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CALP CALLING

Potrebbe essere un'immagine raffigurante in piedi, attività all'aperto e il seguente testo "LAVORATORI"

IL COLLETTIVO AUTONOMO DEI LAVORATORI PORTUALI  DI GENOVA CHIAMA IL 25 FEBBRAIO 2023 A UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO LA GUERRA

L'ORGANIZZAZIONE PERSEGUE UN RUOLO POLITICO ANTIMILITARISTA COMPLESSIVO A PARTIRE DAL BOICOTTAGGIO CONCRETO DEI TRAFFICI DI ARMI, DEL LORO BUSINESS E DELLE ATTIVITA' BELLICHE IN GENERALE 

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Cosa è il Collettivo autonomo portuali di Genova

Il CALP è un collettivo di una ventina di "compagni" con esperienza sindacale alle spalle, di provenienza "comunista", o dell'autonomia operaia, o anarchici. Il punto in comune di tutti i lavoratori del porto di Genova è il sentimento antifascista e tramite quello, declinando “il tema” secondo le varie visioni e portando avanti la linea e la questione di principio per cui si è antifascisti tutto l’anno e non solo il 25 Aprile o il 1° Maggio, il collettivo è riuscito  a portare su larga scala la questione dell’antimilitarismo coinvolgendo i lavoratori.  L'antimilitarismo, si badi bene, non è nonviolento: non si è affatto contrari alle armi, e al commercio delle armi, in tutte le situazioni. Al contrario, il CALP è favorevole al fatto che comprino armi Paesi come il Venezuela, Nord-Corea, Iraq, Cuba, ecc. "perché lo fanno per difendersi dalle aggressioni dei paesi imperialisti, non per attaccare". Un altro discorso, secondo il collettivo, è quando lo  Stato italiano usa il business delle armi e le vende per fare una guerra come quella in Yemen che è uno tra le più sanguinose degli ultimi anni, in cui il tasso di civili uccisi è altissimo.

(Dal punto di vista dell'antimilitarismo nonviolento possiamo comunque considerare questa organizzazione, pur con tutte le sue contraddizioni ideologiche, un esempio di cosa significa aggregarsi da una realtà sociale di base, mobilitandosi - ormai sono quasi due anni! -  contro le navi da guerra che attraccano a Genova, attuando una sorta di controllo popolare di quello che passa dal porto).

In che modo le mobilitazioni che il collettivo sta portando avanti si inseriscono nell’opposizione al governo  Meloni?

Gli obiettivi riguardano i diritti sindacali, tipo abolire il Jobs Act, o ripristinare l'articolo 18; ma anche i decreti repressivi sia per quanto riguarda i conflitti sociali sia sull'immigrazione. La denuncia è la continuità con il precedente governo Draghi anche nella subalternità atlantista, "fallimentare per lo stesso futuro della UE".

Il coinvolgimento del nuovo governo nelle politiche belliciste porta alla devastazione sociale, ed anche le piccole partite IVA sarebbero da difendere.

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Guerra alla guerra! Pace tra i popoli!

L'assemblea del 28 gennaio, con la presenza di diverse realtà territoriali, ha lanciato un appello ad una manifestazione nazionale contro la guerra il 25 febbraio, praticamente l'anniversario dello scoppio del conflitto in Ucraina, all'insegna dello slogan: "GUERRA ALLA GUERRA! PACE TRA I POPOLI!

La radice della guerra starebbe nella crisi del capitalismo guidato dagli USA, impegnati nello scontro per l'egemonia mondiale scopo sfruttamento dell'intero Pianeta. Il complesso militare industriale sarebbe tra i molti responsabili dell'escalation bellica in corso.

Qui di seguito l'appello che ha promosso l'assemblea.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante testo

Qui il resoconto dell'assemblea redatto da Gregorio Piccin (rifondazione comunista)

L’assemblea di ieri convocata dal Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) per organizzare a Genova una mobilitazione nazionale il prossimo 25 febbraio contro la guerra e il traffico di armi ha visto una partecipazione straripante e forse inaspettata. La sala messa a disposizione dal Calp presso il Circolo dell’autorità portuale di Genova non ha potuto contenere le oltre cento persone che hanno partecipato all’assemblea.

Presenti in video conferenza anche gruppi e collettivi da Torino, Padova, e Cagliari. Centri sociali della città come il Zapata (che sta battagliando contro lo sgombero) e l’Askatasuna di Torino si sono alternati negli interventi con esponenti di Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Rete dei comunisti, Unione popolare e di sigle del sindacalismo di base come Usb, molto attive nel contrasto diretto alla “logistica di guerra”.

Tutti hanno confermato l’adesione all’iniziativa del Calp per costruire insieme una grande manifestazione nazionale il prossimo 25 febbraio.

Tra le proposte avanzate l’apertura alle realtà cattoliche di base e il dialogo con chiunque sia contrario all’economia di guerra in cui il governo Meloni, in continuità con Draghi, ha precipitato il Paese aggravando la crisi sociale in atto.

“Siamo maggioranza” è stato detto riferendosi ai recenti sondaggi che vedono il 70% degli italiani contro l’invio di armi all’Ucraina, Leopard compresi.

“Sempre al fianco del Calp” hanno dichiarato gli studenti medi dell’Opposizione studentesca d’alternativa in un applauditissimo intervento in cui hanno ricordato come la militarizzazione nelle scuole passi anche attraverso l’alternanza scuola lavoro presso la sede genovese di Leonardo.

Il coordinamento nazionale porti di Usb (presente oltre che a Genova anche a Livorno e Civitavecchia) ha annunciato uno sciopero generale a copertura della manifestazione.

Condivisa da molti interventi la critica a un pacifismo troppo generico, che non ha il coraggio di affrontare le trasversali responsabilità di guerra del nostro Paese, prima fra tutti l’invio di armi con l’unico effetto di prolungare l’inutile strage.

“Guardarsi allo specchio” e combattere la co-belligeranza dell’Italia è stato infatti il senso comune emerso dalla gran parte degli interventi, anche perché questa belligeranza sta affossando l’economia e viene fatta pagare principalmente a lavoratori e lavoratrici. Intanto il governo non fa nulla per mettere la museruola alle speculazioni sulle bollette che stanno producendo extra-profitti stellari per le multinazionali di bandiera.

Stoccate nel merito anche alla Fiom-Cgil che sulla questione centrale del comparto militare industriale marca uno schiacciamento tendenzialmente corporativo (come del resto le altre sigle confederali) sulle politiche industriali del management, che da Moretti a Profumo hanno trasformato Finmeccanica in una holding dell’hi-tech militare. Nessuna prospettiva alternativa alla trasformazione dell’industria militare in un finanziatissimo pilastro della politica estera italiana. Una contraddizione gigantesca che pesa come un macigno perché il ricatto guerra-lavoro e ambiente-lavoro deve essere spezzato. L’ultimo “brindisi” dei confederali per una grossa commessa militare è peraltro arrivato proprio qualche giorno fa a Palermo, dove è stata consegnata una nave da guerra nuova di zecca realizzata da Fincantieri e consegnata alla marina del Qatar.

Senza il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori dei settori dell’industria e della logistica, cruciali per la belligeranza voluta da un trasversale ceto politico guerrafondaio, il movimento pacifista non sarà mai in grado di imporre un’inversione di rotta.

In questo senso, hanno detto i camalli genovesi, il 25 febbraio sarà allo stesso tempo “proseguimento e tappa di un percorso che viene da lontano”.

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Il network internazionale cui fa capo il CALP

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 12 persone e il seguente testo "Stop the War coalition Trade Union Conference 2023 THE WORLD OPEN TRADE To ALL AT WAR MEMBERS! UNION -A TRADE UNION ISSUE Mick Whelan GeneraSecretary ndsey German SCoe Kevir Capacity Shelly Asquih President Riccardo Torre President Salma aqoob Jose Daniel Zahedi SAT SAT21SJAN JAN 2023 HAMILTON HOUSE. LONDON"

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Il retroterra "tecnico": THE WEAPON WATCH (Osservatorio europeo sulle armi nei porti europei e mediterranei)

Animatore in Italia è Carlo Tombola.

email: info@weaponwatch.net. resp.: Carlo Tombola (tel. ++39 349 6751366)

IL PROGETTO WEAPON WATCH

La costituzione a Genova di The Weapon Watch – Osservatorio sulle armi nei porti europei e del Mediterraneo risponde a una necessità ed è una conseguenza.

È una conseguenza del caso della nave saudita «Bahri Yanbu», che ha fatto il giro del mondo. Ed è una necessità, perché il sistema dei media ha poche occasioni di venire a conoscenza della realtà dell’economia di guerra, realtà pervasiva e quotidiana ma ampiamente rimossa.

Cosa abbiamo imparato. Del blocco della «Bahri Yanbu» si sono occupate anche testate importanti come Le Monde Diplomatique e Jacobin. Qui basta ricordare che all’origine vi è stata la pubblicazione di un rapporto segreto dei servizi d’informazione militari francesi da parte del sito di giornalismo investigativo Disclose. Più rilevante ancora è stata la mobilitazione transfrontaliera che ha coinvolto diversi soggetti indipendenti in Belgio, Francia, Spagna, Italia, che hanno seguito i movimenti della “nave delle armi”, fino al blocco sulle banchine del porto di Genova.

Sullo sfondo la guerra dimenticata del Yemen, asimmetrica e soprattutto criminale, condotta dall’Arabia Saudita e sostenuta dai suoi alleati nel Golfo e in Occidente in violazione delle Convenzioni di Ginevra, della Carta dell’ONU, del Trattato sulle armi convenzionali, firmati dagli stessi paesi che non hanno cessato di fornire armi e bombe usate contro i civili yemeniti.

Cosa abbiamo attorno. Mentre i governi dell’Unione Europea si palleggiano il problema dei migranti – vero fattore di dis-integrazione europea –, le guerre senza fine innescate dagli Stati Uniti stanno producendo effetti socio-economici permanenti. I bilanci degli Stati spostano risorse verso le spese militari, le opinioni pubbliche sono assuefatte alle immagini e alla cultura della guerra, le liste della destra radicale e identitaria progrediscono quasi ovunque nel mondo occidentale.

A 70 anni dalla fondazione della NATO, pensiamo sia ormai chiaro che lo scopo difensivo originario – se mai ci fu – è stato palesemente contraddetto da numerose guerre, condotte con armi, soldati e intelligence “atlantici” per scopi di dominio violento, dalla Iugoslavia al Kurdistan recentemente invaso dall’esercito turco.

Su cosa dobbiamo puntare l’attenzione. Senza altre armi che non siano la conoscenza, l’informazione, l’internazionalismo, la solidarietà; senza altri strumenti che non siano quelli digitali; il nostro programma è costruire reti che oltrepassino muri e frontiere e svelino ciò che è già evidente: tutto il sistema produttivo globale opera come un gigantesco macchinario militare e militarizza i rapporti di produzione al ritmo forsennato di “The World on Time” (il vecchio slogan di FedEx), mentre d’altra parte gli eserciti vengono ormai gestiti come aziende, come industrie che producono guerra.

I porti sono al cuore del sistema militare-industriale mondiale, le supply chain lo innervano, la logistica lo organizza. Se è vero che tutte le merci collaborano allo sforzo della “terza guerra a pezzi” – dal petrolio al coltan, dalle automobili all’elettronica, dalle scorie radioattive ai generatori  –, le armi però rappresentano immediatamente il campionario di morte offerto sul mercato globale.

Dobbiamo e vogliamo osservare le armi che transitano nei porti, sia perché lì diventano meno nascoste, sia perché i lavoratori dei porti e i marittimi sulle navi non amano maneggiare queste merci mortifere, che passano sempre indisturbate anche laddove ai migranti – prime vittime delle armi esportate dai nostri ai loro paesi – viene impedito di sbarcare.

L’unica speranza che viene offerta alle masse dei poveri è la cooptazione nel mondo dei ricchi, ovviamente alle condizioni di questi ultimi, e per pochi fortunati. Per gli altri, la risposta è il “sistema Gaza” (controllo e repressione dei ghetti), che le aziende israeliane stanno felicemente esportando come combat-tested.

Vogliamo e dobbiamo conoscere meglio i prodotti e le tecnologie che le nostre imprese dicono di fabbricare per l’esportazione, ma che in realtà sono già rivolte contro di noi (ricordate L’Abicì della guerra di Bertolt Brecht?). Rendere pubblico il discorso sul lavoro che produce armi è già riconvertirlo, è già metterlo in discussione, non darlo più per scontato né accettarlo a tempo indeterminato.


STATUTO DELL’ASSOCIAZIONE THE WEAPON WATCH

https://www.weaponwatch.net/wpww/wp-content/uploads/2020/01/00_Statuto.pdf

 

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