all'opposizione), fattore secondario, non risolutivo, da contrastare.

Quello che gli organizzatori vogliono contestare è l'idea che una guerra economica che usa l'energia come arma possa essere affiancata al conflitto armato sul campo che Russia e NATO combattono in Ucraina. La condanna dell'invasione militare ordinata da Putin il 24 febbraio, dagli organizzatori ribadita, non giustifica, a nostro avviso, il protrarsi, da qualsiasi parte provenga, di un impiego di armi distruttive che sono il vero aggressore (di tutti, anche degli innocenti, sulla base dell'offesa alla Terra quale ecosistema unico), mentre noi stessi, l'umanità tutta, appunto, dobbiamo considerarci direttamente aggrediti dalla guerra, persino se si scampano i rischi di escalation nucleare. Anche e soprattutto perché, dopo l'esperienza della lotta anticolonialista guidata in India dal Mahatma Gandhi, oggi sappiamo che possiamo fare ricorso a una strategia di resistenza nonviolenta efficace, anche se eventualmente non immediata nei risultati vincenti. Condividiamo perciò il ripudio di Papa Francesco della "guerra giusta": le autorità mondiali devono porla fuori dalla Storia dicendo, per cominciare, "basta alla produzione e al commercio internazionale delle armi" e  proibendo ed eliminando le armi nucleari, "la cui sola esistenza mette a rischio la sopravvivenza della vita umana sulla terra".

Per approfondire queste visioni - e queste analisi - gli attivisti ecopax si incontrano online il giorno successivo, il 23 ottobre, dalle ore 17:00 alle ore 19:30, su piattaforma Google Meet al link: meet.google.com/pvf-xivq-evy.

BASTA GUERRA IN BOLLETTA si riallaccia a due appelli. Il primo è NO GUERRA, NO SANZIONI, NON PAGHIAMO, che annovera tra i primi firmatari Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Alex Zanotelli - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti - Luciano Benini - Antonino Drago - Federica Fratini - Antonella Nappi. L'appello è rinvenibile e sottoscrivibile online al link:

https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni/

Il secondo fa riferimento a una campagna sulla RETE DEGLI SPORTELLI POPOLARI ENERGIA, che può essere visionata sul sito web in costruzione: NON VOGLIAMO LA GUERRA - NON PAGHIAMO, visionabile al link:

https://nonvogliamolaguerra-nonpaghiamo.webnode.it

Il primo appello si conclude con la proposta di gestire l'energia, "bene comune", come ponte di dialogo e di pace, non come arma di guerra. Ci rivolgiamo retoricamente a Putin: "Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme (insieme anche agli ucraini) per fare la pace con la Natura, il compito principale della intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.

Nel secondo documento sottolineiamo che "PACE SIGNIFICA ANCHE PANE"! "Avvertiamo l'urgenza di un riferimento ecopacifista per la gente impoverita e spaventata: nel contesto politico che viviamo è facile che le mobilitazioni tipo forconi/gilet gialli che si prospettano siano alla fine strumentalizzate dalla destra estrema, in un clima politico che la favorisce. Il problema è: grazie al nostro disinteresse dobbiamo permettere che l’opposizione popolare alla guerra, non rappresentata coerentemente da alcuno (proprio il mancato riferimento alle sanzioni ce lo dimostra), che dovrebbe naturalmente avere connotazioni e sbocchi democratici e progressivi, finisca invece nelle mani delle destre e vada ad alimentare nuove guerre di civiltà (contro l’Islam e contro la Cina), secondo lo spirito non domo ma crescente del trumpismo mondiale? (...) Un interlocutore importante possono essere le organizzazioni sindacali che hanno dato vita, l'8 maggio 2022, allo sciopero generale contro la guerra e contro l'economia di guerra. Sono scese in piazza in varie città italiane (Roma, Milano...) contro l’invio di armi e l’escalation militare, contro i tagli alla spesa pubblica e alle condizioni salariali, per la garanzia di un reddito dignitoso per tutte e tutti. Mancava però un obiettivo esplicito per la revoca delle sanzioni energetiche. Il prossimo sciopero generale potrà rimediare! Esso è stato convocato per il 2 dicembre e questo appello potrà servire - si spera - a risvegliare le dirigenze sindacali". 

In questo filone preciso di ragionamenti e posizioni acquista senso l'essere impegnati, da parte degli organizzatori nelle reti internazionali (WAR RESISTERS INTERNATIONAL) di chi sostiene gli obiettori sia russi e sia ucraini; e gestisce in Italia una Campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari (Campagna OSM-DPN (osmdpn.it) il vecchio sito, al seguente link la guida pratica di quest'anno: https://primavercelli.it/media/2022/05/campagna-obiezione-alle-spese-militari.pdf),  che vede tra i principali promotori i Disarmisti esigenti.

 

È L’ORA DI FARE CHIASSO PER LA PACE – Alfonso Navarra

L’ora di fare chiasso”. Così Papa Francesco si è rivolto qualche giorno fa ai giovani riuniti ad Assisi per la salute della Terra, per la pace con il Creato-Natura, condizione indispensabile per la pace tra gli umani. Non si riferiva direttamente all’urgenza di scendere in piazza contro la minaccia atomica che emerge dalla guerra in Ucraina, ma l’esortazione si adatta perfettamente all’invito a darsi da fare adesso con una presenza diretta, non solo virtuale.
Non possiamo camminare sull’orlo dell’abisso nucleare che ci è stato spalancato facendo finta di nulla o limitandoci a digitare sulle tastiere dei PC!
Dovremmo essere dannatamente preoccupati. I sogni di grandezza di Vladimir Putin e il militarismo NATO stanno trascinando l’umanità verso la possibile autodistruzione, e non ha importanza chiedersi chi porti più responsabilità nell’escalation che sta tragicamente prendendo il via. Tra minacce sull’impiego di ordigni tattici e sulle “risposte conseguenziali e catastrofiche” si sta letteralmente giocando col fuoco atomico dentro una santabarbara pronta ad esplodere. Leggiamo di un invito a manifestare “senza bandiere di partito” da parte dell’ex premier Giuseppe Conte, a capo del M5S, che si dichiara pronto a supportare le mobilitazioni indette dai pacifisti. Finalmente! Noi, a denti stretti, gli abbuoniamo tutte le contraddizioni passate, lo prendiamo in parola, e gli ricordiamo i numerosi appelli pacifisti che invitano i soggetti politico-istituzionali a rappresentare l'opinione maggioritaria del popolo italiano: non alimentare la guerra con aiuti militari, non riarmare, non scatenare una guerra economica attraverso sanzioni indiscriminate. Invitano anche a supportare manifestazioni per fermare la guerra esigendo che si negozi subito. L’ONU convochi una conferenza internazionale di pace. Ci si potrebbe concentrare a Roma, forse già domenica 23 ottobre, per una grande manifestazione nazionale unitaria. È un suggerimento che avanziamo alle grandi e piccole reti pacifiste. Eletti e attivisti cinque stelle, come di qualsiasi formazione politica, sarebbero benvenuti anche alle nostre iniziative decentrate, per attivare ascolto e dialogo. A Milano, ad esempio, noi Disarmisti esigenti ci troviamo in Piazzale Stazione di Porta Genova, sabato 22 ottobre, dalle ore 17:00 alle ore 19:00. In conclusione: svegliamoci tutti e portiamo le nostre differenze in qualcosa di fisico e collettivo che manifesti in modo visibile ed unitario la volontà pacifista che i sondaggi e i media attribuiscono al popolo italiano! Diceva lo scrittore Carlo Cassola, fondatore della Lega per il disarmo unilaterale: “Usiamo il senno del prima, perché non avremo più la possibilità del senno del dopo”!

Quanto sopra fu scritto a caldo, il 4 ottobre, festa di San Francesco, dopo una esortazione papale e dopo una intervista di Giuseppe Conte sul quotidiano "L'Avvenire". Vi era un equivoco che prendemmo su "Europe for Peace" alla base del nostro invito. Dobbiamo quindi ripensarci in parte, visto che il marchio non riguarda una coalizione internazionale ma solo una iniziativa della Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD), che oltretutto si è appropriata del nome di una campagna "umanista".

Il punto dolente è che "Europe for Peace" della RIPD risulta ambigua su un punto fondamentale: l'opposizione all'invio delle armi all'Ucraina. Deplorare la circostanza che "le armi non portano la pace" non significa prendersi l'impegno preciso a premere sul nostro governo perché non rifornisca una delle parti belligeranti. Si rinvia al "farle tacere", che non è la stessa cosa di evitare in partenza, per quanto è nelle nostre possibilità, che vengano messe in campo. E lo stesso alone di confusione caratterizza anche l'appello per il 5 novembre (sotto riportato) di ARCI, ACLI, e una grande quantità di altre sigle: il problema politico è evitare di imbarazzare chi, politicamente, ha sostenuto l'"Agenda Draghi" e le scelte governative orientate a sostenere militarmente l'esercito ucraino, visto come il campione delle libertà e dei valori occidentali aggrediti da un autocrate criminale.

Dobbiamo mettere sul piatto della bilancia due cose. Da una parte, si profila una certa partecipazione numerica al 5 novembre. Dall'altra può venire fuori una quantità senza qualità, una mobilitazione dai contenuti generici e fumosi, una agitazione emotiva senza idee, un puro mettersi la coscienza in pace per la pace dal punto di chi vista di chi fa massa di manovra.

Fare chiasso, va bene; ma dovrebbe essere veramente per la pace, non per attribuire patenti pacifiste a chi non se lo merita e sta invece lavorando per una guerra che oggi può significare, letteralmente, la fine del mondo, come ci ricorda Marco Massini su Robinson del 15 ottobre. (Il pezzo si intitola: "Tutti in silenzio a pochi passi dal baratro").

Un altro aspetto però è da mettere sul piatto della bilancia: oggi il solo parlare di negoziato ti fa bollare come "amico di Putin", o quantomeno come sostenitore di una "pace ingiusta", eticamente riprovevole perché basata sulla resa degli ucraini.  Si veda come esempio quanto scritto sul Manifesto del 15 ottobre dall'ex girotondino Pancho Pardi nell'articolo "Non c'è pace senza giustizia in Ucraina":

"Le manifestazioni per la Pace dovrebbero dichiarare con la massima chiarezza che la Pace Giusta va imposta alla Russia di Putin. Le manifestazioni dovrebbero circondare pacificamente le sedi diplomatiche russe, in un assedio ideale tanto più persuasivo quanto più disarmato. Senza bandiere di partito ma con striscioni, cartelli, magliette, altoparlanti, megafoni, voci umane che ripetano la parola d’ordine classica di tutte le manifestazioni pacifiste del secolo scagliata ora contro il terrorismo dello zar: Putin go home! "

Ecco, la situazione per cui se si parla di pace evitando il "dagli a Putin, ammazzalo, ammazzalo!" si è già oltremodo trasgressivi rispetto ad un andazzo generale che punta solo alla vittoria militare contro la Russia, dovrebbe renderci meno malpancisti rispetto ad una partecipazione al 5 novembre. Si potrebbe allora essere presenti in modo non passivo e subalterno, con uno spezzone caratterizzato da striscioni e slogan che riempiano il vuoto di idee e di coraggio che, con dispiacere, dobbiamo lamentare, non per voglia di protagonismo ma per amore di verità. I Disarmisti esigenti possono preparare una bozza di documento e sottoporla alla consultazione online già organizzata per il 23 ottobre. Avrebbe dovuto essere focalizzata sulla resistenza al caro bollette ed il no alle sanzioni energetiche alla Russia, ma possiamo (e a questo punto dobbiamo)  ampliarne la problematica includendo il come manifestare per la pace tentando, anche il 5 novembre, di dare voce al dissenso popolare alla guerra affinché maturi in opposizione organizzata.

Ecco il link con il quale collegarsi il 23 ottobre:

meet.google.com/pvf-xivq-evy


APPELLO EUROPE FOR PEACE

Europe For Peace - Rete Italiana Pace e Disarmo (retepacedisarmo.org)

La coalizione Europe for Peace, formata dalle principali reti per la pace in Italia con l’adesione di centinaia di organizzazioni, profondamente preoccupata per l’escalation militare che ha portato il conflitto armato alla soglia critica della guerra atomica, torna di nuovo nelle piazze italiane per chiedere percorsi concreti di Pace in Ucraina e in tutti gli altri conflitti armati del mondo.

Un nuovo passo comune che avviene dopo l’importante mobilitazione dello scorso 23 luglio (con 60 città coinvolte) e l’invio di una lettera al Segretario Generale ONU Guterres in occasione della Giornata della Pace per un sostegno ad azioni multilaterali, le uniche capaci di “portare una vera democrazia globale, a partire dalla volontà di pace della maggioranza delle comunità e dei popoli”. E dopo la quarta Carovana “Stop The War Now” recentemente rientrata dal Kiev dove ha portato il sostegno della società civile italiana ad associazioni ed obiettori di coscienza ucraini, oltre che nuovi aiuti umanitari.

L’appuntamento è per il weekend dal 21 al 23 ottobre (ad otto mesi dall’invasione russa e alla vigilia della Settimana ONU per il Disarmo) ancora una volta con l’invito – rivolto ad associazioni, sindacati, gruppi che già sono attivi da mesi – ad organizzare iniziative di varia natura per rilanciare l’appello già diffuso a luglio con la richiesta di cessate il fuoco immediato affinché si giunga ad una Conferenza internazionale di Pace.

Nel testo sottoscritto dalle aderenti di Europe for Peace si sottolinea come “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa ed ha già fatto decine di migliaia di vittime e si avvia a diventare un conflitto di lunga durata” portando conseguenze nefaste “anche per l’accesso al cibo e all’energia di centinaia di milioni di persone, per il clima del pianeta, per l’economia europea e globale”. Ribadendo la vicinanza alle popolazioni colpite dalla guerra si ricorda poi come occorra cercare “una soluzione negoziale, ma non si vedono sinora iniziative politiche né da parte degli Stati, né da parte delle istituzioni internazionali e multilaterali” sottolineando come invece sia necessario “che il nostro Paese, l’Europa, le Nazioni Unite operino attivamente per favorire il negoziato avviando un percorso per una Conferenza internazionale di pace che, basandosi sul concetto di sicurezza condivisa, metta al sicuro la pace anche per il futuro”. Anche alla luce delle rinnovate ed inaccettabili minacce nucleari.

Rilanciata anche la posizione di base del movimento pacifista italiano fin dall’inizio del conflitto ucraino: “Le armi non portano la pace, ma solo nuove sofferenze per la popolazione. Non c’è nessuna guerra da vincere: noi invece vogliamo vincere la pace” e per tale motivo viene proposta una nuova occasione nazionale di mobilitazione per la pace, con uno chiaro obiettivo: “TACCIANO LE ARMI, NEGOZIATO SUBITO! Verso una Conferenza internazionale di pace”.

Che la guerra non sia la soluzione ma sia una delle principali cause delle crisi da cui il nostro sistema e la nostra società non riescono più a liberarsi è sempre più evidente. La guerra scatena l’effetto domino in una società globalizzata, interdipendente, invadendo ogni ambito e spazio: crollano i mercati ed il commercio, aumentano i costi delle materie prime e di ogni unità di prodotto, l’inflazione galoppa ed i salari perdono potere d’acquisto, ritornano la fame, le carestie e le pandemie nel mondo. Dire basta alle guerre ed alla folle corsa al riarmo e nell’interesse di tutti e di tutte. E’ l’unica strada che ci può far uscire dalla crisi del sistema.

Le iniziative che verranno definite e programmate nei prossimo saranno comunicate e rilanciate da tutte le organizzazioni parte di “Europe for Peace”

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Cessate il fuoco subito e negoziato per la Pace. Verso il 5 novembre a Roma

LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE . Documento delle reti pacifiste che promuovono il corteo per la pace a Roma il 5 novembre

L’ombra della guerra atomica si stende sul mondo

La minaccia nucleare incombe sul mondo. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia. L’umanità ed il pianeta non possono accettare che le contese si risolvano con i conflitti armati. La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.

Questa guerra va fermata subito

Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime. Siamo con chi rifiuta la logica della guerra e sceglie la nonviolenza.

L’inaccettabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato nel cuore dell’Europa la guerra che si avvia a diventare un conflitto globale tra blocchi militari con drammatiche conseguenze per la vita e il futuro dei popoli ucraino, russo e dell’Europa intera. Siamo vicini e solidali con la popolazione colpita, con i profughi, con i rifugiati costretti a fuggire, ad abbandonare le proprie case, il proprio lavoro, vittime di bombardamenti, violenze, discriminazioni, stupri, torture.

Questa guerra va fermata subito. Basta sofferenze. L’Italia, l’Unione Europea e gli stati membri, le Nazioni Unite devono assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco. È urgente lavorare ad una soluzione politica del conflitto, mettendo in campo tutte le risorse e i mezzi della diplomazia al fine di far prevalere il rispetto del diritto internazionale, portando al tavolo del negoziato i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, assieme a tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta. Insieme con Papa Francesco diciamo: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”.

L’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra.

Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà e di finanziamenti per l’economia disarmata, per la transizione ecologica, per il lavoro dignitoso.

Occorre garantire la sicurezza condivisa.

Le guerre e le armi puntano alla vittoria sul nemico ma non portano alla pace: tendono a diventare permanenti ed a causare solo nuove sofferenze per le popolazioni. Bisogna invece far vincere la pace, ripristinare il diritto violato, garantire la sicurezza condivisa. Non esiste guerra giusta, solo la pace è giusta. La guerra la fanno gli eserciti, la pace la fanno i popoli.

L’Italia, la Costituzione, la società civile ripudiano la guerra. Insieme esigiamo che le nostre istituzioni assumano questa agenda di pace e si adoperino in ogni sede europea ed internazionale per la sua piena affermazione.

Cessate il fuoco subito e negoziato per la pace. L’Onu convochi una Conferenza internazionale di pace. Mettiamo al bando tutte le armi nucleari.

Per adesioni: segreteria@retepacedisarmo.org

Info:  www.sbilanciamoci.info/europe-for-peace/ – www.retepacedisarmo.org

 

PRIME ADESIONI

 

Rete Italiana Pace e Disarmo

Campagna Sbilanciamoci!

#StopTheWarNow

AOI -Cooperazione e Solidarietà Internazionale

Solidarietà e Cooperazione – CIPSI

Comunità di Sant’Egidio

Diaconia Valdese

COREIS Comunità Religiosa Islamica Italiana

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Associazione per il rinnovamento della sinistra

CISL

UIL

UP! Su la testa

Pro Civitate Christiana

Coordinamento per la democrazia costituzionale

Comitato promotore Marcia PerugiAssisi

Tavola della Pace

Movimento Internazionale per la Pace e la Salvaguardia del Creato III Millennio, Caserta-Campania

Primavera Democratica

da parte di Alfonso Navarra - portavoce dei Disarmisti esigenti - www.disarmistiesigenti.org  - cell. 340-0736871
Il collegamento tra il NON PAGHIAMO (sarebbe meglio dire: NON SIAMO IN GUERRA, NON PAGHIAMO)  come autoriduzione delle bollette e l'obiettivo disarmista sta nel ruolo dominante della guerra nella crisi energetica ed economica; ne consegue l'obiettivo della revoca delle sanzioni energetiche come rifiuto della guerra economica che si affianca al confronto militare sul campo ucraino, ai combattimenti in fase di escalation (con una possibile deriva nucleare da non sottovalutare, oggi più probabile dopo le difficoltà militari dell'esercito russo e dopo l'annessione alla Russia delle 4 province ucraine).
Da nonviolenti (senza trattino) quali siamo il rifiuto si accompagna alla proposta costruttiva di usare la conversione energetica, nel rispetto degli accordi di Parigi, come ponte di dialogo e di pace.
Inviteremmo  gli ecopacifisti a dismettere un atteggiamento che è probabilmente viziato da un pregiudizio sulla questione sanzioni (sarebbero uno strumento nonviolento solo perché non si spara!), per adottare invece la posizione dell'appello che vede come primi firmatari, oltre al sottoscritto, Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Alex Zanotelli - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti - Luciano Benini - Antonino Drago - Federica Fratini - Antonella Nappi.
Appello che trovi al link:

PROSCIUGHIAMO IL MARE IN CUI NUOTANO I PESCECANI DELLA SPECULAZIONE

Esigiamo, nell’ambito dell’opposizione alla guerra, con la revoca delle sanzioni, prezzi bassi per l’energia; non di mettere a carico dello Stato gli aumenti e "ristori" ex post!

La fine del mondo incombe (anche i talk show mostrano i filmati con possibili scambi nucleari in Europa che farebbero 100 milioni di morti) ma la protesta popolare si nutre al momento delle preoccupazioni sulla fine del mese. Prendiamone atto, noi ecopacifisti, e agiamo di conseguenza di fronte alla guerra che sta entrando a gamba tesa nella vita quotidiana dei cittadini.

Stanno arrivando le super bollette che riflettono una delle conseguenze della guerra militare che si combatte sul territorio ucraino e suscitano già le prime agitazioni di piazza, indette dall’USB, un sindacato di base, contro il carovita, da Milano a Palermo, da Nord a Sud.

L’autunno si profila freddo per il riscaldamento che forse mancherà ma caldissimo per le rivolte dei cittadini, sia dal lato del consumo che da quello della produzione (anche le aziende rischiano di chiudere). Obiettivo: la riduzione delle tariffe schizzate alle stelle per la quale si minaccia il NON PAGHIAMO.

L’USB, che ha organizzato la giornata di lotta del 3 ottobre, ha reso noto che sta intraprendendo anche la strada dei tribunali. Ha infatti presentato una serie di esposti indirizzati a diverse procure italiane, tra cui quelle di Roma e Cagliari: ci sono state speculazioni nei rincari e chi ne sono i responsabili?

Certo che ci sono state e la loro denuncia è un po’ generica e fuorviante, tanto che in essa si cimenta lo stesso presidente del consiglio in pectore, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.

La sorella d’Italia, infatti, ci ammonisce sulla priorità che, appunto, è “fermare la speculazione sul gas”. Proprio per questo: “Compensare all’infinito il costo delle bollette regalando soldi a chi si sta arricchendo sulle spalle di cittadini e imprese sarebbe un errore”.

(https://www.agenzianova.com/news/meloni-la-priorita-e-fermare-la-speculazione-sul-gas/)

Possiamo darle torto in questa considerazione? Ma da tale premessa dovremmo trarre per coerenza logica due ragionamenti su come si fa a battere la speculazione. E sono i seguenti. Primo ragionamento: non dobbiamo comprare il gas dagli speculatori. Secondo ragionamento: dobbiamo prosciugare l’acqua nella quale nuotano i pescecani.

Non dobbiamo comprare dagli speculatori.

Si può fare? Sì, l’Ungheria lo sta facendo. Rifiuta le sanzioni alla Russia e ha già firmato contratti con Gazprom per, addirittura, aumentare le forniture di gas.

Si veda il seguente articolo redazionale apparso sull’Avvenire del 31 agosto 2022. Titolo: "Gas, l'Ungheria "strappa" e firma con Gazprom l'aumento di forniture". Sottotitolo: “Mentre la Russia minaccia di lasciare al freddo i Paesi dell'Unione Europea, Budapest annuncia di essere "al sicuro" per l'inverno

Apprendiamo in esso il seguente dato: il nuovo contratto è relativo a forniture aggiuntive, sostanzialmente allo stesso prezzo di quelle precedenti, di circa 6 milioni di metri cubi di gas giornaliero.

(Si vada su: https://www.avvenire.it/mondo/pagine/ucraina-gas-ungheria-firma-accordo-con-gazprom-per-aumentare-forniture).

Morale della favola: acquistiamo direttamente dal produttore, e in particolare dal produttore russo, spuntiamo un prezzo basso. Ci rivolgiamo invece ad un intermediario, a un mercato dominato dalla speculazione: dovremmo aspettarci qualcosa di diverso di prezzi che schizzano in su di fronte ad aspettative di scarsità del bene che addirittura i nostri governi provocano realmente con i loro blocchi economici?

Passare da un mercato speculativo a un mercato (forse) un po’ meno speculativo non è una soluzione. Cingolani, attualmente in carica al MITE, condivide il piano con la Meloni: sostituire la Borsa di Amsterdam con un “paniere” di borse meno “volatili”.  Auguri!

Non dobbiamo sguazzare nella stessa acqua dei pescecani; se possibile, dobbiamo prosciugarla

Ma la soluzione allora è “tassare gli extraprofitti di chi specula sui prezzi”? Sarebbe una falsa risposta. Bisogna avere chiaro l'obiettivo di una protesta. “Fermare la speculazione”, alla Meloni, pretendendo demagogicamente di sottrarle il guadagno quando questo è già avvenuto? Non sarebbe questa l’illusione della redistribuzione di un bottino quando si fa poco o nulla per impedire la rapina?

Come si diceva, è tutt’altra cosa trattare direttamente con i produttori per saltare l'intermediazione speculativa e i suoi meccanismi!

Ma anche ammesso che il bottino venga giustamente redistribuito (tassiamo gli extraprofitti al 100 per cento e diamo magari i soldi a chi ha più bisogno), -non sarebbe questa, comunque, una distorsione della ricchezza sociale prodotte collettivamente? A pensarci bene,  si toglierebbero risorse dai beni pubblici collettivi cioè l'istruzione la sanità le pensioni, per darle tutte al ciclo elettrico a carico dello Stato.

Questo ragionamento lo stiamo esponendo molto sommariamente ma la logica di fondo delle cose ci sembra di averla indicata chiaramente. Se poi si vogliono tagliare alle radici le condizioni della speculazione la condizione necessaria ma non sufficiente è la rinazionalizzazione delle grandi compagnie energetiche (vedi considerazioni sotto riportate). La base politico culturale di un discorso realmente alternativo è che l'energia va considerata un bene comune.

Insomma, se si vogliono tenere i prezzi bassi invece di scaricare l’aumento sulle casse dello Stato, l'obiettivo politico di NON SIAMO IN GUERRA NON PAGHIAMO deve essere, senza se e senza ma, la revoca delle sanzioni energetiche alla Russia, in quanto principale produttore ed esportatore del bene gas.

Invece temiamo che, come spesso succede, prevarrà una facile demagogia contro i mercati magari condita da slogan anticapitalistici. Ovviamente se è stata effettuata una rapina ai danni della società il maltolto va sequestrato e restituito ad essa. Ma l'obiettivo deve essere creare le condizioni perché i rapinatori non possano più nuocere e non proporsi in pratica, al di là delle belle parole persino anti-sistema, di diventarne soci! Quindi il problema da inquadrare non è la tassazione degli extraprofitti ma evitare in partenza, per quanto ci è possibile, che si possano fare sul ciclo energetico super profitti speculativi. Al netto del fatto che se si è rubato anche secondo il parametro della cultura neoliberista il maltolto deve essere comunque restituito...

Riassumendo. Noi non paghiamo finché gettate benzina sul fuoco di una guerra che non è la nostra guerra. (Precisando: per la nonviolenza che dobbiamo imparare a percorrere nessuna guerra può essere “nostra” ed ogni attività militare deve diventare tabù in quanto aggressione a Madre Terra e quindi a tutti noi). Non paghiamo perché non vogliamo combattere una guerra economica a fianco di una guerra militare. Non paghiamo perché non vogliamo soffrire le conseguenze di una guerra sciagurata che rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri, affossando il sogno di un’Europa ed un mondo dei diritti e dei cittadini.

Troviamoci di nuovo in Piazzale Stazione di Porta Genova, sabato 22 ottobre, dalle ore 17:00 alle ore 19:00, anche rispondendo all’appello di “Europe for peace”: mobilitiamoci per fermare la guerra esigendo che si negozi subito. L’ONU convochi una conferenza internazionale di pace.

Sottoscriviamo, se ancora non l’abbiamo fatto, l’appello online rinvenibile al link: https://www.petizioni.com/signatures/nonsiamoinguerra-nosanzioni/.

Le organizzazioni sindacali di base ci ascoltino e inseriscano la revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia (e la non comminazione di nuove sanzioni) nella piattaforma dello sciopero generale contro la guerra indetto per il 2 dicembre!

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Il collegamento tra il NON PAGHIAMO (sarebbe meglio dire: NON SIAMO IN GUERRA, NON PAGHIAMO)  come autoriduzione delle bollette e l'obiettivo disarmista sta nel ruolo dominante della guerra nella crisi energetica ed economica; ne consegue l'obiettivo della revoca delle sanzioni energetiche come rifiuto della guerra economica che si affianca al confronto militare sul campo ucraino, ai combattimenti in fase di escalation (con una possibile deriva nucleare da non sottovalutare, oggi più probabile dopo le difficoltà militari dell'esercito russo e dopo l'annessione alla Russia delle 4 province ucraine).
Da nonviolenti (senza trattino) quali siamo il rifiuto si accompagna alla proposta costruttiva di usare la conversione energetica, nel rispetto degli accordi di Parigi, come ponte di dialogo e di pace.
Inviteremmo  gli ecopacifisti a dismettere un atteggiamento che è probabilmente viziato da un pregiudizio sulla questione sanzioni (sarebbero uno strumento nonviolento solo perché non si spara!), per adottare invece la posizione dell'appello che vede come primi firmatari, oltre al sottoscritto, Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Alex Zanotelli - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti - Luciano Benini - Antonino Drago - Federica Fratini - Antonella Nappi.
Appello che trovi al link:
L'obiettivo più appropriato per una tale campagna è la revoca delle sanzioni perché sono proprio le aspettative di carenza dell'offerta causate dalla guerra il fattore principale e decisivo per la speculazione sui titoli derivati che contribuisce a determinare i prezzi. Il costo di estrazione è infatti immutato, mentre aumentano i costi di trasporto e di distribuzione, anche in seguito ai sabotaggi degli impianti e ai diversi incanalamenti dei flussi sempre dovuti alla guerra.
La famosa Borsa di Amsterdam ha una importanza secondaria sia sul piano qualitativo che sul piano quantitativo  perché ad esempio, i ministri UE, che non si sono messi d'accordo sul "price cap" comune del gas (ognuno se ne va per conto proprio, in testa la Germania che  ha deciso di stanziare aiuti per 200 miliardi e di attuarlo in proprio), però sganceranno le quotazioni di questa materia prima dal TTF (Title Transfer Facility), appunto di Amsterdam.
Il nostro titolare del MITE Cingolani ha annunciato - possiamo leggerlo su IL SOLE 24 ORE del 1 ottobre, che, per fissare il prezzo, si sta lavorando ad una media su grandi indicatori di riferimento in grado di riflettere meglio la realtà degli scambi energetici.
Questo non significa abolire la speculazione ma contenerla ed evitare un su e giù, una volatilità eccessiva.
Per abolire del tutto la speculazione sui titoli finanziari occorrerebbe partire dal concetto e dalla pratica dell'ENERGIA BENE COMUNE, quindi da un mercato energetico in cui gli operatori non fossero attori privati guidati dalla logica del profitto.
Beni comuni, sostanzialmente i 4 elementi: terra, acqua, aria, fuoco (= l'energia).
Da distinguere dai beni pubblici e da qualsiasi altro tipo di risorsa collettiva.
Le grandi imprese energetiche dovrebbero essere compagnie pubbliche con l'obiettivo prioritario di garantire un servizio ai cittadini.
Sappiamo benissimo che, per quanto riguarda l'Italia sicuramente, i principali operatori sono privati solo per modo di dire.
La privatizzazione è un gioco al mascheramento perché lo Stato italiano resta sostanzialmente il primo azionista e sono i governi in carica che nominano gli amministratori di tali società (ENI, ENEL, SNAM, TERNA...).
La privatizzazione formale rende più debole la pianificazione e il controllo pubblico delle politiche energetiche e permette che il management sia assimilato al settore privato per mentalità ed emolumenti (saltano i tetti legali agli stipendi, se sono un AD di una SPA posso legittimamente guadagnare molto di più e agire per massimizzare i miei guadagni personali).
Il potere politico si avvantaggia della situazione perché viene rafforzato il potere clientelare delle oligarchie e si creano giri politico-affaristici (in questo settore, come del resto in quello delle armi, fioccano le maxi-tangenti).
L'aumento dei prezzi registrato sotto la pandemia era per la diminuzione della domanda e strategia conseguente dell'offerta: un Bin Salman nell'OPEC sapeva che bisognava tagliare la produzione per fronteggiare i consumi inferiori della gente sottoposta ai vari lock-down.
La limitazione dell'offerta era, nel 2021, anche da parte della Russia, proprio mentre diversi Paesi in Asia, specialmente la Cina, ma anche l'India, stavano (e stanno) facendo incetta di gas senza badare a spese per sostenere la ripresa economica nella previsione della prossima fine della fase acuta della pandemia.
Ora c'è invece una speculazione che si innesta sulle previsioni di una riduzione dell'offerta, della scarsità del bene.
Mi pare che da una scarsità più che altro temuta ora si stia passando ad una carenza reale, anche questa causata dalla guerra.
Non bisogna, a questo proposito, sottovalutare l'impatto economico e soprattutto ambientale dei sabotaggi di Nord Stream 1 e 2.
Gli 80-100 milioni di metano finora emessi nell'atmosfera non sono una tantum, ma un grave contributo all'aggravamento dell'effetto serra, quindi un vulnus all'ecosistema globale di carattere permanente.
Un vulnus in cui tutti siamo ferocemente aggrediti dalla guerra, perché la nostra specie, parte dell'unico sistema vivente, non può sopravvivere pregiudicando la sua base naturale: il "Creato", per i quali i cristiani devono sentire una particolare responsabilità di custodia, affidata dal Creatore stesso.
Si comprende l'esigenza dei lettori che si lavori il più possibile con numeri e tabelle ufficiali.
Cosa che mi riprometto di fare, preparando quanto prima un dossier che deve accompagnare NON SIAMO IN GUERRA - NON PAGHIAMO.
Aggiorneremo la mostra sull'energia che già abbiamo esposto in piazza il 26 settembre, Petrov Day, a Milano, in piazzale  Stazione di Porta Genova.
Come anticipo per questo lavoro propongo per l'intanto una tabella di Confindustria da cui si evince che c'è una turbolenza dei prezzi anteguerra (settembre e gennaio 2021), ma sicuramente l'invasione di Putin segna un salto...

(tabella da inserire)

La crisi vista dal punto di vista della cittadinanza che subisce aumenti delle bollette comincia ad assumere toni drammatici e iniziano le manifestazioni di protesta. A Napoli e a Bologna dei comitati hanno inscenato dei falò simbolici.
C’è stata una manifestazione a Torino di 200 persone davanti alla sede Iren. Allo sportello sono stati riconsegnati i moduli di reclamo e di autosospensione dal pagamento delle bollette di teleriscaldamento. Da lunedì sono previste altre manifestazioni. L’’Usb ha annunciato sit-in tutto il paese in occasione della «giornata internazionale di lotta alla crisi e al carovita. ll sindacato depositerà alla procura di Roma una denuncia «contro tutte le condotte poste in essere
dalle società che commerciano gas, energia elettrica e prodotti petroliferi ai danni della collettività».
Ma la soluzione al problema specifico è a portata di mano e ce la dà la brutta, sporca e cattiva Ungheria: parliamo con Putin (lo può fare il nuovo governo Meloni) e semplicemente ribadiamo che si comprerà da GAZPROM la stessa quantità di gas allo stesso prezzo di prima...
Poi c'è l'eventuale aggiunta ecopacifista che faremmo se fossimo a capo di un governo rosso-verde formato da rappresentanti concreti (e non da pragmatici opportunisti come in Germania):
Siccome,  contro la cultura del nemico, consideriamo l’energia “terreno di cooperazione tra i popoli", ti proponiamo di continuare a venderci la medesima quantità di petrolio e gas allo stesso prezzo che facevi prima. Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme (insieme anche agli ucraini) per fare la pace con la Natura, il compito principale della intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.
(Dall'appello NON SIAMO IN GUERRA, NO SANZIONI)

 

PACE SIGNIFICA PANE 

COMMENTO DEL 28 SETTEMBRE 2022

NEL GIORNO DI STANISLAV PETROV, L'UOMO CHE NEL 1983 HA SALVATO IL MONDO DALL'OLOCAUSTO NUCLEARE

NEL MOMENTO IN CUI NATO E RUSSIA COMBATTONO SUL TERRITORIO UCRAINO RISCHIANDO L'ESCALATION DI UNA GUERRA ATOMICA

RICORDIAMOCI CHE:

NON SIAMO IN GUERRA

NON PAGHIAMO NESSUNA GUERRA!

INCONTRO DI DIALOGO E SENSIBILIZZAZIONE
LUNEDI 26 SETTEMBRE 2022
PIAZZALE DELLA STAZIONE DI PORTA GENOVA
ORE 17:00-19:00

26 SETTEMBRE PETROV DAY: PACE SIGNIFICA PANE

Di Alfonso Navarra - Portavoce dei Disarmisti esigenti

Cell. 340-0736871  - alfiononuke(at)gmail.com  - www.disarmistiesigenti.org

La prima e fino ad adesso disgraziatamente unica manifestazione contro le sanzioni economiche (in particolare energetiche) alla Russia si è tenuta il 26 settembre, Petrov Day, giornata ONU contro le armi nucleari.

L’abbiamo organizzata a Milano, in piazzale Stazione di Porta Genova, noi Disarmisti esigenti, insieme alla Lega Obiettori di Coscienza e a Mondo senza guerre e senza violenze.

L’abbiamo chiamata, nella sua forma espressiva, “dialogo e risveglio”: non abbiamo, alcuni di noi più di altri, la presunzione di rivoluzionare l’anima dei soggetti popolari. Intendiamo invece fare riflettere i cittadini maggiormente consapevoli che i loro valori magari non coincidono con quelli degli idealisti nonviolenti (l’I Care di Don Milani non è sicuramente al primo posto per tutti) ma nemmeno, a livello di massa, sono quelli avidi e super competitivi della élite dei super potenti, cioè l’accumulazione senza limiti di ricchezza e potere.

(L’opinione di chi scrive, per carità, non la metto in bocca a tutti gli organizzatori, è che il sogno prevalente e ignorato dei soggetti popolari potrebbe riassumersi nel motto: “Se potessi avere 5.000 euro al mese”, il corrispettivo delle 1.000 lire al mese di una vecchia canzone del 1939*).

Come mai questo collegamento tra disarmo e economia, che a prima vista può apparire strano e azzardato, addirittura funambolico?

E, ancora più difficile e complesso, con l’ecologia, come testimoniato anche dalla mostra su energia e clima con poster su pannelli che abbiamo esposto? Di questo aspetto ne parleremo in ultimo, anche se non lo consideriamo l’ultimo in ordine di importanza; ma possiamo già anticipare che consideriamo oggi ogni guerra che usi armi pesanti una aggressione tecnicamente, materialmente, concretamente diretta all’unico ecosistema vivente; quindi, in modo lineare contro tutta l’umanità che ne fa parte. La guerra in quanto tale, che è il nostro “nemico”, al di là delle differenziate responsabilità dei suoi protagonisti armati, non sta allora aggredendo solo gli ucraini, ma tutti noi, in senso proprio e non metaforico, offendendo e ferendo nostra Madre Terra.

La spiegazione, quindi, sul no alle sanzioni nel Petrov Day, sta nel nesso tra guerra militare in Ucraina e conflitto economico globale incarnato dalle sanzioni contro la Russia (guerra armata sul campo, sia detto, scatenata, nella fase attuale, colpevolmente e stupidamente da Putin, messe in conto anche le “provocazioni” che può avere subito dalla NATO e dal regime ucraino).

La guerra militare è un confronto tra NATO e Russia con l’esercito ucraino all’interno di esso combattente sostanzialmente per procura (quella di Kiev è una forza militare da distinguere dalla resistenza popolare ad una invasione armata, che può benissimo esercitarsi con metodi nonviolenti).

La guerra economica globale è un tentativo da parte americana di distruggere economicamente la Russia: come effetto neanche tanto collaterale ha quello di ridimensionare il concorrente europeo, formalmente alleato nel “blocco occidentale”. Specularmente, il regime di Putin, coltivando l’ambizioso sogno di restaurare l’impero russo, gioca d’azzardo sulla possibilità di ribaltare l’ordine mondiale dollarocentrico sperando di trascinare dietro sé le potenze emergenti, in primo luogo la Cina.

Anche qui però mi permetto di avanzare una impressione personale che non pretendo sia condivisa da tutto il mio ambito politico-culturale. Non penso che Putin sia un grande ed astuto stratega ma al contrario che abbia proprio sbagliato tutto con la sua mossa di invadere l’Ucraina senza disporre della forza militare per prevalere nello spazio di un blitz: avrebbe dovuto nell’immediato invece cedere territorialmente privilegiando l’asse economico con la Germania attraverso l’inaugurazione operativa del Nord Stream 2.

La NATO era già in stato vegetativo, secondo la definizione di Macron, ed invece questa guerra, se sognata e fomentata dagli americani da considerare una provocazione in cui il leader russo non sarebbe dovuto cadere, la ha risuscitata e l’ha ampliata a Svezia e Finlandia. Ora le evidenti difficoltà militari lo stanno portando a una “mobilitazione parziale” e ai referendum nel Donbas che veicolano la deriva delle minacce atomiche non controllabili razionalmente. Sembra realistico pensare che la stessa oligarchia russa si stia rendendo conto di essere stata cacciata da una guerra - mal concepita e mal gestita dallo stesso punto di vista imperialista - in un pericolosissimo vicolo cieco e che quindi la deposizione del leader che sta mal guidando il Paese possa entrare nel novero delle possibilità che consentiranno una via di uscita, cioè una brutta pace come tregua militare che è sempre meglio di una bella guerra totale.

Uscendo da queste analisi sicuramente discutibili e tornando però ai fatti odierni, la guerra militare, la guerra in senso proprio, sta registrando delle escalation e la logica del progressivo salto di scala della violenza può portare all’uso, già minacciato, dell’arma atomica e di conseguenza, se si sbagliano i calcoli sul suo impiego “tattico”, alla guerra nucleare per errore: quella che appunto il colonnello sovietico Stanislav Petrov evitò il 26 settembre del 1983.

Quindi nel Petrov Day ci riferiamo all’attualità della guerra per errore, che diventa probabile grazie alle vicende belliche in Ucraina e alle esplicite minacce di impiego “tattico” delle armi nucleari in essa.

Solleviamo con maggiore convinzione, di fronte a questa prospettiva spaventosa, la necessità urgente del disarmo nucleare, riferendoci al percorso umanitario che ha dato vita al Trattato di proibizione delle armi nucleari, ratificato per il momento da 68 Stati, tra i quali manca l’Italia in quanto facente parte della condivisione nucleare NATO (ed in procinto di ammodernare le B-61 nelle basi di Ghedi ed Aviano).

E, contrastando la guerra militare anche come rischio di escalation nucleare, contrastiamo anche la guerra economica che la affianca proponendo che si rifiuti l’uso dell’energia come arma bellica anziché come ponte di cooperazione e di pace.

La piccola manifestazione del 26 settembre di piazzale della stazione di porta Genova ribadiamo, per quanto sopra argomentato, che non va sottovalutata. Il tema delle sanzioni, che per primi abbiamo sollevato in una iniziativa pubblica in presenza, tra la gente, diventa, a nostro parere, decisivo se si vuole dare uno sbocco appropriato alle proteste che esploderanno in seguito all'aumento dei prezzi dell'energia, le cui dinamiche speculative vanno appunto agganciate all’intreccio che abbiamo individuato tra conflitto militare localizzato e guerra economica globale.

Le vicende economiche che promuovono il carovita e la disoccupazione (per il tramite soprattutto dei maxi-rincari delle bollette) mettono insieme la fine del mese con la fine del mondo, a partire da ciò che più preoccupa il popolo italiano.

In questo momento l'ecopacifismo può ridursi alle sue scadenze autocelebrative e di didattica tra gli addetti ai lavori nonviolenti oppure tentare di contribuire a dare una alternativa alla esplosione sociale incombente, che rischia di esprimersi come sfogo rabbioso con le modalità che abbiamo già visto nei gilet gialli e nei forconi: petardi che fanno tanto rumore per poi dissolversi rapidamente nel nulla.

Per ottenere l’alternatività efficace una pista di lavoro che proponiamo è inserire nello sciopero generale del 2 dicembre, convocato dalle organizzazioni sindacali di base, appunto la revoca delle sanzioni che deve diventare anche lo sbocco appropriato e risolutivo di una campagna di autoriduzione delle bollette (al posto dei diversivi demagogicamente attraenti ma inattuabili del “tetto al prezzo del gas” e degli “extraprofitti da tassare”).

Ci convince, in questo ambito, quanto ci suggerisce una riflessione di Federica Fratini, di Mondo senza guerre e senza violenza, sulla rabbia che deve essere guidata dalla intelligenza con la nonviolenza attiva:

Organizziamo campagne di disobbedienza civile consapevolmente nonviolente (…): dall’autoriduzione delle bollette, all’aumento degli orti condivisi e delle relazioni dirette tra produttori e consumatori locali; boicottiamo prodotti specifici di varie aziende che affamano i popoli dei paesi più poveri; spegniamo la TV; organizziamo una rete di trasporti condivisa e rafforziamo le reti di solidarietà per i più sfortunati; diamo vita nei quartieri alle banche del tempo dove ognuno mette a disposizione la sua competenza per il tempo che può: una rete di medici, avvocati, insegnanti, fiscalisti, artisti di ogni tipo, panettieri, calzolai, aiutanti domestici, cuochi, contadini…”

Altro punto politicamente decisivo, più legato allo specifico pacifista, è la lotta perché la UE apra le frontiere agli obiettori e disertori russi (invece le sta chiudendo). Questo nel quadro della campagna, promossa tra gli altri dalla WAR RESISTERS INTERNATIONAL, a cui è collegata l’iniziativa STOP THE WAR NOW, che oggi vede un nuovo convoglio di attivisti recarsi in Ucraina per stringere più strette relazioni con la società civile e sostenere chi rifiuta di combattere o critica la guerra.

Qui si innesta il nostro vecchio lavoro sull’obiezione di coscienza alle spese militari ed il suo tentativo di allargamento e potenziamento con una nuova campagna di opzione fiscale.

La pace, a nostro parere, non si fa limitandosi al lavoro culturale sulla nonviolenza teorica (ad esempio la celebrazione nelle scuole del compleanno di Gandhi, visto come il santino dei “Sii tu stesso il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”) ma cercando l'aggiunta nonviolenta ai conflitti in cui la gran massa del popolo è impegnato (Gandhi, che festeggeremo il 2 ottobre, si applicò a offrire una strategia nonviolenta alla lotta di liberazione del popolo indiano dal dominio coloniale inglese).

L'azione nonviolenta è stare dentro la resistenza popolare che si svilupperà per sopravvivere alla crisi offrendo la soluzione di una Italia che lavori per la pace invece di affiancarsi alla NATO nella guerra contro la Russia con misure rigettate, secondo tutti i sondaggi, dalla maggioranza degli italiani: l’invio delle armi allo Stato ucraino, l’aumento delle spese militari al 2% del PIL, le sanzioni contro la Russia…

Nei prossimi giorni le fasce deboli della società lotteranno letteralmente per sopravvivere. L'antifascismo, in questa situazione, non sarà occupare le scuole o qualsiasi altro tipo di edificio per contestare il voto popolare (per quanto da noi mal giudicato visto il successo delle forze post-fasciste) ma fare capire, per dirla con uno slogan, che “pace significa pane”. Questa verità, un po’ la scoperta dell’acqua calda, va fatta capire a chi? Ecco la nostra risposta: alle moltitudini popolari, rintronate e confuse da una propaganda massiccia, cui dobbiamo rivolgerci. A questo dovrebbe servire la convergenza degli attivisti sociali che si propongono per un ruolo di animazione, di stimolo, di riferimento solido e organizzato.

A questo proposito riprendiamo infine un ultimo ragionamento, già accennato. Questa guerra sicuramente impatta in modo decisivo sugli equilibri ecologici globali, con le distruzioni sul campo (ogni giorno si bombardano raffinerie, depositi di carburante, impianti chimici, oltre che edifici e infrastrutture) foriere di inquinamenti che possono investirci direttamente. Se potessimo effettuare delle stime, non ci sarebbe affatto da meravigliarsi che si stiano già facendo saltare fisicamente gli accordi di Parigi sul clima; ma c'è anche il rischio di una possibile contaminazione radioattiva da ZaporizhJa o da altre centrali nucleari nel mezzo delle sparatorie.

Il ruolo di “aggiunta nonviolenta” che dobbiamo ritagliarci da attivisti sociali, come ci ricorda Patrizia Sterpetti di WILPF Italia, nostra stretta partner operativa nelle iniziative nazionali ed internazionali, è anche quello di denunciare l’intreccio tra guerre, militarismo e crisi ecologica. Dobbiamo portare alle COP sul clima (la numero 27 si tiene a novembre in Egitto) l’obiettivo di inserire l’attività militare nel calcolo ufficiale delle emissioni di CO2. Per chiudere il cerchio: la pace è pace con la natura, lottare insieme contro il riscaldamento globale è il terreno per costruire la pace e questa è la condizione per assicurarci, nella giustizia sociale, il pane quotidiano e la ricerca delle rose per la felicità.

Segnaliamo l'appello online che esige la revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Questo il link: https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni

 

  • 1000 lire al mese di Gilberto Mazzi. Dal testo di questa canzone del 1939: “Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovar tutta la felicità! Un modesto impiego, io non ho pretese, voglio lavorare per poter al fin trovar tutta la tranquillità! Una casettina in periferia, una mogliettina giovane e carina, tale e quale come te. Se potessi avere mille lire al mese, farei tante spese, comprerei fra tante cose le più belle che vuoi tu!

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NEL GIORNO DI STANISLAV PETROV, L'UOMO CHE NEL 1983 HA SALVATO IL MONDO DALL'OLOCAUSTO NUCLEARE

NEL MOMENTO IN CUI NATO E RUSSIA COMBATTONO SUL TERRITORIO UCRAINO RISCHIANDO L'ESCALATION DI UNA GUERRA ATOMICA

RICORDIAMOCI CHE:

NON SIAMO IN GUERRA

NON PAGHIAMO NESSUNA GUERRA!

INCONTRO DI DIALOGO E SENSIBILIZZAZIONE
LUNEDI 26 SETTEMBRE 2022
PIAZZALE DELLA STAZIONE DI PORTA GENOVA
ORE 17:00-19:00

Proponiamo anche di partecipare ad un nostro incontro on line, con inizio alle ore 20:00, sempre il 26 settembre.
Intendiamo riflettere sulle possibilità di costruire un'opposizione sociale che punti ovviamente a dei NO necessari ma pensando globalmente alla pace come nuovo modello di ecosviluppo, per una umanità di liberi ed eguali nella "terrestrità"; ed anche commentare insieme i primi risultati elettorali.

Questo il link per partecipare all'incontro su piattaforma Google Meet: 

meet.google.com/pqf-ffxs-oct

Segnaliamo infine l'appello online che esige la revoca delle sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Questo il link: https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni

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DISARMO "ATOMICO" A PARTIRE DALLA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI (L'ITALIA RATIFICHI IL TRATTATO ONU A CUI HANNO ADERITO 67 PAESI)
NO ALLE SANZIONI - NO ALLA GUERRA (CHE RISCHIA DI USARE ARMI NUCLEARI) - NO AL RIARMO
NO ALLA SPECULAZIONE E AI RINCARI SPROPOSITATI DI BOLLETTE, AFFITTI E MUTUI CHE SI INNESTA SULL'INFLAZIONE CAUSATA DALLA GUERRA
SI ALLA RICERCA DELLA PACE USANDO L'ENERGIA COME PONTE DI COOPERAZIONE NELLA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
(TUTTI GLI STATI HANNO FIRMATO GLI ACCORDI DI PARIGI!)

Le elezioni daranno la vittoria sicuramente a uno schieramento atlantista, comunque denominato, perché sia la Meloni che Letta, ufficialmente di idee opposte, sono stati espliciti in campagna elettorale: tutti e due seguiranno l'Agenda Draghi, non ritoccata sul punto fondamentale.
Quale è questo punto? Ma è chiaro! La guerra voluta non certamente dai cittadini italiani, dalla base popolare, ma dalle élites nutrite dalla globalizzazione finanziarizzata, protette dal militarismo transnazionale.
A Milano i maggiordomi di queste élites, come Sala e la sua Giunta, ma anche quasi tutta l'opposizione in consiglio comunale, tengono ovviamente il sacco alla rapina: essa parte dal caro bollette, ma si estenderà al caro affitti e al caro mutui, lasciandoci alla fine in mutande.
Le sanzioni, in particolare, che sono una forma di GUERRA ECONOMICA (chi le contesta, secondo il premier ex BCE, sarebbe un "Pupazzo prezzolato da Putin"), stanno da subito portando ai cittadini europei carovita, restrizioni, disoccupazione.
COSI' NON POSSIAMO ANDARE AVANTI, DOBBIAMO SVEGLIARCI ED ESIGERE CHE SI CAMBI STRADA.
IL GOVERNO, DA CHIUNQUE FORMATO, DEVE CAPIRE CHE NON VOGLIAMO LA GUERRA, NE' MILITARE NE' ECONOMICA, QUINDI NON SIAMO DISPOSTI A PAGARE SITUAZIONI IN CUI NON ABBIAMO DA ESSERE TRASCINATI CON IL PRETESTO CHE SIAMO (MA CHI CI CREDE?) CROCEROSSINI DI POPOLI OPPRESSI!
VOGLIAMO IL DISARMO NUCLEARE, CHE L'ITALIA ADERISCA AL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI ATOMICHE, CHE NON INSTALLI A GHEDI AD AVIANO NUOVE BOMBE USA TRASPORTABILI DAI COSTOSISSIMI CACCIABOMBARDIERI F35!

PER OTTENERE QUESTI (E ALTRI OBIETTIVI) CHE CI STANNO A CUORE
NON DELEGHIAMO SEMPRE AGLI ALTRI, MA ORGANIZZIAMOCI PER FARCI SENTIRE IN PRIMA PERSONA!

Promuovono:
Disarmisti esigenti - Mondo senza guerre e senza violenza

Il materiale qui proposto è

  1. appello "Salviamo la terra, blocchiamo la guerra", sia nella versione più sintetica, sia nella versione di documento più analitico ed esteso
  2. dal sito istituzionale del Consiglio della Unione Europea: "Spiegazione delle sanzioni UE contro la Russia"
  3. i partiti in campagna elettorale: le posizioni sulle sanzioni (articolo su "Pagella politica"
  4. De Magistris di Unione Popolare per la "revisione delle sanzioni"
  5. Melenchon a Roma contro le sanzioni (ed in appoggio a UNIONE POPOLARE)
  6. Ferrero di Rifondazione Comunista contro le sanzioni alla Russia in adesione a "NON PAGHIAMO!"
  7. Analisi difesa riflette sul sabotaggio di Nord Stream 1 e Nord Stream 2: gli USA i maggiori indiziati secondo il criterio del cui prodest. Il bersaglio comunque è l'Europa

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https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni (link per aderire on line)

INIZIATIVA 

SALVIAMO LA TERRA – BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace. Indirizziamoci invece verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

DA PARTE DI ALFONSO NAVARRA - PORTAVOCE DEI DISARMISTI ESIGENTI

MILANO 11 SETTEMBRE 2022

Si propone di inviare il seguente appello, redatto in bozza dal sottoscritto, con una versione più lunga e una versione sintetica, su cui raccogliere adesioni online, ai capi di partito delle liste impegnate nella campagna per il voto del 25 settembre, diciamo una settimana prima, max il 20 settembre.

Se convochiamo, in altre città come a Milano, manifestazioni il 26 settembre, giornata ONU contro le armi nucleari, con l’invito alla partecipazione di politici sensibilizzati, potrà essere letto in esse nel contesto della reiterazione della richiesta della ratifica del TPAN da parte dell’Italia.

Il tema delle sanzioni non va trascurato perché la stessa stampa mainstream avverte che si sta preparando una esplosione sociale, come a Praga (70mila persone sono scese in piazza il 3 settembre), nel momento in cui arriveranno le prossime bollette e comunque saranno chiari gli effetti di rovina economica (inflazione e recessione) delle sanzioni, cioè della guerra globale economica che si è deciso di affiancare al conflitto militare in Ucraina.

C’è bisogno di un riferimento ecopacifista (per così dire rosso-verde e di sostanza, non puramente retorico) per la gente impoverita e spaventata, perché nel contesto politico che viviamo è facile che le mobilitazioni tipo forconi/gilet gialli che si prospettano siano alla fine strumentalizzate dalla destra estrema, in un clima politico che la favorisce.

Il problema è: grazie al nostro disinteresse dobbiamo permettere che l’opposizione popolare alla guerra, non rappresentata coerentemente da alcuno (proprio il mancato riferimento alle sanzioni ce lo dimostra), che dovrebbe naturalmente avere connotazioni e sbocchi democratici e progressivi, finisca invece nelle mani delle destre e vada ad alimentare nuove guerre di civiltà (contro l’Islam e contro la Cina), secondo lo spirito non domo ma crescente del trumpismo mondiale?

E' logico e facile prevedere che si cercherà un capro espiatorio per il collasso sociale che le élites ci stanno predisponendo. La bilancia dell’opinione pubblica può pendere individuando Putin e i nemici dell’Occidente oppure, al contrario, come è giusto, la guerra e la logica della potenza, da superare. Quell’oppure dipende anche da come, noi "avanguardie sociali", sapremo organizzarci, lavorare, mobilitarci, a partire da subito…

Un interlocutore importante possono essere le organizzazioni sindacali che hanno dato vita, l'8 maggio 2022, allo sciopero generale contro la guerra e contro l'economia di guerra. Sono scese in piazza in varie città italiane (Roma, Milano...) contro l’invio di armi e l’escalation militare, contro i tagli alla spesa pubblica e alle condizioni salariali, per la garanzia di un reddito dignitoso per tutte e tutti. Mancava però un obiettivo esplicito per la revoca delle sanzioni energetiche. Il prossimo sciopero generale potrà rimediare!

Ma bisogna proporre un approccio radicale e risolutivo, non solo richiami a forme di lotta (sciopero generale, autoriduzione delle bollette), che oltretutto presi a sé possono suonare demagogici. La soluzione vera rispetto al caro bollette non sta, come già propongono i vertici UE, nel tassare gli extraprofitti - oltre ad altre misure derivate e secondarie - ma nel revocare le sanzioni, determinanti nel panorama odierno. Non dimenticando di promuovere nella pratica, nelle iniziative territoriali di autodifesa collettiva, la diffusione dell’ALTERNATIVA RINNOVABILE!

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VERSIONE SINTETICA DELL’APPELLO

SALVIAMO LA TERRA  - BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace.

Indirizziamoci verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Abbiamo elaborato il presente appello a favore della abrogazione unilaterale delle sanzioni alla Russia, interpretando la precisa volontà in questo senso della maggioranza del popolo italiano: 53%, secondo gli ultimi sondaggi. Si tratta di una opinione pacifista inascoltata e disattesa nelle decisioni politiche, governative e parlamentari, seppure, per l'appunto, maggioritaria. Allo stesso modo non sono esauditi a livello di politiche istituzionali, che si pretendono democratiche, i temi collegati, sui quali gli italiani hanno una opinione maggioritaria riconosciuta o addirittura indiscutibile, del non inviare armi all'Ucraina, della riduzione delle spese militari, del disarmo "atomico" e della denuclearizzazione attraverso la ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, il rifiuto di nuovi euromissili, il rispetto dei referendum dei 2011 sui beni comuni (acqua pubblica e no all'energia nucleare).

Lo lanciamo – l’appello – per l’intanto a livello nazionale rivolgendoci a associazioni, movimenti e singoli cittadini al fine di esercitare pressioni sulle forze politiche, dentro e oltre la campagna elettorale in corso in Italia, affinché desistano dal proseguire sulla strada pericolosa di affiancare una guerra economica ad una guerra militare per procura. Una strada che le nostre élites hanno imboccato con riflessi automatici di fedeltà atlantista distruttivi ed autodistruttivi. Cercando di illudere che la "pace attraverso la vittoria (militare)" sia qualcosa di diverso da un impegno bellico di lunga durata, al di là delle avanzate e ritirate momentanee di questo o quel contendente sul teatro dei combattimenti. Non ci soffermiamo sulla strumentalità e sull'ipocrisia di fondo di un atteggiamento che, se si rispettasse un minimo di coerenza, avrebbe dovuto indirizzarsi contro comportamenti del tutto analoghi da parte di autocrati come Erdogan per le sue ingerenze militari in Siria e le sue provocazioni nel Mediterraneo Orientale. O addirittura, da parte della NATO, contro sé stessa, per i bombardamenti nell'ex Jugoslavia e le vicende che hanno portato alla separazione del Kosovo dalla Serbia.

La distruzione bellica in Ucraina, ben al di là delle macerie e delle vittime prodotte localmente, è soprattutto attacco all'ecosistema terrestre globale: una bomba che cade può colpire dei bimbi che vanno a scuola, ma oramai, in senso tecnico proprio, con la CO2 emessa, soprattutto quando fa saltare in aria - e succede quotidianamente! - raffinerie, depositi di carburante, impianti chimici (per non parlare di centrali nucleari!), senza ombra di dubbio ferisce direttamente tutti noi, che dobbiamo considerarci e siamo parte della Madre Terra come unico sistema vivente.

La guerra, che oggi è sempre guerra contro la Natura, il corpo vivente di tutti noi, è il nostro principale e impellente "nemico"; ed è per toglierle l'ossigeno che la alimenta e la fa sviluppare che, con i nostri mezzi di società civile internazionale organizzata, ci stiamo impegnando per sostenere obiezioni e diserzioni, soprattutto dalla parte dell'esercito russo "aggressore", ma anche di quello ucraino "aggredito". (Mettiamo le virgolette perchè in senso profondo chi aggredisce è la GUERRA e i veri aggrediti siamo tutti noi: l'umanità intera e la Terra cui apparteniamo). Perchè dopo Gandhi non possiamo più permetterci di ignorare che la resistenza nonviolenta funziona ed è necessariamente preferibile: al di là dei meriti etici, non danneggia materialmente innocenti ed estranei al conflitto particolare e localizzato in corso.

La necessità, in questo scenario, di una mobilitazione ampia per opporsi alle sanzioni e alla rovina cui, con ogni evidenza, conducono va riconosciuta in nome innanzitutto della pace, che esige la cessazione di ogni aiuto militare all’Ucraina, al di là di ogni considerazione sulla sua efficacia contingente sul campo, e pur nella condanna della aggressione militare decisa da Mosca e nella solidarietà da non fare mancare, come ci ricorda Papa Francesco, alle sofferenze del popolo ucraino.

L’Europa, sollecitata dall’Italia, potrebbe essere indotta ad una inversione a U rispetto alla direzione della lunga guerra per procura che ha intrapreso, per indirizzarsi invece a un lavoro di ricostruzione diplomatica delle condizioni della pace e della stabilità. Andrebbero rimessi al centro i negoziati diplomatici (da dove erano stati interrotti: i protocolli di Minsk) insieme a una nuova riflessione sulla sicurezza dell’area da compiersi di concerto con Mosca, mai dimenticando i diritti di Kiev (nella complessità delle questioni in campo, considerando ad esempio i problemi delle popolazioni russofone fuori dalla Russia).

In nome della pace, quindi; ma anche, per quanto riguarda italiani ed europei:

- Della difesa del potere d’acquisto e dei livelli occupazionali, rifiutando di pagare e subire i costi delle politiche “atlantiche”, consentendo l’azzeramento degli aumenti, anche speculativi, nelle bollette di luce e gas

- della salvavaguardia degli equilibri ecologici globali, pregiudicati dalle distruzioni sul campo foriere di inquinamenti che possono investirci direttamente (gli accordi di Parigi sul clima saltano fisicamente per le vicende ucraine, ma c'è anche il rischio di una possibile contaminazione radioattiva da ZaporizhJa)

- del ripristino di un minimo di correttezza informativa e di pluralismo democratici, estromessi dai media mainstream asserviti alle élites dominanti. Siamo o non siamo in guerra? Se lo siamo lo dicano almeno apertamente e ci parlino con chiarezza della mobilitazione e dei sacrifici che ci vengono eventualmente richiesti!

Poiché, fino a prova contraria, la guerra contro la Russia non è stata dichiarata, e – a parole - si starebbe praticando da parte italiana solo un sostegno alla resistenza ucraina, ecco che pensiamo si debba fare a Vladimir Putin – sempre chiamando in causa con rispetto Zelensky - un discorso molto semplice, chiaro e dialogante. Possibilmente costruendo il presupposto che questo discorso lo renda credibile: un piano italiano, e anche un piano europeo, –condiviso e costruito con tutti gli interlocutori economici, commerciali e industriali dei Paesi dell’Unione – che indichi chiaramente qual è il beneficiario della transizione energetica: non, come adesso, le grandi multinazionali, ma i cittadini, gli utenti e i lavoratori. E, infine, che metta in discussione il modello economico generale: basta affidare in buona misura ai mercati finanziari, e alla loro vocazione speculativa, le politiche energetiche, inclusa la determinazione dei prezzi.

Con questi impegni perseguiti nelle politiche concrete, ecco cosa proponiamo di offrire a Putin:

Noi italiani con il nostro Stato non siamo in guerra con te e soprattutto con il tuo popolo, ma vogliamo proporci come mediatori di pace in questo conflitto insensato con l’Ucraina, per far sì che smetta di minacciare il mondo intero. Siccome consideriamo l’energia “terreno di cooperazione tra i popoli", contro la cultura del nemico, ti proponiamo di continuare a venderci la medesima quantità di petrolio e gas allo stesso prezzo che facevi prima. Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme (insieme anche agli ucraini) per fare la pace con la Natura, il compito principale della intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.

Hanno firmato al momento (in attesa di risposte da vari contatti che abbiamo avviato):

Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti

Massimo Aliprandini - Antonio Amoruso - Daniele Barbi – Luciano Benini - Ennio Cabiddu - Sandra Cangemi - Sandro Ciani - Mario Di Padova – Giuseppe Farinella - Cosimo Forleo - Abramo Francescato – Angelo Gaccione - Teresa Lapis – Roberto Maggetto - Antonella Nappi – Giuseppe Natale- Franca Niccolini - Elio Pagani - Renato Ramello - Fabio Strazzeri - Marco Zinno

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DOCUMENTO ESTESO

SALVIAMO LA TERRA - BLOCCHIAMO LA GUERRA

Revochiamo le sanzioni energetiche contro la Russia che ci separano dalla pace.

Indirizziamoci verso la soluzione negoziata e cooperativa del conflitto!

Facciamo la solita premessa ormai di prammatica: nessuno tra gli ecopacifisti nonviolenti pensa che Putin non porti responsabilità ingiustificabili nell’aggressione di febbraio all’Ucraina e dunque nessuno pensa che l’Ue non abbia tutto il diritto di agire e reagire. Il problema vero è con che scopi lo fa (serve gettare benzina sul fuoco del conflitto?) e come lo fa (serve aggiungere alla guerra militare quella economica?).

Non può sfuggire al nostro riflettere una situazione che appare paradossale: le sanzioni comminate contro la Russia, ancora in una fase embrionale del loro sviluppo, nei loro effetti visibili, colpiscono al momento più i sanzionatori “occidentali” che i sanzionati “orientali”, in barba alla loro pretesa di “mettere rapidamente in ginocchio il regime di Putin”.

Qui non ci interessa fare dei calcoli su quanto tempo può resistere economicamente e socialmente la Russia senza vendere petrolio e gas all’Occidente. Ci pare del tutto fuori luogo giocare a “chi fa crollare per primo chi”, nel momento in cui il conflitto militare combattuto sul territorio ucraino rischia di attraversare varie scalate, non escluse l’impiego circoscritto di armi nucleari tattiche (e la guerra nucleare globale per errore è sempre sullo sfondo!).

Diamo pure per scontato che le valutazioni dell’Economist siano giuste: le decisioni di blocco delle esportazioni che si stanno prendendo contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina avranno conseguenze devastanti entro qualche anno. “Il futuro del Paese sarà segnato da una produttività in calo, da una scarsa innovazione e da un’inflazione strutturale. (..) Quello che la Russia ha ottenuto è un biglietto di sola andata verso il nulla”. (Si veda l’Internazionale 1476 del 2 settembre 2022).

Non ci sembra utile opporre a questo ragionamento bellicoso, brandente soldi ed energia come armi, che, se pure Putin con queste sanzioni resiste tre-cinque anni, già però stiamo vedendo che il nostro Paese – e la Germania (e l’intera Europa) –sono sul punto di “sbattere il muso”: le loro economie possono franare nei prossimi mesi, a causa di varie dinamiche, cominciando con i meccanismi speculativi (la compravendita dei futures) che formano i prezzi del gas.

Il punto, secondo la nostra opinione decisivo, non è se queste sanzioni funzionano o meno, anche se al nostro popolo, che non le digerisce (i sondaggi indicano un 53% di contrari), appare evidente dal carovita crescente che non funzionano. Il punto è che queste sanzioni esprimono un’ottica di fatto cobelligerante con lo Stato ucraino, cioè una collocazione rifiutata dalla popolazione italiana per stessa ammissione dei “media con l’elmetto”, ed esclusa dal nostro dettato costituzionale: una prospettiva opposta alla ricerca della mediazione e della pace nel tragico conflitto esploso con l’invasione decisa da Putin, ma risalente a cause complesse di lunga durata e di larga portata.

Il popolo italiano – e noi ecopacifisti gli siamo in questo caso a fianco senza riserve – simpatizza con la causa ucraina, è disposto ad alleviare le sofferenze dei bombardati e ad accogliere a centinaia di migliaia chi fugge dalle bombe, ma non vuole che l’Italia sia trascinata direttamente nel conflitto armato contro la Russia. Per questo vede malissimo l’invio di armi all’esercito di Zelensky; e in generale desidera una riduzione drastica delle spese militari. Nel suo pacifismo istintivo e spontaneo resta antinucleare come al tempo dei referendum vinti nel 2011 sul tema dei beni comuni (energia nucleare e acqua pubblica).

Se questo popolo fosse più informato non avremmo dubbi sul fatto che vorrebbe che il nostro Paese aderisse al Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Il popolo italiano non vuole essere spinto a sparare, e a fare sparare, con bazooka, cannoni, missili, e quanto altro; e non vuole nemmeno che, in modo analogo, dalla competizione sui prodotti e sui prezzi si passi alla guerra economica con la Russia e con chicchessia. L’energia e l’economia possono essere terreno di mercanteggiamenti e contenziosi anche aspri, persino terreno di scelta consapevole di boicottaggi consumeristi da parte di attivisti sociali, ma non certamente armi di ricatto bellico, confondendo gli scambi di beni sul mercato con le mazzate distruttive dei conflitti strategico-militari.

Il popolo italiano, con i suoi imprenditori, artigiani e consumatori, vuole potere esportare i beni che produce in Russia e importare da questo Paese il grano e il gas, perché inteso a coltivare la prosperità con le attività economiche nell’interesse reciproco: non è affatto nelle sue intenzioni, per colpire un militarista invasore, punire un intero popolo massacrandolo con la chiusura di officine e campi a creare letteralmente macerie allo stesso modo che si bombardasse.

Il potere consumerista, che pure piega le scelte economiche a esigenze politico-sociali, mira a fare pressione organizzata, da parte dell’associazionismo sociale, per affermare diritti dal basso contro le discriminazioni: sicuramente lascia fuori la logica dell’amico-nemico che pretende di “continuare la guerra con altri mezzi”, lo sterminio e il massacro punitivi mediante la penuria organizzata.

Gli impatti economici e sociali causati dalla rinuncia al mercato russo per l’export sono sempre più avvertiti, specialmente in Europa, ma toccano anche gli USA, e persino il Terzo Mondo; ed oggi diventa palesemente gravoso sino alla insopportabilità l’aumento dei costi dell’energia e la sua carenza stessa, che stanno determinando inflazione a due cifre (da subito) e recessione (inesorabilmente in arrivo).

Le sanzioni promosse dagli Usa e adottate dai Paesi europei, come forma di guerra praticata e non dichiarata, sono inaccettabili sul piano etico e strategico. Fanno parte di uno scontro bellico portato avanti in modo antidemocratico, nel momento in cui sostanziano una scelta di guerra per procura da parte della NATO che non è esplicitata ai popoli come tale.

Il popolo italiano però, meno stupido di quanto le élites governanti non credano, ha “mangiato la foglia”. In fondo Draghi aveva avvisato gli italiani, pure se in modo contorto: “Volete la pace o l’aria condizionata?”. Si capisce che non stiamo avendo la prima, e che la seconda ce la stanno togliendo insieme al riscaldamento!

Per di più, a ben guardare non solo da noi ma ovunque nel mondo (questo aspetto è da sottolineare), nel loro obiettivo ufficiale di non finanziare l’aggressore russo, si stanno rivelando un boomerang che avrà effetti disastrosi di fame, freddo e recessione sui settori sociali più deboli. Per la nostra economia in genere, significano carrelli della spesa mezzi vuoti, difficoltà a pagare affitti e mutui, chiusura di negozi e alberghi, fabbriche fallite, un apparato industriale prossimo al collasso: l’anticipazione a noi stessi dei disastri che si vorrebbero provocare alla Russia.

Per questi motivi abbiamo elaborato il presente appello a favore della abrogazione unilaterale delle sanzioni alla Russia.

Lo lanciamo – l’appello – per l’intanto a livello nazionale rivolgendoci a associazioni, movimenti e singoli cittadini al fine di esercitare pressioni sulle forze politiche, dentro e oltre la campagna elettorale in corso in Italia, affinché desistano dal proseguire su questa strada, che le nostre élites hanno imboccato con riflessi automatici di fedeltà atlantista distruttivi ed autodistruttivi. Cercando di illudere che la "pace attraverso la vittoria (militare)" sia qualcosa di diverso da un impegno bellico di lunga durata, al di là delle avanzate e ritirate momentanee di questo o quel contendente sul teatro dei combattimenti. Non ci soffermiamo sulla strumentalità e sull'ipocrisia di fondo di un atteggiamento che, se si rispettasse un minimo di coerenza, avrebbe dovuto indirizzarsi contro comportamenti del tutto analoghi da parte di autocrati come Erdogan per le sue ingerenze militari in Siria e le sue provocazioni nel Mediterraneo Orientale. O addirittura, da parte della NATO, contro sé stessa, per i bombardamenti nell'ex Jugoslavia e le vicende che hanno portato alla separazione del Kosovo dalla Serbia.

La distruzione bellica in Ucraina, ben al di là delle macerie e delle vittime prodotte localmente, è soprattutto attacco all'ecosistema terrestre globale: una bomba che cade può colpire dei bimbi che vanno a scuola, ma oramai, in senso tecnico proprio, con la CO2 emessa, soprattutto quando fa saltare in aria - e succede quotidianamente! - raffinerie, depositi di carburante, impianti chimici (per non parlare di centrali nucleari!), senza ombra di dubbio ferisce direttamente tutti noi, che dobbiamo considerarci e siamo parte della Madre Terra come unico sistema vivente.

La guerra, che oggi è sempre guerra contro la Natura, il corpo vivente di tutti noi, è il nostro principale e impellente "nemico"; ed è per toglierle l'ossigeno che la alimenta e la fa sviluppare che, con i nostri mezzi di società civile internazionale organizzata, ci stiamo impegnando per sostenere obiezioni e diserzioni, soprattutto dalla parte dell'esercito russo "aggressore", ma anche di quello ucraino "aggredito". (Mettiamo le virgolette perchè in senso profondo chi aggredisce è la GUERRA e i veri aggrediti siamo tutti noi: l'umanità intera e la Terra cui apparteniamo). Perchè dopo Gandhi non possiamo più permetterci di ignorare che la resistenza nonviolenta funziona ed è necessariamente preferibile: al di là dei meriti etici, non danneggia materialmente innocenti ed estranei al conflitto particolare e localizzato in corso.

La necessità, in questo scenario, di una mobilitazione ampia per opporsi alle sanzioni e alla rovina cui, con ogni evidenza, conducono va riconosciuta in nome innanzitutto della pace, che esige la cessazione di ogni aiuto militare all’Ucraina, pur nella solidarietà da non fare mancare, come ci ricorda Papa Francesco, alle sofferenze del popolo di questo Paese.

L’Europa, sollecitata dall’Italia, potrebbe essere indotta ad una inversione ad U rispetto alla direzione della lunga guerra che ha intrapreso, per indirizzarsi invece a un lavoro di ricostruzione diplomatica delle condizioni della pace e della stabilità. Andrebbero rimessi al centro i negoziati diplomatici (da dove erano stati interrotti: i protocolli di Minsk) insieme a una nuova riflessione sulla sicurezza dell’area da compiersi di concerto con Mosca, mai dimenticando i diritti di Kiev (come pure, nella complessità delle questioni in campo, i problemi delle popolazioni russofone fuori dalla Russia).

In nome della pace, quindi; ma anche, per quanto riguarda italiani ed europei:

-     Della difesa del potere d’acquisto e dei livelli occupazionali, rifiutando di pagare e subire i costi delle politiche “atlantiche”, consentendo l’azzeramento degli aumenti, speculativi o meno, nelle bollette di luce e gas

-     della salvavaguardia degli equilibri ecologici globali, pregiudicati dalle distruzioni sul campo foriere di inquinamenti che possono investirci direttamente (gli accordi di Parigi sul clima saltano fisicamente per le vicende ucraine, ma c'è anche il rischio di una possibile contaminazione radioattiva da ZaporizhJa)

-      del ripristino di un minimo di correttezza informativa e di pluralismo democratici, estromessi dai media mainstream asserviti alle élites dominanti. Siamo o non siamo in guerra? Se lo siamo lo dicano almeno apertamente e ci parlino con chiarezza della mobilitazione e dei sacrifici che ci vengono eventualmente richiesti!

Poiché, fino a prova contraria, la guerra contro la Russia non è stata dichiarata, e – a parole - si starebbe praticando da parte italiana solo un sostegno alla resistenza ucraina, ecco che pensiamo si debba fare a Vladimir Putin – sempre chiamando in causa con rispetto Zelensky - un discorso molto semplice, chiaro e dialogante. Possibilmente costruendo il presupposto che questo discorso lo renda credibile: un piano italiano, e anche di un piano europeo, –condiviso e costruito con tutti gli interlocutori economici, commerciali e industriali dei Paesi dell’Unione – che indichi chiaramente qual è il beneficiario della transizione energetica: non, come adesso, le grandi multinazionali, ma i cittadini, gli utenti e i lavoratori. E, infine, che metta in discussione il modello economico generale: basta affidare in buona misura ai mercati finanziari, e alla loro vocazione speculativa, le politiche dell'energia e la determinazione dei prezzi delle materie prime e dei prodotti e servizi energetici. Sarebbe proprio così strano pensare che i prezzi siano oggetto invece di una programmazione e di una pianificazione pubblica su scala europea?

Con questi impegni perseguiti nelle politiche concrete, ecco cosa potremmo proporre a Putin: -

Noi italiani con il nostro Stato non siamo in guerra con te e soprattutto con il tuo popolo, ma vogliamo proporci come mediatori di pace in questo conflitto insensato con l’Ucraina, per far sì che smetta di minacciare il mondo intero. Siccome consideriamo l’energia “terreno di cooperazione tra i popoli, contro la cultura del nemico, ti proponiamo di continuare a venderci la medesima quantità di petrolio e gas allo stesso prezzo che facevi prima. Poiché siamo intenzionati a rispettare gli accordi di Parigi sul clima che tutto il mondo, compresa la tua Russia, ha firmato, è ovvio che, perseguendo l’obiettivo della decarbonizzazione, usciremo dai combustibili fossili e quindi ne consumeremo sempre di meno. I soldi che dovremmo risparmiare per questo minor consumo tendente allo zero li mettiamo in un fondo per aiutare voi ed insieme gli ucraini a decarbonizzare, come avete deciso nelle varie COP che discutono come attuare Parigi. Quello che ti proponiamo è, per l’intanto su questo aspetto, di lavorare insieme per fare la pace con la Natura, il compito principale della intera Umanità oggi, per salvare l’ecosistema terrestre che sta bruciando. Il lavoro comune per la decarbonizzazione contribuirà allo sviluppo della pace tra gli uomini, di una comunità mondiale che pratichi la fratellanza/sorellanza: impariamo a percorrere il cammino della nonviolenza laddove le attività militari devono diventare tabù”.

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In attesa di risposte da vari contatti presi hanno finora firmato:

Alfonso Navarra – Antonia Sani - Luigi Mosca - Moni Ovadia - Angelica Romano - Patrizia Sterpetti

Massimo Aliprandini - Antonio Amoruso - Daniele Barbi – Luciano Benini - Ennio Cabiddu - Sandra Cangemi - Sandro Ciani - Mario Di Padova – Giuseppe Farinella - Cosimo Forleo - Abramo Francescato – Angelo Gaccione - Teresa Lapis – Roberto Maggetto - Antonella Nappi – Giuseppe Natale- Franca Niccolini - Elio Pagani - Renato Ramello - Fabio Strazzeri - Marco Zinno

 

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Dal sito istituzionale del Consiglio della Unione Europea: "Spiegazione delle sanzioni UE contro la Russia

L'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni in risposta all'aggressione militare nei confronti dell'Ucraina. Scopri cosa significa nella pratica.

Infografica - EU sanctions in response to Russia’s invasion of Ukraine

Overview of sanctions taken by the European Union against Russia in response to the war in Ukraine: individual sanctions, economic sanctions, restrictions on media and diplomatic measures.Infografica completa

Dopo il riconoscimento, da parte della Russia, delle zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk il 21 febbraio 2022 e l'invasione non provocata e ingiustificata dell'Ucraina il 24 febbraio 2022, l'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni.

Esse si aggiungono alle misure in vigore imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell'annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi di Minsk.

Questa pagina contiene risposte alle seguenti domande:

  • quali sanzioni ha adottato finora l'UE, chi sono i destinatari delle sanzioni e in cosa consistono in pratica le sanzioni individuali?
  • cosa significano in pratica le misure restrittive contro le banche russe e la Banca centrale nazionale russa?
  • in cosa consistono le sanzioni per il trasporto aereo, stradale e marittimo?
  • che effetto hanno le misure dell'UE sugli scambi commerciali dell'UE con la Russia e che tipo di restrizioni all'importazione e all'esportazione sono in vigore?
  • le sanzioni dell'UE sono conformi al diritto internazionale e sono coordinate con altri partner?

Quali sanzioni ha adottato finora l'UE?

Dopo il riconoscimento, da parte della Russia, delle zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk il 21 febbraio 2022 e l'invasione non provocata e ingiustificata dell'Ucraina il 24 febbraio 2022, l'UE ha imposto alla Russia una serie di nuove sanzioni.

Esse si aggiungono alle misure in vigore imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell'annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi di Minsk.

Le sanzioni comprendono misure restrittive mirate (sanzioni individuali), sanzioni economiche e misure diplomatiche.

Le sanzioni economiche mirano a provocare gravi conseguenze per la Russia a causa delle sue azioni e a ostacolare efficacemente le capacità russe di proseguire l'aggressione.

Le sanzioni individuali riguardano le persone responsabili del sostegno, del finanziamento o dell'attuazione di azioni che compromettono l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina o le persone che traggono beneficio da tali azioni.

L'UE ha inoltre adottato sanzioni nei confronti della Bielorussia in risposta al suo coinvolgimento nell'invasione dell'Ucraina.

Che cosa NON prevedono le sanzioni dell'UE nei confronti della Russia?

Le sanzioni non bloccano le esportazioni e le transazioni relative ai prodotti alimentari e agricoli.

Nella riunione del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno 2022 i leader dell'UE hanno sottolineato che la Russia è l'unica responsabile della crisi alimentare mondiale e che le sanzioni dell'UE non colpiscono i prodotti alimentari e agricoli. La sicurezza alimentare e l'accessibilità economica dei prodotti alimentari sono una priorità fondamentale per l'UE e i suoi Stati membri.

Le sanzioni dell'UE non incidono sulla sicurezza alimentare e riguardano solo gli scambi bilaterali tra l'UE e la Russia, non il commercio internazionale.

Le sanzioni dell'UE escludono esplicitamente le forniture alimentari e i fertilizzanti: le esportazioni russe di prodotti alimentari verso i mercati mondiali non sono soggette a sanzioni. Chiunque può utilizzare, acquistare, trasportare e procurare prodotti alimentari e fertilizzanti provenienti dalla Russia.

Le restrizioni all'importazione di alcuni concimi potassici nell'ambito delle sanzioni dell'UE si applicano solo ai prodotti importati nell'UE e non riguardano le esportazioni di tali prodotti verso l'Ucraina dall'UE o dalla Russia.

L'UE ha inoltre introdotto eccezioni nell'ambito delle sue sanzioni: sebbene lo spazio aereo europeo non sia aperto agli aeromobili russi, gli Stati membri dell'UE possono autorizzare il sorvolo del loro spazio aereo da parte di aeromobili russi se ciò è necessario per scopi umanitari. Gli Stati membri dell'UE sono inoltre autorizzati a consentire alle navi battenti bandiera russa di accedere ai porti dell'UE e ad accordare ai vettori stradali russi l'ingresso nell'UE ai fini dell'importazione o del trasporto di prodotti agricoli, compresi fertilizzanti e frumento, che non sono soggetti a restrizioni.

Chi sono i destinatari delle sanzioni?

In totale, tenendo conto anche delle precedenti sanzioni individuali imposte dopo l'annessione della Crimea nel 2014, l'UE ha sanzionato 108 entità e 1 206 persone. L'elenco comprende:

Vladimir Putin e Sergey Lavrov.
Vladimir Putin e Sergey Lavrov figurano nell'elenco delle persone sanzionate dall'UE - © AFP
  • il presidente della Russia, Vladimir Putin
  • il ministro degli Affari esteri della Russia, Sergey Lavrov
  • l'ex presidente filorusso dell'Ucraina, Viktor Yanukovych
  • oligarchi legati al Cremlino, come Roman Abramovich
  • 351 membri della Duma di Stato russa (la camera bassa del parlamento) che il 15 febbraio 2022 hanno votato a favore del riconoscimento di Donetsk e Luhansk
  • membri del Consiglio di sicurezza nazionale
  • personalità politiche locali come il sindaco di Mosca
  • alti funzionari e militari
  • imprenditori di spicco (ossia persone attive nell'industria russa dell'acciaio e altre persone che forniscono allo Stato russo servizi finanziari, prodotti militari e tecnologie)
  • propagandisti e attori della disinformazione
  • persone responsabili delle atrocità commesse a Bucha e a Mariupol
  • persone coinvolte nel reclutamento di mercenari siriani per combattere in Ucraina
  • familiari selezionati di alcune delle suddette persone

In cosa consistono in pratica le sanzioni individuali?

Le sanzioni nei confronti delle persone consistono in divieti di viaggio e congelamento dei beni. I divieti di viaggio impediscono alle persone inserite in elenco di entrare o transitare nel territorio dell'UE per via terrestre, aerea o marittima.

Il congelamento dei beni significa che tutti i conti appartenenti alle persone ed entità inserite in elenco nelle banche dell'UE sono congelati. È altresì vietato mettere a loro disposizione, direttamente o indirettamente, fondi o attività.

In questo modo si garantisce che il loro denaro non possa più essere utilizzato per sostenere il regime russo e che non possano cercare di trovare un rifugio sicuro nell'UE.

Infografica - Impatto delle sanzioni sull'economia russa

Questa infografica descrive l'impatto delle sanzioni sull'economia russa, concentrandosi in particolare sul calo del PIL russo, sugli scambi della Russia, sul tasso di inflazione russo e sull'indice MOEX Russia.Infografica completa

Come vengono sanzionati gli scambi commerciali dell'UE con la Russia?

Nel quadro delle sanzioni economiche, l'UE ha imposto alla Russia una serie di restrizioni all'importazione e all'esportazione. Ciò significa che le entità europee non possono vendere determinati prodotti alla Russia (restrizioni all'esportazione) e che le entità russe non sono autorizzate a vendere determinati prodotti all'UE (restrizioni all'importazione).

L'elenco dei prodotti vietati è concepito per massimizzare l'impatto negativo delle sanzioni sull'economia russa, limitando nel contempo le conseguenze per le imprese e i cittadini dell'UE. Le restrizioni all'esportazione e all'importazione escludono i prodotti destinati principalmente al consumo e i prodotti dei settori sanitario, farmaceutico, alimentare e agricolo, al fine di non danneggiare la popolazione russa.

I divieti sono attuati dalle autorità doganali dell'UE.

In collaborazione con altri partner che condividono gli stessi principi, l'UE ha inoltre adottato una dichiarazione in cui si riserva il diritto di smettere di considerare la Russia una nazione più favorita nel quadro dell'OMC. L'UE ha deciso di agire in tal senso non mediante un aumento dei dazi doganali sulle importazioni, ma attraverso una serie di misure restrittive che comprendono il divieto di importare o esportare determinate merci. L'UE e i suoi partner hanno inoltre sospeso tutti i lavori relativi all'adesione della Bielorussia all'OMC.

Quali merci non possono essere esportate dall'UE verso la Russia?

L'elenco dei prodotti sottoposti a sanzioni comprende, tra l'altro:

  • tecnologie d'avanguardia (ad esempio computer quantistici e semiconduttori avanzati, elettronica e software di alta gamma)
  • alcuni tipi di macchinari e attrezzature per il trasporto
  • beni e tecnologie specifici necessari per la raffinazione del petrolio
  • attrezzature, tecnologie e servizi per l'industria dell'energia
  • beni e tecnologie per i settori aeronautico e spaziale (ad esempio aeromobili, pezzi di ricambio o qualsiasi tipo di equipaggiamento per aerei ed elicotteri, carboturbo)
  • prodotti per la navigazione marittima e tecnologie di radiocomunicazione
  • una serie di beni a duplice uso (beni che potrebbero essere utilizzati per scopi sia civili che militari), quali droni e software per droni o dispositivi di cifratura
  • beni di lusso (ad esempio automobili, orologi e gioielli di lusso)

Quali merci non possono essere importate dalla Russia verso l'UE?

L'elenco dei prodotti sottoposti a sanzioni comprende, tra l'altro:

  • petrolio greggio e prodotti petroliferi raffinati, con limitate eccezioni (con eliminazione graduale nel corso di 6-8 mesi)
  • carbone e altri combustibili fossili solidi (dato che i contratti esistenti prevedono un periodo di liquidazione, questa sanzione si applicherà a partire dall'agosto 2022)
  • oro, compresi i gioielli
  • prodotti siderurgici
  • legno, cemento e alcuni fertilizzanti
  • prodotti ittici e liquori (ad esempio caviale, vodka)

In cosa consiste in pratica il divieto sulle importazioni di petrolio?

Una raffineria di petrolio con fuoco che fuoriesce da una tubazione. Sullo sfondo, un cielo blu con qualche nuvola.
Le restrizioni dell'UE riguarderanno quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa - © AFP

Nel giugno 2022 il Consiglio ha adottato un sesto pacchetto di sanzioni che, tra l'altro, vieta l'acquisto, l'importazione o il trasferimento di petrolio greggio e di alcuni prodotti petroliferi dalla Russia all'UE. Le restrizioni si applicheranno gradualmente: entro sei mesi per il petrolio greggio ed entro otto mesi per altri prodotti petroliferi raffinati.

È prevista un'eccezione temporanea per le importazioni di petrolio greggio fornito mediante oleodotto negli Stati membri dell'UE che, data la loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dagli approvvigionamenti russi e non dispongono di opzioni alternative praticabili.

Inoltre, la Bulgaria e la Croazia nello specifico beneficeranno di deroghe temporanee riguardanti, rispettivamente, l'importazione di petrolio greggio russo trasportato per via marittima e di gasolio sotto vuoto.

Poiché la maggior parte del petrolio russo fornito all'UE è trasportato per via marittima, entro la fine dell'anno tali restrizioni copriranno quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa, riducendo notevolmente i profitti commerciali della Russia.

Quali sono le sanzioni per i trasporti?

Trasporto su strada

L'UE ha vietato agli operatori del trasporto su strada russi e bielorussi di entrare nell'UE, anche per le merci in transito.

Tale sanzione mira a limitare la capacità dell'industria russa di acquisire beni chiave e a perturbare il commercio stradale da e verso la Russia. Tuttavia, i paesi dell'UE possono concedere deroghe per:

  • il trasporto di energia
  • il trasporto di prodotti farmaceutici, medici, agricoli e alimentari
  • finalità di aiuto umanitario
  • trasporti connessi al funzionamento delle rappresentanze diplomatiche e consolari dell'UE e dei suoi paesi in Russia, o delle organizzazioni internazionali in Russia che godono di immunità in virtù del diritto internazionale
  • il trasferimento o l'esportazione in Russia di beni culturali in prestito nel contesto della cooperazione culturale ufficiale con la Russia

Il divieto non riguarda i servizi postali e le merci in transito tra la regione di Kaliningrad e la Russia.

Aviazione

Un aereo Aeroflot atterra in un aeroporto.
A tutti gli aeromobili russi è fatto divieto di sorvolare lo spazio aereo dell'UE - © AFP

Nel febbraio 2022 l'UE ha vietato ai vettori russi di ogni tipo di accedere ai suoi aeroporti e di sorvolare il suo spazio aereo. Di conseguenza gli aerei immatricolati in Russia o altrove e presi a noleggio o in leasing da un cittadino o un'entità russa non possono atterrare in nessun aeroporto dell'UE e non possono sorvolare i paesi dell'UE. Sono inclusi nel divieto gli aerei privati, ad esempio i jet d'affari privati.

Inoltre, l'UE ha vietato l'esportazione verso la Russia di beni e tecnologie nei settori aeronautico e spaziale.

Sono vietati anche i servizi assicurativi, i servizi di manutenzione e l'assistenza tecnica connessi a tali beni e tecnologie. Gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito hanno imposto restrizioni analoghe.

Di conseguenza le compagnie aeree russe non possono acquistare aeromobili, pezzi di ricambio o equipaggiamenti per la loro flotta e non possono effettuare le necessarie riparazioni o ispezioni tecniche. Poiché l'attuale flotta aerea commerciale russa è stata costruita per tre quarti nell'UE, negli USA o in Canada, con il tempo il divieto comporterà probabilmente il fermo operativo di una parte significativa della flotta russa dell'aviazione civile, anche per i voli nazionali.

Trasporti marittimi

L'UE ha chiuso i suoi porti all'intera flotta mercantile russa di oltre 2 800 navi. Questa misura non riguarda tuttavia le navi che trasportano:

  • energia
  • prodotti farmaceutici, medici, agricoli e alimentari
  • aiuti umanitari
  • combustibile nucleare e altri beni necessari al funzionamento delle capacità nucleari a uso civile
  • carbone (fino al 10 agosto 2022, dopo di che le importazioni di carbone nell'UE saranno vietate)

La misura non riguarda neppure le navi che necessitano di assistenza alla ricerca di riparo o le navi che fanno uno scalo di emergenza in un porto per motivi di sicurezza marittima o per salvare vite in mare.

Il divieto si applicherà invece alle navi che cercano di eludere le sanzioni cambiando la bandiera o l'immatricolazione russa con quella di un altro Stato. Le autorità portuali possono individuare un tentativo di cambiare bandiera o modificare l'immatricolazione controllando il numero IMO di una nave (il numero di identificazione unico assegnato per conto dell'Organizzazione marittima internazionale).

In che modo le sanzioni colpiscono il sistema bancario russo?

Blocco dell'accesso a SWIFT per banche russe e bielorusse

Il blocco impedisce a dieci banche russe e a quattro banche bielorusse di effettuare o ricevere pagamenti internazionali utilizzando SWIFT.

Simbolo di divieto con la bandiera russa davanti a una banca. Il testo "SWIFT" è visibile sulla facciata della banca.
Dieci banche russe e quattro banche bielorusse sono escluse dall'utilizzo di SWIFT

SWIFT è un servizio di messaggistica che facilita sostanzialmente lo scambio di informazioni tra banche e altri istituti finanziari e che collega più di 11 000 entità in tutto il mondo.

Di conseguenza, queste banche non possono né ottenere valuta estera (poiché un trasferimento di valuta estera tra due banche è generalmente trattato come un trasferimento all'estero che coinvolge una banca intermediaria estera) né trasferire attività all'estero, il che si traduce in conseguenze negative per le economie russa e bielorussa.

Dal punto di vista tecnico, le banche potrebbero effettuare operazioni internazionali senza SWIFT, ma si tratta di un processo costoso e complesso che richiede fiducia reciproca tra gli istituti finanziari. Un processo di questo tipo riporta i pagamenti all'epoca in cui venivano utilizzati telefono e fax per confermare ogni operazione.

Sanzioni nei confronti della Banca centrale nazionale russa

L'Unione europea ha vietato tutte le operazioni con la Banca centrale nazionale russa relative alla gestione delle riserve e delle attività della Banca centrale russa. A seguito del congelamento dei beni della Banca centrale, quest'ultima non può più accedere alle attività detenute presso banche centrali e istituzioni private nell'UE.

Nel febbraio 2022 le riserve internazionali della Russia ammontavano a 643 miliardi di USD (579 miliardi di EUR). Disporre di riserve in valuta estera contribuisce, tra le altre cose, a mantenere stabile il tasso di cambio della valuta di un paese.

A causa del divieto di effettuare transazioni dall'UE e da altri paesi, si stima che più della metà delle riserve russe siano congelate. Il divieto è stato imposto anche da altri paesi (come gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito) che detengono altresì una quota delle riserve estere della Russia.

Di conseguenza, la Russia non può utilizzare questa riserva di attività estere per fornire fondi alle sue banche e limitare così gli effetti di altre sanzioni. Anche le riserve auree detenute in Russia sembrano ora più difficili da vendere a causa delle sanzioni internazionali che colpiscono entità russe.

L'UE ha inoltre vietato la vendita, la fornitura, il trasferimento e l'esportazione in Russia di banconote denominate in euro. L'obiettivo è limitare l'accesso al contante in euro da parte del governo russo, della sua Banca centrale e delle persone fisiche o giuridiche in Russia al fine di evitare l'elusione delle sanzioni.

Sanzioni analoghe si applicano alla Bielorussia.

Perché l'UE ha sospeso le trasmissioni di cinque emittenti russe?

Da tempo la Federazione russa attua una sistematica campagna internazionale di disinformazione, manipolazione delle informazioni e distorsione dei fatti, nell'intento di rafforzare la sua strategia di destabilizzazione sia dei paesi limitrofi, che dell'UE e dei suoi Stati membri.

Un giornalista televisivo presenta le notizie. Il logo di Russia Today è proiettato sullo schermo dietro di lui.
La trasmissione nell'UE di cinque organi di informazione statali russi è sospesa - © AFP

Per contrastare tale azione, l'UE ha sospeso le trasmissioni nell'Unione di cinque emittenti statali russe:

  • Sputnik
  • Russia Today
  • Rossiya RTR / RTR Planeta
  • Rossiya 24 / Russia 24
  • TV Centre International

La Russia utilizza tutti questi organi di informazione pubblici per diffondere intenzionalmente propaganda e condurre campagne di disinformazione, anche in merito alla sua aggressione militare nei confronti dell'Ucraina.

Le restrizioni nei confronti di Sputnik e Russia Today (insieme alle loro controllate, quali RT English, RT Germany, RT France e RT Spanish) sono in vigore dal 2 marzo 2022, quelle imposte alle altre tre entità dal 4 giugno 2022.

Tali restrizioni riguardano tutti i mezzi di trasmissione e distribuzione negli Stati membri dell'UE o ad essi rivolti, compresi il cavo, il satellite, la televisione via Internet (IPTV), le piattaforme, i siti web e le app.

In linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno a tali organi di informazione e al loro personale di svolgere nell'UE altre attività oltre alla radiodiffusione, come la ricerca e le interviste.

L'UE coordina le sanzioni con altri partner?

Le sanzioni sono più efficaci se è coinvolta un'ampia gamma di partner internazionali. Nelle ultime settimane l'UE ha lavorato a stretto contatto con partner che condividono gli stessi principi, come gli Stati Uniti, al fine di coordinare le sanzioni.

L'UE collabora con il Gruppo della Banca mondiale, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) e altri partner internazionali per impedire alla Russia di ottenere finanziamenti da tali istituzioni.

Per coordinare questo sforzo internazionale, la nuova task force REPO (Russian Elites, Proxies, and Oligarchs) consente all'UE di cooperare con i paesi del G7 — Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti — nonché con l'Australia, al fine di garantire l'applicazione delle sanzioni.

Sebbene l'UE collabori strettamente con molti partner, ciascuno di questi paesi terzi decide unilateralmente quali sanzioni imporre.

Le sanzioni dell'UE rientrano nel diritto internazionale?

Sì. Tutte le sanzioni dell'UE sono pienamente conformi agli obblighi derivanti dal diritto internazionale e rispettano i diritti umani e le libertà fondamentali.

Una volta raggiunto un accordo politico tra gli Stati membri dell'UE, il servizio europeo per l'azione esterna e/o la Commissione europea preparano i necessari atti giuridici, che sono presentati al Consiglio per adozione.

I regolamenti e le decisioni del Consiglio, in quanto atti giuridici di portata generale, sono vincolanti per qualsiasi persona o entità soggetta alla giurisdizione dell'UE, vale a dire qualsiasi persona o entità all'interno dell'UE, qualsiasi cittadino dell'UE in qualsiasi luogo e tutte le società e organizzazioni costituite a norma del diritto di uno Stato membro dell'UE.

Le posizioni dei partiti sulle sanzioni contro la Russia | Pagella Politica

In questa campagna elettorale c’è chi le difende, chi le mette in discussione e chi chiede di eliminarle

di Davide Leo - 08 SETTEMBRE 2022

Negli ultimi giorni, con il continuo aumento dei prezzi energetici, i leader dei principali partiti politici in Italia sono tornati a parlare delle sanzioni che l’Unione europea ha imposto alla Russia a partire dall’inizio della guerra in Ucraina.

Non tutti i partiti la pensano allo stesso modo sul tema: c’è chi sostiene con forza la necessità di continuare con le sanzioni, chi le mette in dubbio e chi vuole cancellarle. Ecco quali sono le posizioni nel dibattito politico italiano.

I favorevoli alle sanzioni

Il Partito democratico è uno dei partiti più favorevoli alle sanzioni contro la Russia, una posizione ribadita più volte dal suo segretario Enrico Letta. «Le sanzioni a Putin devono essere durissime, e tutti i Paesi europei devono imporle», aveva detto Letta a febbraio, subito dopo l’inizio della guerra. Negli ultimi giorni, il segretario del Pd ha definito «senza senso» il dibattito critico intorno alle sanzioni, «che devono essere decise e portate avanti da tutti gli europei».

Della stessa opinione anche gli altri partiti della coalizione di centrosinistra, come Più Europa, la cui leader Emma Bonino il 6 settembre ha affermato che «le sanzioni per funzionare hanno bisogno di tempo e da sempre hanno anche un impatto molto minore sui sanzionatori, ma è indubbio che la Russia, economicamente parlando, è in ginocchio». Il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni ha in passato sottolineato l’importanza dei pacchetti di sanzioni europei, sostenendo che andrebbero inaspriti e aumentati, sostituendoli del tutto all’invio di armi all’Ucraina.

Fuori dal centrosinistra, il 5 settembre il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha espresso la posizione del suo partito, affermando che «le sanzioni stanno facendo molto male a noi, ma dobbiamo tenerle».

Le sanzioni alla Russia sono uno dei temi sui quali convergono schieramenti politici molto diversi tra loro: anche il leader di Azione Carlo Calenda è infatti un sostenitore di lunga data di questi provvedimenti, a cui vorrebbe aggiungere anche l’embargo del petrolio (un accordo di questo tipo, sebbene parziale, è già stato sottoscritto dall’Ue a maggio).

Nel centrodestra, anche Fratelli d’Italia e Forza Italia si sono detti favorevoli alle sanzioni. Il 4 settembre, ospite al Forum di Cernobbio organizzato dal think tank The European House-Ambrosetti, la leader Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha rassicurato gli osservatori internazionali affermando che se il suo partito dovesse vincere le elezioni «non ci sfileremo dalle sanzioni, è una questione di credibilità internazionale». Dello stesso avviso anche il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani, che il 5 settembre in un’intervista con La Stampa ha dichiarato: «Per noi le sanzioni devono rimanere. Punto». Il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi si è detto invece «molto dispiaciuto e deluso che la Russia, invece di entrare nell’Unione europea e renderla più forte, abbia addirittura rafforzato il totalitarismo cinese». Sulle sanzioni però neanche l’ex presidente del Consiglio ha dubbi: «Sono in perfetta linea con il governo, con l’Unione europea e con l’intero Occidente».

I contrari alle sanzioni

Tra i grandi partiti, l’unico a mettere in discussione la validità e l’efficacia delle sanzioni alla Russia è la Lega. Nel suo intervento al Forum di Cernobbio, il leader Matteo Salvini ha infatti criticato la strategia europea, sostenendo che le sanzioni non stanno funzionando, ma al contrario stanno danneggiando i Paesi che le hanno imposte piuttosto che la Russia. Nei giorni precedenti, Salvini aveva già espresso il suo parere negativo, affermando come «ripensare la strategia è fondamentale per salvare posti di lavoro e imprese in Italia» e proponendo quindi di introdurre uno «scudo europeo» che protegga i cittadini italiani dalle eventuali ricadute economiche delle sanzioni.

In ogni caso, Salvini ha ragione quando afferma che la Lega, nonostante le perplessità sulle sanzioni, ha «sempre» votato «tutti i provvedimenti a favore dell’Ucraina», comprese le sanzioni contro la Russia, sia a livello italiano che europeo. «La collocazione dell’Italia a livello internazionale non cambia a prescindere dal voto» del 25 settembre, ha assicurato Salvini a Cernobbio. «Vogliamo andare avanti con le sanzioni? Andiamo avanti ma non vorrei che invece di fare del male agli altri facessimo del male a noi stessi». I co-portavoce di Europa verde Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, alleati con il centrosinistra, hanno criticato Salvini, puntando il dito sul tempismo, definito in una nota «sospetto», tra l’annuncio della Russia dello stop alle forniture in caso di proseguimento delle sanzioni e le dichiarazioni del leader della Lega a Cernobbio.

Chi è invece nettamente contrario alle sanzioni sono alcuni dei partiti “antisistema” presenti alle elezioni. Come mostra indecis.it, un portale per confrontare i programmi elettorali sviluppato in collaborazione con Pagella Politica, i programmi di Italexit, Italia sovrana e popolare e Alternativa per l’Italia propongono esplicitamente di togliere le sanzioni alla Russia.

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“Reddito di cittadinanza a mille euro, zero Iva sui beni alimentari e revisione delle sanzioni alla Russia”: l’intervista a Luigi De Magistris (Unione popolare)

Giacomo Andreoli 14/09/2022 (estratto dell'articolo)

(...)

Secondo De Magistris chi ha governato finora è stato “inadeguato” nell’affrontare le emergenze economiche del Paese. Quindi lancia la “ricetta alternativa” di Unione popolare, a partire da un nuovo rapporto con Mosca, spingendo al “dialogo” con Vladimir Putin, con l’obiettivo di costruire una “proposta di pace italiana” e “scongiurare un peggioramento” della crisi energetica. Quanto alle coperture l’ex sindaco di Napoli cita: una più efficace lotta all’evasione, la riduzione delle spese militari, la tassazione al 90% delle società energetiche, la rinazionalizzazione di chi produce e vende gas e luce e un tetto massimo a 5mila euro per gli assegni pensionistici.

Qual è il primo intervento, quello che ritiene prioritario, che inserirebbe nella prossima legge di Bilancio?

Prima di tutto bisogna intervenire sul costo della vita in generale, che è il caro-bollette, ma anche l’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse. Il quadro complessivo è preoccupante ed è addebitabile anche all’inadeguatezza di chi ha governato finora. Il primo intervento per scongiurare un peggioramento è mutare del tutto la politica estera del nostro Paese e spingere per aprire un canale di trattativa, compromesso e mediazione rispetto al conflitto in Ucraina. Poi bisogna tassare al 90% gli extraprofitti di chi ha guadagnato sulle speculazioni legate all’energia e non sulla libera concorrenza.

Come aiutare quindi famiglie e imprese ad affrontare i prossimi aumenti in bolletta? E come conciliare la necessità immediata di gas con la transizione ecologica?

Dobbiamo calmierare i costi a famiglie e imprese in modo urgente e per farlo recuperare risorse, vista l’emergenza, anche dalle rendite patrimoniali, immobiliari e finanziarie più elevate. Poi si può recuperare anche molto dalla lotta all’evasione, che oggi nel nostro Paese vale 90 miliardi di euro, che va collegata a un piano straordinario di assunzioni nella Pubblica amministrazione perché l’Agenzia delle Entrate ha un personale ridotto. Dobbiamo quindi ridurre le spese militari e rendere di nuovo pubblici tutti i beni comuni, a partire dall’energia elettrica e il gas, che devono tornare allo Stato. Questo sicuramente porterà benefici sui prezzi anche nel lungo periodo. Lo scostamento di bilancio di cui parla Salvini, invece, è un tema solo elettorale: il governo Draghi non credo lo farà. Chi verrà dopo il 25 settembre deve essere in grado di trovare le risorse a partire dalle aree che ho indicato, poi se non ci c’è altro modo e vanno tutelati i diritti, allora il nuovo debito diventa necessario, seppur sintomo di una sofferenza generale. Quanto alla transizione ecologica al momento siamo ai minimi termini: va usato il Pnrr per una svolta ambientalista seria e non usare l’emergenza di oggi per riproporre le solite ricette velenose per gli ecosistemi naturali che hanno portato al cambiamento climatico. Per fare i rigassificatori non ci vogliono pochi mesi, per il nucleare anche di quarta generazione serve almeno un decennio, mentre si può da subito investire maggiormente sulle rinnovabili. Poi certo, nel breve periodo non possiamo fare a meno del gas russo e per questo serve una nuova stagione di dialogo assieme a una ancor maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Il metano liquido (Gnl), però, oggi lo paghiamo cinque volte in più rispetto a quanto paghiamo quello russo.

A proposito di politica estera: volete smettere di inviare armi in Ucraina e superare la Nato, non aumentando e anzi riducendo le spese militari. Quanto alle sanzioni alla Russia pensate stiano funzionando o danneggiano troppo la nostra economia? Insomma: bisogna continuare a infliggerle o smettere?

Bisogna riprendere la via diplomatica con la Russia, per impedire un peggioramento della situazione bellica e di conflitto economico con l’Occidente. Se dovesse arrivare la totale interruzione del gas russo non so come potremmo reggere dal punto di vista imprenditoriale e familiare: non siamo attrezzati e non abbiamo nemmeno un piano di razionamento paragonabile a quelli europei. L’Ue deve essere più autorevole e forte, amica degli Stati Uniti, ma non subalterna com’è in questo momento. Le sanzioni sulla carta sono uno strumento efficace sulla carta, ma oramai è sotto gli occhi di tutti che non hanno fatto finire la guerra o far cadere il governo di Putin. Le sanzioni stanno fiaccando più i popoli, ma oltre a quello russo anche quelli europei, tra cui noi italiani: stiamo pagando un prezzo molto alto. Per questo siamo per rivedere tutta la strategia, comprese le sanzioni, con una proposta di pace italiana di alto livello.

(...)

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Melenchon a Roma: "Sono qui per sostenere UNIONE POPOLARE"

dal settimanale LEFT - articolo di Stefano Galieni

A Bruxelles ci sono state interlocuzioni con alcuni deputati del M5s, ma non hanno portato a nulla. Anche loro sono nel sistema». Il leader dei progressisti francesi arrivato in Italia per la campagna elettorale ha espresso il suo endorsement per la lista di de Magistris e ha parlato delle prospettive della sinistra italiana ed europea

Mercoledì 7 settembre in una piazza della periferia sud di Roma a poche centinaia di metri dal Comando operativo interforze, la struttura militare più importante delle forze armate del nostro Paese, e poi il giorno successivo in conferenza stampa in un hotel del quartiere Prati, Jean-Luc Mélenchon, leader de La France insoumise e dell’aggregazione Nupes (Nuova unione popolare ecologica e sociale, ndr) che si è avvicinata alle ultime elezioni legislative a trionfare in Francia, è intervenuto in maniera per alcuni sorprendenti nella campagna elettorale italiana.

Della sua visita si parlava da giorni, alcuni media mainstream avevano lasciato intendere che l’arrivo fosse dovuto alla volontà di fare un endorsment al M5s di Conte, ma questo non è accaduto. Mélenchon ci ha tenuto a dire, sia dalla piazza, da cui ha parlato salendo su una sedia, sia poi davanti ai giornalisti e nelle trasmissioni televisive a cui ha partecipato, che la sua venuta era dovuta al fatto che in Italia è presente una lista elettorale il cui programma politico è identico al suo, ossia Unione popolare, guidata da Luigi de Magistris.

Confermando le proprie capacità di conquistare le folle, pur dovendo rivolgersi ai cittadini con l’aiuto di un interprete, quello che viene definito l’astro nascente della sinistra in Europa, nonostante la non giovane età, ha lanciato messaggi inequivocabili partendo da una parola in italiano: “Resistenza”. «Potevo restarmene nel mio letto in Francia mentre i compagni italiani stanno combattendo contro i fascisti?» ha domandato in maniera retorica.

E da lì, in una piazza attenta, a descrivere con cognizione di causa tanto le ragioni della sua amicizia con il portavoce di Unione popolare, la condivisione della battaglia per i beni inalienabili, primo fra tutti l’acqua, la centralità del pubblico e dello Stato, un’idea di Europa in cui non c’è spazio per le discriminazioni, per le “piccole patrie”, per la xenofobia e il razzismo. Un invito a non farsi ingannare né dalle sirene della destra di Meloni, «ve lo so dire perché noi conosciamo bene Marine Le Pen», né tantomeno dalle forze di sistema che non vogliono far altro che conservare i propri privilegi.

Mélenchon ha poi citato il grande patrimonio storico e culturale italiano da cui dichiara di aver appreso tanto: dall’umanesimo, dal movimento operaio e comunista, da Gramsci e da Pasolini. Ha incantato la folla che aveva già dimostrato di apprezzare de Magistris, raccontando di come la sua forza politica, partita dal nulla, sia riuscita, con un lavoro capillare, e certo lungo nel tempo, a conquistare non solo il voto ma anche il desiderio di partecipare alla vita politica dei giovani, delle classi popolari e delle persone più povere, affrontando temi e bisogni reali con parole chiare e senza accettare compromessi.

Il suo appoggio ad Unione popolare è stato da lui presentato come quasi scontato, naturale, considerando questa forza appena nata come fondata sugli stessi principi della Nouvelle union populaire francese. Ma se l’incontro in piazza è stato un momento dedicato a militanti e simpatizzanti – anche se, chi scrive, di persone venute con opinioni diverse per comprendere e ascoltare ne ha incontrate – è stata nell’atmosfera più pacata e puntuale della conferenza stampa di questa mattina che il leader transalpino ha potuto esplicare meglio il proprio pensiero. Reiterando la scelta di sostegno ad Unione popolare operata e grazie anche alle domande che gli sono state rivolte, ha parlato più approfonditamente sia delle aspirazioni della sinistra francese che delle prospettive della sinistra europea.

«Partiamo dai fondamentali – ha detto nel suo intervento introduttivo – la democrazia è dialogo, confronto, scontro a volte, ma spazio in cui si incontrano le opinioni divergenti. Io ricordo l’Italia in cui c’era un grande Partito comunista e una Democrazia cristiana che dibattevano e che rappresentavano due opzioni diverse per il Paese. Oggi, al di là di alcuni accenti, nessuno discute, tutti la pensano alla stessa maniera che è quella del sistema che sta distruggendo il pianeta intero. De Magistris pensa cose diverse, le vuole discutere. Non dico che debbano essere condivise ma per quale motivo nessuno si confronta con lui sui contenuti? Sulle sue proposte? Perché il Pd o il M5S che si dichiarano di sinistra non discutono con Unione popolare? Questa è la fine della democrazia».

E poi parlando del conflitto in Ucraina e condannando senza appello l’invasione russa ha esclamato, uscendo dagli ambiti italiani: «Intanto a me sembra serva maggiore chiarezza. Si abbia il coraggio di dichiarare di volere la pace oppure la guerra totale. Noi siamo sia contro la guerra totale che contro le guerre piccole, per noi la pace si deve ottenere in Ucraina come nei tanti conflitti che l’Occidente ha provocato. Serve coraggio e serve una scelta intelligente. Ma vi pare possibile continuare ad essere governati da incompetenti che prima applicano le sanzioni alla Russia e sei mesi dopo si preoccupano del fatto che queste mettono in ginocchio le economie dei Paesi europei? Non se lo aspettavano? Pensavano che la minaccia delle sanzioni avrebbe interrotto immediatamente l’invasione? Ora siamo nei guai, per colpa di questi incompetenti che non devono essere votati perché non sanno governare».

Una cartina di tornasole che bene illustra il pensiero di Mélenchon, condivisa dal portavoce di Unione popolare, riguarda il tema delle migrazioni: «Affrontare questa questione non è semplice ma servono dei presupposti condivisi. Il primo è che le persone non possono essere semplicemente respinte, il secondo è che il Mediterraneo non è un mare italiano o greco ma riguarda tutto il continente e non può rimanere un’immensa fossa comune nell’indifferenza di tutti i Paesi a partire da quello in cui vivo io fino a quelli nordici o all’Est Europa fascistizzata. Si possono cambiare le cose acquistando consapevolezza».

«Le persone fuggono dal proprio Paese per le guerre che finanziamo – ha aggiunto Mélenchon – a causa dei cambiamenti climatici di cui l’Occidente è principale responsabile e a causa dell’atteggiamento predatorio delle nostre economie nei Paesi nord africani e dell’Africa Sub Sahariana. Ma vi pare possibile che l’Europa decida quanto debbano essere larghe le maglie delle reti per la pesca per i Paesi del Nord Africa, in maniera tale che peschino solo alcuni pesci mentre altri li possono pescare solo le navi dei Paesi ricchi? Inevitabile che anche scelte del genere costringano le persone a migrare. Creiamo le condizioni per cui si possa scegliere di restare nel proprio Paese».

Il leader di Nupes ha poi ricordato come la Francia sia responsabile per la propria storia coloniale di tanti danni nel passato e nel presente. Ha parlato dei diversi Paesi interessati dal colonialismo francese, dal Mali al Chad, al Camerun, al Burkina Faso denunciando le interferenze nella loro vita democratica, le missioni militari a cui si succedevano bruschi ritorni a casa dei soldati senza nessun passaggio parlamentare o dibattito, i colpi di Stato che avvenivano senza che gli stessi servizi francesi impegnati in quei territori sembrassero accorgersene.

«Da francese mi vergogno enormemente della politica dei nostri governi in Africa – ha dichiarato – da francese vorrei che agli abitanti di quei Paesi venisse garantita la libertà di scegliere i propri governi senza interferenze economiche o politiche».

Tanti, insomma, i temi toccati e tante le proposte su cui Mélenchon ha chiesto di discutere partendo dal presupposto che la sinistra in cui lui era nato e cresciuto ha bisogno di rinnovarsi e di comprendere il XXI secolo con tutte le sue contraddizioni. Su una questione ha voluto essere netto: «Non so chi e perché abbia messo in giro la voce che sarei venuto ad appoggiare il signor Conte. Chi lo ha fatto non mi ha interpellato perché sarebbe stato smentito sin dall’inizio. Al Parlamento europeo ci sono state interlocuzioni con alcuni deputati del M5s ma non hanno portato a nulla. Anche loro sono nel sistema, non hanno una bussola e stanno con i potenti con cui hanno governato e con cui continuano a votare leggi anche in campagna elettorale. Non conosco Conte e sono venuto qui perché Luigi de Magistris e le persone che lottano con lui nell’Unione popolare sono credibili e rappresentano la parte migliore del Paese. Siete nati da poco ma avete un grande futuro davanti».

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‘Noi non paghiamo’, perché Unione popolare sostiene la campagna anti bollette milionarie

Da alcuni giorni è partita anche in Italia la campagna di disobbedienza civile “NOI NON PAGHIAMO”, relativa alle bollette del gas e dell’energia elettrica. L’obiettivo della campagna è quello di raccogliere la disponibilità dei cittadini all’autoriduzione delle bollette a partire dal mese di novembre. L’obiettivo è quello di raccogliere un milione di adesioni in modo da determinare una pressione politica sul governo e sulle aziende che forniscono gas ed energia elettrica e – in assenza di risposte concrete all’aumento indiscriminato delle bollette, di arrivare ad una autoriduzione collettiva delle stesse.

L’obiettivo della campagna è quello di raccogliere la disponibilità dei cittadini all’autoriduzione delle bollette a partire dal mese di novembre. L’obiettivo è quello di raccogliere un milione di adesioni in modo da determinare una pressione politica sul governo e sulle aziende che forniscono gas ed energia elettrica e – in assenza di risposte concrete all’aumento indiscriminato delle bollette, di arrivare ad una autoriduzione collettiva delle stesse.

Ho aderito personalmente alla campagna e Unione Popolare, nelle cui liste sono candidato, la sostiene con convinzione. La campagna italiana prende le mosse da una analoga campagna inglese, che ha già raccolto oltre circa 400.000 adesioni e che entrerà nel vivo a partire dal mese di ottobre. L’anno zero del Regno Unito: il Paese tra caro energia, instabilità politica e crisi economica. Senza la ‘certezza’ Elisabetta II

È infatti evidente che ci troviamo di fronte ad un problema drammatico: da un lato milioni di famiglie non riescono a far fronte al costo delle bollette, dall’altra il governo non fornisce alcuna risposta concreta. Addirittura quello stesso governo che ha deciso a chi cedere quello che resta di Alitalia, si trincera dietro ai vincoli della normale amministrazione per sostenere che non può intervenire efficacemente e così, senza alcun pudore, dopo averci spiegato che dovevamo spegnere i condizionatori in estate, adesso ci spiega che dobbiamo spegnere anche i caloriferi. Ci troviamo quindi in una situazione in cui la gravità del problema sociale – ed economico per una fascia non irrilevante di imprese – non è praticamente preso in considerazione dal governo.

L’unica misura su cui si è concentrata l’attenzione del governo e del suo protettore Mattarella, è quella di proporre all’Unione Europea di fissare un tetto al prezzo d’acquisto del petrolio Russo. Il Price Cap è una misura inutile e dannosa: inutile perché inefficace per ridurre sul serio i prezzi; dannosa perché essendo una misura di guerra economica contro la Russia, rischia di avere come effetto una ulteriore ritorsione Russa in termini di embargo della vendita del gas e del petrolio Russo all’Europa. Questo effetto boomerang è talmente evidente che vari paesi dell’Unione europea hanno già manifestato la loro contrarietà e la decisione su questa ulteriore misura di guerra proposta dal governo Draghi è stata rinviata a data da destinarsi.

In questa situazione di assenza di risposte da parte del governo e di indisponibilità – sua come dell’opposizione – a fare una seria manovra di scostamento di bilancio per affrontare il problema, il rischio più grande è che tutto ricada sulle spalle delle famiglie che, nella solitudine e nell’isolamento, sarebbero impossibilitate ad affrontare la situazione. Occorre al contrario trasformare quello che rischia di essere un problema vissuto individualmente in una risposta collettiva che innanzitutto ponga il problema politico e poi dia una risposta concreta: attraverso l’autoriduzione sarà possibile per le famiglie che non hanno materialmente i soldi per pagare le bollette, versare anche solo 5 euro in modo da non essere considerati morosi e aprire un contenzioso collettivo con le società fornitrici. Mai come in questo caso la lotta deve coincidere con il risultato perché le famiglie non possono pagare il salasso che ci hanno preparato.

Come più volte abbiamo chiarito, le bollette milionarie sono infatti il frutto di scelte politiche scellerate fatte in questi anni: dalla liberalizzazione del mercato del gas, alla speculazione in borsa, alle sanzioni contro la Russia che in realtà sono sanzioni contro i popoli europei, fino alla non volontà di far pagare i sovrapprofitti alle grandi imprese. Le bollette milionarie non sono quindi frutto di un destino cinico e baro ma di scelte politiche sbagliate dei governi liberisti di centro destra e centro sinistra e non possono essere scaricate sul popolo italiano.

Per questo vi invitiamo a sostenere la campagna “Noi non paghiamo” che si pone l’obiettivo non solo di contestare la politica governativa ma di organizzare la disobbedienza civile di milioni di uomini e donne. Invito quindi tutte le persone che condividono questa esigenza a sottoscrivere l’appello che si trova sul sito www.nonpaghiamo.it

Raccogliere un milione di adesioni per dar vita ad una pressione che trasformi in pressione politica e in protesta sociale quello che ad oggi è solo un dramma individuale.

Noi di Unione Popolare siamo contro la guerra e contro il carovita che dalla guerra deriva. Per questo siamo contro l’invio di armi, siamo contro le sanzioni e siamo favorevoli alla trattativa! #nonpaghiamo

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https://www.analisidifesa.it/2022/10/lattacco-ai-gasdotti-nord-stream-lobiettivo-e-leuropa/

L’attacco ai gasdotti Nord Stream: il bersaglio è l’Europa

 

L’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina sud orientale alla Federazione Russa con le relative celebrazioni a Mosca e l’improbabile accelerazione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO accentuano l’escalation del conflitto e il rischio che possa allargarsi coinvolgendo un’Europa che appare sempre di più in ginocchio.

A compromettere, forse definitivamente, le sue precarie condizioni contribuisce anche l’atto dinamitardo (gli svedesi stimano che la potenza dell’esplosione fosse di 100 chilogrammi di TNT equivalente) che il 27 settembre ha visto esplodere i “tubi” sottomarini dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2, che trasportano il gas russo in Germania attraversando i fondali del Mar Baltico: il primo è fermo da alcune settimane e il secondo è stato ultimato poco prima dello scoppio della guerra in Ucraina e non è mai entrato in funzione.

Non ci sono dubbi circa il fatto che non si sia trattato di un incidente mentre più arduo è stabilire chi abbia effettuato un attacco multiplo che ha provocato la fuoriuscita di 500 milioni di metri cubi di gas per un valore di 800 milioni di euro e che determinerà con ogni probabilità la compromissione dell’efficienza dei due gasdotti a causa dell’acqua salata che penetrerà in profondità allagando e corrodendo le grandi infrastrutture metalliche.

Gazprom sembra valutare che occorreranno sei mesi per ripararli, altre fonti parlano di anni o ritengono che le infrastrutture siano irrimediabilmente compromesse.

Gas e gasdotto Nord Stream 2 sono di proprietà della stessa Nord Stream 2 AG, società di cui Gazprom è azionista al 100%. Anche il gas nel gasdotto Nord Stream 1 è proprietà di Gazprom: quindi i danni patrimoniali e in materia prima costituiscono interamente perdite finanziarie russe.

 

Sabotaggio  

Un’azione terroristica o per meglio dire un sabotaggio ben orchestrato attuato contro i gasdotti posati a 60/80 metri di profondità sul fondo del Mar Baltico, ben accessibile per posizionare cariche esplosive a palombari o veicoli subacquei senza pilota.

Senza dimenticare che anche i veicoli di rilevazione e manutenzione impiegabili all’interno dei tubi potrebbero in teoria venire utilizzati per azioni di sabotaggio che richiederebbero però il controllo delle stazioni di accesso in Russia o in Germania. L’esame dei tubi nei punti interessati dalle esplosioni potrà confermare se la deflagrazione è avvenuta all’interno o all’esterno dei gasdotti.

Mosca e Washington si sono scambiati accuse reciproche ma va osservato che l’attacco è stato effettuato in un’area che fin dalla Guerra Fredda viene strettamente controllata dalle Marine occidentali, un punto il cui Mar Baltico si restringe lambendo a poca distanza tra loro le coste tedesche, polacche, danesi e svedesi.

Un’area marittima frequentata dalla Flotta russa del Mar Baltico ma dove neppure un canotto russo sfuggirebbe ai controlli subacquei e di superficie, specie in un momento di tensioni come questo e con il gruppo navale d’assalto anfibio statunitense guidato dalla portaelicotteri USS Kearsage assegnato al Mar Baltico e quello britannico con la nave da assalto anfibio HMS Albion.

Ammesso che i russi avessero interesse a sabotare gasdotti inattivi, avrebbero avuto a disposizione ampi tratti da minare indisturbati più a nord, distanti dai capillari controlli che le forze della NATO attuano nell’imbocco del Mar Baltico, senza scordare che Mosca schiera nelle basi dell’énclave di Kaliningrad incursori subacquei con mezzi idonei a sabotaggi sottomarini.

 

Cui prodest?

In assenza di prove o rivendicazioni, per cercare di farsi un’idea di chi potrebbe aver compiuto un simile attacco occorre forse chiedersi chi se ne avvantaggi. I russi? Gli Stati Uniti o i loro alleati di ferro britannici, ucraini o polacchi?

I due gasdotti erano stati realizzati con un costo complessivo di circa 20 miliardi di euro per assicurare alla Germania e all’Europa il gas russo senza utilizzare i gasdotti che attraversano Ucraina e Polonia, soggetti al rischio di tensioni o ricatti e al pagamento di diritti di transito a Varsavia e Kiev che non a caso, non hanno mai nascosto la totale ostilità al progetto Nord Stream 2.

Un gasdotto duramente osteggiato anche dagli Stati Uniti che fin dai fatti del Maidan a Kiev del 2014 cercano di interrompere la saldatura tra la potenza energetica russa e la potenza economica europea. Impossibile non ricordare che Washington è stata ferocemente ostile al progetto Nord Stream 2 fino a minacciare più volte Berlino e a nominare un “inviato speciale” che si occupasse di premere sulla Germania.

Nelle settimane precedenti l’inizio del conflitto in Ucraina sia il presidente Joe Biden sia il sottosegretario agli esteri Victoria Nuland (quella che nel 2014, durante i fatti del Maidan disse in una conversazione telefonica che l’Europa doveva “fottersi”) hanno detto chiaramente che in caso di attacco russo all’Ucraina il Nord Stream sarebbe stato fermato.

“Se la Russia invaderà l’Ucraina non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi porremo fine – aveva detto il presidente – Vi assicuro, saremo in grado di farlo”.

Una decina di giorni prima il sottosegretario Nuland aveva detto che se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro Nord Stream 2 non andrà avanti”.

Se fosse un’inchiesta di polizia, nessun investigatore ignorerebbe movente e indizi simili e non sembra casuale neppure che le esplosioni nei due gasdotti sottomarini russi si siano registrate il giorno stesso in cui veniva inaugurato il gasdotto che porta il gas norvegese in Danimarca e Polonia.

Il “Baltic Pipe” è quantitativamente insufficiente a sopperire alla riduzione del gas russo ma ha un valore geopolitico e strategico rilevante, ingigantito dalle deflagrazioni che hanno compromesso i due Nord Stream.

Da oggi la Polonia, alleato di ferro degli USA, “protettore” dell’Ucraina e nemico giurato della Russia, si candida ad assumere il ruolo di vero hub europeo del gas (non più russo) togliendo questo ruolo alla Germania mentre l’Europa viene approvvigionata oggi di gas russo solo dai gasdotti che attraversano l’Ucraina.

Infrastrutture finora accuratamente risparmiate dai belligeranti ma che restano vulnerabili al rischio bellico e di rappresaglie oltre che ai ricatti di Kiev all’Europa. L’Ucraina che preme su Berlino per avere maggiori aiuti militari, disporrà oggi di un maggiore potere contrattuale e ricattatorio potendo bloccare a suo piacimento i flussi di gas russo verso la Ue.

In Europa molti sembrano non volersi sbilanciare in valutazioni circa le responsabilità dell’attacco mentre sul piano politico tutti sembrano accusare i russi che così avrebbero ottenuto un nuovo repentino rialzo dei prezzi del gas a danno dell’Europa e a vantaggio delle loro casse.

Una valutazione non del tutto convincente: i due gasdotti erano di fatto inutilizzati l’aumento del prezzo del gas Mosca lo avrebbe ottenuto anche riducendo ulteriormente le forniture alla Ue via gasdotti ucraini.

Quanto alle penali contrattuali attribuibili a Gazprom c’è chi sostiene che la distruzione del gasdotto Nord Stream costituirebbe sena dubbio una “causa di forza maggiore” per giustificare lo stop alle forniture. In realtà però i due gasdotti erano inattivi e la scelta di non aprire il NS 2 è stata presa da Berlino su pressioni di Washington, non certo da Mosca.

D’altra parte, con gli attacchi ai Nord Stream i russi ottengono solo un grave danno economico e la certezza di non poter riprendere su vasta scala le forniture all’Europa neppure in un futuro in cui la guerra fosse terminata e gli indirizzi politici russi ed europei fossero mutati in senso più conciliante.

Anche l’ipotesi che i russi abbiano fatto esplodere i gasdotti per incolparne polacchi o americani creando fratture tra gli alleati occidentali non può essere esclusa anche se porterebbe dubbi vantaggi mediatrici a Mosca a fronte di sicuri e prolungati danni economici e finanziari.

 

Valutazioni

Benché politica e media occidentali da sette mesi cerchino di convincerci che i russi “si bombardano da soli”, colpendo prima un loro campo di prigionia, poi una centrale nucleare sotto il loro controllo e ora i costosissimi gasdotti Nord Stream, è difficile comprendere che interesse avrebbero avuto a compiere questo raid subacqueo.

Certo mettere fuori uso i Nord Stream in modo così eclatante può contribuire a seminare il terrore per la crisi energetica in Europa e soprattutto a Berlino, dove sarebbe interessante conoscere le valutazioni dei servizi d’intelligence e della Marina circa quanto avvenuto sotto la superficie del Mar Baltico.

Tra le conseguenze di questo attacco ai gasdotti vi sarà con ogni probabilità un ulteriore indebolimento e frammentazione interna dell’Unione Europea, dove ogni solidarietà (se mai c’è stata) verrà meno e ogni nazione cercherà di sopravvivere all’inverno come meglio potrà, anche tagliando forniture di energia contrattualizzate ai vicini (come sta accadendo all’Italia).

Un’Europa impoverita e frantumata, totalmente prona agli Stati Uniti e alla mercé di Varsavia e Kiev che potranno ricattarci bloccando il residuo gas russo che transita nei gasdotti ucraini, non è negli interessi nostri e neppure di Mosca.

Uno scenario non improbabile poiché la distruzione dei gasdotti del Baltico, nelle attuali condizioni, condanna oggi la Germania e l’Europa alla recessione e al baratro (industriale, economico e sociale) togliendo di mezzo ogni ipotesi di tornare in tempi ragionevoli a rifornirci di gas russo a buon mercato.

Anche se nessuno, neppure la Germania che per le sue scelte economiche ha dovuto fare i conti con l’ostilità di tre amministrazioni statunitensi (Obama, Trump e Biden), sembra avere il coraggio di esternare dubbi o chiedere chiarimenti agli americani per le esplosioni nei gasdotti, è inevitabile che Washington con i suoi alleati britannici, ucraini e polacchi sia in cima alla lista dei sospettati.

Non solo perché le sue massime autorità avevano minacciato di neutralizzare quei gasdotti o perché navi ed elicotteri statunitensi incrociavano nei giorni scorsi proprio in quell’area del Mar Baltico, ma soprattutto perché impedire la saldatura tra la potenza industriale tedesca/europea e la potenza energetica russa è un obiettivo strategico delineato e perseguito da Washington da almeno dieci anni.

Il fatto che l’Europa sia con tutta evidenza il “bersaglio grosso” di questa guerra ma al tempo stesso nessuno osi inserire gli USA e alcuni alleati nella lista dei sospettati, la dice lunga circa la sovranità e l’autorevolezza che è in grado di esprimere anche di fronte a un disastro di questa portata.

Lo stesso immobilismo che l’Europa mostrò nel 2014 di fronte alle evidenti ingerenze statunitensi e di altri alleati nei fatti del Maidan da cui presero il via le vicende che hanno portato all’attuale conflitto.

All’epoca come abbiamo ricordato, la signora Nuland esortò a mandare l’Europa a “farsi fottere” e ora che siamo a un passo dall’essere davvero “fottuti” continuiamo a mostrarci proni e servili nei confronti di una potenza di cui dovremmo essere in teoria alleati.

Circa i gasdotti esplosi sarebbe forse il caso di chiedere qualche chiarimento anche a Varsavia dopo che Radek Sikorski, eurodeputato presidente della delegazione parlamentare Europa-USA ed ex ministro degli Esteri, ha scritto su Twitter “Grazie Stati Uniti” sull’immagine della fuga di gas sulla superficie del Mar Baltico.

“Ora 20 miliardi di dollari di ferraglia giacciono in fondo al mare, un altro costo per la Russia della sua decisione criminale di invadere l’Ucraina. Qualcuno ha fatto un’operazione di manutenzione speciale”.

Anche se poi ha cancellato il tweet, neppure il filo-americano Sikorski sembra quindi essere convinto che i russi abbiano fatto esplodere 21 miliardi di gas e gasdotti di loro proprietà.