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retroviadiguerra2024

DIGIUNO DI COERENZA PACIFISTA. SIAMO ALLA ENNESIMA TAPPA CHE CI CONFERMA DI ESSERE, PURTROPPO, GLI UNICI, NELLA SOCIETA' CIVILE, CHE SI OPPONGONO IN PIAZZA CONTRO L'INVIO DELLE ARMI AL GOVERNO UCRAINO.    

L'8 febbraio 2024 alla Camera viene approvato il "decreto ombrello" (n. 200/2023) che proroga per tutto il 2024 i rifornimenti di armi all'Ucraina in deroga alla legge 185/2000 che, in ossequio al dettato costituzionale, vieta di cedere armi agli Stati in guerra.

Il 7 febbraio nostro appuntamento in piazzale Flaminio dopo quello del 23 gennaio al Pantheon, quando il decreto armi è stato votato in aula al Senato. 

Stiamo organizzando il ricorso al TAR del Lazio per sollevare la eccezione di incostituzionalità contro i dpcm permessi dal citato decreto, che violano l'art. 11 del "ripudio della guerra", ma anche l'art.21 sul diritto alla informazione (perché i materiali militari trasferiti vengono portati a conoscenza solo del COPASIR).

La conferenza stampa per lanciare il crowdfunding che dovrebbe far fronte alle spese legali del ricorso al TAR, prendendo di mira il dpcm per il nono pacchetto di aiuti militari, è prevista per il 22 febbraio, nella sede di Servizio Pubblico, via Orsini 27 - Roma, orientativamente alle ore 15:00 

Seguono sotto riportati:

1) comunicato stampa dopo il voto parlamentare dell'8 febbraio

2) lettera al presidente della Camera

3) articolo de Il Manifesto di Andrea Fabozzi: "Guerra e diritti, cambiare programma"; più resoconto "Aiuti a Kiev, via libera al decreto" 

4) resoconti stenografici ufficiali della discussione (7 febbraio) e del voto (8 febbraio) in aula alla Camera

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1) Comunicato stampa dopo il voto parlamentare dell'8 febbraio

ROMA - PIAZZALE FLAMINIO  dalle ore 15:00 del 7 febbraio 2024 - contro la conversione del decreto "ombrello" 200/2023: armi al governo Ucraino per tutto il 2024

Abbiamo chiesto, per un presidio di protesta, come Disarmisti esigenti & partners, per mercoledì 7 febbraio 2024 alle ore 15:00 a Piazzale Flaminio.
Per l’iniziativa abbiamo concordato la collaborazione con il Partito della Rifondazione Comunista.
Il motivo della manifestazione è, "per il mezzo della nostra attività di informazione e di dialogo, segnalare all’opinione pubblica la distanza tra il Palazzo e il sentimento maggioritario di contrarietà del popolo italiano al riarmo del nostro Paese e al coinvolgimento nella guerra in Ucraina".
Si tratta, in sostanza, di non voltare la testa e di protestare mentre si perfeziona, da parte del Parlamento, un crimine contro la Costituzione italiana: la definitiva conversione in legge, alla Camera dei deputati, dopo il voto del Senato del 24 gennaio 2024, del “decreto ombrello” che consente di inviare aiuti militari al governo Ucraino in guerra (anche per conto NATO) contro la Russia scavalcando le assemblee parlamentari con due modalità:
1) i pacchetti di armi spedite attraverso semplici atti amministrativi;
2) la segretezza dei materiali spediti, portati a conoscenza solo del COPASIR.

Abbiamo redatto una lettera indirizzata alle elette e agli eletti che verrà loro recapitata prima del voto. È stato deciso di inserire nella lettera anche il punto della opposizione alla missione navale europea nel Mar Rosso. Il testo della lettera è sotto riportato.
Diamo appuntamento alla prossima scadenza del 22 febbraio 2024: lancio nel 2° anniversario dell'invasione russa (22 febbraio) del crowdfunding per il ricorso al TAR del Lazio, con eccezione di incostituzionalità, sul dpcm per il nono pacchetto di armi a Kiev.
La Lega Obiettori di coscienza si è già messa a disposizione per fare causa.
Disarmisti Esigenti  - www.disarmistiesigenti.org - cell. 340/0736871

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2) Lettera ai deputati di Disarmisti esigenti & partners

Roma 7 febbraio 2024 - Signor Presidente della Camera, Lorenzo Fontana

Elette ed eletti alla camera dei deputati

stiamo manifestando stamattina, 7 febbraio, per segnalare all'opinione pubblica la distanza tra il Palazzo e il sentimento maggioritario di contrarietà del popolo italiano al riarmo del nostro Paese e al coinvolgimento nella guerra in Ucraina".

Protestiamo mentre si perfeziona nell’Istituzione da Lei presieduta una scelta che riteniamo un crimine contro la Costituzione italiana: la definitiva conversione in legge, alla vostra Camera dei deputati, dopo il voto del Senato del 24 gennaio 2024, del "decreto ombrello" (n. 200/2023) che consente di inviare aiuti militari al governo ucraino.

Un governo, secondo l’ONU, aggredito, ma immerso completamente in una “resistenza” esercitata nella modalità della guerra ad alta intensità contro la Russia, e difatti il decreto è incentrato sulla deroga alla legge 185/1990 che vieta di fornire armi, appunto, ai Paesi in guerra.

Il Parlamento, con questo decreto, viene scavalcato attraverso due modalità: 1) i pacchetti di armi spedite attraverso semplici atti amministrativi, i dpcm; 2) la segretezza dei materiali spediti, portati a conoscenza solo del COPASIR.
Ci permettiamo di insistere sull'importanza e la gravità del momento: siamo al secondo anniversario della guerra in oggetto, con centinaia di migliaia di morti militari, milioni i profughi in fuga ed un terzo del paese devastato, sul tipo delle scene che vediamo in TV sulla striscia di Gaza. Proseguire significherebbe solo perseguire una “vittoria” che farebbe il deserto del “vincitore”, distruggendo il bene che pretenderebbe di difendere. Senza contare le disastrose conseguenze economiche globali ed i pericoli di guerra nucleare, ma anche solo di incidente nucleare, collegati allo scontro in atto!
Consistenti parti della maggioranza politica cui Lei appartiene ritengono ormai il conflitto armato in corso “una inutile strage”. Quando ciò accade - cioé mentre le nostre istituzioni che, secondo l’art. 11 della Costituzione, dovrebbero ripudiare la guerra, decidono in modo formale di continuare ad alimentare il fuoco di un conflitto armato nella forma bellica più evidente, vi è con evidenza una assoluta necessità, un dovere della protesta.
Contestiamo un decreto che, oltre al principio pacifista, potrebbe essere fonte di distorsione anche del diritto all’informazione, sancito dall’articolo 21, vale a dire un servizio pubblico che i giornalisti, sarebbero costituzionalmente obbligati a provvedere alla cittadinanza italiana.
Il motivo? A differenza di altri Paesi occidentali, USA in testa, in Italia, queste disposizioni del decreto che secretano le informazioni (il governo appunto riferisce solo al COPASIR), non mettono in condizioni la stampa di dare notizie precise e ufficiali, su che tipo di armi forniamo all’Ucraina e su quanto ci vengono a costare per decisione pubblica del governo in carica.
Appare subito non cosa da poco, se si comprende che bisogna stare attenti a cosa si dà, come aiuti militari, anche per evitare il rischio di escalation che è legato, ad esempio, al tipo di armi che si cedono. Ci si è sempre preoccupati, da parte degli USA, quando forniscono supporto militare all’Ucraina, di non superare certi limiti riguardo al potenziale per un’escalation del conflitto con la Russia. Le armi fornite devono rispettare una gittata che consenta solo la difesa, non gli attacchi in territorio russo. Questa è una situazione in continua evoluzione e le dinamiche possono cambiare rapidamente. La stampa USA è molto vigile e concentrata in proposito.
In modo analogo a quello che sta succedendo con il cosiddetto “decreto bavaglio”, dovremmo – tutti quelli interessati ad una informazione corretta e democraticamente utile, in primo luogo, appunto, i professionisti del settore –protestare, e chiedere al Presidente della Repubblica di non firmare il decreto convertito dal voto parlamentare. Perché non dovremmo godere della stessa trasparenza di cui usufruiscono i cittadini americani, che sono informati sino al dettaglio minuzioso dei materiali militari che il loro governo fornisce a quello ucraino?
Articolo 11 e Articolo 21 violati, dunque. Vi è un obbligo di obiezione di coscienza, tanto più che si sta calpestando la volontà maggioritaria del popolo italiano., attestata da tutti i sondaggi.
Bisognerebbe che ogni soggetto declinasse a suo modo la posizione comune: non in mio nome, non in nome del popolo italiano, non in nome della Costituzione!
E si può capire l’amarezza sottostante il gesto che accompagniamo alla presente missiva. Non siamo mossi dalla volontà di vilipendere le istituzioni quando accludiamo in busta 30 euro: con questa iniziativa provocatoria intendiamo sottolineare il nostro sconcerto di cittadine e cittadine che intendono conservare un profondo rispetto per esse.
Ci sembra che manchi agli atti il prezzo che simbolicamente dovreste riscuotere, a suggello dell'offesa commessa, per il tradimento della costituzione nell'articolo 11. Al tempo stesso ringraziamo tutti quei deputati che non si sono prestati alla violazione del diritto anche in ossequio alla volontà attualmente maggioritaria dell'opinione pubblica che incarna il popolo italiano.
Noi vi proponiamo di bocciare in aula con il voto il decreto 200/2023 che reitera la possibilità introdotta dal governo Draghi di inviare armi all’Ucraina.
Attraverso questa decisione può avere slancio e possibilità la soluzione politica e non militare della guerra: si potrebbero avviare processi e percorsi di costruzione di condizioni di sicurezza e democrazia per l’Europa intera.
E segnaliamo anche ai deputati che, in caso il decreto passasse, ci sarebbero possibilità di sollevare la eccezione di incostituzionalità per violazione dei poteri del Parlamento, sia direttamente contro la norma, sia appoggiando un ricorso al TAR del Lazio che la Lega obiettori di coscienza, soggetto associativo statutariamente interessato alla pace, sta predisponendo contro il prossimo dpcm da esso abilitato.
Le istituzioni italiane ed europee possono scegliere la via del disarmo e della pace ed è questo che, con preoccupazione e determinazione, vi chiediamo di fare: oggi, innanzitutto; e con eventuali scelte concrete che possano ribaltare gli errori di oggi.
Un coinvolgimento bellico rischiosissimo, che si aggiunge al confronto diretto che la NATO dice di voler preparare con la Russia (e per il quale esige che spendiamo almeno il 2% del PIL in spese militari) è quello della missione Aspides nel Mar Rosso, di cui l'Italia, per fresca richiesta UE, dovrà fornire l'Ammiraglio che la guiderà.
Il piano, ufficialmente predisposto per garantire la sicurezza delle rotte commerciali transitanti da Suez (40% del nostro export), sarà approvato il 19 febbraio dai Ministri degli Esteri della UE.
La Marina Militare sta imprudentemente addentrandosi in un contesto in cui gli Houthi sciiti, aizzati dal regime iraniano, lanciano missili contro le navi di Israele (e dei suoi alleati) mentre Stati Uniti ed UK rispondono con attacchi aerei in Yemen (e in Siria ed Iraq!).
Anche su questo nuovo fronte aperto dalla corsa verso derive belliche sempre più critiche abbiamo comunque da organizzare risposte determinate e tempestive, da pacifisti coerenti che si oppongono a percorsi militari per la soluzione dei conflitti. Ci sembra il minimo che il Parlamento voti la non adesione ad Aspides prima del 19 febbraio, prendendo atto che il supporto alla missione Prosperity Guardian rende del tutto impossibile la pretesa di una natura difensiva dell’operazione.

Alfonso Navarra, Ennio Cabiddu, Cosimo Forleo – Antonella Nappi
Disarmisti esigenti (www.disarmistiesigenti.org) – cell. 340/0736871
Altri firmatari
Maurizio Acerbo – Giovanni Russo Spena – Partito della Rifondazione Comunista
Patrizia Sterpetti – WILPF Italia

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3) Editoriale su "Il Manifesto" del 9 febbraio 2024. Andrea Fabozzi  in prima pagina. "Guerra e diritti: cambiare programma"

Facciamo l’ipotesi che il Pd, alla testa di un’opposizione unita (qui già l’ipotesi traballa) segni un punto in quella che evidentemente considera la partita politica più importante del momento, la conquista di uno spazio maggiore nella televisione pubblica. Bene, da queste casematte guadagnate – o più realisticamente difese – quali contenuti intende diffondere il Pd, tanto diversi da quelli che quotidianamente ci propone tele-Meloni?

Prendiamo tre questioni che a noi sembrano le più urgenti, tutte e tre hanno a che fare con le guerre.

Ieri la camera dei deputati ha approvato la proroga per tutto il 2024 delle procedure eccezionali necessarie per continuare ad armare l’Ucraina.

Per un altro anno si mettono tra parentesi le leggi ordinarie che vietano di cedere armi agli stati in guerra e obbligano in ogni caso a informare sempre dettagliatamente e pubblicamente il parlamento sul materiale trasferito all’estero. Otto spedizioni segrete si sono già succedute e tra pochi giorni saranno due anni dall’invasione russa. I gruppi 5 Stelle e Sinistra/Verdi hanno votato contro ma il Pd ha votato a favore (con quattro eccezioni) dunque giudica che si possa continuare così. Quando ormai la possibilità che l’Ucraina armata dall’occidente sconfigga la Russia e la ricacci indietro è esclusa da chiunque: cancellerie estere, governo italiano (più facilmente off the record ma non solo) e persino militari di Kiev. Stati uniti e alleati sanno benissimo e dichiarano ormai apertamente che solo il flusso continuo di armi e denaro dall’estero tiene in piedi la guerra di trincea, capace di moltiplicare le morti ma non di risolvere il conflitto. Eppure invece di usare questo dato di fatto in una trattativa con la Russia per impegnarla in un negoziato che preveda, inevitabilmente, concessioni da entrambe le parti, preferiscono tenere in piedi la finzione di una possibile vittoria. Lo sforzo bellico deve continuare, quello diplomatico neanche iniziare.

Votando ancora una volta a favore delle procedure eccezionali per armare l’Ucraina, il Pd contraddice quello che proprio Schlein aveva detto qualche settimana fa: «Bisogna evitare l’esportazione di armi verso i conflitti». E aveva aggiunto: «In particolare verso Israele, non si può rischiare che le armi vengano utilizzate per commettere crimini di guerra». Immediatamente erano arrivati i distinguo dal suo partito, tanto che la segretaria aveva dovuto giurare «supporto all’Ucraina senza ambiguità». Senza però domandarsi, non ancora, se il modo migliore per supportare gli ucraini sia effettivamente quello di tenerli incastrati in un conflitto che può solo moltiplicare i morti. Quanto all’importante dichiarazione su Gaza, le più forti smentite sono venute dall’interno del Pd, così come le prese in giro sul fatto che in questo momento le forniture di armi italiane a Tel Aviv sono bloccate (proprio nel rispetto di quella legge che per l’Ucraina viene scavalcata). Ma il passaggio più importante era un altro, e cioè la denuncia da parte di Schlein, per quanto prudente, che a Gaza Israele sta compiendo crimini di guerra.

Peccato che i comportamenti del partito non siano all’altezza di quella denuncia, anche quando chiede il cessate il fuoco. Perché la dimensione del massacro in atto è tale («plausibile genocidio» per la corte internazionale dell’Aja) che richiede di mettere la denuncia dell’azione di Israele al primo posto dell’intervento politico – più dell’occupazione della Rai, per capirci. Il governo italiano con la sua inerzia o peggio, per esempio quando si è astenuto sulla tregua nell’assemblea Onu o quando è corso a definanziare l’agenzia che si occupa dell’assistenza ai palestinesi, offre continui argomenti per impugnare con decisione la battaglia per la salvezza della Palestina, anche nelle piazze, ma il Pd non li coglie. Non vedendo, tra l’altro, che il moto di indignazione mondiale verso l’azione di Netanyahu non fa sconti elettorali a una sinistra che non sa distinguersi dalla destra.

Infine cos’ha da dire il Pd su quello che a noi sembra lo scandalo più grave in corso sul territorio nazionale, quello dei Centri di permanenza per il rimpatrio, territori fuori dal controllo e dalle leggi, fabbriche di suicidi appaltate ai privati dove finiscono i più sfortunati tra i migranti che arrivano in Italia fuggendo da guerre e sconvolgimenti climatici? Perché la sua voce che pure in materia potrebbe alzarsi più forte di quella dei 5 Stelle – che su migranti e sicurezza hanno pensanti ambiguità – non si sente o resta flebile? Perché non ne chiede la chiusura immediata – di tutti non solo di ponte Galeria? Perché non chiama in parlamento a riferire ministri e poliziotti? Probabilmente perché ha addosso il peso delle responsabilità di chi ha introdotto la detenzione amministrativa per i migranti, quasi trent’anni fa, o perché l’idea di aprire un Cpr in ogni regione era stata sua in origine: Piantedosi oggi copia Minniti allora.

Il Pd è capace di fare autocritica sulla lottizzazione della Rai, adesso. Provi a farla anche sulle politiche dell’immigrazione. Ed eviti di doverla fare presto sulla guerra.


Aiuti a Kiev - via libera al decreto.  Ma quattro dem votano contro

Il Manifesto, 9 febbraio 2024, pagina 4. A cura della redazione politica

LA RETROVIA. Il provvedimento licenziato in un’aula di Montecitorio vuota. Fratoianni: «Che disperazione, la guerra è normalizzata»

In un’aula vuota («fa venire la disperazione» dice Nicola Fratoianni, che legge l’assenza dei deputati come «una normalizzazione della guerra»), Montecitorio ha approvato ieri il decreto Ucraina che prevede l’invio anche per il 2024 dell’ennesimo pacchetto di aiuti al Paese invaso quasi due anni fa dalla Russia. Su 260 deputati presenti hanno votato a favore in 218, 48 i contrari e nessun astenuto. Con la maggioranza si sono espressi anche Pd, +Europa, Iv e Azione, mentre tra le opposizioni sono rimaste M5S e Avs a contrastare il provvedimento. Ma il voto ha segnato anche l’ennesima divisione in seno al partito guidato da Elly Schlein: nonostante le indicazioni date nel suo intervento dalla vicepresidente dem della Camera Anna Ascani, quattro deputati -Laura Boldrini, Antonio Scotto, Nico Stumpo e Paolo Ciani – non hanno partecipato al voto. Scelta però non traumatica, visto che era stata abbondantemente annunciata nei giorni scorsi, ma che ha comunque permesso alla deputata di Iv Isabella Del Monte di parlare di un Pd che «barcolla sia alla Camera sull’Ucraina che al Senato sull’abuso d’ufficio. Il rapporto con il M5S lo spaccherà sempre di più».

La premier Giorgia Meloni conferma quindi ancora una volta di voler seguire la strada tracciata da Mario Draghi fin dai primi giorni dell’invasione ordinata da Putin. E questo nonostante i malumori per il sostegno dato a Kiev non manchino anche nella maggioranza, come dimostra l’ordine del giorno presentato e poi ritirato dalla Lega il 24 gennaio scorso, quando a votare il decreto è stato il Senato, e in cui di fatto si chiedeva lo stop dell’invio delle armi all’Ucraina.

Con il voto di ieri è stato dato il via libera – come spiega il decreto – alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari Sarà adesso un decreto del ministero della Difesa a stabile quali e quanti mezzi verranno assegnati, anche se l’elenco «elaborato dalla Stato maggiore della Difesa» resterà come sempre secretato. Contributi economici a parte, per quanto riguarda il passato l’Italia, stando a quanto trapelato, ha inviato elmetti, giubbotti, sistemi anticarro e antiaereo, mitragliatrici, munizioni, mezzi blindati Lince e artiglieri. Più di recente, invece, sono stati forniti equipaggiamenti per la protezione del rischio Nbcr come tute, maschere protettive e kit per rendere potabile l’acqua.

Intervenendo in aula a nome del Pd, Ascani aveva sottolineato l’assenza di iniziativa diplomatica da parte del governo: «Chiediamo a questo esecutivo di adoperarsi in ogni sede internazionale per una Pace giusta, che si faccia carico delle ragioni dell’aggredito», aveva spiegato. «Lo chiediamo da tempo a questo governo, che non fa corrispondere ad una narrazione baldanzosa sul proprio ruolo nei consessi internazionali altrettanta capacità di iniziativa e orientamento. Tace, piuttosto. E questa assenza, questo vuoto, pesano».

Parlando per il M5S il capogruppo in Commissione Difesa Marco Pellegrini è tornato invece a chiedere di non continuare a inviare armi all’Ucraina. «Chi critica la nostra posizione – ha proseguito – ignora di proposito l’altra gamba su cui si regge la nostra proposta, ossia la richiesta di un cessate il fuoco immediato, di una tregua delle ostilità che impegni anche i russi e gli ucraini, che quindi no avrebbero più bisogno di difendersi. Se le armi tacciono, non occorre inviarne ancora».


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4) resoconti stenografici ufficiali della discussione (7 febbraio) e del voto (8 febbraio) in aula alla Camera

Discussione del disegno di legge: S. 974 - Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina (Approvato dal Senato) (A.C. 1666).
 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1666: Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1666)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne ha chiesto l'ampliamento.

Le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione Affari esteri, onorevole Giangiacomo Calovini.

GIANGIACOMO CALOVINI , Relatore per la III Commissione. Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, nella mia esposizione mi limiterò ad illustrare il contesto multilaterale, a livello di Unione europea e di NATO, nel quale si inserisce il sostegno militare italiano in favore dell'Ucraina, lasciando poi al collega della IV Commissione il compito di illustrare le norme del provvedimento in esame. Quanto al contesto europeo, ricordo che nella riunione del 1° febbraio scorso il Consiglio ha ribadito il risoluto impegno dell'Unione europea di continuare a fornire all'Ucraina e alla sua popolazione un forte sostegno politico, un forte sostegno finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario.

In particolare, ha confermato l'importanza di un sostegno militare tempestivo, prevedibile e sostenibile attraverso lo Strumento europeo per la pace e la missione di assistenza militare dell'Unione europea, ma anche attraverso l'assistenza bilaterale diretta degli Stati membri. Ha inoltre poi sottolineato l'urgente necessità di accelerare la fornitura di missili e munizioni, invitando gli Stati membri ad accelerare gli sforzi in tal senso.

A conferma del significativo impegno sotto il profilo del supporto militare, segnalo che tra il 2022 e il 2023 l'Unione ha mobilitato 5,6 miliardi di euro a titolo dello Strumento europeo per la pace con l'obiettivo di rafforzare le capacità e la resilienza delle Forze armate ucraine e proteggere la popolazione civile dall'aggressione militare in corso. Le misure di assistenza concordate finanziano l'invio di attrezzature e forniture come dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso e carburante, nonché attrezzature e piattaforme militari concepite per l'uso letale della forza a fini difensivi.

Tenuto conto del sostegno militare fornito dai singoli Stati membri dell'Unione europea, si stima che il sostegno militare globale dell'Unione all'Ucraina ammonti ad oltre 25 miliardi di euro. Ricordo poi che, in occasione del Consiglio Affari esteri dell'Unione europea del 22 gennaio scorso, l'Alto rappresentante per la politica estera Borrell ha espresso l'auspicio che l'Unione europea riesca a raggiungere un accordo su un'integrazione di 5 miliardi di euro al citato Strumento europeo per la pace e sull'istituzione di un Fondo di assistenza per l'Ucraina, in modo da poter far fronte alle esigenze più pressanti di Kiev.

In base alle conclusioni del citato Consiglio del 1° febbraio, l'accordo su tale Fondo dovrebbe essere raggiunto entro il prossimo mese di marzo. Sempre in ambito UE, da novembre 2022 è altresì operativa la missione di assistenza militare EUMAM-Ucraina, con l'obiettivo di promuovere la formazione di 40.000 soldati ucraini in diversi ambiti, tra cui assistenza medica, sminamento, logistica e comunicazione, manutenzione e riparazione degli equipaggiamenti militari, preparazione alla guerra chimica, batteriologica e anche nucleare.

La missione garantisce il coordinamento con le attività bilaterali degli Stati membri a sostegno dell'Ucraina, nonché con altri partner internazionali che condividono gli stessi principi, ed è aperta alla partecipazione di Paesi terzi. Per quanto concerne l'ambito NATO, nella dichiarazione adottata in esito all'ultimo summit dei Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza, svoltosi a Vilnius l'11 e il 12 luglio dell'anno scorso, è stato ribadito l'impegno assunto al Vertice di Bucarest del 2008 secondo cui l'Ucraina diventerà membro della NATO e si è riconosciuto che l'Ucraina è diventata sempre più interoperabile e politicamente integrata con l'Alleanza, realizzando progressi sostanziali nel suo percorso di riforme.

In esito al Vertice, è stato, altresì, concordato un pacchetto di sostegno politico e pratico ampliato, che prevede anche l'istituzione del Consiglio NATO-Ucraina, un nuovo organismo congiunto in cui gli Alleati e Kiev siedono come membri paritari per promuovere il dialogo politico, l'impegno, la cooperazione e le aspirazioni euro-atlantiche dell'Ucraina. A margine del summit, Paesi del G7, compreso anche il Giappone, hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui, tra le altre cose, si annuncia un avvio di negoziati con l'Ucraina per formalizzare, attraverso impegni bilaterali, in conformità con i rispettivi princìpi costituzionali, il sostegno duraturo all'Ucraina sia nella fase bellica che in quella della ricostruzione, favorendo il suo processo di integrazione nella comunità euro-atlantica.

Si afferma poi l'impegno di ciascun Paese a definire con l'Ucraina accordi di sicurezza specifici, bilaterali e a lungo termine per garantire capacità di difesa dall'aggressione attuale e scoraggiare eventuali aggressioni future. Si sottolinea che il sostegno dei Paesi del G7 prevede la fornitura continua di assistenza alla sicurezza e attrezzature militari, dando priorità alla difesa aerea, all'artiglieria, ai veicoli corazzati e al combattimento aereo, e promuovendo una maggiore interoperabilità con i partner euro-atlantici.

Si afferma, infine, l'impegno a collaborare con l'Ucraina per lo sviluppo della sua base industriale della difesa, a svolgere attività di addestramento, a condividere l'intelligence e a cooperare nella cyber difesa. In termini quantitativi, secondo i dati diffusi dalla NATO, dall'inizio dell'aggressione russa nel febbraio 2022 gli Alleati hanno stanziato circa 100 miliardi di euro in aiuti militari all'Ucraina, di cui circa la metà provenienti dagli Stati Uniti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione difesa, onorevole Pino Bicchielli.

PINO BICCHIELLIRelatore per la IV Commissione. Presidente, onorevoli deputati, il decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, approvato in prima lettura, senza modificazioni, dall'Aula del Senato nella seduta dello scorso 24 gennaio, reca la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina.

Il provvedimento, composto da un solo articolo, più l'entrata in vigore, è connesso con la necessità di ottemperare agli impegni assunti dall'Italia nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e della NATO per affrontare, nella maniera più efficiente, la crisi in atto in Ucraina, dai cui sviluppi stanno derivando preoccupanti riflessi sulla sicurezza e sulla stabilità internazionale.

Dopo la seduta introduttiva, nella giornata di ieri, le Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa) hanno sviluppato un approfondito dibattito sugli emendamenti presentati e hanno confermato il testo originario già approvato dal Senato.

Entrando nel dettaglio delle disposizioni del decreto-legge, ricordo che la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine è stata autorizzata dall'articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022, previo atto di indirizzo delle Camere in deroga alla legge 9 luglio 1990, n. 185, e agli articoli 310 e 311 del codice dell'ordinamento militare. Tale autorizzazione è stata poi prorogata fino al 31 dicembre 2023 con il decreto-legge n. 185 del 2022, convertito dalla legge n. 8 del 23 gennaio 2023.

Ricordo, inoltre, che il comma 2 del citato articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022 ha poi previsto che l'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione, nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile, sono definiti con uno o più decreti del Ministro della Difesa, adottati di concerto con i Ministri degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Economia e delle finanze.

L'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari di cui si autorizza la cessione è classificato e sui relativi decreti ministeriali il Ministro della difesa pro tempore è stato audito presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).

Per quanto riguarda gli atti di indirizzo approvati dal Parlamento, ricordo che il 1° marzo 2022, a conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina rese dal Presidente del Consiglio, il Senato e la Camera hanno approvato rispettivamente le risoluzioni n. 6-00208 e n. 6-00207, che, tra l'altro, hanno impegnato il Governo ad attivare, con le modalità più rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie per assicurare assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché, tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei alleati, la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione. Tale orientamento poi è stato confermato e precisato nelle risoluzioni n. 6-00226, approvata dal Senato il 21 giugno 2022, e n. 6-00224, approvata dalla Camera il 22 giugno 2022, in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 24 e 25 giugno 2022.

Tali risoluzioni hanno impegnato il Governo a continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari.

Successivamente, il 13 dicembre 2022, sia il Senato che la Camera, in seguito alle comunicazioni del Ministro della Difesa, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 185 del 202, hanno approvato al Senato le risoluzioni n. 6-00009, n. 6-00008 e n. 6-00011 e alla Camera le risoluzioni n. 6-00012, n. 6-00014 e n. 6-00016, che impegnano il Governo a proseguire il sostegno militare all'Ucraina. Da ultimo, l'impegno al sostegno militare è stato rinnovato dal Parlamento con diverse sfumature con le risoluzioni approvate in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio del 14 e 15 dicembre 2023, alla Camera con le risoluzioni del 12 dicembre n. 6-00073, n. 6-00072, n. 6-00074 e n. 6-00075, e al Senato con le risoluzioni del 13 dicembre n. 6-00057, n. 6-00058 e n. 6-00061.

Il decreto-legge oggi al nostro esame proroga, fino al 31 dicembre 2024, l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, prevista dall'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14. La relazione tecnica ad esso allegata sottolinea che dal provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e i mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della Difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Viene, inoltre, precisato che le cessioni di mezzi, materiali e armamenti avvengono a titolo non oneroso per la parte ricevente, cioè per il Governo ucraino, ma, al pari di quelle realizzate dagli altri Stati membri, sono parzialmente rimborsate dall'Unione europea attraverso i fondi dello Strumento europeo per la pace.

Per tali cessioni il Consiglio dell'Unione ha finora risposto lo stanziamento di 5,6 miliardi di euro.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Sottosegretario di Stato per la Difesa, Matteo Perego Di Cremnago.

MATTEO PEREGO DI CREMNAGO, Sottosegretario di Stato per la Difesa. Grazie, Presidente. Mentre intervengo - in particolare, questa mattina - c'è stata un'intensa attività di fuoco delle Forze armate russe verso l'Ucraina, verso la capitale, dove 4 persone hanno perso la vita e diverse infrastrutture energetiche sono state distrutte. Sono stati impiegati anche i bombardieri russi, con lancio anche di missili da alcuni assetti navali nel Mar Nero. Quindi, una situazione che vede l'offensiva russa tutt'altro che arrestarsi. Dall'altra parte le Forze armate ucraine, che hanno condotto un'operazione, una controffensiva che è terminata nel mese di dicembre e che non ha conseguito i risultati sperati, ha permesso, però, di contenere l'ulteriore avanzata russa, che ancora si assesta su una linea di attrito a Sud del fiume di Dnipro, avendo liberato la città di Cherson e intorno al Donbass. Questo è lo scenario militare con il quale ci misuriamo ormai da diverso tempo. A fianco di questo - quindi, a quello che è il piano militare - c'è il piano diplomatico. Diversi sono stati i tentativi e diversi sono ancora quelli in essere. In particolare, penso al summit sulla formula per la pace, proposto dal Presidente Zelensky attraverso 10 punti, che verrà probabilmente discusso in Svizzera il 23 e il 24 marzo, e ai precedenti incontri a Malta, con una partecipazione sempre più presente (a Davos erano presenti 80 Paesi). Allo stesso tempo, quindi, un'iniziativa diplomatica, in un certo senso, è stata avviata al fine di arrivare a un cessate il fuoco, così come c'è stato uno scambio di prigionieri fra i due Paesi, nonché l'iniziativa, soprattutto dell'Europa, di garantire l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea, salvo il verificarsi di alcune riforme in essere, che è stata definita dal Consiglio d'Europa a novembre dello scorso anno, che è la migliore garanzia evidentemente di sicurezza per il Paese.

Ma queste due questioni, quella militare e quella diplomatica, si inseriscono anche nel quadro geopolitico. La Russia, ad esempio, impiega - e ha impiegato anche questa mattina, ma l'ha già fatto diverse volte in passato, in questi mesi - droni one-way attack e droni Shahed iraniani. Lo stesso Iran, attraverso i suoi proxy Ansar Allah, i partigiani di Dio o meglio chiamati Houthi, oggi sta attaccando i mercantili occidentali nel Mar Rosso, risparmiando per l'appunto quelli russi e quelli cinesi. Quindi, un contesto geopolitico estremamente complesso.

Per queste ragioni e coerentemente con la posizione che il nostro Governo ha assunto - così come il Governo precedente e, quindi, con un'ampissima maggioranza - dall'inizio del conflitto, noi chiediamo di poter continuare a sostenere militarmente, a fianco di un'iniziativa diplomatica, l'Ucraina. Lo crediamo perché personalmente riteniamo che non ci sia alcuna contraddizione a continuare a sostenere la difesa del popolo ucraino, un popolo che ha perso centinaia di migliaia di vite di cittadini innocenti per una guerra senza alcuna logica. Quindi, crediamo che sostenerlo significhi anche sostenere la possibilità di una soluzione diplomatica, nell'interesse prima di tutto del popolo ucraino, ma non soltanto del popolo ucraino. Qui mi preme sottolineare come sia difficilmente comprensibile il ragionamento per il quale siccome non si sono verificati gli esiti positivi di una controffensiva e siccome le Forze armate russe non sono state scacciate dal territorio ucraino sia venuto meno il senso di continuare a sostenere militarmente l'Ucraina, come alcune posizioni nell'opposizione vengono a rappresentare in questo Parlamento. Io credo che questo sia un grave errore per diverse ragioni. La prima è di natura prettamente militare, perché qualora oggi la comunità occidentale, la comunità dei donor, smettesse di sostenere l'Ucraina evidentemente quella che oggi è una posizione di difesa, che cerca di garantire quantomeno l'integrità della porzione non occupata il territorio, verrebbe decisamente delimitata e anzi ci sarebbe un'invasione russa - siccome sta premendo fortemente, ad esempio, nell'area del nord del Donbass - e quindi una probabile capitolazione dell'intero territorio. In secondo luogo, perché l'Ucraina si difende secondo un principio sancito dalle Nazioni Unite nel quale tutti, credo, ci riconosciamo, l'articolo 51, e non difende soltanto se stessa. Difende il diritto internazionale, difende i valori di democrazia e libertà, su cui è costruito questo stesso edificio, con il sacrificio di tanti italiani, con il sacrificio della Resistenza, che ci hanno portato a un Paese libero e democratico. Per cui, anche qui, non si capisce perché si dovrebbe non sostenere lo sforzo di un Paese fondato sui principi di uguaglianza, di libertà e di democrazia, così come il nostro, oggi difende non soltanto se stesso, ma anche quei principi e, ripeto, in un contesto in cui, da una parte, ci sono i regimi autoritari e, dall'altra, le democrazie e nelle democrazie come la nostra gli oppositori ai Presidenti della Repubblica non vengono spediti in Siberia o in carcere. Nei Paesi come il nostro le democrazie e i diritti sono tutelati e questo è l'esercizio e lo sforzo che sta facendo un Paese amico, l'Ucraina, un Paese che dal primo giorno ha visto una resistenza del proprio popolo, dapprima con i propri mezzi e poi con il nostro sostegno, che ha impedito, per chi è stato in Ucraina come il sottoscritto e come tanti dei parlamentari qui presenti oggi, basta vedere dove siano arrivati i carri armati russi, a pochi chilometri dal centro di Kiev, e quale mondo sarebbe stato e sarebbe se l'Ucraina capitolasse davanti all'affermazione del più forte, del potere delle armi, del potere della distruzione, del potere della guerra contro il diritto internazionale.

Ci si dice, a volte, che non ci sia abbastanza diplomazia, non si stia lavorando sui negoziati di pace per arrivare a una soluzione non soltanto militare del conflitto. Ebbene, questo ripeto è in contraddizione rispetto invece agli innumerevoli sforzi che sono stati fatti da questa parte che rappresentiamo noi, quella delle democrazie. Certo è che non c'è mai stato un minuto, un solo secondo, dall'inizio del conflitto, in cui le forze armate russe non abbiano continuamente bombardato il territorio ucraino, e non soltanto e soprattutto le strutture militari, ma le città. È accaduto a Leopoli, nell'estremo Occidente dell'Ucraina, ben lontano dal teatro di conflitto, accade quotidianamente su Kiev, accade su Kharkiv, accade su Kherson, accade su Dnipro. Quindi, non c'è mai stato un segnale reale da parte della Federazione Russa di un cessate il fuoco. L'unico segnale, oltre a quello delle armi, è stato quello di invocare dei referendum illegittimi per l'annessione dei territori occupati. Credo che questo sia il messaggio fondamentale. Noi continueremo a sforzarci, lo faremo come Presidenza del G7 ed è nelle priorità del nostro Governo, quello di favorire una soluzione diplomatica che sia la più giusta possibile. Però, ricordiamoci, da un lato, quale sia la posta in gioco e io faccio riferimento all'intervista di un autorevole esponente dell'opposizione che oggi diceva mi sembra un atteggiamento cinico di quelli che dicono non diamo più le armi all'Ucraina. Effettivamente, è un modo di abbandonarli, di abbandonare un Paese che ha visto più di 300.000 morti, che ha visto giovani perdere la vita, in nome di quei valori per cui i nostri predecessori, chi è venuto prima di noi, ha perso la vita allo stesso modo per difendere democrazia e libertà. Quindi, io credo che dovremmo essere tutti solidali, l'impatto per il nostro Paese è un impatto obiettivamente limitato nell'aver sostenuto militarmente l'Ucraina, stiamo parlando di qualche decina di euro a cittadino italiano, senza un impegno diretto delle nostre Forze armate. Quindi, quella che era all'inizio una sfida per la difesa della libertà, dell'integrità territoriale continua ad esserlo e continua a essere la missione di un Paese responsabile, autorevole, membro del G7, che fa la propria parte in nome di democrazia e libertà, che non sono solo bellissime parole, ma sono anche dei valori da coltivare, per arrivare alla pace, che è un traguardo e non basta dire pace per fermare il conflitto, non basta dire smettiamola di dare le armi e tutto cessa. Purtroppo, oggi serve continuare a sostenere l'Ucraina, serve a continuare a sostenerla con determinazione, serve portare i due attori protagonisti di questo conflitto al tavolo, ma serve ricordarsi anche nel mondo in cui viviamo, perché bisogna difendere la democrazia contro i regimi autoritari (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Onori.

FEDERICA ONORI (AZ-PER-RE). Signor Presidente, colleghi, membro del Governo, ubi solitudinem faciunt pacem appellant, ovvero dove fanno il deserto lo chiamano pace. Così Publio Cornelio Tacito ci descrive con chiara amarezza in cosa consista la dominazione di un impero sui territori conquistati. Qui lui, ovviamente, si riferisce all'impero romano. E proprio l'immagine del deserto spacciato per pace si addice, secondo me, alla città di Mariupol, una città portuale in cui vivevano pacificamente 400.000 abitanti che, dopo aver subito incessanti bombardamenti russi per più di 80 giorni, è letteralmente rasa al suolo.

Ecco io credo che il voto di oggi non sia un voto di routine. Il modo in cui sceglieremo di votare - voto a favore, voto contrario, luce verde, luce rossa - rimanderà a una visione ben precisa che ognuno di noi ha della storia e del presente, ma soprattutto del futuro. Questa volta la ferita inferta alla legalità internazionale è talmente grave che diviene emorragia profonda, che mette in crisi l'architettura stessa della sicurezza che ha complessivamente retto dal dopoguerra ad oggi. Il voto di oggi sancisce la possibilità o meno che qualcuno possa mettere indietro le lancette dell'orologio e far vigere la brutale legge del più forte come regola base dei rapporti tra gli Stati. E non ci possono essere ambiguità o tentennamenti in questa sfida decisiva per le sorti dell'intero continente europeo, perché il nostro voto di oggi riguarda l'Europa.

Perché riguarda l'Europa? Io difficilmente avrei potuto scegliere parole più chiare ed esatte di quelle espresse da Milan Kundera nel suo saggio Un Occidente prigioniero. Kundera, che la maggior parte di noi conosce per la sua opera più famosa, L'insostenibile leggerezza dell'essere, ci ha lasciato soltanto pochi mesi fa ed era uno scrittore, poeta e saggista francese di origine cecoslovacca che ha indagato lo spirito di quelle nazioni dell'Europa centrale, la Cecoslovacchia, appunto, ma anche l'Ungheria, la Polonia e potremmo far rientrare a ben vedere anche l'Ucraina, che hanno da sempre dovuto lottare per la propria indipendenza e per non essere assorbite dall'Impero russo, assorbite a livello politico, a livello culturale e a livello della loro lingua. Ne leggerò, quindi, poche righe che parlano della rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come primavera ungherese. La primavera ungherese è stata una sollevazione armata contro la Russia in cui morirono 2.700 ungheresi e in cui migliaia - circa 250.000 - lasciarono il proprio Paese e si rifugiarono in Occidente. “Nel settembre del 1956 il direttore dell'agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall'artiglieria, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull'offensiva che quel mattino i russi avevano scatenato contro Budapest. Il dispaccio finisce con queste parole: moriremo per l'Ungheria e per l'Europa. Che cosa intendeva dire? Di certo che i carri russi mettevano in pericolo l'Ungheria e insieme l'Europa. Ma in che senso anche l'Europa era in pericolo? I carri russi erano forse pronti a varcare le frontiere ungheresi e a dirigersi a ovest? No. Il direttore dell'agenzia di stampa ungherese intendeva dire che in Ungheria era l'Europa a essere presa di mira. Perché l'Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa era pronto a morire. La frase ha un senso evidente eppure continua a incuriosirci. Qui in Francia, in America - noi potremmo dire in Italia - siamo infatti abituati a pensare che fosse allora in gioco un regime politico, non l'Ungheria o l'Europa. Non ci sfiora neppure l'idea che a essere minacciata fosse l'Ungheria in quanto tale, né tantomeno comprendiamo come mai un ungherese, che rischia di morire, chiami in causa l'Europa”.

Ecco perché il voto di oggi secondo me riguarda l'Europa, perché l'Ucraina è Europa e non tanto o non solo perché il 15 dicembre scorso il Consiglio europeo ha deciso di avviare i negoziati di adesione con l'Ucraina, ma perché, ad esempio, 10 anni fa, tra il 2013 e il 2014, c'è stato Euromaidan, dove sangue ucraino fu versato nella violenta repressione del vasto movimento di protesta, delle proteste scaturite a seguito della decisione dell'allora Presidente in carica Yanukovych di non sottoscrivere il trattato di associazione politica ed economica con l'Unione europea, con l'evidente intento di orientare l'Ucraina in netta direzione filorussa. Allora, come oggi, gli ucraini lottavano per la libertà, per la democrazia, per una maggiore integrazione europea e, soprattutto, per affrancarsi dal giogo russo, dalla continua interferenza e ingerenza di un regime imperialista che mostrava e, mostra tuttora, rinnovate mire espansionistiche.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA (ore 16,45)

FEDERICA ONORI (AZ-PER-RE). Ma il voto di oggi riguarda l'Europa anche perché si tratta di stabilire se vogliamo mettere a rischio o meno, provare ad intaccare o meno, l'unità dell'Europa sul tema, se vogliamo sostenere l'Europa in una risposta congiunta e, quindi, se vogliamo dare all'Europa la possibilità di svolgere un ruolo importante in quello che è uno scenario che si svolge sul territorio europeo oppure no. Un'Europa non unita era evidentemente la prima cosa che poteva auspicare di ottenere Putin quando diceva che nel giro di pochi giorni avrebbe potuto invadere, aggredire e quindi annettere parti dell'Ucraina.

Se l'Ucraina invece ha potuto difendersi, in alcuni casi addirittura riconquistare dei territori, è perché è stata sostenuta nella sua resistenza all'aggressore e chi oggi negherà il sostegno, anche militare, alla resistenza ucraina, dobbiamo dircelo molto chiaramente, starà dalla parte dell'Ungheria di Orbán, che negli ultimi mesi ha mostrato il suo volto forse peggiore in un ricatto continuo proprio sul tema degli aiuti all'Ucraina con le istituzioni europee, quell'Orbán che è finito sui giornali, sui telegiornali e nelle televisioni italiane, negli ultimi giorni, per il caso della nostra concittadina Ilaria Salis, quell'Orbán la cui Ungheria, al momento, mostra una distanza valoriale, tanto profonda quanto pericolosa, con i principi basilari dell'Unione di cui l'Ungheria, pure, fa parte.

Alla luce di tutto ciò, risulta inevitabile una menzione di discredito al Governo italiano per quello che non ha saputo fare, per il coraggio che non ha saputo avere rispetto a posizioni di Orbán assolutamente contrarie all'interesse nazionale e all'interesse europeo e mi riferisco sia alla condotta ricattatoria con le istituzioni europee circa gli aiuti all'Ucraina, sia al caso di Ilaria Salis.

Torniamo, però, ai termini del provvedimento che stiamo per votare. Vorrei, adesso, condividere una riflessione: è evidente che dichiararsi favorevoli al sostegno anche militare alla resistenza Ucraina sia una posizione per lo più impopolare. Cerco di spiegarmi, capovolgendo i termini del ragionamento: oggi, un politico che volesse essere popolare ad ogni costo non potrebbe permettersi di assumere questa posizione di sostenere la resistenza ucraina. Perché per farlo dovrebbe argomentare, menzionando, ad esempio, l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che prevede la possibilità della difesa individuale e collettiva, dovrebbe cercare di contestualizzare, ricordando, ad esempio, eventi storici, come abbiamo fatto pochi minuti fa con Euromaidan, appunto, che la maggior parte delle persone però ignora - e anche questo ce lo dobbiamo dire -, oppure il “Memorandum di Budapest”. Insomma, la questione non è che sia proprio semplice da illustrare e, inoltre, le armi chiaramente non piacciono a nessuno.

Quindi, quella di chi vuole sostenere la resistenza ucraina, è una posizione molto più difficile da spiegare, da far passare, del semplice e magari comunque efficace slogan: “No alle armi. Sì alla pace”, che pure è incompleto come slogan, perché a ben vedere dovrebbe continuare così: “No, alle armi. Sì alla pace e che i russi prendano pure tutto quello che vogliono”.

Ora, io voglio credere, invece, che tutti qui sentiamo la responsabilità di prendere decisioni che siano, non solo, corrette sul piano del diritto internazionale, non solo, in linea con i nostri valori fondativi - e la Resistenza è necessariamente uno di questi, perché il popolo italiano ha imbracciato le armi per resistere all'invasore e perché ha ricevuto aiuto dagli Alleati e sostegno in questo e proprio dalla Resistenza, non a caso, nasce la Repubblica italiana -, valori quali quello della Resistenza, ma che siano anche, più cinicamente, forse, nell'interesse nazionale. Perché tutto questo, ce lo dobbiamo ricordare, avviene alle porte dell'Europa e non possiamo credo, sic et simpliciter, chiudere gli occhi e fare finta che il problema non esista. Ecco, perché, da qualsiasi punto la si guardi, sostenere la resistenza ucraina è l'unica scelta giusta (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe) e, dirò di più, è anche una scelta da rivendicare a gran voce. E spiace che ci sia chi prova imbarazzo nel sostenere questa posizione. Non ci dovrebbe essere alcun imbarazzo a sostenere un popolo che resiste a un aggressore.

Presidente, vorrei terminare con un'immagine che, forse, meglio di tante parole, riesce a dare l'idea di quello che è in ballo oggi. L'immagine è la seguente: per me, il processo di pace è un viaggio in treno, la pace è la nostra destinazione, lì, dove vogliamo arrivare, mentre il supporto anche militare, da una parte, e il canale diplomatico, dall'altra, sono le due rotaie. Il treno può procedere fintanto che ci siano entrambe le rotaie e che entrambe le rotaie siano allineate. Se una delle due rotaie venisse meno, il treno sbanderebbe e non arriverebbe a destinazione. Supportare la resistenza ucraina vuol dire mantenere aperta la possibilità di una soluzione diplomatica, si intende, una soluzione diplomatica giusta e che possa rientrare nel principio della legalità internazionale. Interrompere questo supporto vuol dire far deragliare il processo di pace e a quel punto neanche la diplomazia servirebbe più. La Russia avrebbe una posizione di vantaggio tale che non avrebbe bisogno di scendere a compromessi, avrebbe ottenuto quello che vuole e sarebbe riuscita a farlo con la forza. A quel punto, però, perché fermarsi, perché non continuare, con la Transnistria, con le Repubbliche baltiche, con la Finlandia? Ci rendiamo conto di cosa c'è in gioco? Io mi rifiuto di accettare che per qualche like in più sulla propria pagina Facebook o per uno “zero virgola” in più nei sondaggi della prossima settimana qualcuno possa essere disposto a correre questo rischio e, come dicevo in apertura e termino, oggi, è un giorno importante, non è un pigro pomeriggio di febbraio, come forse ne abbiamo vissuti nelle nostre vite, quella che stiamo vivendo è la storia e la storia ci chiede di prendere una posizione chiara, netta e cristallina e la nostra non potrebbe esserlo di più. Forza Ucraina, syla Ukrayiny (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Padovani. Ne ha facoltà.

MARCO PADOVANI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il Sottosegretario per aver fotografato in maniera precisa la situazione attuale di quelle terre martoriate. È opportuno ricordare che tale provvedimento ha tra le sue origini anche gli atti di indirizzo approvati dal Parlamento già nel 2022. Il 1° marzo 2022, infatti, a conclusione delle comunicazioni sugli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina, rese dall'allora Presidente del Consiglio, il Senato e la Camera approvarono rispettivamente due risoluzioni, la n. 6-00208 e la n. 6-00207. Tali risoluzioni impegnarono il Governo ad attivare, con modalità rapide e tempestive, tutte le azioni necessarie per assicurare assistenza umanitaria, finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei alleati, la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la propria popolazione. Tale orientamento è stato successivamente confermato dal Senato e dalla Camera il 21 e il 22 giugno 2022, garantendo così tutte le misure a sostegno, ivi comprese le cessioni di forniture militari, proseguendo così il completo sostegno militare all'Ucraina. Proseguire questo percorso significa, quindi, dimostrare in maniera tangibile la nostra vicinanza al popolo ucraino, contribuendo di fatto a non consentire, nei princìpi e nella sostanza, l'invasione dell'Ucraina. Non sarebbe possibile fermarci ora. La nostra coscienza - e non solo - non ce lo permette. Sostenere il popolo ucraino significa non far saltare le regole del diritto internazionale. Non mantenere questa posizione significherebbe che gli scenari di crisi potrebbero moltiplicarsi ovunque e in qualsiasi momento. Tutto ciò, però, non significa non proseguire con un percorso di trattativa e di azione diplomatica, a cui il Governo Meloni sta lavorando sin dal suo primo insediamento per fare in modo che si arrivi a un piano di pace solido e duraturo. Nel frattempo, lo ribadisco, è giusto garantire il pieno sostegno all'Ucraina in tutti gli ambiti - politico, militare e umanitario -, atteggiamento assunto fin dal primo momento dall'Italia. Lo stesso Consiglio europeo ha ribadito il risoluto sostegno all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, nonché al suo diritto naturale di autotutela contro l'aggressione russa. In particolare, sempre il Consiglio europeo ha confermato l'importanza di un sostegno militare tempestivo, prevedibile e sostenibile, attraverso lo Strumento europeo per la pace e la missione di assistenza militare nell'Unione europea, ma anche attraverso l'assistenza bilaterale diretta degli Stati membri. Ha, inoltre, sottolineato l'urgente necessità di accelerare la fornitura di missili e munizioni, e dotare l'Ucraina di un maggior numero di sistemi di difesa aerea. A conferma del significativo impegno sotto il profilo del supporto militare, è doveroso ricordare che, tra il 2022 e il 2023, l'Unione europea ha mobilitato oltre 5 miliardi di euro a titolo dello Strumento europeo per la pace, con l'obiettivo di rafforzare le capacità e la resilienza delle Forze armate ucraine e proteggere la popolazione civile dall'aggressione militare in corso.

Le misure di assistenza concordate finanziano l'invio di attrezzature e forniture come dispositivi di protezione individuali, kit di pronto soccorso e carburante, nonché attrezzature e piattaforme militari a fini difensivi. In questo momento, dove c'è un'Ucraina ferita, dove vi è un popolo che sta combattendo una guerra di difesa, una guerra di sopravvivenza e sicuramente non una guerra di conquista, e dove c'è chi ha violato il principio della sovranità nazionale, voglio ricordare che Fratelli d'Italia non ha mai cambiato idea sui valori e sui princìpi fondamentali della democrazia e della libertà. Una libertà che, dopo questa invasione, certamente non è più scontata in Europa. La resa dell'Ucraina significherebbe la resa dell'Europa intera, e noi abbiamo il dovere e il diritto di contribuire alla salvaguardia di questi princìpi, che non sono negoziabili. È gusto ricordare, inoltre, che la legge di bilancio per il 2024, del 30 dicembre 2023, n. 213, proroga la scadenza dello stato di emergenza dal 31 dicembre 2023 al 31 dicembre 2024, per continuare ad assicurare accoglienza e assistenza alla popolazione proveniente dall'Ucraina sul territorio nazionale. Un impegno, quindi, del Servizio nazionale, coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile, che vede, ancora una volta, Fratelli d'Italia e tutto il centrodestra uniti e in piena sintonia, senza esitazione alcuna, sulla linea di condotta da seguire per un aiuto concreto al popolo ucraino. Oggi, purtroppo, però, una parte dell'opposizione, anche in quest'Aula, manifesta vuoti di memoria, che hanno il sapore dell'incoerenza, a partire dall'onorevole Conte, che, a seconda della posizione e dello scranno - maggioranza o minoranza - dove siede, decide di sostenere o meno gli interventi a favore delle autorità governative dell'Ucraina (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Per Fratelli d'Italia, sarebbe un errore fare un passo indietro. La condizione base per arrivare a qualsiasi forma di soluzione di questo conflitto è quella di consentire all'Ucraina di essere competitiva attraverso un equilibrio di forze in campo. Un equilibrio che non ci sarebbe stato, fino ad oggi, se non avessimo dato anche il nostro contributo.

Mettere, dunque, l'Ucraina nella posizione di competere e di avere quel bilanciamento nel conflitto, che è anche l'unica condizione per un'eventuale soluzione negoziabile. Sta a noi, a ciascuno di noi, decidere da che parte della storia stare, in coscienza. L'Italia lo ha fatto, ha scelto con chiarezza da che parte stare. Lo ha fatto per senso di giustizia e con la fierezza del lavoro svolto, ma, nello stesso tempo, con la consapevolezza che il 2024 sarà un anno cruciale per Kiev. L'obiettivo dell'Esecutivo è arrivare a una soluzione di pace duratura ed equilibrata, che ristabilisca la sicurezza e l'ordine, nel rispetto del diritto internazionale.

Recentemente, il Ministro Crosetto ha sintetizzato un pensiero che il gruppo di Fratelli d'Italia condivide pienamente: il presupposto della pace è un giorno in cui non cadono le bombe russe, non un giorno in cui gli ucraini smettono di difendersi. La morte dell'Ucraina si porterebbe dietro la morte di un pezzo di democrazia. La difesa è un prerequisito della sicurezza, che è un prerequisito della stabilità, che porta alla pace. Non esiste, nei tempi in cui viviamo, una Nazione che possa permettersi di mettere da parte la difesa, ce lo dimostra recentemente anche il Mar Rosso.

Ed è alla luce di queste considerazioni, che rivolgo il mio plauso e quello di Fratelli d'Italia alle nostre Forze Armate, all'Esercito, alla Marina militare e all'Aeronautica militare, per il lavoro quotidiano nell'interesse e nell'amore per la patria, sia sul suolo nazionale, che in tutte le missioni di pace internazionali. Missioni che hanno, come obiettivo, il mantenimento della stabilità locale e globale, la sicurezza, l'addestramento delle Forze armate di altri Paesi e, non per ultimo, il supporto umanitario alle popolazioni. Forze armate che sono orgoglio nazionale, una risorsa che, mai come oggi, va preservata e salvaguardata. In un momento in cui le condizioni di tensione sono spiccate, esse portano il loro contributo, facendosi apprezzare ovunque nel mondo. Sarebbe opportuno che, anche all'interno di quest'Aula, qualche deputata che si riempie la bocca di pace, ma evidentemente solo a parole, mostrasse il doveroso rispetto a chi indossa l'uniforme del nostro Esercito, a chi quotidianamente si mette a disposizione della Nazione, a chi, la pace vera, la vuole garantire senza convenienza, senza alcuna strumentalizzazione e nel solo interesse del tricolore nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Noi di Fratelli d'Italia siamo con questi soldati, i nostri soldati, con i loro valori veri e non discutibili.

Concludendo, Presidente, la posizione di Fratelli d'Italia su questo provvedimento è stata netta fin da subito, non l'abbiamo mai cambiata, una scelta inevitabile: da un lato l'aggressore, dall'altro l'aggredito. Ora non c'è spazio per i tentennamenti, per un distinguo sofisticato, per un pacifismo finto e peloso. Noi non faremo mai elogi alla guerra, ma non possiamo accettare nemmeno che qualcuno pretenda la resa dell'Ucraina come un dovere (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Graziano. Ne ha facoltà.

STEFANO GRAZIANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Io vorrei iniziare con il ricordare che il 24 febbraio 2022 è stato un giorno terribile per l'Europa, oltre che per l'Ucraina, perché l'invasione russa, l'aggressione russa del popolo ucraino, è stato un giorno davvero triste. Triste perché iniziamo col dire che l'Europa è stata, per settant'anni, un continente di pace. E dopo settant'anni, in realtà, si è ritrovata nel bel mezzo di una guerra, di un'aggressione che ha fatto del popolo ucraino un aggredito e un aggressore, che noi, fermamente, da subito, abbiamo condannato senza indugio. E soprattutto dal momento in cui c'era, al Governo, Draghi e, come Ministro della Difesa, l'onorevole Guerini, abbiamo lavorato affinché ci fosse un forte aiuto e una forte presenza di aiuti militari, di equipaggiamenti e di tutto ciò che poteva essere utile, dal punto di vista umanitario, per dare forza alla resistenza del popolo ucraino. Abbiamo scoperto una grande capacità di resilienza e una grande capacità di forza del popolo ucraino.

Questo decreto chiede una proroga, di fatto, fino al 31 dicembre 2024 e continua in quella logica della cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari per dare forza e resistenza. Ma vedete, tutto questo viene fatto in una certa logica, così come prevede il decreto, con norme stabilite con modalità e con indirizzi molto precisi. Sostanzialmente, a seguito della risoluzione che abbiamo presentato, a nome della deputata Braga e di tutti i parlamentari del Partito Democratico, che è stata approvata, sostanzialmente si sono approvate alcune cose, a nostro avviso, importanti. Vogliamo al riguardo ringraziare il Sottosegretario che era presente per aver dato un parere favorevole in quella direzione, anzi ci permette di dire alcune cose importanti: la prima, occorre lavorare a una conferenza di pace, perché non c'è nessuno di noi che sia lontano o che non voglia la pace. Abbiamo visto che, oggi, questa mattina e ancora mentre parliamo, su Kiev si sono abbattuti molti missili, la città è senza energia elettrica: immaginate quel popolo in questo istante se ha voglia di avere una guerra all'infinito. Ha voglia di pace ovviamente e quindi abbiamo chiesto che ci fosse una conferenza di pace.

C'è bisogno ancora di più di una forte azione diplomatica che ancora manca da questo punto di vista, perché, diciamoci la verità, quando nasce un'azione diplomatica, bisogna vedere gli equilibri sul campo. E gli equilibri sul campo, oggi, se non sosteniamo l'Ucraina, se non sosteniamo il popolo ucraino, ovviamente non è che cambieranno, saranno unilaterali, cioè saranno tutti a favore di una parte. Ecco il motivo per cui dobbiamo ancora di più insistere nel sostenere il popolo ucraino ed è questo quello che chiediamo. Chiediamo che vi sia un'azione diplomatica più forte e che vi sia sostegno alle forniture, agli equipaggiamenti, a tutte le esigenze umanitarie. Oggi oltre 17 milioni di ucraini hanno bisogno di assistenza umanitaria e sanitaria; pensate che, solo nel 2021, probabilmente gli ucraini erano poco meno di un milione e mezzo, 2 milioni. Oggi siamo a 17 milioni, circa la metà della popolazione ucraina ha bisogno di assistenza sanitaria.

C'è anche un altro tema: sostenere l'Ucraina significa rispettare la Carta delle Nazioni Unite che, all'articolo 51, riconosce espressamente il diritto all'autotutela individuale o collettiva, aiutando con i mezzi e con gli assetti che ogni Paese, che aderisce, può assicurare, con la risoluzione che di fatto c'è stata, a partire dalla logica multilaterale dell'Unione europea, da un lato, e della NATO, dall'altro. E qui che si inserisce, ancora una volta, quella che dovrebbe essere poi un'azione diplomatica.

Noi inoltre presentammo proprio qui in Parlamento (c'era il Governo Draghi) un emendamento, affinché, ogni tre mesi, si svolgesse un'informativa del Governo sullo stato del conflitto in Ucraina e ciò viene completamente confermato. È un altro tema importante.

Ovviamente questi equipaggiamenti vengono stabiliti in un allegato; c'è il Copasir che ne viene a conoscenza, quindi anche da questo punto di vista è previsto il passaggio parlamentare. Poi fatemi dire, questo avviene attraverso un decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell'Economia e delle finanze. Quindi, sono previsti tutti quei passaggi affinché vi siano garanzie rispetto alla cessione gratuita a favore del popolo ucraino per le ragioni che abbiamo detto e, soprattutto affinché una parte di quella cessioni di mezzi, equipaggiamenti e tutto ciò di cui hanno bisogno, dal punto di vista umanitario, venga anche rimborsato dall'Unione europea.

Vorrei fare però una riflessione un po' più allargata rispetto alla vicenda Russia e Ucraina. Noi siamo in un momento particolare della storia dell'Europa e dell'Occidente. Ci troviamo da un lato con il conflitto russo-ucraino, dall'altro con una grande tensione in Serbia e Kosovo, come il Sottosegretario potrà confermare. La tensione è grande in quella direzione. Ma vi sono anche altre questioni: quella israelo-palestinese, quella del Mar Rosso e poi, anche se non ne parliamo più, quella della Tunisia, quella del Sahel, e tutto quello che riguarda quel mondo. Se per un istante, mettete un compasso al centro dell'Europa e lo fate ruotare, in realtà, vi accorgete che tutto questo è esattamente intorno all'Europa. Siamo qui!

E poi fatemi dire una cosa rispetto al conflitto russo-ucraino: c'è una questione di fondo, a mio avviso. Gli ucraini stanno combattendo anche per noi, lo stanno facendo perché l'invasore russo vorrebbe sempre di più allargare i confini e man mano allargarli per arrivare chissà dove. Allora, il nostro sostegno a questo popolo è anche un sostegno a noi stessi. Dobbiamo avere la consapevolezza che il sostegno all'Ucraina è un sostegno all'Occidente, un sostegno all'Europa nel suo complesso; non è un sostegno in una direzione che immaginiamo possa essere al di là di ogni bene e male. Mentre noi qui oggi possiamo continuare a costruire i nostri sogni, ad avere la nostra famiglia, a costruire le nostre relazioni, a ridere con i nostri amici, loro sono lì, in questo momento a combattere, anche per noi. E penso che questo sia il dovere di un Paese come l'Italia: far sì che possa continuare a sostenere una tesi di questo tipo.

Vorrei chiudere questo intervento, dicendo che il tema di oggi è fondamentale. Occorre leggere quello che sta accadendo sul piano geopolitico e sul piano complessivo del mondo: c'è un attacco frontale all'Occidente nel suo complesso e contemporaneamente abbiamo le elezioni americane. Questo mix, purtroppo, crea molta instabilità ed è qui che si inserisce la nostra richiesta - è ancora di più la richiesta al Governo che viene dal Partito Democratico - di alzare il livello per costruire un'iniziativa diplomatica sempre più forte, perché purtroppo questo è quello che ancora manca. Manca perché non c'è un'attenzione ancora forte, sapendo che l'iniziativa diplomatica presenta difficoltà a fronte degli equilibri sul campo ed è il motivo per cui dobbiamo sostenere l'Ucraina senza indugio e senza avere dubbi.

Per noi, lo dico, chiudendo il mio intervento, l'Ucraina oggi è ciò che è stata la Catalogna per George Orwell. Il giorno in cui gli ucraini saranno liberi di sognare la loro vita e di ricostruire le loro città non esisterà più la differenza tra di noi. Solo allora potremo dire di aver reso quel popolo libero, libero di sognare, ma, fatemi dire, avremo ristabilito, anche in Europa, una condizione di libertà, che oggi ancora non c'è, e di preoccupazione, che oggi non c'è. Quindi, bisogna sostenerli senza se e senza ma e continuare in quella direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carra'. Ne ha facoltà.

ANASTASIO CARRA' (LEGA). Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori membri del Governo, l'esigenza di varare un nuovo decreto-legge per consentire la prosecuzione degli aiuti civili e militari all'Ucraina manifestatasi nello scorso dicembre è stata oggetto di valutazioni ai più alti livelli istituzionali del nostro Paese e deriva da circostanze drammatiche. È passata, infatti, al vaglio del Consiglio supremo di difesa, organo costituzionale di alta consulenza presieduto dal Capo dello Stato, nel cui ambito, lo scorso 11 dicembre, è stata ribadita la volontà dell'Italia di continuare ad aiutare l'Ucraina fino a ristabilire la pace in tutti quei territori stigmatizzati da conflitti, perdite di vite umane, con l'obiettivo di ristabilire vecchi disegni imperiali, apertamente dichiarati da Putin, a discapito della libertà di un popolo e del diritto di autodeterminarsi.

Quanto alle circostanze drammatiche, il prossimo 24 febbraio sarà il secondo anniversario della brutale decisione russa di aggredire l'Ucraina. Una data che ricorda a tutti noi quanto, ancora oggi, anche in Occidente, sia precario e debole il concetto di democrazia, di sacralità e inviolabilità della vita e difesa della libertà. Per questi motivi, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, questa guerra è molto più di tutto questo: rappresenta l'idea stessa di libertà, in un modo che si applica molto più direttamente alle nostre nazioni e società di quanto la maggior parte di noi si renda conto. Sì, questa guerra riguarda la lotta per l'integrità territoriale dell'Ucraina. Si tratta anche di difendere lo Stato di diritto e il diritto all'autodeterminazione delle nazioni.

La scommessa di Putin era che l'Ucraina non avrebbe potuto resistere a un attacco russo e che la divisione interna e la dipendenza energetica avrebbero impedito all'Unione europea di venire in aiuto all'Ucraina. I russi parlavano di una guerra-lampo, di un conflitto che avrebbe presto visto capitolare l'Ucraina e il suo esercito alle visioni espansionistiche di Putin. Tuttavia, in questi due lunghi anni, abbiamo assistito all'esempio dato da un popolo, quello ucraino, che ha continuato a combattere e lottare per la propria libertà, resistendo alla forza militare e tattica dell'avversario e alla ferma volontà da parte di tutti i Paesi dell'Eurozona di fronteggiare le diverse criticità, come crisi energetica e carenza di grano, per confermare e mantenere il supporto a Kiev. Non possiamo voltarle le spalle senza che crolli. Se mollassimo Kiev, l'Italia e l'Europa tutta dovrebbero rinunciare alla lotta per la libertà contro l'oppressione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)! Di qui il decreto-legge di cui oggi votiamo la conversione in legge, un provvedimento che estende al 31 dicembre 2024 l'autorizzazione a disporre l'invio di aiuti civili e militari all'Ucraina sulla base delle stesse disposizioni adottate, all'indomani dell'invasione, il 25 febbraio 2022. Il fatto che si intenda continuare a rifornire di aiuti economici, umanitari ed anche materiali d'armamento non è peraltro incompatibile con la prosecuzione degli sforzi del nostro Governo, volti a promuovere in ambito internazionale l'avvio di un negoziato che porti quanto meno a una tregua. Questo è, quindi, il momento per reimmaginare e rifondare noi stessi. Abbiamo assistito all'unione delle democrazie occidentali e al riemergere del diritto all'autodeterminazione nazionale.

È per noi fondamentale garantire in Italia e in Europa un futuro di libertà. Difendere questo diritto è il minimo che il nostro Paese e l'Unione europea devono fare ed ottenere per le giovani generazioni, in Ucraina e altrove in Europa. Andarsene, di contro, certamente non incoraggerebbe i russi a sedersi al tavolo delle trattative, mettendo a serio rischio l'assetto democratico dei Paesi occidentali. Noi ne siamo convinti, per questo sosterremo la strategia prescelta dal Governo e voteremo a favore dell'approvazione della legge di conversione del decreto-legge n. 200 del 2023 (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lomuti. Ne ha facoltà.

ARNALDO LOMUTI (M5S). Grazie, Presidente. Solo pochi mesi fa - siamo agli inizi di ottobre dello scorso anno -, abbiamo assistito a un siparietto tragico di questo Governo sull'oggetto della discussione di oggi, che è l'invio di armi in Ucraina. Da una parte, abbiamo visto il Ministro degli Affari esteri Antonio Tajani bruciare tutti sul tempo e annunciare l'ottavo pacchetto di invio di aiuti militari all'Ucraina, disintegrando la strategia di questo Governo, che era quella di agire nel sottotraccia, tant'è che, poi, si è visto, dall'altra parte, un infastidito Ministro della Difesa Crosetto intervenire sulle facilonerie del primo, facendo dichiarazioni molto interessanti, innanzitutto, parlando proprio della situazione e di come si è comportata l'Italia. Ha fatto un po' la fotografia da quando è iniziato questo conflitto fino ad oggi e ha affermato, testualmente, che l'Italia ha fatto tutto ciò che poteva fare.

Una seconda riflessione importante è che il Ministro aggiungeva che lo spazio nel quale noi ci stiamo muovendo oggi non è illimitato, perché non sono illimitate le nostre scorte di armi. Infine, ha fatto un'altra importantissima riflessione - e, poi, spiego perché -, dicendo che, quando inviamo le armi, è arrivato il momento anche di decidere cosa si può inviare e cosa non si può inviare, perché siamo entrati in una fase in cui, in base alle scorte militari di armi che abbiamo, possiamo pregiudicare la nostra potenza difensiva del Paese. Questo è molto importante, Presidente, perché, finalmente, il Ministro Crosetto pone sul tavolo del ragionamento politico la questione della sicurezza nazionale, cosa che il MoVimento 5 Stelle aveva già fatto da tempo, non soltanto il MoVimento Stelle, ma i massimi esperti di strategia militare del nostro Paese, che non mancano. Era una situazione prevedibile, Presidente, perché non è soltanto il Governo, c'è stata anche la complicità di questo Parlamento, che ha agito con una - chiamiamola così - colpevole superficialità. Però, qui non siamo nel campo dell'imprevedibile o di un imprevisto, era tutto prevedibile, era matematico, era scontata come previsione.

Come risolvere questo problema? Come potrebbe risolvere il Ministro Crosetto questo problema? Ha tre soluzioni. La prima: smettendo di inviare armi, ma non credo che questo Governo sia propenso a questa prima soluzione. La seconda: continuare ad inviare armi, sguarnendo, però, le nostre difese militari. Immagino che nessun Governo sano di mente possa decidere di percorrere questa seconda ipotesi. Poi c'è una terza via, che è quella di continuare ad inviare armi a Kiev, ma comprando nuove armi per garantire la difesa nazionale. Vuoi vedere che proprio il Governo o, meglio, proprio quel buontempone del Ministro Crosetto ha scelto questa soluzione? Quel buontempone del Ministro Crosetto, negli anni, ha servito sempre gli interessi dell'industria bellica. Guardando un po' quello che arriva in Commissione difesa e, cioè, il costoso programma di riarmo, potremmo benissimo immaginare che sia andata proprio così e, cioè, che il Governo abbia scelto questa terza soluzione.

Ciò anche perché, poi, dobbiamo parlare di costi, perché anche questo interessa ai cittadini, cioè quanto ci costa questa azione governativa? Potremmo parlare, a titolo di esempio, di 800 milioni previsti per i nuovi sistemi di contraerea che devono sostituire i missili Stinger che abbiamo ceduto all'Ucraina.

Presidente, questo ha generato un dilemma non soltanto nel comparto o nell'aspetto politico, non soltanto dubbi oppure centro di discussione da parte parlamentare.

Oggi, anche le nostre Forze armate si pongono un dilemma, e cioè cedere le armi hi-tech all'Ucraina non è che poi ci espone a un pregiudizio difensivo, cioè del nostro potenziale di difesa? Non è che andiamo a diminuire la forza di difesa del nostro Paese? Presidente, noi ci troviamo molte volte, in maniera anche solenne, a ringraziare i nostri militari, ed è giusto. Noi siamo da quella parte, perché ci rappresentano in maniera degna nel mondo, ma, nel momento in cui noi, da una parte, li ringraziamo sempre, giustamente, ripeto, in maniera solenne, dall'altra parte, poi, devono seguire alle parole i fatti, e non mi sembra che lasciare le nostre Forze armate a secco sia un segnale di patriottismo. A me sembra un segnale di tradimento, con un pizzico anche di ipocrisia, Presidente. È questo proprio il punto.

Tornando poi a noi, cioè al tema di oggi, vorremmo sapere quali sono i costi reali, perché ad oggi abbiamo l'impressione che il Governo ce li nasconda, anche in maniera subdola. Perché subdola? Perché, se dobbiamo pensare, a maggio dell'anno scorso, quando questo Governo buttava in mezzo alla strada milioni di cittadini, ammazzando il reddito di cittadinanza, poi arrivava sempre quella manina notturna che inseriva 14,5 milioni di euro per la produzione di munizioni di medio e grande calibro, perché non potevamo lasciare sguarnite le nostre difese rispetto a quello che abbiamo inviato in Ucraina.

Allora, Presidente, il punto è proprio questo. Il MoVimento 5 Stelle non è che si sveglia oggi, è da tempo che denunciamo le bugie di questo Governo sul reale costo delle forniture di armi in Ucraina. È un'operazione che qualcuno ci ha detto che era a costo zero, quel qualcuno è il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Peccato, però, che poi le bugie hanno sempre le gambe corte e qualcuno inizia a sentire la puzza di bruciato. Quel qualcuno non sono questi malfidati del MoVimento 5 Stelle, bensì sono i tecnici dell'Ufficio parlamentare di bilancio.

Credo che un po' di credibilità queste persone debbano averla, una credibilità oggettiva, al di là delle preferenze o meno politiche. E, come già accaduto un anno fa, oggi come ieri, verrebbe da dire “stessa spiaggia, stesso mare, stesso Ufficio parlamentare”, quegli stessi tecnici dicono “guardate, c'è un problema, poniamo dubbi sulla trasparenza che sta utilizzando questo Governo rispetto ai costi reali di questa operazione”, e cioè sul finanziamento zero, così come paventato dalla Meloni, con riferimento a questa operazione, rispetto non soltanto alla logistica - la preparazione, la procedura di invio delle armi, perché anche lì ci sono voci molto importanti di costi -, ma anche e soprattutto al ripianamento proprio delle scorte dei materiali che abbiamo esaurito perché li abbiamo ceduti all'Ucraina.

Ora, Presidente, leggo testualmente il Kiel Institute, che fa un calcolo, e cioè è di circa 700 milioni di euro il valore degli invii bilaterali di armi a Kiev effettuati finora, ai quali, stando agli stanziamenti annuali previsti in manovra, vanno aggiunti almeno altri 500 milioni versati in 2 anni da Roma all'European Peace Facility, che finanzia le forniture europee. Siamo oltre il miliardo di euro, cifra di cui lo stesso Ministro Tajani già parlava un anno fa. Noi ci poniamo delle domande, a questo punto, Presidente, cioè perché questo Governo continua a mentire agli italiani sui costi reali dell'invio delle armi a Kiev?

Perché Meloni, Crosetto e Tajani non hanno il coraggio di dire quanto veramente stiamo spendendo per continuare ad alimentare questa guerra? È arrivato il momento di fare una scelta, e lo diciamo a tutte le forze parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione. Oggi bisogna decidere, oggi chi vuole veramente la pace e il bene degli ucraini non soltanto a parole, ma anche con i fatti, deve uscire fuori, deve scegliere. Oggi bisogna scegliere di non alimentare per il terzo anno consecutivo questa guerra inutile e sanguinosa. L'unica scelta che questo Parlamento può fare di buonsenso, usando il criterio della logica e della ragionevolezza, è quella di chiedere in maniera forte un cessate il fuoco, perché solo da lì si può partire verso il processo di pace, per raggiungere la pace attraverso i negoziati.

Presidente, concludo, il nostro appello è: uniamoci per gridare fortemente cessate il fuoco, iniziamo con i negoziati di pace in maniera seria, perché non è facile arrivarci, bisogna costruirli ed è un percorso difficile. Fermiamo l'invio delle armi, fermiamo le armi, fermiamo la guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. L'articolo 1 del decreto-legge in esame proroga fino al 31 dicembre 2024 l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, prevista dall'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28. Il 19 dicembre 2023 il Ministro della Difesa è stato audito dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica sui contenuti del cosiddetto VIII pacchetto di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all'Ucraina. Questo VIII pacchetto giunge 7 mesi dopo il VII, ovvero il decreto del Ministro della Difesa del 23 maggio 2023. I decreti ministeriali hanno tutti un medesimo contenuto: i mezzi, i materiali e gli equipaggiamenti militari, di cui si autorizza la cessione, sono elencati in un allegato elaborato dallo Stato maggiore della Difesa, che è però classificato, quindi non disponibile. Lo Stato maggiore della Difesa viene anche autorizzato ad adottare le procedure più rapide per assicurare la tempestiva consegna di mezzi, materiali ed equipaggiamenti. Per questa ragione, fatte salve le informazioni che escono sui media, non sappiamo quali armi e mezzi siano stati inviati fino ad ora in Ucraina, a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei. La secretazione del documento allegato ai decreti interministeriali si basa su una delle classifiche di segretezza previste dall'articolo 42 della legge n. 124 del 2007, sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto, e non vi è mai stata apposizione del segreto di Stato. È per questo che noi abbiamo chiesto con un emendamento di non applicare le disposizioni della legge n. 124 del 2007 su questi documenti e renderli finalmente integralmente pubblici.

Dobbiamo parlare di armi oggi: parliamone e cerchiamo di farlo in modo non ideologico. Lunedì scorso l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri, nel corso di una visita ufficiale a Varsavia, ha dichiarato: “Non solo dobbiamo sostenere l'Ucraina per tutto il tempo necessario, ma per qualsiasi cosa necessaria. Non è solo una questione di tempo: è una questione di quantità e qualità delle nostre forniture. Il modo più rapido, economico ed efficace per aumentare la nostra fornitura all'Ucraina è smettere di esportare verso Paesi terzi”.

L'Unione europea, a marzo 2023, ha approvato un piano da 2 miliardi di euro per incrementare le forniture di munizioni all'Ucraina, impegnandosi a inviare 1 milione di proiettili da 155 millimetri entro 12 mesi, ma alla fine del 2023, come sa bene il Ministro Crosetto, ne erano stati forniti solo 330.000 ed entro la fine di marzo si arriverà forse solo a 520.000. Borrell è convinto che la capacità produttiva dell'industria bellica degli Stati europei sia assolutamente in grado di fornire le munizioni necessarie all'Ucraina purché si interrompano, appunto, le esportazioni di armi verso Paesi terzi.

Parliamo di aziende che producono, tra l'altro, i famosi proiettili da 155 millimetri indispensabili, pare, per la controffensiva ucraina. Si tratta di 11 Stati europei: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Grecia, Polonia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Italia. Sottosegretario, ma secondo lei, che di questa materia dovrebbe essere esperto, così come lo è sicuramente il Ministro Crosetto, si potranno ricontrattare le condizioni, i tempi di consegna e quant'altro rispetto a forniture dirette a Paesi come quelli del Golfo? Abbiamo presente quanto incandescente sia lo scenario geopolitico in Medio Oriente e non solo? Borrell, dopo aver visto cadere il suo piano di 20 miliardi di euro, ha puntato all'aumento di 5 miliardi di euro del Fondo European Peace Facility, destinato alle missioni militari all'estero. A noi sembra di assistere a una rincorsa affannosa alle armi senza mai arrivare all'obiettivo. L'impotenza della politica, che si misura esclusivamente in termini di crescita di potenza militare, è sotto i nostri occhi, eppure si continua ciecamente in questa via, incuranti delle catastrofi incombenti. In un contesto di crescente stanchezza internazionale per il protrarsi del conflitto e di relativa paralisi dei nuovi finanziamenti per Kiev, le Forze armate ucraine, sempre più esauste, sembrano concentrarsi più sulla difesa delle proprie posizioni che sulla riconquista di territori in mano alla Russia. Al momento il Cremlino controlla circa un quinto del suolo dell'Ucraina, compresa la Crimea e ampie zone del Sud-est e la regione di Cherson. Secondo un recentissimo rapporto - del dicembre 2023 - dell'intelligence statunitense, riportato da Reuters, fino al 12 dicembre 2023 sarebbero 315.000 i soldati russi uccisi e feriti nei combattimenti. Il Governo ucraino non rilascia il bilancio delle vittime, ma Washington ha riferito, nell'agosto 2023, che il numero dei morti tra i combattenti ucraini si sarebbe aggirato probabilmente attorno alle 70.000 unità e secondo le stime delle Nazioni Unite i morti civili sarebbero 10.000. L'Ucraina ha subito un vero e proprio trauma nella sua struttura demografica e anche di questo dobbiamo tenere attento conto. Alla diminuzione di popolazione, dovuta all'emigrazione e al calo delle nascite, si è aggiunto l'esodo di circa 8 milioni di persone, soprattutto donne e bambini. Il tasso di fecondità per il 2023 è caduto allo 0,55, al di sotto dello 0,7 della Corea del Sud, che detiene il record mondiale.

Dei 51.500.000 abitanti del 1989, quando l'Ucraina ha acquisito la propria indipendenza, sarebbero solo 31.100.000 quelli attuali. Secondo fonti Eurostat, 4 milioni di ucraine e ucraini sotto protezione temporanea hanno acquistato la cittadinanza europea. Tra i rifugiati poi alta è la percentuale di coloro che hanno un titolo di studio universitario. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, il sistema sanitario e sociosanitario in Ucraina è al collasso e la salute psicofisica della popolazione è a forte rischio: un terzo manifesta segni di stress acuto, depressione e uso di sostanze. Se la guerra dovesse finire tra un anno, oltre alle enormi risorse necessarie per la ricostruzione si presenterebbe un drammatico problema di manodopera, compresa quella qualificata e molto qualificata, a causa della diminuzione della popolazione in età lavorativa e rispetto alle altre coorti.

Nel luglio 2023 il Parlamento ha effettuato un focus sui danni ambientali della guerra, che ammonterebbero a ben 52,4 miliardi di euro. Ci sono 2.317 segnalazioni verificate di azioni militari con un effetto ambientale diretto: inquinamento di habitat, acqua, suolo e aria. I bombardamenti dei siti industriali hanno provocato contaminazioni paurose. Ogni esplosione produce gas, polvere, incendi e deforestazioni, per non parlare delle emissioni di CO2 dalle attrezzature militari, che sono altissime. Parte importante dei seminativi saranno inutilizzabili per anni. A causa della guerra in corso l'Ucraina è uno dei Paesi al mondo più contaminati dalle mine. La missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha confermato che le mine e altri ordigni esplosivi hanno causato ben 116 vittime tra i bambini tra il 24 febbraio 2022 e il 19 novembre 2023.

Ma andiamo a Putin. In vista delle elezioni presidenziali, che si terranno a marzo 2024, Putin insiste su una propaganda insistente, appunto, volta a minare l'idea che Mosca sia isolata a livello internazionale e le posizioni statunitensi - dove pure si avvicinano le elezioni - sulla guerra e sul supporto a Kiev non fanno che dare adito a questa linea. Gli americani sono sempre più divisi sulla guerra e molti parlamentari repubblicani si oppongono in modo attivo a maggiori aiuti. Anche se il Congresso approverà ulteriori aiuti militari per il 24, come pare in seguito ad un accordo bipartisan degli ultimi giorni, questo potrebbe essere l'ultimo stanziamento significativo che Kiev riceverà da Washington. Il mantra sul sostegno all'Ucraina per tutto il tempo necessario si sta trasformando in finché si potrà. Ora che persino Zelensky ammette che i risultati della controffensiva ucraina sono stati deludenti, è più lecito che mai chiedersi se i tempi siano finalmente maturi per negoziare una via d'uscita dal conflitto, che ormai dura da ben due anni. Purtroppo, l'azione di questo Governo si sta limitando solo alle forniture militari. Non c'è traccia di alcuna reale azione diplomatica, di un lavoro per il cessate il fuoco e di un impegno concreto nel trovare una soluzione diversa dalla logica vincitori e vinti.

A maggior ragione, dato il rischio di disinteresse che nei prossimi mesi potrebbe concretizzarsi negli USA nei confronti dell'Ucraina, è proprio ora che l'Unione europea e i suoi Governi nazionali dovrebbero mettere in piedi una nuova strategia. Senza un'immediata iniziativa di pace questa guerra proseguirà purtroppo a lungo e sempre più sanguinosa. È indispensabile farsi carico perciò di uno sforzo negoziale e diplomatico nella consapevolezza della difficoltà e della fatica del percorso, ma ancor più del fatto che questo rappresenti l'unica strada possibile per la fine della guerra, per interrompere ulteriori escalation e allargamenti del conflitto: Quindi, un'immediata iniziativa diplomatica si rende ancora più necessaria per allontanare scenari drammatici per la sicurezza globale in considerazione anche del riesplodere della crisi in Medio Oriente a seguito degli attacchi terroristici multipli e indiscriminati di Hamas in Israele del 7 ottobre e della reazione di Israele che ha travalicato i limiti del diritto internazionale umanitario. La fornitura di mezzi e materiali d'armamento all'Ucraina era stata considerata come uno strumento volto a consentire la determinazione - lo abbiamo sentito anche oggi - di migliori condizioni negoziali. Essa si è rivelata però del tutto insufficiente rispetto a questa ambizione ed è stata persino controproducente, contribuendo invece ad indebolire il ruolo dell'Unione Europea, nella ricerca di una soluzione al conflitto. L'Europa politica, priva di quella difesa comune che era stata sognata a Ventotene, dovrebbe e potrebbe fare la differenza nella costruzione della pace, anche attraverso l'istituzione di un corpo civile di pace europeo, che riunisca le competenze degli attori istituzionali e non istituzionali in materia di prevenzione dei conflitti, risoluzione e riconciliazione pacifica dei medesimi.

Presidente, il nostro gruppo Alleanza Verdi e Sinistra sarà l'unico, credo, a votare contro questo provvedimento, l'unica voce che si leva, con lucidità e coerenza, a difesa dell'articolo 11 della nostra sacra Costituzione e della ragione della vita contro quelle della morte. Come ebbe a dire Papa Francesco, ripeto le sue parole, la pace è sempre possibile, a patto di non rassegnarsi alla violenza della guerra e non dimentichiamo che la guerra è sempre, sempre, sempre una sconfitta. Soltanto guadagnano i fabbricatori di armi (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA (MISTO-+EUROPA). Signor Presidente, io approfitto della sua presenza e, in un momento in cui mi esprimo, a nome di +Europa, a favore di questo provvedimento e quindi a favore del Governo, signor Presidente Fontana, però per dire, a lei e al Governo, che ci vuole più rispetto per il Parlamento. Lei non è responsabile, signor Sottosegretario, ma nel pomeriggio, neanche mezz'ora prima dell'inizio della riunione della Commissione esteri, dove erano previste interrogazioni, il Governo ci ha comunicato che non ci sarebbe stato nessun suo rappresentante. Ora a me è capitato per numerosi anni di fare il sottosegretario, proprio agli esteri, non mi ricordo che sia mai successo che abbiamo avvisato la Camera mezz'ora prima dicendo ci spiace abbiamo altro da fare. Lo dico a lei Presidente, non so se ne era al corrente, però io credo che serva anche su questo un richiamo forte. Era già successo che non ci fosse il Governo durante la discussione dei provvedimenti in Commissione esteri, ma che ti avvisino mezz'ora prima dicendo scusate non possiamo, adesso non so cosa abbiano detto.

Sta di fatto, che la riunione con le interrogazioni è stata sconvocata e io ritengo che sia un ulteriore grave episodio di mancanza di attenzione e di rispetto nei confronti del Parlamento. Venendo al provvedimento, sono state dette tante cose, non voglio ripetere cose già dette, però voglio partire da una bella intervista - non sono un fan della RAI in questo periodo - che il direttore Chiocci del TG1 ha fatto a Zelensky pochi giorni fa, un'intervista fatta bene, seria e molto intensa. Vorrei partire dalle parole del Presidente Zelensky perché noi abbiamo sentito parlare, anche casualmente - anche dalla Primo Ministro, Meloni - della fatica - della fatigue - della guerra in Europa e nel mondo occidentale. Zelensky in quell'intervista spiegava la situazione, credo con il rigore dello statista quale, suo malgrado, tutto sommato ha dovuto diventare, e con la passione per la sua terra, il suo popolo e le sue istituzioni democratiche e anche col dolore di chi si è trovato, inopinatamente, immotivatamente, a guidare un Paese sotto aggressione pesante e sotto i missili che continuano a bombardare obiettivi civili in Ucraina anche in questi giorni. Sullo stato dell'arte, diceva Zelensky, sul terreno c'è uno stallo, è un dato di fatto. Ci sono stati ritardi negli equipaggiamenti e i ritardi significano errori. Combattiamo contro terroristi che hanno uno dei più grandi eserciti del mondo. Non bastano le munizioni, ma servono mezzi tecnici moderni. Questa è la domanda. Io ho sentito anche i colleghi critici, cosa gli rispondiamo a Zelensky, Presidente regolarmente eletto in un'oasi di democrazia, difficoltosa e imperfetta, che si spinge verso l'autocrate regime russo? A distanza di due anni è importante, dice Zelensky, che siamo riusciti a difendere il nostro Stato: circa il 26 per cento del territorio è ancora sotto occupazione. L'Ucraina oggi è diversa, è più vicina all'Europa: 50 miliardi di euro sono un aiuto molto importante, vorrei ringraziare tutti. Senza, la difesa sarebbe impossibile, senza questi soldi possiamo perdere ciò che abbiamo. La Russia non si fermerà e dobbiamo renderci conto di tutto questo. Poi Zelensky dice, certo, concordiamo con il popolo italiano sulla necessità di arrivare a un processo di pace, però bisogna che tutti capiscano qual è la situazione.

È ovvio che Zelensky è la prima persona e che il Governo, le istituzioni ucraine siano i primi ad avere l'interesse alla pace. Ma Zelensky ci ricorda che l'obiettivo principale di Putin è privarci dell'indipendenza, rendere l'Ucraina parte del suo impero. Ed io su questo, Presidente, lei che ha esperienza e sensibilità sui temi internazionali, ricordo che noi - non voglio divagare - ci stiamo dimenticando, ad esempio, di quello che è accaduto in questi due anni in Bielorussia. Siamo passati da una speranza, da una prospettiva e anche dall'illusione di molti oppositori di Lukašenka, dall'illusione di una Bielorussia che potesse emanciparsi dall'autocrazia di Lukašenka, che potesse guardare a elezioni libere ed eque, e poi invece abbiamo assistito, inermi e inerti, al precipitare della Bielorussia nel buco nero del regime putiniano. Ormai la Bielorussia è un protettorato. Putin ha imposto una modifica della Costituzione successiva al 24 febbraio del 2022 che ha portato - altro che la NATO che si espande verso Est - alla cancellazione della previsione costituzionale, in Bielorussia, della denuclearizzazione del Paese. Oggi, la Bielorussia è un posto dove Putin può mettere e probabilmente avrà già messo gli ordigni nucleari, certamente con una direzione e un obiettivo, ma tornerò sulla Bielorussia.

Zelensky, poi, diceva in questa intervista - chi vuole andare su RaiPlay, la può ascoltare -: siamo già assuefatti, la gente si abitua alla guerra, ci si è abituati al fatto che migliaia di bambini ucraini siano stati deportati - ricordo che alla Corte penale internazionale de L'Aja Putin è imputato per questo specifico crimine, oltre che per altri: la deportazione dei bambini -, ma quando la guerra arriva a casa tua è impossibile abituarsi, e inammissibile, altrimenti hai perso, hai perso la guerra, hai perso te stesso, hai perso la casa, hai perso la famiglia e lo stesso discorso vale per l'Europa - dice Zelensky - la guerra può arrivare da voi, perché abbiamo a che fare con Putin e quando la guerra arriverà nessuno sarà pronto.

È uscito nelle settimane scorse, ha fatto notizia, poi è stato in parte ridimensionato, un rapporto delle autorità militari tedesche che prevedevano la possibilità che già nel 2024, attraverso un'iniziale guerra ibrida, Putin arrivasse alla guerra in Europa, perché i Paesi baltici sono un pezzo dell'Unione europea, oltre che della NATO, per cercare di alzare lo scontro con la NATO.

Io credo che queste parole vadano ascoltate. Qui, il punto non è di essere militaristi da una parte e non militaristi dall'altra. Io ho ascoltato le parole riprese da Papa Francesco; che la guerra sia una sconfitta è un'affermazione assolutamente condivisibile, ma non aiutare gli ucraini non sarebbe la fine della guerra, sarebbe probabilmente il presupposto per altre guerre d'invasione da parte di Putin. Lei mi chiede - dice Zelensky - cosa dire a chi la pensa diversamente, penso di dire soltanto questa cosa: a cosa serve rischiare e credere che Putin sia diverso da come lo descrivo io e che la strategia della Russia sia diversa da come sostiene l'Ucraina? A chi dice che non è detto che verrà, a cosa serve rischiare, dico che se non è detto che verrà, non è detto che non verrà. E credo che in queste parole ci sia il senso drammatico della decisione che noi dobbiamo prendere e come +Europa siamo al fianco del Governo sulla continuità nell'impostazione che il Governo Draghi diede di sostegno all'Ucraina.

A questo proposito, voglio riprendere un tema che - lo ricordo al Sottosegretario - abbiamo inserito in una risoluzione comune con Azione, Italia Viva e +Europa, in occasione delle comunicazioni del Ministro Crosetto, risoluzione che aveva il consenso del Governo e che è stata approvata a larghissima maggioranza; mi riferisco al tema del finanziamento, del sostegno all'Ucraina e al tema della confisca delle riserve, in particolare delle riserve monetarie russe, nei Paesi del G7. Questo è un tema, signor Sottosegretario, che io mi auguro che l'Italia possa portare al G7, quello cioè di utilizzare le riserve monetarie, sono, grosso modo, 300 miliardi, nemmeno sufficienti per le previsioni di ricostruzione. Io so che questo è un tema non scontato, registro che Biden, negli Stati Uniti, ha rotto il tabù, perché una delle preoccupazioni europee è sempre stata fin dall'inizio, anche per ragioni legate alle valute, alle monete, ai possibili movimenti delle riserve in generale, che bisogna farlo in modo bilanciato, perché altrimenti sarebbe un rischio per l'euro, che è una moneta forte, e siamo contenti che lo sia, ma non è la moneta di riserva, non è il dollaro.

Ora Biden, anche per sfidare o superare il veto miope al rifinanziamento, e tutto rivolto alla campagna elettorale che i Repubblicani al Congresso stanno facendo, cercando di scambiarlo in particolare con le normative sull'immigrazione - e sarebbe drammatico se da parte americana mancasse il finanziamento: i 50 miliardi europei sono stati una scelta importante, che si è riusciti a fare, superando il veto cinico, minacciato dall'autocrate non liberale Orban, che pure sta nell'Unione europea e non so in quale partito europeo finirà -, però, ha rotto gli indugi; quantomeno, ha squadernato il tema sui tavoli delle Cancellerie e questo tema deve essere messo sul G7, a mio avviso, e anche sui tavoli europei. Mi auguro che l'Italia sia protagonista anche di questo, anche se le riserve presenti in Italia dovrebbero aggirarsi sui 2,5 miliardi.

Le remore che c'erano da parte della Banca centrale europea vanno affrontate e prese sul serio, ma possono essere superate. La decisione di confiscare i beni dello Stato russo congelati all'estero, per destinarli alla ricostruzione dell'Ucraina, non è più rinviabile.

Ci sono profili giuridici, ma c'è un profilo giuridico che riguarda anche la confisca di diritto e di fatto, di impianti e di sussidiarie di grandi aziende occidentali, come Danone, Carlsberg, Exxon, ExxonMobil, Lamedia, JSI, Fortum; sono 103 miliardi di dollari secondo The New York Times gli asset sequestrati e confiscati, gli asset occidentali, scusatemi la semplificazione, confiscati da Putin. L'idea si basa su una dottrina ricompresa nel diritto internazionale, quella delle contromisure: se attuata come risposta a un comportamento illecito altrui, uno Stato leso può avviare una controazione a condizione che sia di carattere pacifico, che osservi il criterio di proporzionalità e rispetti lo ius cogens a tutela dei valori fondamentali. Le contromisure spettano allo Stato che ha subìto le lesioni, ma nel tempo si è affermata una prassi, anche se non condivisa ancora al 100 per cento dai giuristi internazionalisti, sull'esercizio di contromisure da parte dei soggetti terzi, quando gli obblighi violati sono di natura erga omnes, come hanno spiegato benissimo - hanno visitato anche questa Camera, ho avuto modo di incontrarle, anche insieme al presidente Tremonti della Commissione - Olena Halushka e Hanna Hopko, che sono promotrici dell'International Center for Ukrainian victory che si occupa di sensibilizzare a questa mossa.

Certo, c'è da fare la mappatura di questi beni, c'è la proposta della Commissione di investirli e in qualche modo di utilizzare da parte della Commissione europea o i profitti degli investimenti o i proventi di chi detiene queste attività, ma è una soluzione minimalista, quella di usare i proventi di questi fondi. E prima acceleriamo sul fronte delle risorse meglio è, make Russia pay, facciamo che siano i russi a pagare per quello che serve nel sostegno all'Ucraina. Io non ho molto da aggiungere.

In questo capitolo farei ricomprendere anche il sostegno alla resistenza bielorussa all'estero, perché anche i fondi bielorussi sequestrati, non credo che possiamo restituirli a Lukashenko. Io credo che, oggi, andrebbero utilizzati per sostenere chi si oppone a che la Bielorussia diventi un protettorato, com'è, definitivamente, putiniano nel cuore geografico dell'Europa. Su questo, si dice troppo poco; è un dato di fatto, lo ripeto, è un dato di fatto, non ci siamo riusciti, perché era un'altra condizione, ma credo che dobbiamo continuare a difendere l'Europa, difendendo l'Ucraina.

Non è retorica, nessuno auspica che la guerra duri e sia sanguinosa, ma abbiamo il dovere etico e politico, da italiani e da europei, di rispondere alle parole del Presidente Zelensky, pronunciate con passione, ma con simpatia, senza alcuna iattanza; rispondere alla necessità di continuare ad aiutare l'Ucraina a difendersi, perché questo significa difendere l'Europa e creare così l'unica condizione per una pace sostenibile. Non c'è nessuna pace sostenibile nella vittoria del colonialismo imperiale di Putin. Non c'è nessuna pace sostenibile per l'Europa senza un ridimensionamento di Putin in Europa e, magari, anche in Africa, ma ne parliamo un'altra volta. Quindi, daremo, come +Europa, il sostegno a questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-+Europa, Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe e Italia Viva-il Centro-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Monte. Ne ha facoltà.

ISABELLA DE MONTE (IV-C-RE). Grazie, Presidente. Sottosegretario, colleghi e colleghe, credo che il diritto di libertà debba appartenere a tutti i popoli. Credo che tutti i popoli abbiano il diritto, ma anche il dovere e la responsabilità di cercare la propria libertà, qualora questa venga perduta. Signor Presidente, lo diceva poco fa anche il collega Della Vedova, è vero, rischiamo concretamente di assuefarci a queste notizie, purtroppo, di uccisione, non solo dei militari, ma anche dei civili ucraini. E, in realtà, tutto questo - lo sappiamo bene - non deve accadere, non dobbiamo assolutamente assuefarci. Dobbiamo combattere, in realtà, affinché tutto questo possa terminare, perché ogni vita persa è una responsabilità di tutti noi e di tutti coloro che devono difendere la libertà, perché difendere la libertà significa difendere la vita.

E poi, la solidarietà. Questo è un principio europeo, la solidarietà tra i popoli. Però non può essere un concetto astratto, doveva essere un concetto assolutamente concreto. E questa concretezza dev'essere espressa attraverso gli strumenti. Oggi, questi strumenti - lo dobbiamo dire - sono le armi che devono essere utilizzate, strumenti che consentano al popolo ucraino di difendere la propria terra e la propria vita, ma anche di pensare un domani, speriamo prossimo, di avviare di nuovo una vita normale. Mi rendo conto che questo argomento è davvero futuristico in questo momento, ma sappiamo bene che una delle offese peggiori che sono state fatte da parte della Russia è anche la distruzione di buona parte del patrimonio culturale, perché questa volontà è ben precisa, cioè distruggere l'identità di un Paese. E quindi, noi, come Italia, avendo, peraltro, un grande patrimonio culturale, siamo già in campo e lo saremo anche per questa prospettiva, che speriamo non sia troppo lontana nel tempo.

Ma dobbiamo anche dirci altrettanto schiettamente che, invece, non supportare l'Ucraina non solo significa non rispettare la libertà di un altro popolo, ma significa, concretamente, purtroppo, consegnare l'Ucraina alla Russia. E a chi dice che l'invasione russa non ci deve riguardare, dobbiamo dire che è importante, invece, ricordare che l'Ucraina sta difendendo anche i confini dell'Unione europea. Altri colleghi l'hanno detto, ma credo sia importante ricordare il rischio concreto - certamente ancora attuale, se ne parlò all'inizio, purtroppo, dell'invasione russa nei confronti dell'Ucraina - che riguarda anche i Paesi baltici. Quindi, anche in questo senso, dobbiamo essere attenti e non possiamo considerare esaurito il rischio solamente nel fatto che ci sia questa guerra in corso.

E poi, se questo non è avvenuto, dobbiamo riconoscerlo, è perché vi è stata una forte azione comune da parte dell'Unione europea: c'è stata, ad esempio, per il regime delle sanzioni; c'è stata anche per il regolamento sulle munizioni. E la questione della compattezza è importante anche nel sostenere la prospettiva dell'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea. Con riferimento a questo, però, non c'è stato un senso di unità, che oggi, sì, abbiamo recuperato, ma che ha avuto un passaggio problematico. Infatti, sappiamo bene che, nel Consiglio europeo di dicembre, in realtà, questa unanimità non è stata espressa, perché vi è stato un veto, sia pure improprio, ma comunque in quel consesso l'Ungheria non si è espressa immediatamente a favore. Fortunatamente, questo passaggio, comunque, è stato risolto la settimana scorsa, nel Consiglio straordinario, con l'avvio e il riconoscimento di questi fondi straordinari proprio per sostenere l'Ucraina nella sua guerra. E, ovviamente, questo è un segnale non soltanto finanziario, ma anche - lo dobbiamo riconoscere - politico.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA (ore 18,10)

ISABELLA DE MONTE (IV-C-RE). Però, comunque, c'è ancora qualcuno, anche in quest'Aula, che professa un teorico pacifismo. Ma, Presidente, siamo tutti pacifisti, ci mancherebbe altro, guai se non fosse così. Però, un conto è essere pacifisti e un conto è pretendere, invece, l'assenza delle armi, perché questo significa solamente riconoscere la legge del più forte, significa sostanzialmente dire che chi usurpa ha ragione, significa dire che i crimini di guerra non significano niente. Per me questo non è essere pacifisti, significa un po' abdicare a quel senso di responsabilità, che, invece, noi tutti dobbiamo avere soprattutto quando parliamo di un contesto europeo. E anche in modo molto realistico dobbiamo dirci, però, che questo pacifismo, cioè l'assenza della guerra, invece, è una prospettiva che, magari, non abbiamo nel breve termine. Questo dobbiamo dirlo. E purtroppo i rischi geopolitici si sono anche moltiplicati, se pensiamo alla situazione in Medio Oriente, ma anche alla situazione che si è creata nel Mar Rosso, dove oltretutto vi è un danno anche di carattere commerciale ed economico, perché le navi, per evitare questi rischi, devono circumnavigare l'Africa, se non ritengano di affrontare, appunto, il rischio, con un aumento dei costi e, addirittura, in alcuni casi, trovandosi del tutto fuori luogo e fuori dal tempo consentito per il trasporto di alcune merci che sono naturalmente deperibili. Per cui, dobbiamo tener presente che è giusto e doveroso - quando riteniamo che ci siano questi soprusi e questi attacchi - esserci e dare una risposta come Paese. E lo dobbiamo anche come Paese che ha conosciuto sulla propria pelle la sofferenza delle guerre e che, quindi, non può assolutamente permettersi di girarsi dall'altra parte.

Aggiungo anche un altro aspetto, visto che parliamo di Medio Oriente, e cioè che i droni che Putin utilizza per attaccare l'Ucraina sono forniti dall'Iran, lo Stato etico! Lo Stato etico che, oltre a violare costantemente i diritti fondamentali del popolo, interviene anche nei confronti della guerra che esiste oggi per l'attacco di Hamas nei confronti di Israele, intervenendo di conseguenza anche nel supporto agli Houthi, che stanno minacciando i trasporti nel Mar Rosso. E ne stiamo, purtroppo, vedendo gli effetti, come dicevo, perché il trasporto è diventato, per l'appunto, impraticabile. Quindi abbiamo una situazione, obiettivamente, dal punto di vista geopolitico, molto complicata. Per quello io credo che oggi dobbiamo assolutamente rappresentare un senso di unità, anche parlamentare, cioè dobbiamo dare un segnale al Governo nella sua azione. Noi, come forza politica, abbiamo dimostrato in più occasioni che, quando ci sono dei provvedimenti che devono essere supportati e che noi vogliamo supportare, abbiamo espresso anche un voto favorevole. Non l'abbiamo fatto, magari, in contesti economici, perché riteniamo che il Governo non abbia agito nel modo in cui doveva agire, anche con una prospettiva, magari, più lunga nel tempo, per dare le risposte economico-finanziarie che il Paese si attende. Però, in questo caso, soprattutto quando noi parliamo di politica estera, io credo che noi dobbiamo esprimerci in modo coerente con quanto prevede la nostra Costituzione. E la nostra Costituzione prevede esattamente questo, cioè diritti e libertà fondamentali, quei diritti e quelle libertà che oggi sono negati al popolo ucraino. E poi credo che dobbiamo dare un segnale di forza. E in questo senso noi dobbiamo essere di supporto al Paese, proprio alla Presidenza del Consiglio, al Ministro degli Affari esteri, al Ministro della Difesa, affinché, anche nei contesti internazionali, ci possa essere quella forza e quella determinazione che ci deve essere come Paese che ha alle spalle il proprio Parlamento. Chi pensa di fare qualche cosa di diverso, nel senso di far male al Governo, io credo che faccia male al Paese, perché, in realtà, noi abbiamo bisogno di essere rappresentati nei contesti internazionali nel modo più appropriato.

Concludo con una osservazione che riguarda il tema della difesa, perché il Governo, in alcune occasioni, si è espresso a favore di avere un coordinamento a livello di Esercito, ma non nel senso di pensare ad una prospettiva più forte.

Ecco, io invito, Presidente, tramite lei, il Governo a riflettere, in realtà, su questo aspetto, perché non abbiamo certamente, come detto, una situazione geopolitica tranquilla, ma dobbiamo anche pensare che un'organizzazione a livello europeo ci debba essere anche in questo senso. Più volte credo che siano stati anche manifestati degli studi a proposito della convenienza di avere non solo un coordinamento, ma anche degli eserciti comuni. Mi rendo conto che questo è un momento particolare per parlarne, anche perché stiamo andando verso le elezioni europee, ma, al tempo stesso, dobbiamo tener presente che, a livello di Parlamento europeo, è stata espressa una risoluzione molto determinata e molto forte anche a proposito delle riforme istituzionali che si dovranno attuare nei prossimi anni. Di questo dobbiamo tener conto, anche in maniera parallela, rispetto all'ipotesi di allargamento ulteriore dell'Unione europea. Allora, dobbiamo fare le riforme istituzionali ma pensare anche a quali politiche debbano essere integrate e rafforzate al livello europeo. Ebbene, penso che queste politiche debbano riguardare innanzitutto la politica estera che oggi è chiaramente e largamente in capo agli Stati membri e occorre pensare anche seriamente ad una politica della difesa. Credo che, se procediamo fiduciosi verso questa direzione, allora, come Paese, saremo ancora più compatti. Concludo ribadendo il voto favorevole al provvedimento in discussione (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maiorano. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MAIORANO (FDI). Grazie, Presidente. Signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame, avente ad oggetto la proroga, fino al 31 dicembre 2024, dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore dell'Ucraina, rappresenta la volontà del nostro Paese di continuare a sostenere in ogni ambito le autorità, ma, soprattutto, la popolazione ucraina nella sua difesa contro l'invasione russa.

Questo decreto, già approvato al Senato, è composto di due soli articoli. Nell'articolo 1 si prevede appunto la proroga fino al 31 dicembre 2024 dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali e equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, ai sensi dall'articolo 2-bis del decreto-legge del 25 febbraio 2022, n. 14. L'autorizzazione è concessa nei termini e con le modalità stabiliti nella normativa richiamata e previo il necessario atto di indirizzo delle Camere. A tal proposito, si ricorda che l'articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 2022 autorizza, previo atto di indirizzo delle Camere, la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine in deroga alla legge n. 185 del 9 luglio 1990, agli articoli 310 e 311 del Codice dell'ordinamento militare e alle connesse disposizioni attuative.

L'autorizzazione alla cessione, come tutti sappiamo, era stata già prorogata fino al dicembre 2023 dal decreto-legge n. 185 del 2022, convertito dalla legge n. 8 del 23 gennaio 2023. L'elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, oggetto della cessione, nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile, sono definiti con uno o più decreti del Ministro della Difesa, adottati di concerto con i Ministri degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Economia e delle finanze, i quali, con cadenza trimestrale, riferiscono alle Camere sull'evoluzione della situazione in atto. Facendo riferimento alle cessioni in oggetto sono stati, finora, emanati otto decreti ministeriali: l'ultimo del 19 dicembre 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre successivo. I mezzi, i materiali e gli equipaggiamenti militari, di cui si autorizza la cessione, sono elencati in un allegato cosiddetto classificato, elaborato dallo Stato maggiore della Difesa, che adotta le procedure più rapide per assicurarne la tempestiva consegna.

Per ogni decreto-legge in questione e per ogni pacchetto, così come previsto, il Ministro della Difesa è stato ovviamente audito presso il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir. Così come si legge nella relazione tecnica dalla cessione di armi non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e i mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministro della Difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.

La proroga, che oggi andiamo a esaminare e successivamente a votare, rappresenta un passo fondamentale per il Parlamento che dovrebbe sostenere con compattezza, consapevolezza e, soprattutto, con convinzione.

Questa proroga, signor Presidente, va autorizzata non per gloria, non con piacere, ma per dovere e consapevolezza di fare la scelta giusta. Abbiamo il dovere di rimanere responsabili davanti agli impegni assunti nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica. Questa proroga va deliberata per raggiungere l'obiettivo di affrontare e risolvere la crisi internazionale attualmente ancora in atto in Ucraina, crisi che, come tutti purtroppo sappiamo, influenza, in maniera concreta, i vari equilibri geopolitici, minando, allo stesso tempo, la nostra stabilità internazionale.

Il conflitto impone all'Italia una scelta di coerenza, una scelta di serietà, una scelta responsabile, una scelta che si traduce necessariamente con il nostro sostegno a Kiev, in linea con gli impegni assunti in sede internazionale. Il nostro sostegno non può cessare, il nostro aiuto deve proseguire con l'invio di armi per aiutare il popolo ucraino a difendersi e a combattere per la propria libertà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), a difendersi, mai per attaccare.

Il nostro aiuto è giusto e doveroso, così come la nostra solidarietà e vicinanza verso un popolo che sogna e merita una vita dignitosa, senza più guerra, senza più la Russia e i suoi soldati nelle loro abitazioni e nella loro vita.

Come in più occasioni hanno già ribadito sia il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sia il nostro Ministro della Difesa, Guido Crosetto, il nostro sostegno all'Ucraina deve rimanere forte e totalmente inalterato. Anche questo pacchetto di equipaggiamenti e sistemi d'arma sono volti solo e soltanto a rafforzare le capacità difensive dell'Ucraina, mi ripeto: mai per attaccare.

Il nostro concetto cardine deve essere quello che, in questa guerra, c'è un aggressore e un aggredito, un Paese che bombarda, ogni giorno, obiettivi civili e militari, provocando morti e feriti; un Paese che ripetutamente viola le norme del diritto internazionale e della Carta ONU; un Paese che non riconosce la sovranità di un popolo, Stato vicino, e che non rispetta il suo popolo così come non rispetta ogni regola di convivenza civile; un Paese che invade ed un Paese che è costretto a difendersi e che non può e non deve rimanere solo.

La situazione è molto complessa, ma fare ora un passo indietro o fermarsi sarebbe un grande errore strategico e politico. Siamo e saremo al fianco dell'Ucraina e delle sue Forze armate, finché non cesseranno gli attacchi russi.

Sosterremo il popolo e le istituzioni ucraine, allo stesso tempo, rafforzando l'impegno diplomatico e le politiche dell'Unione europea per arrivare ad una giusta e sicura pace. Concludo, Presidente. E' vero, ci piacerebbe essere qui sicuramente per parlare di altro, ci piacerebbe parlare e presentare soluzioni in favore degli italiani, delle fasce più deboli, dei pensionati. Ci piacerebbe parlare di Italia e di italiani, ci piacerebbe, certo, ma, prima del nostro piacere, esistono le responsabilità, esiste la coerenza e, soprattutto, esistono la serietà e la responsabilità di mantenere gli impegni presi in sede internazionale. Ma quello di oggi, Presidente, è, comunque, un modo, forse indiretto, di tutelare i cittadini, perché mantenere coerentemente fede agli impegni presi in ambiti internazionali significa sempre e comunque parlare degli interessi della nostra Nazione e degli italiani e, per tutti questi motivi, si propone all'Assemblea l'approvazione del disegno di legge in esame (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartini. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, vorrei iniziare questo dibattito, questo confronto fra noi, citando una poesia di Eugenio Montale, che chiudeva Ossi di seppia, nel 1925, “Non chiederci la parola”, con la seguente quartina: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Erano tempi cupi, incastrati fra guerre e dittature, una generazione disorientata, non si riconosceva più negli ideali del passato questa generazione. Anche oggi viviamo tempi cupi, fra guerre più vicine, sempre più vicine, ritorno di fantasmi dal passato che si pensavano evaporati, in ambiente sempre più fragile, paura del disastro nucleare, che cancellerebbe tutte le nostre sicurezze e il nostro futuro. Anche noi ci sentiamo spesso disorientati, delusi, ma anche noi possiamo dire, con tutto il fiato che abbiamo nel petto, ciò che non siamo e ciò che non vogliamo: non siamo portatori di morte, non vogliamo la guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Oggi il Governo chiede di prorogare l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti, anche militari, a favore dell'Ucraina. Sono convinto che nessuno di coloro che appoggerà questa autorizzazione accetterà di essere definito un portatore di morte e quasi tutti si diranno contrari alle guerre in genere, per poi, con non così sottili distinguo, affermare che questa sia una guerra necessaria per proteggere la sovranità ucraina, per evitare che un dittatore, Putin, si impossessi di terre non sue e imponga la sua legge ad altri Paesi impauriti. Si disquisirà in maniera, più o meno, tecnicamente ineccepibile su quanto e come la nostra Costituzione permetta l'invio di armi, che, a maggioranza, tutti in questo Parlamento, o quasi tutti, sembrano disposti a finanziarie. Ci si appellerà al fatto che le nostre obiezioni sono obiezioni di una risicata minoranza. Si alluderà di sicuro a come, magari, noi potremmo essere definiti filo-putiniani mascherati.

La giusta guerra, la guerra giusta, che nei fatti viene nutrita da anni, riempiendo gli arsenali con sempre maggiori spese in armamenti, in realtà, è arrivata a un punto critico: senza vincitori sul campo, ma tanti vincitori nelle stanze della politica e degli affari e, fra questi, l'esecrabile dittatore. Forse i filo-putiniani sono coloro che inviano armi. La guerra è da sempre un'opportunità per alcuni, quelli che le sanno scegliere, se non, addirittura, preparare in anticipo. Chi perde sono sempre le persone comuni, quelle che davvero spariscono con i loro ricordi, con i loro affetti, con i loro desideri e sogni sotto le bombe, che continuano a cadere su di loro inarrestabili. Noi siamo dalla loro parte, noi siamo accanto alle vere vittime di ogni guerra, quelli che il poeta romanesco Gioacchino Belli definiva li morti de Roma, pesciolini da frittura, umanità inutile, senza importanza. Noi non siamo con chi considera i morti in guerra come una drammatica necessità, un fenomeno collaterale inevitabile in un contesto più ampio. Noi non vogliamo la guerra, nessuna guerra e non vogliamo essere complici di decisioni che alimentino un pensiero e una prassi bellicisti. Mai e in nessun caso. E votare a favore dell'invio di armi è un gesto di guerra. Non lo pensiamo solo noi. I sentimenti prevalenti della popolazione del mondo occidentale sono di condanna della guerra e di solidarietà verso il popolo ucraino, a cui non vanno fatti mancare gli aiuti umanitari.

In contrasto a questo diffuso sentimento popolare contrario alla guerra, i vari Governi, compreso il nostro, si sono affrettati ad alimentare il conflitto, sostenendo lo sforzo bellico dell'Ucraina con finanziamenti, fornitura di armi e materiali bellici e sanzioni economiche alla Federazione Russa, ma i risultati ottenuti sul campo, Presidente, dopo due anni, sono decisamente fallimentari. Le sanzioni economiche sull'economia russa hanno, addirittura, causato un effetto boomerang sulle economie occidentali, a partire dalla crisi energetica, tuttavia sappiamo bene che esistono soggetti che traggono vantaggi enormi, profitti ed extraprofitti: mi riferisco ai fabbricanti e ai trafficanti di armi, con la loro attività lobbistica in seno a istituzioni, a enti pubblici e privati, non privi di conflitti di interesse. Purtroppo queste speculazioni non riguardano solo la guerra in Ucraina, ma anche la guerra di Israele contro Hamas, che, di fatto, è diventata una guerra, un massacro contro il popolo palestinese, con violazione palese dei diritti umanitari.

Il Doomsday clock, l'orologio dell'apocalisse, che, come sappiamo, anticipa la metafora del rischio di catastrofe nucleare, che al momento della sua ideazione, durante la Guerra Fredda, fu fissato convenzionalmente a 7 minuti dalla mezzanotte, cioè dall'olocausto nucleare, tra la fine del 2023 e l'inizio del 2024 è stato spostato a 90 secondi dalla mezzanotte. Anche non paventando il rischio di un disastro nucleare, bisogna considerare che, a fronte dei danni collegati alle guerre, un viraggio concreto e genuino in senso pacifista delle politiche globali porterebbe enormi vantaggi all'umanità, alle Nazioni, agli operatori economici, basti considerare quali effetti potrebbero esserci se i 2.500 miliardi di dollari che vengono spesi in armamenti fossero dirottati e convogliati, piuttosto, sullo sviluppo tecnologico e a un uso pacifico, su investimenti in ambito di protezione civile, su investimenti volti all'istruzione delle masse, volti al miglioramento delle tecniche agricole e all'infrastrutturazione dei Paesi svantaggiati. Simili politiche, in definitiva, avrebbero l'effetto di distribuire la ricchezza su larga fascia della popolazione, riducendo povertà e disuguaglianze. Al contrario, le politiche del riarmo sono appannaggio di pochi appartenenti alle classi dirigenti e alimentano gli squilibri nella distribuzione della ricchezza.

Presidente, conflitti e ricerca di accordi rappresentano un'esigenza costante nella politica internazionale. Pensi che, nel XIII secolo avanti Cristo, nel 1259 avanti Cristo, venne concluso il primo accordo diplomatico fra Stati in contesa. Quali erano gli Stati in contesa? Erano rappresentati dal faraone Ramses II e dal re ittita Hattušili III. Ebbene, la storia ci insegna che, dopo ogni grande conflitto bellico, abbiamo assistito a grandi congressi succedanei, coltivando ogni volta la speranza non solo di tacitare e, ove possibile, soddisfare le varie e spesso contrapposte pretese statuali, ma di dettare una sorta di Costituzione materiale internazionale, la più duratura possibile, in grado di assicurare pace e stabilità. Ciò è avvenuto nei seguenti più importanti torni storici, che certamente tutti conosciamo: alla Guerra dei trent'anni seguirono i Trattati di Vestfalia, alla Guerra di successione spagnola seguirono i Trattati sottoscritti a Utrecht e Rastatt, alla Guerra dei sette anni seguirono i congressi e i Trattati di San Pietroburgo e Parigi. Il Congresso di Vienna si svolse a seguito dell'uragano napoleonico. Alla Grande Guerra seguì la Conferenza di Parigi, alla Seconda guerra mondiale seguì la conferenza di Yalta e tutto quello che sappiamo. Perché questo brevissimo excursus? Quello che mi preme dimostrare è che, come disse Mark Twain, la storia non si ripete, ma fa rima. Poiché è certissimo che prima o poi la guerra in Ucraina finirà con un trattato finale, allora mi chiedo e chiedo a voi perché continuare a inviare armi e soldi, causando ancora ulteriore morte e distruzione. Perché, invece, non adoperarsi fin da subito, ponendo in essere tutte le azioni e iniziative per anticipare tale momento? Questa è la domanda. La guerra in Ucraina finirà con un trattato, perché non negoziarlo subito? Perché non farlo subito, evitando ulteriori morti ed evitando ulteriori distruzioni? Un primo vero passo verso le politiche di pacificazione dovrebbe andare nella direzione di intraprendere serie iniziative diplomatiche volte a intavolare trattati di pace. In tal senso l'Italia potrebbe diventare capofila di un movimento a livello europeo, e soprattutto l'Italia potrebbe diventare promotrice di una maggiore integrazione fra i Paesi dell'Unione europea, che potrebbero porsi quali protagonisti e equilibratori degli scenari politici e geopolitici globali, piuttosto che, come accade oggi, quali soggetti subalterni agli USA nella continua contrapposizione e antagonismo tra questi e la Cina, tra questi e la Russia.

L'Europa deve contribuire alla fine della guerra. Più in generale oggi, piuttosto che nelle circostanze storiche citate, il mondo è in piena anarchia. E, pur auspicando di non potersi configurare un'ennesima guerra costituenda a causa della presenza di circa 30.000 testate nucleari sparse per il mondo, tuttavia ciò non impedisce che si senta come indispensabile, quasi vitale, come in passato, progettare e convocare velocemente un congresso mondiale, evidentemente emancipato dai veti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, per il quale forse è maturo il tempo della sua democratizzazione, ovvero di coinvolgere l'umanità intera e rappresentarla. A tale congresso sarebbe utile che partecipassero, oltre ai grandi attori internazionali già noti, Europa, USA, Russia, Cina e India, anche rappresentanti sia del mondo arabo sia dell'Africa sia dell'America iberica. Obiettivo di tale congresso, come in passato, dovrebbe essere occuparsi di appianare le controversie in atto e quelle pronte a deflagrare - per esempio, mi riferisco a Formosa -, ma soprattutto dovrebbe essere capace di formulare i princìpi per il futuro. Insomma, quello che voglio sottolineare è che la decisione di proseguire ad inviare risorse in Ucraina e ultimamente infilarsi militarmente nel Golfo Persico serve solo a distogliere risorse da altri fini, come la sanità, la scuola, gli aiuti umanitari, ritardare, come già detto, l'imprescindibile soluzione diplomatica e, non da ultimo, acuire le tensioni.

Noi tutti in quest'Aula siamo consapevoli di rappresentare uno Stato, l'Italia, che, nonostante l'illusoria prosopopea nazionalista di qualcuno, ha scarsissima influenza nell'area e nell'arena mondiale, sia in termini economici sia politici che militari. Cosicché, se proseguiamo contribuendo ad armare il mondo, invece che a pacificarlo, e nel tempo residuo ad occuparci di treni fermati inopportunamente e di quadri che appaiono e scompaiono, fra un secolo nessun libro di storia dedicherà un solo rigo a noialtri. Viceversa, per storia e tradizione l'Italia può mettere sul piatto una indiscutibile vis storica, culturale e diplomatica, come ho già avuto modo di ricordare in un precedente intervento in quest'Aula. Pensate all'influenza che ebbe Roma non solo nel Mediterraneo - persino la Casa Bianca, o il Campidoglio, degli Stati Uniti sono un retaggio romano - con il diritto, il Rinascimento, il Machiavelli.

In conclusione, mi chiedo, Presidente, perché non osare e avere l'ardire di affermare, come Fantozzi, che “la corazzata Potemkin è una c… pazzesca”, ovvero che l'uso delle armi è pura follia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non credete che avrebbe una tale eco nel mondo che, come nel film, susciterebbe miliardi di applausi liberatori?

Mi piacerebbe che tutti in quest'Aula, a prescindere dall'orientamento politico nazionale, cominciassimo ad avvertire dolori intestinali al solo pensiero che i principi relativi alle relazioni internazionali descritti nella Guerra del Peloponneso di 2.500 anni fa siano i medesimi ancora in vigore oggi, nonostante gli innegabili sviluppi della storia, della cultura e della civiltà in genere, con l'affermazione di diritti umani, tutela dei più deboli, dei fragili. Per paura o per interesse di pochi si spendono oltre 2.500 miliardi di dollari all'anno in armi. L'Europa finora ha dato oltre 41 miliardi di euro in armi all'Ucraina e solo 8,3 miliardi in aiuti umanitari. In tutto, l'Occidente ha inviato in 2 anni a Kiev circa 95 miliardi in armi. È osceno, potrei perfino dire, come in un film di Coppola, è stupido, stupido, stupido, pensando a cosa l'umanità potrebbe realizzare in alternativa con importi simili. Ci sono momenti nella storia che richiedono un'accelerazione, Presidente e perché non cominciare proprio noi, oggi, in quest'Aula, affermando tutti insieme con forza: basta armi, tutte le armi compresi - azzardo dire, visti i tempi che corrono - i coltelli da cucina. Questo è il più bel regalo che possiamo fare ai nostri successori.

Consentitemi una battuta nel finale. Potremmo così smentire quella diceria che circola fra gli astronauti, ovvero che la dimostrazione che vi sono forme di vita intelligenti nell'universo deriva dal fatto che non sono mai venute qui (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Come ha ricordato il Sottosegretario in apertura del suo intervento, nella notte Kiev ha subito un durissimo bombardamento che ha prodotto altre distruzioni. Metà città è senza collegamenti energetici ed elettrici, altre vittime hanno pagato l'aggressione russa. È la dimostrazione del fatto che la Russia non sta demordendo e che continua a perseguire l'obiettivo di vincere questa guerra, come fin dall'inizio la Russia ha annunciato e ha praticato.

È una guerra che si trascina da 2 anni, certo, 2 anni di distruzioni, di vittime, di barbarie. Non dimentichiamo il massacro di Bucha e di altre città. È una guerra che ha dissestato gli equilibri internazionali, facendo saltare gli Accordi di Helsinki, facendo maturare una divaricazione, che via via si è allargata, tra l'Occidente e quello che viene chiamato il Global South, determinando l'accelerazione di una condizione di anarchia internazionale che già c'era. Credo che noi non possiamo prescindere da questo contesto nel valutare il conflitto e anche quello che stiamo decidendo.

Certamente, c'è una condizione di stallo militare. Nonostante i molti tentativi, l'esercito ucraino non riesce a recuperare più di tanto del terreno occupato dai russi e i russi, pur avendo una potenza di fuoco molto più grande, stentano ad andare oltre quello che hanno occupato fin qui. Il rischio è una condizione di guerra di trincea che possa continuare ancora per un lungo periodo. Di fronte a questo scenario giustamente ci si pone una domanda.

Se gli amici del MoVimento 5 Stelle permettono, potremmo anche intervenire…

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, vi prego.

PIERO FASSINO (PD-IDP). …anche perché vorrei interloquire con l'intervento che il collega Quartini ha fatto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e del deputato Deidda).

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Fassino, per l'interruzione. Prego.

PIERO FASSINO (PD-IDP). Quindi, è giusto chiedersi, come ci chiediamo tutti, quale sia la via d'uscita dopo due anni di una guerra che rischia di protrarsi senza vincitori né vinti. Qual è la via d'uscita e che cosa si fa per costruire le prospettive di un superamento della guerra e di una soluzione politica? È assolutamente giusto e non è in dubbio il fatto che bisogna non rassegnarsi alla guerra e tentare in ogni modo di trovare una via d'uscita politica. Ieri, il Sottosegretario ha evocato una serie di tentativi che sono in corso, compresa l'evocazione, che è stata fatta da più parti, della convocazione di una conferenza di pace. Però, il problema è: perché la costruzione di una via d'uscita è così difficile? Io penso che si sia sottovalutato un passaggio di questa guerra e di questa crisi che è decisivo ed è la decisione di Putin di annettere i territori occupati.

Fin quando con l'esercito occupi un territorio non tuo e poi si arriva a un negoziato, nel negoziato puoi anche decidere di ritirarti. Invece, quando annetti tu dici: quella cosa lì adesso è mia, è irreversibile il processo di integrazione di questi territori e discutiamo a partire da questo. Tanto è vero che sia Putin, sia il Ministro Lavrov, sia il portavoce Peskov dichiarano che sono pronti a discutere a partire dallo stato di fatto e lo stato di fatto è l'annessione della Crimea, già fatta e addirittura sancita con un referendum organizzato da Mosca, e l'annessione delle due repubbliche del Donbass, Lugansk e Donetsk, in cui i testi scolastici sono i testi russi, il prefisso telefonico è il prefisso russo, i cittadini di quei territori sono a tutti gli effetti considerati cittadini russi e parteciperanno, in quanto tali, alle elezioni presidenziali che ci saranno tra qualche mese. Per Putin quei territori sono a tutti gli effetti parte della Federazione Russa e non ha alcuna intenzione di dismetterli.

Allora, la domanda che pongo - e la pongo, per esempio, all'amico Quartini - è la seguente: questo accordo di pace che si deve perseguire, lo si persegue per arrivare a quali conclusioni? Quali sono le frontiere che noi consideriamo fondamentali? Valgono ancora le frontiere dell'Ucraina del 24 febbraio 2022 o partiamo dall'idea che non valgono più? Perché questa è la questione, questo rende difficile l'attivazione di un negoziato. Putin sostiene infatti che quelle frontiere non valgono più e dice: io ho annesso i territori occupati, quelli sono miei e se volete discutere bisogna ridiscutere di frontiere nuove. Gli ucraini dicono legittimamente: scusate, quello era territorio del nostro Paese. Io vorrei sapere - lo chiedo qui e lo chiedo a voi - qual è il dirigente ucraino che può accettare di andare a sedersi a un tavolo di negoziato sapendo che va lì per firmare un accordo in cui rinuncia a un pezzo del suo Paese. È questa la difficoltà e non dobbiamo far finta che non ci sia. Dopodiché, dicendo tutto questo io non mi rassegno. Penso che dobbiamo lavorare per costruire le condizioni per arrivare a un negoziato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) sapendo che questo è il contesto ed è un contesto particolarmente complesso e difficile, perché quello che vuole l'uno è esattamente l'opposto di quello che vuole l'altro e la mediazione non è così agevole e facile come pare a noi in quest'Aula.

Non solo. Infatti, dimentichiamo il motivo per cui Putin ha invaso l'Ucraina. Putin l'ha fatto per molte ragioni ma, essenzialmente, per tre. In primo luogo, per riaffermare un ruolo di potenza della Russia nel momento in cui un crescente bipolarismo Washington-Pechino metteva la Russia nell'angolo.

Quindi, per riaffermare la potenza russa e la potenza si riafferma naturalmente, come ci insegnano i secoli, attraverso le guerre; in secondo luogo, per una cosa che io credo non vada mai sottovalutata, perché nelle classi dirigenti russe - e non solo in Putin - c'è un'idea, cioè hanno la sindrome dell'accerchiamento, c'è la paura di essere accerchiati e di essere accerchiati dall'Occidente, il che la storia conferma perché gli unici rischi che ha corso la Russia alla sua sovranità sono sempre arrivati dall'Occidente, dai Templari a Hitler. Però, il punto è che questa sindrome oggi è infondata, perché da quando è caduto il muro di Berlino non c'è stato alcun atto di ostilità dell'Occidente nei confronti della Russia.

Ricordo che in questo Paese, in un celebrato - forse anche con enfasi eccessiva - vertice a Pratica di Mare si istituì il Consiglio di consultazione NATO-Russia. Non c'è stato un solo atto di ostilità né della NATO né dell'Unione europea nei confronti della Russia dalla caduta del muro di Berlino ad oggi. Allora, questa idea di doversi difendere da un accerchiamento può avere qualche ragione guardando alla storia e ai secoli passati, ma oggi non ne ha nessuna e quella motivazione è del tutto infondata.

Infine, Putin ha scatenato questa guerra per un problema di consenso interno. Va alle elezioni, si presenta come Presidente, si presenta dopo molti mandati, ha un problema di rilegittimazione; è chiaro che invocare la guerra patriottica, come ha invocato, e parlare dell'Ucraina come di un Paese para-nazista, eccetera, eccetera, aiuta a condurre una campagna elettorale che, però, è finalizzata essenzialmente ad accrescere il consenso interno e in nome di questo ha scatenato una guerra, ha disdetto accordi sugli armamenti nucleari, ha messo sotto sopra un equilibrio internazionale, in particolare il rapporto tra Russia e Occidente con quello che questo rappresenta negli equilibri mondiali. Io penso che tutto questo lo dobbiamo vedere e non possiamo, in nome della necessità di una pace che tutti condividiamo, negare e ignorare le dinamiche di questa crisi, le responsabilità di questa crisi ed evitare di arrivare alla fine a pensare che l'aggredito e l'aggressore pari sono, perché questa è una guerra in cui c'è un Paese che è stato aggredito e c'è un Paese che lo ha aggredito.

Quindi, io penso che tutto questo vada tenuto in conto e, dunque, per questo anche sostenere l'Ucraina: intanto perché, come è stato ricordato da altri, l'Ucraina non combatte soltanto per la propria libertà e la propria sovranità ma combatte per una questione di diritto fondamentale che riguarda ciascuno di noi, perché se passa l'idea che sulla base di un atto di forza si manomette l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale di un Paese da domani chiunque è legittimato a mettere in campo qualsiasi politica di aggressione e noi non possiamo accettarlo, se davvero crediamo che vadano tutelate e difese la convivenza e la coesistenza nel mondo. Ma poi, proprio se si vuole aprire la strada a una soluzione politica, è fondamentale che l'Ucraina resista, perché se l'Ucraina non resiste e viene travolta non c'è negoziato, non c'è accordo e c'è soltanto la resa e la sconfitta e nel momento in cui c'è il rischio che il Congresso americano non rifinanzi gli aiuti all'Ucraina - e speriamo che non avvenga - c'è una responsabilità ancora maggiore nostra, perché se vogliamo aprire la strada a una soluzione politica è fondamentale ed è prerequisito che non cambino i rapporti di forza sul terreno e che, quindi, l'Ucraina sia messa nella condizione non di invadere la Russia, perché non la può invadere ovviamente, ma di difendere i propri territori, di reggere di fronte all'urto della Russia che, invece, vorrebbe invadere l'Ucraina.

Quindi, chi vuole la pace, chi vuole aprire la strada a un possibile negoziato non può non vedere che oggi è fondamentale garantire che l'Ucraina sia messa nelle condizioni di resistere e difendersi, perché se l'Ucraina resiste, forse si può aprire una prospettiva per una soluzione politica, se l'Ucraina non resiste, non c'è soluzione negoziale, c'è solo la resa e la sconfitta.

E allora il cardinale Zuppi, a cui come sappiamo il Papa ha assegnato un compito di mediazione umanitaria, nel commentare la sua attività ha più volte pronunciato una formula, che io credo debba essere per noi un punto di riferimento. Una pace giusta e sicura, non qualsiasi pace è giusta e sicura.

Nel 1938, quando Chamberlain tornò a Londra dopo aver sottoscritto con Hitler, Mussolini e Daladier il Patto di Monaco, fu accolto all'aeroporto di Londra dai cittadini con i cartelli che lo salutavano come il salvatore della pace. Dieci mesi dopo, Hitler invadeva la Polonia e avviava quella tragedia che noi conosciamo, la seconda guerra mondiale, l'Olocausto, e tutto quello che ha rappresentato. Non qualsiasi pace è giusta in sé. Si è fatto riferimento alla Conferenza di Versailles. La Conferenza di Versailles non fu una pace giusta, tanto è vero che creò le condizioni perché, negli anni successivi, si producesse una crisi drammatica degli equilibri in Europa. Non qualsiasi pace è giusta e sicura. E' giusta e sicura una pace che riconosce il diritto, lo assicura, è una pace condivisa, è una pace in cui ciascuno ha la possibilità di riconoscersi. E allora, certo, dobbiamo lavorare per la pace, ma una pace giusta e sicura. E oggi, spero, per una pace giusta e sicura è fondamentale sostenere l'Ucraina, e fare in modo che l'Ucraina non venga travolta dall'offensiva russa.

Per queste ragioni, noi condividiamo il provvedimento che è stato presentato qui e lo sosterremo con un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Maria. Ne ha facoltà.

ANDREA DE MARIA (PD-IDP). Signor Presidente, colleghi e colleghe, rappresentante del Governo, oggi la Camera è chiamata a confermare la scelta di sostenere la difesa del popolo ucraino contro l'invasione russa, anche attraverso la fornitura di armamenti. Certo, non è un voto che si può dare a cuor leggero. Intanto, perché il dover rinnovare questo impegno significa che la guerra è ancora in corso, con le sue vittime civili, i suoi profughi, i soldati che muoiono, le sofferenze della popolazione dell'Ucraina. E poi per chi come me, nel suo percorso politico, si è battuto tante volte per la pace, per il dialogo, per la soluzione non violenta dei conflitti, questo voto non era e non è facile. Ma non credo ci siano alternative a continuare il sostegno all'Ucraina. Quel Paese si sta difendendo da un'aggressione che ne ha violato la sovranità, esercitando il suo diritto all'autodifesa, secondo quanto previsto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite.

Come sappiamo tutti, nell'articolo 11, la nostra Costituzione afferma che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Ebbene, la guerra scatenata da Putin contro l'Ucraina risponde esattamente a quanto scritto in quell'articolo della nostra Costituzione. Viene combattuta per togliere la libertà al popolo ucraino e può risolvere con le armi una controversia internazionale. Con altri colleghi eravamo qui nella scorsa legislatura i giorni dell'invasione russa, quando sembrava imminente la caduta del legittimo Governo ucraino sotto i colpi dell'esercito invasore. In quei giorni, fu un intero popolo che si oppose all'aggressione per difendere la propria indipendenza nazionale. Poi vi erano gli aiuti militari degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Allora, l'obiettivo di Putin era imporre un cambio di regime nel Paese. Oggi, fallito quell'obiettivo, il regime russo vuole realizzare l'annessione dei territori ucraini. Peraltro, l'annessione formale del Donbass alla Russia rappresenta un ostacolo molto serio rispetto alle prospettive della riapertura di una trattativa di pace e lo ha ricordato poco fa l'onorevole Fassino.

Se oggi venisse meno il nostro sostegno all'Ucraina, l'aggressione russa avrebbe successo legittimando l'uso della forza al di fuori del diritto internazionale. Una legittimazione che aprirebbe la prospettiva di nuove aggressioni e nuovi conflitti, di cui comprendiamo tutti la pericolosità, se ad esempio venissero coinvolti direttamente i Paesi della NATO. E' stata ricordata, sempre dall'onorevole Fassino, la Conferenza di Monaco.

È stata ricordata, sempre dall'onorevole Fassino, la Conferenza di Monaco. Ricordo che, commentandola, Winston Churchill disse - cito a memoria - “potevate scegliere fra il disonore e la guerra; avete scelto il disonore e avrete la guerra”. Dire questo non vuol dire non essere consapevoli che il conflitto in Donbass era in corso prima dell'invasione, ma sapere che la guerra di Putin al popolo ucraino è stato tutto il contrario della messa in campo di un percorso di dialogo per risolvere quel conflitto e non ha fatto altro che alzare il muro di odio, di fronte alle tantissime vittime civili e militari. In questa guerra sono solo i civili ucraini ad essere colpiti e poi tanti giovani dei due Paesi sono trascinati in guerra e muoiono ogni giorno, giovani che combattono al fronte in condizioni terribili. Peraltro, voglio ribadire qui il nostro sostegno a chi in Russia, subendo la repressione del regime, ancora ha il coraggio di alzare la voce contro la politica di guerra di Putin. È fondamentale, di fronte a tutto questo, che non si rinunci ad ogni sforzo per riaprire una prospettiva di pace. Abbiamo chiesto e chiediamo al Governo italiano un maggiore impegno in questa direzione e crediamo serva un maggiore protagonismo dell'Unione Europea. È vero fino ad ora alcuni tentativi di dialogo venuti dall'Europa - penso anche alle iniziative del Presidente francese Macron - hanno proprio trovato in Putin un'assoluta chiusura. Lo sforzo per la pace e il dialogo, però, non deve venire meno. Dobbiamo avere chiaro, però, che proprio il sostegno alla difesa dell'Ucraina è la condizione perché una trattativa di pace possa aprirsi. Senza aiuti l'Ucraina cadrebbe e da allora non si potrebbe parlare di pace ma della vittoria dell'aggressore.

Nel nostro dibattito parlamentare sento evocare una possibile vittoria di Trump nelle prossime elezioni presidenziali americane che porterebbe alla fine del sostegno all'Ucraina. Si dice, quindi, che il sostegno militare oggi va messo in discussione, perché tanto verrebbe meno domani. Certo l'esito di quelle elezioni sarà fondamentale per il mondo e credo che i rischi di una vittoria di Trump non riguarderebbero solo il contesto della guerra in Ucraina. Ma anche e proprio per questo dall'Unione europea deve venire un segnale chiaro di sostegno a chi contrasta l'aggressione e di difesa dei valori democratici. Senza polemiche retrospettive dobbiamo sapere che i legami tra forze populiste europee, Putin e lo stesso Trump, hanno rappresentato una pagina oscura degli anni che abbiamo alle spalle ed hanno contribuito a rafforzare la politica aggressiva di Putin, come con molta probabilità il ritiro dell'Occidente dall'Afghanistan, che è sembrato quasi una fuga, ha rappresentato un via libera a chi voleva mettere in atto azioni di aggressione in altre aree del mondo. Le due guerre che abbiamo ai nostri confini ed i tanti conflitti locali in corso ci richiamano ad aprire una riflessione sulla fase storica che stiamo vivendo. È evidente che siamo di fronte a un contesto che vede la mancanza di un ordine mondiale in qualche modo stabile, è finito il cosiddetto equilibrio del terrore e della Guerra Fredda e anche la stagione dell'egemonia degli Stati Uniti. A inizio anni Ottanta, quando era in campo un grande movimento per il disarmo - quando ho iniziato a fare politica, ne ho parlato all'inizio di questo intervento - contro l'installazione di nuove armi nucleari all'Est e all'Ovest dell'Europa, Enrico Berlinguer disse: se vuoi la pace prepara la guerra, dicevano certi antenati e, invece, la penso come tutti i pacifisti del mondo, se vuoi la pace, prepara la pace.

Ebbene, dobbiamo interrogarci su come costruire la pace quarant'anni dopo, in un contesto di relazioni internazionali così diverso e che ha subito trasformazioni così rilevanti. Un mondo di pace si costruirà se si troveranno le ragioni di un assetto multilaterale delle relazioni internazionali e si rilancerà il ruolo delle organizzazioni sovranazionali. Non è un obiettivo facile, ma è l'unica strada percorribile, perché una dinamica di guerre e conflitti non porti via via a drammi maggiori e a pericoli sempre crescenti. Se pensiamo anche al conflitto in Ucraina è evidente che nelle opinioni pubbliche del mondo, in tante realtà, le democrazie occidentali sono il nemico e comunque non rappresentano un riferimento positivo.

C'è certo il tema della presenza di regimi autoritari, che esplicitamente negano la credibilità delle istituzioni democratiche, un tratto inquietante della stagione che stiamo vivendo, che non possiamo sottovalutare. Comunque, spetta anche a noi dimostrare che il nostro obiettivo non è esercitare una qualche forma di egemonia, ma promuovere un assetto delle relazioni internazionali basato sulla pace e sul rispetto reciproco. Se pensiamo alla storia dell'Europa questo può essere il messaggio che il nostro continente può mandare al mondo. I popoli europei si sono massacrati per secoli in guerre terribili e come sappiamo bene le due guerre mondiali del secolo scorso sono nate in Europa. Il nostro continente ha trovato la strada della pace e della libertà quando si è unito, non perché un popolo si è imposto sugli altri con la forza delle armi, ma perché i popoli europei si sono riconosciuti tra loro e hanno condiviso la strada della democrazia e del riconoscimento delle diverse culture e identità. Un'Unione europea che rilanci il suo progetto di unità e che metta finalmente in campo una politica di difesa comune è fondamentale se si vuole costruire un nuovo equilibrio globale e fermare la spirale dei conflitti che è in atto. Di fronte alla sfida del COVID, l'Europa ha risposto nel modo giusto, con l'acquisto comune dei vaccini, col sostegno della BCE ai debiti sovrani, con il Next Generation EU. Oggi, di fronte al dramma della guerra nel cuore dell'Europa e alle porte del Mediterraneo, è evidente una difficoltà ad essere in campo con la stessa determinazione ed efficacia. Credo che non sia davvero più rinviabile il salto di qualità di una messa in campo di una politica estera e di difesa comune, che è la condizione anche per promuovere la pace e il dialogo nei luoghi di conflitto, con la giusta autorevolezza e la necessaria forza politica e per garantire la nostra sicurezza rispetto a qualsiasi evoluzione dello scenario internazionale.

Un'Europa capace di mettere in campo un'iniziativa di politica estera più forte ed unitaria e una difesa comune sarebbe anche nelle condizioni di chiedere che si riapra la prospettiva del disarmo e del contrasto alla proliferazione delle armi nucleari che, purtroppo, non è più nell'agenda delle relazioni internazionali. Un'Unione europea che speriamo abbia al più presto l'Ucraina tra i suoi Stati membri. Si sta discutendo ancora dell'opportunità della scelta, presa dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine dei regimi del socialismo reale, dell'allargamento ad est dell'Unione europea, ebbene, pensiamo a quanto il quadro europeo sarebbe stato più frammentato, più insicuro e più fragile senza quella scelta lungimirante ed oggi quel processo di allargamento può e deve proseguire. Certo, per farlo, rafforzando nello stesso tempo l'Unione europea, serve una nuova governance delle istituzioni europee, che superi il diritto di veto dei singoli Stati. Insomma, l'Europa è chiamata a un salto di qualità, se vuole essere all'altezza della fase storica che stiamo vivendo ed evitare il rischio di drammatici arretramenti anche rispetto ai risultati raggiunti fino a qui. Le politiche europee per tanti anni hanno diviso il dibattito italiano, penso che oggi dobbiamo avere tutti chiaro che, se si vogliono ricostruire le ragioni di un mondo dove prevalgano le ragioni della pace, se si vuole garantire la difesa dei principi democratici, se si vogliono contrastare la guerra e l'uso della forza al di fuori del diritto internazionale, se si vuole garantire la nostra stessa sicurezza, la priorità che dobbiamo condividere è il rafforzamento delle istituzioni europee e la messa in campo di una politica estera e di difesa comune dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fabio Porta. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA (PD-IDP). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi, preparando questo intervento ricordavo che quasi due anni fa, era il 30 marzo del 2022, intervenivo a Palazzo Madama, al Senato, proprio sul primo decreto del Governo Draghi sull'Ucraina e, oggi, purtroppo, a due anni di distanza, il rumore dei missili - è di stanotte, come è stato ricordato da alcuni colleghi, l'ultimo bollettino di guerra: almeno 4 morti, a seguito di un'ondata di ordigni abbattutasi sulla capitale ucraina; sembra siano stati almeno 64, tra missili e droni, gli ordigni che hanno colpito Kiev -, ancora oggi, quel rumore occupa il pensiero di chi spera nell'avvio di un processo di pace in Ucraina, per far vincere le ragioni della vita e del buonsenso rispetto a quelle delle armi. Nel frattempo, il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, mette al centro dell'agenda del suo viaggio a Washington di questi giorni la questione Ucraina, in un momento di grande incertezza per gli Stati Uniti sul futuro del sostegno di questo Paese a Kiev.

Avremmo voluto vedere un'Unione europea che, all'unisono, così come fece all'inizio di questa guerra, nel periodo che evocavo iniziando questo intervento, assumesse un'iniziativa più forte, più unitaria, per portare la pace in quell'area a noi vicina e cara, ma un'azione così sinergica, purtroppo, non la vediamo da mesi, un'iniziativa diplomatica forte che vada nella direzione di una soluzione giusta e pacifica.

Invece, in questi giorni, in queste ore, piovono ancora bombe sulla capitale dell'Ucraina, con morti e feriti.

Ecco, signor Presidente, oggi, purtroppo, sono ancora validi gli argomenti di due anni fa a sostegno dell'Ucraina contro l'aggressore russo e lo ribadiamo con convinzione, senza rinunciare, però, a spingere il Governo a cercare con tutte le forze strategie adeguate per arrivare a quella pace giusta che restituisca all'aggredito i territori occupati dall'aggressore. Lo abbiamo già affermato poco più di un mese fa, nella risoluzione connessa alla proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative ucraine e oggi, cari colleghi, ribadiamo - credo che dovremmo farlo tutti insieme, tutto il Parlamento - la necessità di un ruolo più incisivo dell'Italia e dell'Unione europea sul piano diplomatico, in un contesto atlantico e multilaterale, per arrivare a porre le basi di una pace giusta, duratura, capace di generare sicurezza in tutta l'area.

Signor Presidente, oggi la democrazia globale è in crisi a causa di vari conflitti sullo scenario internazionale e quello dell'Ucraina è fondamentale per il futuro delle nostre democrazie, perché è in gioco il diritto di un Paese ad esistere. Allora, la nostra risposta obbedisce ad un altro diritto che si affaccia sulla scena globale, cioè il diritto emergenziale per il quale siamo chiamati a continuare a non rimanere impassibili di fronte all'aggressione russa verso l'Ucraina, aiutando quest'ultima a difendersi, come abbiamo fatto sin dall'inizio e come dobbiamo continuare a fare, in maniera unitaria e a livello europeo, sul piano politico, militare ed economico, per fare in modo che l'Ucraina possa trovarsi prossimamente - lo speriamo - a un tavolo di trattative ma in condizioni paritarie per negoziare una pace giusta. Il Partito Democratico, in questi due anni, ha mantenuto una linea coerente sul sostegno al popolo ucraino, fin dal primo giorno, quando, lo ricordiamo, nell'incertezza, nello stupore, rispetto a quell'attacco che speravamo o pensavamo non sarebbe mai avvenuto, ci siamo trovati invece ad affrontare un'aggressione brutale di una potenza nucleare come la Russia, nel cuore dell'Europa. Molti di noi immaginavano che Putin sarebbe entrato a Kiev con estrema facilità, viste anche le premesse non migliori del contesto internazionale: il ritiro affrettato dall'Afghanistan, il ritiro dalla Siria, l'isolamento dei curdi, un disimpegno americano che era iniziato con Trump. Invece, come europei abbiamo dato, almeno in quel primo momento, una prova di unità. Lo abbiamo fatto con il Governo Draghi, dando un'immagine di serietà e di credibilità che, come sapete, in politica estera, vale più di mille promesse e di mille parole.

È vero che oggi la situazione sul terreno, a due anni di distanza, è più complicata, c'è una fase di stallo, la controffensiva non ha funzionato come volevano i generali e lo stato maggiore ucraino e anche le sanzioni probabilmente non hanno funzionato fino in fondo, con l'eccezione di sanzioni individuali nei confronti di Mosca e della Russia. Tutto questo, tuttavia, non può essere una scusante, non può essere un elemento che fa venir meno il nostro chiaro sostegno, senza “se” e senza “ma”, lo ripetiamo, a fianco del popolo ucraino che è stato brutalmente aggredito. Di fronte all'aggressione, come sancito dalle convenzioni internazionali e, in particolare, dall'articolo 51, più volte richiamato, della Carta delle Nazioni Unite, l'aggredito ha il diritto-dovere di difendersi, esigendo in tutte le sedi e lottando in tutti i modi per il rispetto della sovranità nazionale che mai, dico mai, può essere oggetto di invasioni o aggressioni arbitrarie. Ecco, in questo senso, secondo questi princìpi, il decreto oggetto della discussione di oggi proroga l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti a favore dell'Ucraina. Un'autorizzazione - lo ripetiamo, non casualmente, in quest'Aula - concessa nei termini e nelle modalità stabilite dalla normativa richiamata e previo atto di indirizzo delle Camere. Una richiesta che è stata più volte sottolineata dal nostro gruppo parlamentare. Nell'atto votato da questo Parlamento il 10 gennaio 2024, la Camera, in seguito alle comunicazioni del Ministro della Difesa, ha approvato chiare risoluzioni in merito, compresa quella presentata dal nostro gruppo parlamentare, a firma della nostra capogruppo Chiara Braga, nella quale il Partito Democratico ha chiesto, in particolare, al Governo di impegnarsi a sostenere il ruolo dell'Italia in un rinnovato e più incisivo impegno diplomatico e politico dell'Unione europea, in collaborazione con gli alleati NATO in un quadro multilaterale, anche con l'auspicio di poter ospitare una futura conferenza di pace proprio qui a Roma, per mettere in campo tutte le iniziative utili al perseguimento di una pace giusta e sicura. Abbiamo anche chiesto di continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessaria, al fine di assicurare quanto previsto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Solidarietà e assistenza attiva, quindi, e sostegno all'autodifesa: ecco quello che noi chiediamo. Voglio dire anche ai colleghi che si sono espressi in maniera differente in quest'Aula che non si tratta affatto di bellicismo, un termine, credo, usato a sproposito, mancando anche di rispetto a coloro che, come me e come la comunità del partito e del gruppo parlamentare che rappresento, si riconoscono pienamente nell'articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Credo che nessuno di noi pensi che la guerra sia il mezzo per risolvere questa controversia ma, con altrettanta coerenza e convinzione, nessuno di noi crede che l'Ucraina non debba esercitare il suo diritto a difendersi e che la comunità internazionale, Europa in primis, non possa aiutare con tutti i mezzi possibili l'eroica resistenza del popolo ucraino. Il sostegno militare e umanitario - non dimentichiamoci l'accoglienza ai tantissimi profughi ucraini nel nostro Paese - deve quindi camminare di pari passo con la ricerca della pace. Le due cose non sono affatto in contraddizione tra di loro, anzi. Serve un'iniziativa diplomatica degna di questo nome, serve che il Governo italiano faccia quello che, come ha candidamente ammesso il nostro Ministro della Difesa, finora non ha mai fatto, cioè determinare l'Europa a farsi carico di un'iniziativa politica, anche per rendere chiaro che quanto sta accadendo oggi, nello stesso Medioriente e nel Mar Rosso, non ci può e non ci deve distogliere dal nostro sostegno all'Ucraina.

Cosa aspettiamo, allora? Aspettiamo le elezioni europee? Aspettiamo le elezioni americane? Sarebbe sbagliato perché, a prescindere dagli equilibri a Strasburgo e dalla posizione degli Stati Uniti, questa guerra è alle porte di casa nostra ed è una guerra contro un Paese candidato all'ingresso nell'Unione europea. Una forte iniziativa politica è necessaria prima che le varie tensioni che hanno trovato la stura dopo l'aggressione all'Ucraina si saldino reciprocamente, dando vita a quella che, amaramente, Papa Francesco ha chiamato la Terza guerra mondiale a pezzi. Già oggi, dal Mar Rosso, passando per l'Africa e arrivando fino all'Indopacifico, si vedono sullo sfondo gli stessi attori, le stesse alleanze, le stesse strategie e finalità, che diventano sempre più convergenti e a tutti noi segnalano un ritardo, un limite, una mancanza dell'Europa.

Vi è, infine, un altro tema. L'Italia quest'anno ha la Presidenza del G7 e in questo consesso credo che abbiamo il dovere di prendere un'iniziativa concreta in direzione di una pace giusta. Dobbiamo costruire le condizioni per discutere di architettura della sicurezza europea. Sarebbe anche interessante sapere cosa pensa in proposito il nostro Governo, visto che la Russia ha fatto saltare tutti i trattati precedenti di non proliferazione delle armi.

Dovremmo capire se c'è un piano italiano dentro il G7 per capire come riaprire un confronto sull'architettura di sicurezza europea e come costruirlo. Il Partito Democratico, nel suo DNA, ha il tema della costruzione europea. Più volte, abbiamo chiesto a un Governo che si è autoproclamato sovranista cosa pensa in proposito. Noi pensiamo che tutte le partite, anche questa, si vincano e che anche gli interessi nazionali si vincano passando dall'Europa. E guardate, noi non ce lo auguriamo, ma se il prossimo anno Donald Trump dovesse vincere le elezioni negli Stati Uniti, si aprirebbe una partita nuova, perché con il noto disimpegno di Trump, dai forum multilaterali e dalla diplomazia multilaterale, sarebbe ancora più difficile cucire in un momento di fragili divisioni come questo. E allora ci vorrà qualcuno che tiene insieme le fila della diplomazia internazionale. E vorremmo sapere, anche in prospettiva del G7, cosa pensa di fare e quali iniziative pensa di mettere in campo il nostro Governo, perché, se Trump ci dovesse lasciare da soli con questa responsabilità, cosa potrebbe fare un'Europa rispetto a una sfida sempre più aggressiva da parte di Putin, che potrebbe anche riguardare gli equilibri nella politica estera europea?

E mi rivolgo, infine, anche a tutta l'Assemblea, rispetto al tema della guerra. Sappiamo tutti, l'ho detto, che l'Italia ripudia la guerra e vogliamo tutti ribadire la nostra coerenza con questo principio. Nessuno di noi pensa neanche lontanamente che l'uso delle armi possa servire come risoluzione dei contenziosi che esistono in questo pianeta. A questo principio, però, ci atteniamo anche votando questo disegno di legge, perché non stiamo alimentando un conflitto con il nostro imperialismo. Al contrario, stiamo aiutando un popolo a difendere il suo territorio, perché questo popolo è stato invaso dai russi. E ho la sensazione, cari colleghi, che nel furore della polemica politica non ci si ricordi sempre una realtà semplice, e cioè che non c'è una guerra tra Ucraina e Russia, ma un'invasione della Russia del territorio dell'Ucraina.

Noi potremmo anche aderire a un pacifismo unilaterale, ma allora dobbiamo essere chiari e sapere che questo eventuale rifiuto a dare le armi agli ucraini per difendersi, significherebbe lasciare via libera a Putin con tutto quello che è stato, a dispregio del diritto internazionale e dei princìpi elementari.

Concludo, ricordando che, un mese fa, la segretaria del nostro partito, Elly Schlein, intervenendo proprio sul voto alla risoluzione sull'Ucraina, confermava con queste parole la determinazione e la coerenza della posizione del nostro partito, del nostro gruppo parlamentare, ribadendo che il Partito Democratico ha votato compattamente la sua risoluzione, in cui c'era tutto quello che ci doveva essere. Abbiamo sostenuto il prosieguo di ogni forma di assistenza al popolo ucraino, necessario alla sua difesa da un'invasione criminale che subisce da due anni a questa parte, ma abbiamo aggiunto, nella stessa risoluzione, una cosa per noi estremamente importante, cioè la richiesta, la necessità di uno sforzo diplomatico dell'Unione europea per riuscire a creare le basi che portino alla cessazione di questo conflitto e a una pace giusta e sicura innanzitutto per l'Ucraina.

Signor Presidente e cari colleghi, aiutiamo allora l'Ucraina, guardando al mondo e a noi stessi per riaffermare il valore della democrazia, che non è un'illustre sconosciuta, ma è quella grande forma di convivenza che è nata proprio dal pensiero politico europeo.

Allora, questo provvedimento - e concludo davvero - è un atto che si inserisce in questo solco, si inserisce nella nostra sincera ricerca di pace e sicurezza, è un contributo alla storia, avendo davanti, con il cuore e la mente, la prospettiva della pace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1666)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione affari esteri, l'onorevole Giangiacomo Calovini.

GIANGIACOMO CALOVINI , Relatore per la III Commissione. Grazie, Presidente. Non ho nulla da aggiungere alla discussione, che è già stata particolarmente articolata, e, pertanto, siamo pronti a passare all'esame delle proposte emendative.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione difesa, Paolo Bicchielli.

PINO BICCHIELLIRelatore per la IV Commissione. Grazie, Presidente. Siamo pronti per passare all'esame delle proposte emendative.

PRESIDENTE. Sottosegretario Perego di Cremnago, in rappresentanza del Governo? Vuole replicare? Prendo atto che vi rinuncia.

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei capigruppo, è stato convenuto che a partire dalle ore 19,30 della seduta odierna avrà luogo l'esame degli emendamenti e degli ordini del giorno riferiti al disegno di legge n. 1666 - Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina (approvato dal Senato – scadenza: 19 febbraio 2024). Nella seduta di domani, giovedì 8 febbraio, a partire dalle ore 9, avranno luogo le dichiarazioni di voto finale e la votazione finale.

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Camera dei deputati - seduta n. 241 dell'8 febbraio 2024
 
- Seguito della discussione ed approvazione del disegno di legge: S. 974 - Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina (Approvato dal Senato) (A.C. 1666) (Dichiarazioni di voto finale; votazione finale).
Seguito della discussione del disegno di legge: S. 974 - Conversione in legge del decreto -legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina (Approvato dal Senato) (A.C. 1666).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1666: Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina. Ricordo che nella seduta di ieri si è concluso l’esame degli ordini del giorno. (Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1666) PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA (MISTO- +EUROPA). Grazie, Presidente. Siamo ormai alla vigilia del secondo, tragico anniversario, due anni, dall’inizio delle operazioni brutali del regime putiniano contro l’Ucraina. Sui giornali di oggi vengono riportate le parole dell’ambasciatore russo in Italia, Paramonov, riprese da una lunga intervista che l’ambasciatore ha rilasciato all’agenzia russa TASS, in cui c’è un salto di livello nell’aggressività assertiva della Russia contro l’Italia. È un tema che, io credo, anche in quest’Aula, andrà affrontato. Certo, non rimpiango il precedente ambasciatore russo a Roma, ma queste parole segnano un salto di qualità: «Le vostre autorità sono sgarbate, relazioni come nel 1941-1943». Sono parole durissime, ovviamente meditate. La diplomazia russa, a partire dal Ministro Lavrov, ha tante caratteristiche di cattiveria, di cinismo ma, certamente, non di impreparazione. L’ambasciatore lancia anche un attacco netto all’Italia come Presidente del G7: «Con l’inizio della sua Presidenza del G7, l’Italia sta attivamente rivendicando il ruolo di “capo coordinatore” di questo quartier generale anti russo dell’Occidente». Sono parole molto gravi, che individuano in modo esplicito l’Italia come un bersaglio. Ricordiamo che la guerra ibrida russa ha nel suo arsenale una potenza di fuoco in termini di cybercrime, di hackeraggio e di possibilità di destabilizzare, attraverso la pirateria, con i sabotaggi in rete. Per cui, io sono certo che chi di dovere avrà preso nota di questo grave attacco. Siamo a due anni dall’inizio della guerra, la Russia non vuole considerare - forse comprensibilmente - per sé il ruolo di aggressore e Putin non ha mai spiegato le ragioni di questa aggressione brutale. Mentre noi parliamo, sull’Ucraina ancora arrivano missili che distruggono obiettivi civili e scuole e, quando io sento anche in quest’Aula parlare di un processo di pace - che, ovviamente, come e più di tutti i colleghi auspico -, ascoltiamo però anche le parole dell’ambasciatore. In realtà, può non essere bello, può essere una fatica ormai ripeterlo, ma c’è un solo interlocutore per chi voglia aprire un processo di pace significativamente e ragionevolmente sostenibile nel conflitto ucraino e l’unico interlocutore è Putin. Non ci sono altri interlocutori, non si può pensare che l’interlocutore di un processo di pace sia chi cerca faticosamente di difendere i propri cittadini, la propria terra e le proprie istituzioni da un’aggressione immotivata contro il diritto internazionale. Lo so che è faticoso - l’ha detto anche la Presidente del Consiglio nella famosa telefonata -, c’è una fatica che è esattamente quello su cui scommette Putin, che manda messaggi minacciosi all’Italia attraverso l’ambasciatore. Putin scommette sul fatto che in Occidente si cominci a dire: “ancora armi dopo due anni. Non vi basta quello che è successo”? A noi forse può bastare perché siamo lontani, ancora siamo lontani dal fronte - ancora -, ma a chi è sotto le bombe non può bastare il fatto che, siccome per due anni lo hanno bombardato, deve arrendersi e cedere all’aggressione e preparare l’aggressore a nuove aggressioni. Infatti, questa non è una congettura, questo è quello che è accaduto nella storia del regime putiniano dalla seconda guerra di Cecenia in poi. Voglio toccare solo in chiusura un altro punto e rinvio, come ho detto in discussione generale, alla bella intervista che il direttore del TG1, Chiocci, ha fatto a Zelensky: chi guarda con passione questa vicenda credo debba vedere questa intervista nella sua semplicità e nella sua drammaticità per capire perché non possiamo chiedere a Zelensky semplicemente di arrendersi, di stare un mese a prendere i missili senza rispondere con la contraerea per poi arrendersi e fare la fine, se va bene (ma non andrebbe così bene), della Bielorussia, cioè diventare un protettorato putiniano, con la cancellazione di qualsiasi autonomia istituzionale e di qualsiasi libertà per i cittadini. L’ambasciatore russo entra anche in un dettaglio a proposito del G7: “Non è da escludere che, su pressione dell’ala anglosassone, l’enfasi sia posta sull’elaborazione di misure antirusse, tra cui l’inasprimento delle sanzioni e la ricerca di una formalizzazione giuridica del sequestro illegale dei beni sovrani russi”. Hanno capito che forse ci stiamo muovendo in una direzione importante, che è quella che chiedono gli ucraini e che noi, come +Europa, sosteniamo, cioè la confisca delle riserve - ci sono 200 miliardi nella sola Banca centrale del Belgio, se ho letto bene - con la confisca di questi asset finanziari. Il diritto internazionale consente di farlo - i giuristi sono in grande prevalenza a favore di questo - e vogliono farlo anche gli Stati Uniti con Biden, anche per superare il ricatto trumpiano di legare il sostegno all’Ucraina alle politiche migratorie, che segnano il cinismo della politica trumpiana. Biden ha cominciato a dire che ci sono 61 miliardi che possono essere utilizzati e ripeto che noi, nella mozione comune di Azione, Italia Viva e +Europa, abbiamo inserito questo punto, che è stato recepito dal Governo ed io mi auguro che l’Italia - come paventa l’ambasciatore russo in Italia -, nella sua leadership del G7, sappia portare sul tavolo questo tema. Ciò vale anche per gli asset bielorussi, che potrebbero essere utilizzati per sostenere il Governo bielorusso libero e democratico in esilio. Mi auguro che il G7, sotto la Presidenza italiana, ponga questo tema. Sembrava impossibile ma oggi è un tema sul tavolo negli Stati Uniti e in Europa, dove ci sono le reticenze della Banca centrale europea, che sono comprensibili dal suo punto di vista, volte a porre l’attenzione sul fatto che, se Stati Uniti ed Europa non agiscono insieme, c’è un rischio di sbilanciamento. Biden si sta muovendo in questo senso e mi auguro che, nell’ambito del G7, venga posta questa questione del make Russia pay: usiamo le risorse finanziarie russe nei forzieri, nelle banche e nelle istituzioni finanziarie europee per garantire uno sforzo e un sostegno all’Ucraina, che è stata devastata deliberatamente da un regime che non sopporta ai propri confini una democrazia che guarda all’Europa. Di questo si tratta e, senza nessuna volontà bellicista, ma semplicemente perché è un dovere etico-politico, noi voteremo a favore di questo provvedimento, cioè della prosecuzione del sostegno, non nonostante siano passati due anni, ma proprio perché sono passati due anni. Proprio per questo, è ancora più importante garantire agli ucraini la possibilità di difendersi dall’aggressione russa, perché Putin scommette esattamente sulla nostra fatica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-+Europa, Azione Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe e Italia Viva-il Centro-Renew Europe).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Faraone. Ne ha facoltà
DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Grazie, Presidente, signor Sottosegretario e onorevoli colleghi. Io credo che subiamo un paradosso in questo Paese, perché la definizione di pacifista è abbastanza surreale. Secondo la definizione di pacifista di questo Paese, Trump sarebbe un figlio dei fiori e si appresterebbe a partecipare alla marcia di Assisi, perché sta contrastando l’invio delle armi in Ucraina - lo sta facendo strenuamente - e si batte proprio per evitare che al popolo ucraino venga data una fornitura di armi che gli consenta di potersi difendere. Ma per fortuna, per questo pacifismo, non è il solo: si sta formando proprio una sorta di Internazionale pacifista, signor Sottosegretario, che naturalmente auspica il ritorno di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Un altro che può essere annoverato tra i componenti di questa Internazionale pacifista è sicuramente Orbán, che si è battuto per la pace qualche settimana fa, proprio perché non voleva che l’Europa destinasse le risorse economiche, che ha deciso per fortuna di destinare, all’Ucraina: ad Orbán va riconosciuto l’onore delle armi per essersi battuto fino all’ultimo per questa Internazionale pacifista. Anche Putin fa parte di questa internazionale pacifista, perché sta battendosi contro i nazisti e lo fa in nome della Internazionale, così come la destra israeliana, che auspica anch’essa il ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti d’America, perché si è rotta le scatole di Biden che gli ricorda i “due popoli in due Stati”. E poi ci sono delle cellule di questo pacifismo anche in questo Paese: c’è Conte, che tiene alta la bandiera della pace, la bandiera arcobaleno, e che oggi voterà contro il decreto, con tutto il suo gruppo, e c’è Salvini, che vorrebbe votare contro ma non può, tutti for Trump, tutti for Trump perché ritorni alla Casa Bianca e, come diremmo qui, nel nostro Paese, “Donald, sta casa spetta te”. Poi, c’è invece un gruppo di facinorosi, quelli come me e come tutti i colleghi che, oggi, decideranno di votare “sì” al decreto che riempirà di armi la resistenza ucraina, che hanno giudicato positivamente l’allargamento della NATO, che pensano che bisogna rispettare gli impegni con la NATO per maggiori risorse per una difesa possibile. Sono quelli che, alla domanda “chi scegli fra Biden e Trump?”, rispondono “Biden” senza farfugliare. Naturalmente, questi facinorosi, come noi, hanno valutato positivamente l’invio di 50 miliardi che l’Unione europea ha deciso di destinare alla resistenza ucraina. Questi pazzi pensano che questo decreto che voteremo oggi - assolutamente sragionano - prevede risorse che servono più per la pace che per la guerra e naturalmente pensano che per sedersi a un tavolo eventuale per la pace con Putin bisogna essere in una posizione almeno di pari forza, altrimenti Putin punterà, più che a una mediazione, a ottenere la resa. Per questo mondo al contrario, noi siamo i guerrafondai e l’internazionale che tiene insieme Trump e i suoi tifosi rappresenta i pacifisti. Naturalmente, i pacifisti di casa nostra a me sembrano un po’ come quei personaggi del film Independence Day - non so se lo ricorda, Sottosegretario - in cui, quando con l’astronave arrivarono gli UFO per distruggere il pianeta, 27 minuti, conto alla rovescia, c’erano quelli sui grattacieli coi cartelli che dicevano: portateci con voi. Io credo che questa sia un po’ l’idea che hanno del pacifismo, perché mentre la Russia è diventata una fabbrica d’armi - ne producono in continuazione, giocano a scambiarsele pure con l’Iran e con la Nord Corea - noi dovremmo disarmarci e, naturalmente, mostrare il nostro volto umano e sperare che questi qui ci compatiscano. Oltre a questo pacifismo un po’ sterile, io non capisco neanche che pace venga proposta, perché quando si dice “sì, sediamoci al tavolo della pace e della trattativa”, cosa si propone? Di ritornare ai confini del 2014 in Ucraina e, quindi, che la pace si faccia sulla base del fatto che Putin riconosca che quell’invasione è stata illegittima, oppure di tornare ai confini di 2 anni fa e, quindi, di lasciare la Crimea? Tutti questi pacifisti che parlano di un tavolo per la pace cosa propongono in concreto per il popolo ucraino e per il rispetto del diritto internazionale? Perché se non fanno questo secondo passaggio, io non capisco che cosa voglia dire “tavolo per la pace”. Il problema è che questo secondo passaggio innesca un’ipocrisia, che sostanzialmente è presente in chi dice, in maniera sterile, soltanto “pace” e presenta emendamenti per sopprimere l’articolo che, di fatto, tiene in piedi l’intero decreto che oggi voteremo. Dopo due anni da quando è iniziata la guerra, considerato che nelle trincee regna lo stallo, serve sicuramente una capacità politica che la stessa Europa - devo dire - ha dimostrato, perché quello che è stato fatto nei confronti di Orbán, e che viene sottovalutato, io lo reputo un fatto importantissimo. L’aver detto a Orbán, con forza politica “o tu fai questo, oppure io non ti trasferisco un euro” è una scelta politica e questa stessa intensità politica che abbiamo manifestato in quel passaggio dobbiamo manifestarla nella relazione che si mette in campo con la Russia. Va compreso, però, che tutto questo - la trattativa, la discussione - si può fare semplicemente a condizioni che però siano compatibili con il rispetto del nostro continente, perché c’è un aggressore che non mi sembra che abbia detto di volersi fermare. Tutti voi che dite “pace” avete sentito da Putin la volontà di rallentare la sua campagna nei confronti dell’Ucraina? Lo avete sentito dire “sediamoci per capire cosa dobbiamo mettere in campo”? Io non sottovaluterei le parole del Ministro tedesco Pistorius, quando dice che l’Europa potrebbe affrontare - io dico, sta già affrontando - in Ucraina i pericoli della Russia entro la fine del decennio. Putin minaccia la Finlandia, che ha aderito alla NATO, i Paesi baltici, la Moldavia, la Georgia. I Paesi europei non possono fischiettare rispetto a tutto questo, al mutato panorama geopolitico. Per questo serve l’Esercito europeo, anche perché gli Stati Uniti potrebbero cominciare - io dico che hanno già cominciato - ad allentare la loro presenza. Con il tema che ho posto poco fa, di Trump che bloccherebbe l’invio delle armi, di fatto sta allentando la sua presenza. Io credo che noi dobbiamo riuscire a comprendere come l’Europa acquisisca uno spazio autonomo. Ieri sentivo un collega del MoVimento 5 Stelle dire che, se oggi Biden dovesse dire “ritiriamoci tutti”, qui dentro tutti cambieremmo idea e ci ritireremmo. Io credo che si sia verificato l’esatto contrario, sempre nel famoso 1° febbraio, con i famosi 50 miliardi. L’Europa ha deciso di destinare all’Ucraina quelle risorse e lo ha fatto quando gli Stati Uniti d’America hanno invece deciso di allentare il loro impegno a difesa delle democrazie europee. Quindi, per la prima volta, credo, dopo tantissimi anni o forse nella storia, che l’Europa autonomamente, a prescindere da quello che ha fatto il “gendarme” americano, a prescindere da quello che hanno deciso al Congresso americano, abbia deciso di agire e io credo che questo sia un fatto storico importantissimo che va assolutamente valorizzato e credo che su questo noi dobbiamo improntare la nostra azione, perché credo che non possiamo arrenderci a Putin, non possiamo accettare che una Nazione sovrana venga invasa senza che l’Europa reagisca, quando a pochi chilometri da noi tutto questo sta accadendo.
PRESIDENTE. Concluda.
DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Per questo voteremo a favore di questo decreto, perché crediamo che sia il miglior modo per lavorare per la pace (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bicchielli. Ne ha facoltà.
PINO BICCHIELLI (NM(N-C-U-I)-M). Presidente, onorevoli colleghi, signor Sottosegretario, la storia, molte volte, pone le Nazioni e i suoi governanti di fronte a scelte cruciali, dei veri e propri crinali dinnanzi ai quali prendere una posizione non è importante ma è necessario ed è fondamentale per poter recitare un ruolo centrale nel corso degli avvenimenti. Giustizia o ingiustizia, autodeterminazione dei popoli o legge del più forte, libertà e ideologia: ecco, la guerra russo -ucraina ha messo i Governi dinanzi a questi crinali, che sono crinali valoriali e politici. In tal caso, sia pure in un contesto brutale e disumano, il conflitto ha rappresentato l’occasione per l’Europa e per gli Stati europei per ribadire al mondo intero la scelta di fondo che è alla radice del processo di integrazione europea: no, alla guerra, sì, al dialogo, sì, alla pace, sì alla piena collaborazione tra Stati e popoli, anche di culture politiche e identitarie differenti. Il sogno europeo, signor Presidente, è nato proprio dalle rovine prodotte dai conflitti mondiali, dalla Seconda guerra mondiale e dalle brutalità che hanno contraddistinto il secolo scorso. Proprio per questo, la posizione che l’Europa e l’Italia, in particolare, hanno assunto di fronte alla guerra in corso non ha sofferto da parte nostra tentennamenti di sorta. Il Governo in carica, questa maggioranza e il gruppo che rappresento, quello di Noi Moderati, hanno sempre ribadito con forza la propria posizione di pieno sostegno all’Ucraina senza “se” e senza “ma”. In questi giorni, come ha ripetuto più volte il Sottosegretario Perego di Cremnago - che ringrazio per il lavoro svolto in Commissione anche in questa fase - ha più volte anch’egli ribadito che il Governo Meloni, sin dal suo insediamento, ha mantenuto una linea precisa e ferma in politica estera, decisa in sede di Alleanza atlantica e di Unione europea, ma cambiando di fatto approccio. L’Italia, infatti, ha assunto sempre più un ruolo guida, sia nel Mediterraneo, sul tema dell’immigrazione, con il Piano Mattei, sia in Medio Oriente, con la guida della missione in Mar Rosso. È un tema, questo, che poi ci riguarda particolarmente da vicino. Il cambio di rotta delle navi merci comporta, come voi sapete, anche la scelta di porti diversi da quelli italiani, con impatti economici su tutta la filiera portuale e logistica. E quindi le tensioni internazionali stanno, di fatto, colpendo il sistema economico nei suoi punti nevralgici, ossia logistica ed energia. E quando uno o entrambi si inceppano, a cascata gli impatti negativi si riversano su tutte le fasi del processo economico e il peso maggiore, inevitabilmente, ricade sempre su coloro che sono già in difficoltà: famiglie e imprese. Lo abbiamo visto in questi anni di permacrisi, in cui più fattori endogeni al sistema economico hanno colpito il suo nucleo, ossia l’approvvigionamento di materie prime, merci ed energia. Oggi, a contribuire in maniera sostanziale a creare un quadro di instabilità, sono le tensioni internazionali nel centro Europa e in Medio Oriente che, minando la sicurezza energetica, rischiano di produrre un effetto inflazionistico generalizzato, e la precisione chirurgica degli attacchi Houthi - che stiamo vedendo - alle navi mercantili dirette al canale di Suez e, dunque, nel Mediterraneo, che già hanno prodotto ritardi, così come l’aumento dei costi del traffico merci, ne sono, di fatto, la dimostrazione. Costi che, inevitabilmente, si riverseranno poi sui prezzi finali che dovremo pagare. Signor Presidente, ho fatto questa escursione per dire che tentennare in situazioni come queste significherebbe non solo indebolire la nostra posizione sullo scenario internazionale ma, di conseguenza, indebolire anche tutta l’Europa. E quindi ringrazio il Presidente del Consiglio e il Governo per il lavoro che si sta portando avanti, su più livelli, su questo fronte. Il provvedimento che ci apprestiamo a votare va esattamente in questa direzione. Infatti, il decreto-legge n. 200 del 2023 proroga fino al 31 dicembre di quest’anno l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, già prevista dall’articolo 2-bis del decreto-legge n. 14 del 25 febbraio 2022. Un provvedimento che è perfettamente in linea con altri assunti nei mesi precedenti ai soli fini di sostenere l’Ucraina su più livelli nel conflitto in atto. Inoltre - e questo è un aspetto, a mio avviso, non del tutto secondario -, come si evince dalla relazione tecnica, dal provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della Difesa, mentre eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Signor Presidente, un Paese come il nostro, un’Italia che tiene la barra dritta sul fronte Ucraina rende ancora più forte l’Europa e il ruolo che quest’ultima sta giocando al fine di raggiungere il vero obiettivo di tutti: perseguire tutte le vie possibili per arrivare a una pace degna di questo nome. A tal proposito, ho ritrovato un discorso del 2001 dell’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi che, rivolgendosi a una platea di ragazzi così diceva, cito testualmente: “È indispensabile, per il mantenimento dell’equilibrio globale e di pace, che l’Europa sia un interlocutore in grado di affermare la democrazia, i diritti umani, la solidarietà: è essenziale che tutti lo riconoscano. Non potremo essere di esempio agli altri se non sapremo sollecitare noi stessi”. Rileggendo questo passo, io ne vorrei sottolineare l’attualità, ma, soprattutto, credo sia importante mettere in evidenza il monito finale: sollecitare noi stessi sui valori fondanti della nostra Italia e della nostra Europa, per essere da esempio per le future generazioni e per le altre Nazioni. E credo che questo sia il punto del nostro agire politico. Il punto è questo. Il crinale che ci mette dinanzi la storia oggi è proprio questo: ribadire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato non è mai un esercizio fine a se stesso, è sempre un’azione valoriale, è sempre un’azione politica, volta a dare braccia e gambe a ciò che è stato messo nero su bianco nella nostra Costituzione e nei trattati europei. Solo così, signor Presidente, si portano avanti i valori di un popolo, ossia mettendoli realmente in atto. Pertanto, come già abbiamo ribadito più volte, oserei dire che quelle in esame non sono norme oggi, ma sono atti di civiltà, che fanno da evidente e assoluto contraltare alle barbarie commesse da chi, invece, ha deciso di invadere un territorio sovrano, seminare morte e distruzione e radere al suolo intere città, come se questo fosse un atto dovuto. E quindi, per tutte queste ragioni, annuncio un atto dovuto, ossia il voto favorevole del gruppo di Noi Moderati.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Fratoianni. Ne ha facoltà.
NICOLA FRATOIANNI (AVS). Grazie, signor Presidente. Siamo tutti, chi più chi meno, abituati al ritmo del lavoro parlamentare. Sappiamo che, quando la discussione con le dichiarazioni di voto comincia la mattina presto e non ci sono emendamenti, né voti da fare, l’Aula è vuota. Però, me lo faccia dire, fa venire un poco di disperazione, l’Aula vuota, quando il Parlamento discute della guerra, delle armi, di un conflitto drammatico come quello in corso in Ucraina da ormai quasi due anni, dopo l’aggressione russa al territorio ucraino. Fa venire la disperazione perché ha il sapore della normalizzazione della guerra, della sua naturalizzazione. Dà fino in fondo la misura del senso di impotenza e, dunque, anche della distrazione che ne deriva, in un’Aula come quella del Parlamento, che, in Italia, come in ogni altra parte del mondo, dovrebbe, invece, sentirsi fino in fondo caricata di una responsabilità: quella di fare i conti, minuto dopo minuto, di fronte alla guerra, alle guerre, in Ucraina come a Gaza, ovunque si combattano guerre che producono tragedie, lutti e disperazione. Dovrebbe sentirsi caricata della responsabilità di costruire, passo dopo passo, la strada di una via d’uscita pacifica dall’inferno della guerra. Quando questo non avviene più come accade ormai da troppo tempo anche nel nostro dibattito, quella normalizzazione si presenta davanti a noi come l’ineluttabile orizzonte del mondo che abbiamo davanti. E badate, questa questione ci dice molto di più di quanto non ci dica la fotografia di quest’Aula vuota. Ci dice del rapporto che una parte del mondo e delle sue classi dirigenti sta costruendo con l’orizzonte della guerra. Qualche settimana fa, un signore non notissimo alla cronaca del grande pubblico, Rob Bauer, presidente del Comitato militare dell’Alleanza atlantica, in una riunione di quel Comitato, ha dichiarato, senza che questa dichiarazione avesse grande risalto, che, a differenza di qualche tempo fa, non è più affatto improbabile o impossibile immaginare una guerra totale con la Russia nei prossimi vent’anni e che, dunque, dobbiamo prepararci. Ora, se qualcuno pensa che ci sia il rischio di una guerra totale contro una potenza nucleare, fa bene a prepararsi. Il punto è la frase successiva, e cioè la frase che descrive la modalità con cui si pensa di prepararsi all’ipotesi di una guerra totale con la Russia. Sapete qual è questa modalità? Non quella di lavorare senza sosta, notte e giorno, senza dormire, presi dalla disperazione di un orizzonte che potrebbe far sprofondare il mondo nella catastrofe nucleare, no, e dunque correre a cercare di sminare le ragioni possibili, costruire le condizioni diplomatiche, aumentare l’interlocuzione, sminare, incalzare, sanzionare, quel che volete, no! Produrre più armi - più armi! - più potenti, per prepararsi allo scontro, all’impatto militare. È questa la naturalizzazione della guerra, lo dicevo ieri, è quella che ci fa guardare all’Indo-Pacifico con rassegnazione, pronti a contare i resti di un mondo in frantumi nella guerra tra Cina e Stati Uniti, in un mondo che va riorganizzando le sue aree di potere, di influenza, i suoi interessi economici, gli scambi di mercato. È quello che accade a Suez, oppure facciamo finta di non vedere che quello che accade a Suez ha a che fare con questa dimensione? Non con i diritti, con le democrazie contro le autocrazie, con le balle che continuano a risuonare anche dentro quest’Aula, signor Presidente, a proposito della necessità di difendere valori liberali e democratici contro chi quei valori li calpesta nel suolo patrio e fuori dal suolo patrio, quando ne esce in armi per aggredire una Nazione sovrana. Già, giusto, è bene sempre difendere le Nazioni sovrane dalle invasioni altrui. Non lo abbiamo fatto, continueremo a non farlo con la Palestina (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra), perché, me ne dimenticavo, non è uno Stato sovrano, non lo abbiamo ancora riconosciuto. Primo, occorre ribellarsi a questa normalizzazione, occorre ribellarsi, non perché siamo pacifisti. Lo dico per suo tramite all’onorevole Faraone, era un po’ che non sentivamo la caccia, l’elenco del pacifista cattivo con la doppia morale. Anche qui, siamo di fronte alle guerre, eviterei di fare della pace il problema, eviterei. Abbiamo un problema più grande, è la guerra. E allora, se ci ribelliamo alla normalizzazione, occorre provare a decostruire tutto ciò che si accompagna alla normalizzazione della guerra. Primo, la retorica dei diritti, perché non si può essere fermi nella difesa del diritto internazionale lì e sordi e distratti nella difesa del diritto internazionale in uno, due, tre, cento altri luoghi del mondo. Non si può essere, con l’Alleanza atlantica, impegnati nella difesa del mondo libero senza vedere che uno degli eserciti più potenti di quell’Alleanza è quello della Turchia, di un signore, Erdogan, definito anche recentemente in questo Parlamento da un importante Premier, sostenuto allora da quasi tutto il Parlamento, tranne che da un gruppo allora di opposizione, oggi il primo gruppo di questo Parlamento, e dal sottoscritto e pochi altri, il Premier Draghi, che qui, in quest’Aula, più o meno da quel banco, nel lato posteriore, definì Erdogan un dittatore. Non si può, non si può, perché non funziona, perché crolla miseramente, come un castello di carte mal costruito, tutto ciò che sa di retorica dei valori, quando quei valori non valgono sempre, in ogni contesto, anche quando a subirne la violazione sono i più deboli, sono coloro che hanno meno peso nella geopolitica, negli interessi commerciali, nella storia del sistema di alleanze al quale siamo legati da molti decenni. Dunque, primo, fateci il piacere, basta con la retorica, basta, basta con la retorica. E, allora, torniamo alla dimensione più materiale, l’efficacia, perché anche qui, sempre per suo tramite, ho ascoltato il collega Faraone. Ci ha spiegato, ma è un argomento che molti altri colleghi e colleghe usano sempre, “diteci cos’è questa pace, perché voi dite pace, ma poi non sapete dirci nulla. Noi invece sì che abbiamo le idee chiare”. Poi i fatti, mi insegnò tanti anni fa un dirigente politico, hanno la testa più dura delle parole. Da due anni una strada abbiamo intrapreso e quella strada unica abbiamo seguito, quella delle armi, solo quella. E l’abbiamo intrapresa sulla base di una tesi, ripetuta anche oggi più volte, da Della Vedova, Faraone, e immagino che la ascolteremo ancora, ancora e ancora: senza le armi, non ci saranno mai le condizioni di forza sul terreno per imporre una trattativa. Sono due anni, la guerra è impantanata, ho ritrovato anch’io alcuni appunti proprio nel mio banco, sono quelli che ho preso quando il Ministro Crosetto ha reso comunicazioni in quest’Aula sulla situazione in Ucraina, proprio per ricevere, con le risoluzioni, l’orientamento politico che ha dato vita a questo decreto. Il Ministro Crosetto - arrivo rapidamente alla conclusione - diceva: dopo due anni la controffensiva è fallita, la guerra ha preso le caratteristiche di una guerra di posizione, ci sono 8 milioni di mine, l’Ucraina è devastata, l’obiettivo principale resta quello della liberazione di tutto il territorio, il ripristino dei confini, l’integrità territoriale piena, però - questo è il Ministro Crosetto, il “però” lo ha messo lui, non io - dobbiamo confrontarci con la realtà, è il momento di fare un’offensiva diplomatica decisa. Dov’è questa offensiva? Non c’è, non c’è, non c’è (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra). E con questo bisogna confrontarsi, perché altrimenti tutto quello che stiamo dicendo, altro che i pacifisti non hanno un’idea, noi, un’idea, ce l’abbiamo. Provate a fare qualcosa di diverso, poi fatelo voi, siete al Governo, voi e tutta la larga maggioranza che sostiene la follia dell’escalation militare da due anni. Fatelo voi, ma fate qualcosa, perché quello che state facendo è soltanto la riproposizione dell’escalation militare. L’assenza, il mutismo, l’afonia di un’Europa incapace di costruire il proprio profilo, la propria autonomia sulla politica estera, sulla difesa, porterà l’Europa alla sua fine e il mondo sempre più sull’orlo, anzi, oltre l’orlo di un baratro, quello della guerra. Noi non ci stiamo e non ci rassegniamo (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Tra pochi giorni, saranno due anni dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ed è vero, ho ascoltato con attenzione le parole del collega Fratoianni, di cui non condivido nulla, ma di cui apprezzo la chiarezza e la serietà, ci vuole coraggio per continuare questa guerra, ci vuole coraggio, ci vuole determinazione. È una guerra faticosa, che costa, costa vite umane, ma non è il nostro coraggio che serve, è il coraggio degli ucraini che serve. Sono loro che pagano il prezzo, sono loro che sono sotto i bombardamenti, sono loro che vedono il loro Paese straziato da un invasore che, ricordiamo le violenze che abbiamo visto in quei giorni di due anni fa, ha devastato quel Paese, ha devastato quel popolo, ha esercitato una ferocia che non ricordiamo da più di mezzo secolo nel centro dell’Europa. A noi costa un euro al giorno, ai cittadini italiani costa un euro al giorno questa guerra. È vero, è pesante dal punto di vista dell’impegno che questo Paese sta mettendo, ma costa un euro al giorno. A loro costa centinaia di vite al giorno. Gli ucraini oggi sono una barriera del diritto, oltre alla difesa del loro Paese. Non è solo solidarietà quello che ci spinge, l’Ucraina fa parte geograficamente e culturalmente dell’Europa. Chi ha girato per le città ucraine sa che fanno parte culturalmente dell’Europa. È vero, c’è anche un’Ucraina più rurale, ma c’è anche una Polonia più rurale, c’è anche una Romania più rurale e c’è anche un’Italia più rurale. L’Ucraina è un pezzo dell’Europa che si integrerà con gli anni e con la fatica che dobbiamo avere davanti a noi. Dicevo che non è solo solidarietà, è un principio da tutelare, e, se non lo facciamo con la Russia, consentiremo che qualsiasi Paese abbia qualche carro armato in più del suo vicino possa pensare che la situazione si risolva invadendo quel Paese, e renderemo il mondo più insicuro, se non abbiamo la fermezza e la determinazione di sostenere un Paese che è aggredito. Ed è vero che la difesa del diritto è faticosa e costosa. Ricordo un periodo nero del nostro Paese, il periodo della lotta alla mafia. È stato un periodo terribile, in cui sangue e violenza hanno devastato pezzi del nostro territorio, perché c’è stata la determinazione dello Stato di non consentire che quella presenza criminale potesse governare quei pezzi di terra. È un paragone forte? Ma è la stessa cosa. Si poteva tollerare la mafia? Si può tollerare un invasore? Sono i principi del diritto internazionale che ci motivano a tenere il punto. La reazione dell’Europa, questa sì, almeno è stata forte e coesa, anche se attraversata dai ricatti, i ricatti non dell’Ungheria ma i ricatti del Governo ungherese - è una cosa diversa - che hanno costretto l’Unione europea a compromessi. Ma dobbiamo rivendicare la forza con cui l’Europa ha saputo reagire e lo dico perché in ballo c’è anche il tema della capacità di indipendenza e di autonomia dell’Europa. Non è solo una questione di Trump e Biden: in linea generale ormai gli Stati Uniti guardano con più interesse a quello che succede nell’Indo-Pacifico rispetto a quello che succede in Europa. Chi segue queste cose dovrebbe avere la consapevolezza che sempre di più la difesa dell’Europa sarà un problema degli europei e deve essere un problema degli europei. Anche per questo è importante - e lo dico al Governo che ha e avrà anche la responsabilità di guidare il G7 in questo semestre - che l’Unione europea faccia passi avanti in questi ultimi mesi prima delle elezioni per rafforzare le sue istituzioni e, in particolare, quelle di politica estera e di politica della difesa. È un mandato che dobbiamo lasciare alla prossima legislatura del Parlamento europeo e lo vediamo proprio sul confine con l’Ucraina e forse ancora di più lo vediamo nella difesa degli interessi che abbiamo nel Mar Rosso. Anche lì abbiamo bisogno degli Stati Uniti per tutelare i nostri interessi. C’è questo dibattito straordinario sul se dobbiamo andare o non dobbiamo andare a difendere i nostri interessi lì. E come facciamo a non difendere i nostri interessi lì? Provate a guardare la crisi delle nostre imprese e dei nostri porti a motivo di ciò che sta avvenendo. Purtroppo, questo mondo è caratterizzato da alcuni Governi, che non sono Governi, ma vi sono dittatori, che hanno una caratteristica, ossia il dittatore per restare tale - e Putin ne è un esempio straordinario - ha bisogno di tre cose: ha bisogno della violenza nel suo Paese e, quindi, di piegare qualsiasi voce dissonante; ha bisogno di affamare il suo popolo; ha bisogno di un nemico esterno. Putin sta facendo esattamente questo e non è l’unico che sta facendo esattamente questo. Se l’Occidente non è capace di reagire e di reagire con una capacità di sintonia, noi resteremo schiavi di un sistema dove i dittatori saranno più forti delle democrazie e le democrazie devono dimostrare in questo la loro capacità di essere più forti e di saper reagire. C’è qualcuno che pensa che ci si possa difendere a mani nude. Io non riesco veramente a capire come si possa pensare di non sostenere un popolo che si sta difendendo anche con le armi. Lo abbiamo vissuto nella nostra storia. Non voglio essere retorico ricordando la Resistenza, ma da sempre se fai la guerra hai bisogno di qualcuno che ti dia gli strumenti per fare la guerra. Quella dell’Ucraina non è una guerra di aggressione; è una guerra di difesa. L’Europa si era impegnata a mandare un milione di munizioni - cito solo questo esempio - e ne ha mandate 300.000 anche per l’incapacità di questi Paesi di rappresentare all’opinione pubblica come sia importante mantenere gli impegni assunti con un Paese che è in guerra. Io penso che, quando affrontiamo queste cose, non possiamo mai dimenticare quello che quel popolo oggi sta affrontando. Il collega Della Vedova ha letto le dichiarazioni che l’ambasciatore russo in Italia ha fatto. La minaccia russa aumenterà nel nostro Paese. Non è che Putin si accontenterà di continuare con il percorso dell’Ucraina. Aumenterà la tensione e il fatto di aumentare la tensione ha prodotto, a livello internazionale, che la sua alleanza con altri attori globali del terrorismo si sia incrementata e consolidata, a cominciare dall’Iran che ha tutto l’interesse a destabilizzare. Allora, è vero: lavoriamo per la pace e lo dico al collega Fratoianni e lo dico ai colleghi che interverranno dopo annunciando politiche di pace, ma la pace si fa con qualcuno che la vuole fare. La pace la si fa con qualcuno che si vuole sedere. Con Hitler, nel 1942, non si poteva fare la pace. Con Hitler, nel 1942, bisognava combattere. Non vedo la disponibilità di Putin a fare la pace. Se Kiev decidesse di non sparare più un colpo di cannone stamattina, la Russia non si ferma; la Russia arriva al confine con la Polonia. Noi possiamo pensare - lo pensa qui qualcuno - di disarmare gli ucraini, possiamo pensare di affamare gli ucraini, come pensa Orbán, possiamo rompere il loro senso di solidarietà, come tanti pensatori e tanti commentatori europei fanno, e ne abbiamo un grandissimo esempio in chi scrive libri, anche in questo Paese, in cui facciamo perdere il senso della solidarietà a quel popolo, ma non possiamo pensare di farli arrendere, perché non si arrenderanno. Allora, noi continueremo a fare la nostra parte. Per quanto ci compete, continueremo a sostenere l’azione che questo Governo, in maniera coerente, sta portando avanti anche rispetto al percorso del Governo Draghi e lo faremo con la fermezza di chi pensa che abbiamo una responsabilità e dinanzi alle responsabilità non ci si può tirare indietro (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Bagnasco. Ne ha facoltà.
ROBERTO BAGNASCO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Presidente, colleghi, signor Sottosegretario, la ringrazio, all’inizio di questo mio intervento, per l’attenzione con la quale ha seguito questa situazione delicatissima in Commissione e ovviamente, come tutti avete potuto constatare, anche in Aula. Il confronto tra Governo e Parlamento è un fatto essenziale in democrazia e quando questo confronto si manifesta in maniera così chiara, così continua e così puntuale non possiamo non prenderne atto in maniera assolutamente positiva. Colleghi, a quasi due anni dall’inizio del conflitto il dibattito politico sulla guerra tra Russia e Ucraina infuoca ancora gli animi di quest’Aula e questo sarebbe ben poca cosa perché, purtroppo, genera ogni giorno lutti. Qualcuno ha detto che agli italiani costa un euro al giorno, ma a quei popoli, purtroppo, costa qualcosa di più, qualcosa di drammaticamente grave che ogni giorno porta lutti nelle famiglie, anche quando ormai si pensava che questa situazione potesse essere superata. L’invasione da parte della Russia ci ha obbligati a una riflessione rispetto alla concezione tradizionale di sicurezza e di difesa comune dell’Unione europea a cui eravamo abituati e, più in generale, al ruolo che l’Europa è chiamata a svolgere oggi e in futuro non solo per difendere la sicurezza dei suoi cittadini e dei suoi confini ma anche di fronte alle richieste di aiuto militare da parte dei Paesi vicini. Proprio di questi giorni e di queste ore è il dibattito nel nostro principale alleato, gli Stati Uniti d’America, sull’aiuto o meno al popolo ucraino e il fatto stesso che l’Europa stia prendendo una posizione chiara, decisa e determinata, indipendentemente evidentemente, pur guardando con grande attenzione a quello che succede oltreoceano, dagli Stati Uniti, è un fatto assolutamente positivo che deve essere puntualizzato e, in qualche modo, valorizzato, perché è un punto importante nella costruzione di quell’Europa di cui tanto parliamo ma che, purtroppo, in molti casi diventa solamente una chimera. La deliberazione della fornitura di armi a uno Stato aggredito militarmente in Europa costituisce uno spartiacque rispetto al passato e si pone come un primo passo in avanti verso il futuro della difesa comune. La difesa comune, qual è l’alleanza tra Paesi democratici, è un progetto da realizzare necessariamente affinché l’Unione europea rafforzi la sua capacità di difesa e lo ha ricordato recentemente anche il nostro Ministro degli Affari esteri. Del resto, la difesa comune - lo dico, ovviamente, con soddisfazione, ma non con particolare enfasi - è stata per tanti anni uno dei cavalli di battaglia del presidente Berlusconi. La difesa comune è un fatto fondamentale per il continente europeo. La differenza fra aggressore e aggredito, che più volte abbiamo ribadito, non lo dobbiamo mai dimenticare, non è un preambolo cerimoniale ma è il discrimine decisivo che giustifica totalmente il nostro sostegno incondizionato alla causa del popolo ucraino, un popolo invaso, e conferma il nostro impegno a difendere la libertà, i principi democratici e ad assicurare un futuro di pace a tutta l’Europa. L’invasione russa ha rappresentato una gravissima violazione della sovranità di uno Stato libero e democratico, dei trattati internazionali, dei più fondamentali valori europei e non riguarda soltanto l’Ucraina ma rappresenta un attacco alla nostra concezione dei rapporti tra Stati basati sul diritto. Del resto, l’Ucraina, lo sappiamo tutti, è geograficamente ma anche culturalmente legata totalmente alla nostra Europa. Certo, il conflitto si sta rivelando purtroppo anche più sanguinoso di quanto non fosse previsto, sta diventando una guerra di attrito, di posizione, con forte impegno anche di uomini senza, ad oggi, una soluzione in vista. Qualcuno diceva: fateci il piacere, basta con la retorica della pace. Sì, lo dico anch’io, lo diciamo anche noi: basta con la retorica della pace. Senza un progetto, non si può parlare di pace, si può parlare di pace solamente quando tutti e due i contendenti, in qualche modo, vedono la pace come una soluzione possibile. Ad oggi, questo non succede e, quindi, parlare di pace è pura ed esclusiva retorica. Basta con la retorica della pace, lo diciamo noi e lo diciamo con grande chiarezza. La pace che tutti ci auguriamo dovrà essere giusta ed equilibrata, si, giusta ed equilibrata. L’inviato del Santo Padre Francesco in Ucraina è il cardinale Zuppi che è anche il presidente della Conferenza episcopale italiana. Ebbene, il cardinale Zuppi - è chiaro, le posizioni della Santa Sede tutti noi le conosciamo con grande chiarezza, le rispettiamo e le condividiamo anche - ha parlato più volte di pace ma, parlando di pace, ha aggiunto anche due aggettivi importanti e significativi: giusta e sicura, la pace deve essere giusta e sicura. Dunque, non si parla di pace ma si parla solamente di una prevaricazione degli uni rispetto agli altri. La pace resta, ovviamente, la via maestra da seguire, la stella polare che ci deve orientare e va difesa e conquistata con la diplomazia e, se necessario, anche purtroppo, lo dico senza infingimenti, con la forza delle armi. Il presidente Zelensky e il popolo ucraino sanno che l’Italia è con loro e lo sarà in tutta questa lunga battaglia per la conservazione della sovranità, perché abbiamo il dovere di tutelare due princìpi essenziali della Carta delle Nazioni Unite: sovranità e integrità territoriale, ben riflesse nella recente dichiarazione finale dei leader del G20 a Nuova Delhi. Tuttavia, una riflessione sullo stato e le conseguenze della guerra deve essere fatta. Intanto, è lecito chiedersi a che punto sia la guerra. È difficilissimo dirlo e l’unica certezza è la probabilità di avvenimenti imprevisti. Le informazioni sicure sono poche e le dichiarazioni ufficiali, rispettive, di aggressori e aggrediti hanno in comune il proposito di cautelarsi rispetto a qualunque accusa di debolezza e\o cedimento. Di fronte a questa incertezza, anche dovuta al fatto che per lungo tempo si è parlato di una guerra lampo che invece si sta trascinando, è legittimo essere preoccupati, oggi più che mai, ed esprimere condanna nei confronti del Governo russo. Come già in passato ho avuto modo di ribadire, esprimiamo condanna, innanzitutto, per la situazione della sicurezza nella centrale nucleare di Zaporizhzhia e dobbiamo continuare a sostenere gli sforzi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica che chiede di ispezionare - è di questi giorni - i nuclei dei reattori e i depositi di combustibile nucleare esausto. A tal proposito mi auguro che il capo dell’agenzia nucleare delle Nazioni Unite, Rafael Grossi, sia riuscito oggi a visitare la centrale finalmente, visita impedita per mesi dal Governo russo, proprio per verificare le condizioni dell’impianto dallo stesso definite come molto delicate. Il rischio è un’altra Chernobyl. Ancora, l’Italia condanna la Russia per l’attacco ai siti religiosi e culturali e per questo la ricostruzione dell’Ucraina sarà una delle massime priorità della presidenza italiana del G7, abbiamo anche questa occasione. L’Italia sarà in prima linea nel progetto di ricostruzione che rappresenta il nucleo della rinascita sociale e spirituale di un popolo martoriato dalla guerra. Sono certo che il nostro Paese lotterà sempre per la pace e sarà pronto a fare quella vera, quella giusta, a fare la sua parte ovunque sia chiamato a farla, perché crediamo fortemente nella libertà che rappresenta il pilastro essenziale di una società che voglia definirsi davvero democratica. Per questo esprimo a nome di Forza Italia parere favorevole al decreto oggi in votazione, che dispone la proroga della autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l’onorevole Pellegrini. Ne ha facoltà.
MARCO PELLEGRINI (M5S). Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, sono ormai passati due anni dalla folle aggressione di Putin nei confronti dell’Ucraina, due anni di guerra, devastazioni, dolore, perdita di centinaia di migliaia di vite umane. Nel 2022 è stato giusto e doveroso aiutare l’Ucraina, per permetterle di difendersi ai sensi dell’articolo 51 della Carta dell’ONU. Questo Parlamento aveva però sottolineato, in occasione dell’approvazione del primo invio di armi e aiuti umanitari, che parallelamente dovesse essere intrapresa una seria e coraggiosa azione diplomatica per giungere al termine del conflitto il prima possibile. Noi del MoVimento 5 Stelle auspicavamo, proprio ai sensi e per gli effetti di quel mandato parlamentare ed anche in virtù della storia dell’Italia e dei principi contenuti nell’articolo 11 della Costituzione, che l’Italia diventasse leader o tra i maggiori promotori dell’iniziativa diplomatica. Però, purtroppo, così non è stato. Anzi, l’unico tentativo negoziale tra Russia e Ucraina fu promosso nel marzo 2022 da Turchia e Israele. Le risultanze di quella bozza di accordo, che prevedevano tra l’altro il cessate il fuoco, non hanno avuto seguito anche o soprattutto per l’opposizione ferma del Presidente Biden e del premier Johnson ma anche per la debolezza estrema dell’Europa e di questo io sono certo che la storia chiederà conto. Per due anni si è andati avanti con un continuo invio di armi, sempre più letali. La propaganda bellicista ci raccontava che i russi erano a corto di armi e di proiettili, che combattevano a badilate, che, grazie alle sanzioni che erano state comminate, la Russia avrebbe fatto default in poche settimane, che Putin aveva malattie gravi e che quindi la vittoria sarebbe arrivata in poco tempo. Bastava, secondo loro, inviare armi più potenti e letali per vincere subito. Ora avrei gioco facile a rileggere le fandonie - perché tali sono - di questo tenore propalate dai principali mezzi di informazione e da molti leader italiani, europei ed americani. Potrei citare gli insulti e gli attacchi forsennati contro tutti coloro che, come noi, esprimevano dubbi sull’utilità di puntare tutto sull’opzione militare e dubbi, tra l’altro, proprio riguardo al fatto che fosse la cosa giusta per l’interesse dell’Ucraina innanzitutto. Purtroppo, tutte le armi che abbiamo fornito insieme ad altri Paesi occidentali non sono state affatto decisive, perché la controffensiva del 2023 è stata, ahinoi, un fallimento e la linea del fronte è rimasta sostanzialmente immutata ed è ferma dal novembre 2022, da quando il generale Mark Milley, il capo di stato maggiore delle forze armate degli Stati Uniti, aveva avvisato che si stava andando verso una guerra di posizione, una guerra di trincea, e che quindi occorreva trovare una soluzione diplomatica al conflitto, sfruttando l’inverno che stava arrivando in quel momento. Era il novembre del 2022, 14 mesi fa: quindi, sono stati 14 mesi di massacri e devastazioni che si sono rivelati, purtroppo, inutili. Analoghe valutazioni erano state fatte anche dal Capo di stato maggiore delle Forze ucraine, che parlava, anch’egli, di una guerra di trincea che può durare anni, “ma lo Stato ucraino, a differenza della Russia, non ha una riserva umana quasi illimitata”. Ho letto le parole testuali del Capo di stato maggiore ucraino. Un realismo e un pragmatismo espressi dai due Capi di stato maggiore tipici di chi conosce la guerra, di chi sa come si fa, come si conduce, che conosce le forze in campo, i mezzi, la logistica, le possibilità di vittoria o di sconfitta. Un realismo che contrastava con le ferme convinzioni del Presidente Zelensky che, non a caso, vuole destituire il suo generale. Il 26 gennaio, The Washington Post - ricordo a me stesso che è un giornale che ha una tradizione di inchieste: fece scoppiare lo scandalo Watergate e il caso Pentagon Papers, quindi non è certo un giornale propagandistico - ha rivelato che è in atto un radicale cambio di strategia dell’amministrazione Biden per l’Ucraina dopo il fallimento della controffensiva del 2023. Gli Stati Uniti - secondo The Washington Post - ritengono ormai impossibile riconquistare i territori occupati dalla Russia, ma vogliono puntare sulla difesa delle posizioni attuali. Non ne siamo felici, ovviamente, ma questo riporta questa inchiesta. Al di là delle rivelazioni giornalistiche, il MoVimento 5 Stelle sostiene da sempre che la via di uscita non può essere militare, ma deve essere negoziale e, per averlo detto, in ogni occasione siamo stati derisi, accusati di disfattismo e, addirittura, di collaborazionismo con il nemico russo, forse per aver commesso il delitto di leso bellicismo del partito trasversale della guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non pretendiamo, certo, oggi che ci venga data ragione, ma pretenderemmo di essere ascoltati quando facciamo proposte alternative. Se ci ostinassimo ad alimentare con altre armi la prosecuzione di questa sanguinosa guerra di logoramento, con l’Ucraina che è in estrema difficoltà, la posizione militare e, quindi, negoziale di Kiev può solo peggiorare, anche perché si fa sempre più concreta la possibilità che gli Stati Uniti si defilino, quindi con il conseguente tracollo dell’Ucraina, come è già successo, per quanto riguarda gli Stati Uniti, poco tempo fa in Afghanistan e decenni fa in Vietnam. Sono cose già successe ed è abbastanza probabile che succedano ancora. Chi vuole il bene dell’Ucraina deve provare a fermare a ogni costo questa guerra, prima che la situazione peggiori a vantaggio ulteriore della Russia. E l’unico modo di difendere l’Ucraina è risparmiare a essa altri mesi o anni di guerra, aiutandola diplomaticamente in tutti i modi, al fine di ottenere quanto più possibile dai negoziati con la Russia, ovviamente sostenendola nella ricostruzione. Non è mandando più armi che salveremo l’Ucraina, ma fermando questa guerra, che rischia di distruggerla. I fautori dell’invio a oltranza delle armi sostengono che, se smettessimo di inviarle, faremmo vincere Putin, perché l’Ucraina presto non potrebbe più difendersi dagli attacchi e, quindi, le sue Forze armate sarebbero costrette a soccombere. Vero, anche se questo dipenderebbe più dalla carenza di uomini, visto che le Forze armate ucraine sono state decimate dagli attacchi russi, che non da carenza di armi e di munizioni. Ma, comunque, chi critica la nostra posizione contraria all’invio delle armi e usa questa banale - perché tale è - argomentazione, cercando di farci passare per pazzi incoscienti, velleitari paci-finti o, peggio, come dei cinici filo-putiniani, ignora di proposito l’altra gamba su cui si regge la nostra proposta, cioè la richiesta di un cessate il fuoco immediato, di una tregua delle ostilità che impegni anche russi e ucraini, i quali, quindi, non avrebbero più bisogno di difendersi. Se le armi tacciono, non occorre inviarne altre. Giusto? Credo che possiamo essere d’accordo tutti su questo. Ma come arriviamo a un cessate il fuoco? Come convinciamo Putin e Zelensky a concordare una tregua? Certamente non continuando a mandare armi e a escludere ogni negoziato, ma, invece, proponendo a Ucraina e Russia una soluzione che soddisfi entrambe le parti, come diceva la Presidente Meloni al telefono pensando di parlare con un esponente africano e, invece, parlava con dei comici russi. Le soluzioni concrete possono essere diverse: stop agli attacchi russi in cambio di ritiro di sanzioni, missioni di peacekeeping per monitorare la tregua composta da forze neutrali accettate da entrambe le parti, un tavolo negoziale permanente per discutere del futuro status militare dell’Ucraina e del futuro status dei territori oggi occupati. Sono tante le soluzioni, saranno le due parti, sostenute dalla comunità internazionale, a decidere durante il negoziato. Mi avvio a concludere. È tempo che la politica italiana ed europea si tolga l’elmetto e discuta di questo orizzonte. La politica deve riprendere il suo spazio e il suo ruolo, che è quello di ragionare con pragmatismo sulle soluzioni più razionali e più convenienti per il bene degli ucraini e dei nostri popoli. Fino ad oggi, l’Italia e l’Europa sono state timorose e passive, incapaci di proporre una soluzione diplomatica, ostinandosi a seguire la ricetta anglo-americana del supporto militare a oltranza e prefigurando, tra l’altro, anche uno scontro diretto con la Russia, come dicono in queste settimane alcuni esponenti, anche importanti, della NATO.
PRESIDENTE. Concluda.
MARCO PELLEGRINI (M5S). Concludo, Presidente. Noi non vogliamo negare agli ucraini il diritto di difendersi, come scioccamente sostiene qualcuno. Noi, al contrario, vogliamo negare ai sostenitori della guerra a oltranza, ai bellicisti di professione il diritto di continuare a prendere in giro gli ucraini e tutti noi, sostenendo l’insostenibile e, cioè, che il terzo anno di guerra porterà vittorie militari impossibili da ottenere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Per tutti questi motivi, Presidente, annuncio il voto contrario a questo provvedimento, che giudichiamo profondamente sbagliato e nefasto per l’Ucraina (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Formentini. Ne ha facoltà.
PAOLO FORMENTINI (LEGA). Grazie, Presidente. A distanza di un mese dall’ultimo dibattito dedicato al conflitto russo-ucraino, nulla purtroppo è cambiato. Come ci ha ricordato il Ministro della Difesa, l’aggressione russa all’Ucraina prosegue e la resistenza ucraina non ha possibilità di successo senza gli aiuti occidentali, anche quelli italiani. La situazione non accenna a migliorare, al punto che, per sopperire alle proprie accresciute necessità difensive, i vertici militari ucraini stanno considerando di reclutare mezzo milione di uomini per evitare che il riorganizzato dispositivo russo abbia la meglio. Non è, quindi, il momento di cedere, i russi non si fermerebbero, ma procederebbero alla conquista totale dell’Ucraina, sradicandone la statualità. Non ci sono motivi per illudersi: Putin ha chiarito, nella conferenza stampa di fine anno, che gli obiettivi della Russia in Ucraina non sono mai cambiati. Mosca, quindi, non combatte per rettifiche territoriali o per la tutela delle minoranze russofone del Donbass, ma per denazificare, denuclearizzare e smilitarizzare l’Ucraina ovvero sopprimerne la sovranità, oggi come il 24 febbraio 2022. I russi si stanno avvalendo della loro superiorità demografica e del successo di alcune misure militari di riassetto. Se non compensiamo con aiuti efficaci Kiev, la sconfitta sarà questione di tempo. Ecco perché non possiamo abbandonare l’Ucraina: avremmo una seconda Kabul, ma questa volta nel cuore dell’Europa. Abbiamo già confermato la posizione della Lega-Salvini Premier a questo riguardo, lo faremo di nuovo oggi, votando a favore della conversione in legge del decreto-legge dello scorso 21 dicembre. La comunità internazionale dovrà commisurare deterrenza e diplomazia, come ci ha detto in quest’Aula il Sottosegretario Perego Di Cremnago. Continueremo ad aiutare gli ucraini, senza che questo, peraltro, significhi rinunciare a profondere, con tutte le nostre energie, ulteriori sforzi diplomatici per arrivare alla cessazione delle ostilità. Proseguirà anche l’assistenza umanitaria alla popolazione ucraina e si assicurerà il supporto italiano a tutte le iniziative per la ricostruzione di un Paese martoriato dalla guerra, in piena sintonia con Unione europea e NATO. L’Ucraina ha ancora bisogno di noi, è necessario continuare a sostenerla. Dopo quasi due anni dall’attacco russo all’Ucraina, non possiamo non notare che, dopo la Russia, anche l’Iran, tramite le milizie filoiraniane, sta destabilizzando il Medio Oriente, il canale di Suez, dove gli Houthi attaccano i mercantili occidentali, risparmiando i mercantili russi e cinesi. Ma la libertà di navigazione non è in pericolo solo in quell’area: è sempre più in pericolo anche nel Mar Cinese meridionale, dove la Cina mostra assertività nel rivendicare il controllo di quelle rotte fondamentali per il commercio globale. Non è più la sola integrità territoriale dell’Ucraina a essere messa in discussione, ma l’intero sistema di regole costruito dall’Occidente. Viva la libertà, viva la democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)! Non dobbiamo permettere alle autocrazie di distruggere il nostro futuro e di ledere l’interesse nazionale italiano da Suez, alla Libia, al Sahel, fino allo Stretto di Taiwan (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole Ascani. Ne ha facoltà.
ANNA ASCANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, il nostro gruppo esprimerà voto favorevole al decreto che proroga l’autorizzazione al Governo a cedere materiali, mezzi ed equipaggiamenti militari all’Ucraina e lo farà tenendo fede all’impegno assunto in quest’Aula il 25 febbraio 2022, quando, a poche ore dall’aggressione criminale della Federazione Russa ai danni di un Paese libero, sovrano ed indipendente, dichiarammo insieme agli altri gruppi che non avremmo mai voltato le spalle al popolo ucraino (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) e che, insieme ai nostri partner europei e dell’Alleanza atlantica, l’avremmo sostenuto nella resistenza e aiutato ad esercitare il legittimo diritto alla difesa. Si trattava di un’invasione - è utile ricordarlo per chi sembra mancare di memoria - anche se, con sprezzo del ridicolo e protervia tipica dei regimi, veniva qualificata come “operazione militare speciale”. Una potenza nucleare invadeva con carri armati e mezzi blindati con migliaia di militari uno Stato confinante per annientare il Governo e le istituzioni democratiche, per annetterlo. Putin voleva cancellare l’Ucraina dalla cartina geografica con la menzogna della denazificazione: questa è la storia di questa vicenda e questa storia non può essere scritta che così. Un folle disegno neoimperialista ha riportato qui, sul vecchio continente, fosche tenebre di guerra e morte che credevamo cancellate definitivamente, un tragico balzo nel passato, che neppure nelle più distopiche immaginazioni aveva trovato posto. Sotto attacco era l’Ucraina - certo - ma con essa i fondamenti delle nostre libere società e i pilastri su cui si sono poggiati decenni di pace, democrazia e giustizia nell’Europa riemersa dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale, quella nella quale tutti si erano impegnati affinché prevalesse la forza del diritto e non più - mai più - il diritto della forza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Ce lo ha ricordato di recente il Presidente Mattarella: “La libertà e l’indipendenza dell’Ucraina” - ha detto - “sono tutt’uno con i valori fondanti dell’Europa”. Noi dunque decidevamo di aiutare il popolo ucraino a difendersi, ma nel contempo stavamo difendendo noi stessi e il modello di società che donne e uomini hanno conquistato, anche pagando con la vita, 80 anni fa, sconfiggendo totalitarismi e scellerate ideologie. Stavamo difendendo - ho detto - e stiamo difendendo, colleghe e colleghi, anche con il voto di oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), anche due anni dopo, anche ora che la speranza di una rapida controffensiva si è scontrata con la complessità del campo di battaglia e un’innegabile stanchezza nelle nostre opinioni pubbliche comincia ad affiorare. Stanchezza che impallidisce, però, se si pensa alla fatica concreta del popolo ucraino, al desiderio che anima ogni cittadino in quel pezzo di Europa di vedersi restituita la pace. Una stanchezza diversa, la loro, che è conseguenza della lotta quotidiana per la libertà, non letta sui giornali, ma combattuta sulla propria pelle, vedendo morire persone care e allontanarsi, giorno dopo giorno, anche il ricordo dei tempi di quiete, cancellati dalla violenza immane di un invasore capace persino di deportare migliaia di bambini; bambini che abbiamo il dovere di riportare a casa, di restituire alle loro madri, alle loro famiglie e al loro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Nel nostro sistema di valori, colleghi e colleghe, è chiaro il ripudio della guerra. Tra questi banchi - ne sono convinta - in nessuno scranno di quest’Aula siede una donna o un uomo intossicato da spirito bellicista. Noi speriamo e vogliamo che questa guerra finisca, che cessi la sofferenza di un intero popolo, in cui in milioni non hanno più nulla: una famiglia su 3 ha dovuto lasciare la propria casa, 6 milioni di cittadini sono dovuti fuggire in altri Paesi e altrettanti non riescono a mangiare tutti i giorni. E poi ancora bombe, missili e droni continuano a piovere su obiettivi civili, mietendo nuove vittime, spesso bambini. Ieri, 44 missili, 20 droni e 4 morti anche oggi, ogni giorno. E vogliamo che si ponga fine anche alla morte di decine di migliaia di giovani in divisa, una strage mostruosa: non è retorica, è realtà. Da subito abbiamo chiesto la fine del conflitto, abbiamo chiesto che tacessero le armi e vincesse la pace, abbiamo chiesto che venisse percorsa la via negoziale e noi oggi votiamo con quello stesso spirito, con quella stessa speranza e determinazione, perché una pace giusta e sicura sia possibile. Ed è per questo - lo abbiamo scritto esplicitamente nella risoluzione votata poco più di un mese fa - che riteniamo urgente uno sforzo diplomatico, rinnovato e incisivo dell’Unione europea e chiediamo al Governo di impegnarsi su questa linea e, sempre al Governo, di adoperarsi in ogni sede internazionale per una pace giusta, che si faccia carico delle ragioni dell’aggredito. Lo abbiamo chiesto a un Governo che - c’è da dire - non fa corrispondere a una narrazione baldanzosa sul proprio ruolo nei consessi internazionali altrettanta capacità di iniziativa ed orientamento e quest’assenza, questo vuoto pesano. Dinanzi al bene supremo della pace, occorre muoversi sul sentiero della franchezza; per questo dobbiamo dire e riconoscere che anche la voce dell’Europa è stata debole. Non nelle prime ore, in realtà, quando la risposta, per quanto difficile, c’è stata, plasticamente rappresentata dalla fotografia dei tre Presidenti Draghi, Macron e Scholz, in viaggio verso Kiev; fotografia che, non a caso, ha infastidito molto la Presidente Meloni. Alla reazione forte e risoluta al tentativo di Putin di dividere l’Unione, non ha fatto seguito però nel tempo una linea altrettanto forte e risoluta che ponesse l’Europa tra gli attori protagonisti della costruzione di una via d’uscita negoziale e diplomatica dal conflitto. Non dobbiamo certo ridimensionare l’importanza della decisione assunta lo scorso dicembre di aprire le porte dell’Unione a Kiev con l’avvio del percorso di adesione, né tantomeno l’approvazione, nei giorni scorsi, del nuovo pacchetto d’aiuti - approvazione purtroppo, come sappiamo, ritardata dal veto ungherese -, ma l’Europa politica, l’Europa che sa tradurre la solidità dei suoi valori in azione coraggiosa e tenace non si è vista. Eppure è quella l’Europa che serve oggi, anche perché - è inutile nasconderlo - una direzione isolazionista degli Stati Uniti, legata all’eventuale infausta affermazione di Trump, non resterebbe senza effetti sul terreno degli equilibri e dei pesi internazionali e di questa guerra naturalmente. Certo, la strada è impervia, anche perché in Europa esistono forze, come quella di Zemmour, e partiti di Governo, come quello di Viktor Orbán, entrambi prossimi aderenti al gruppo dei conservatori della Presidente Meloni, che la considerano luogo di mera contrattazione degli interessi nazionali e non casa comune di popoli affratellati da un destino condiviso e che in questa vicenda hanno assunto posizioni - per dirla con un eufemismo – “ambigue”. Ma se l’Europa non dovesse in questo tempo compiere un salto di qualità, comprendendo che siamo a un tornante della storia, ritrovando quel realismo profetico dei padri fondatori, allora il suo stesso futuro rischierebbe di essere condizionato, come quello di chi cammina verso una meta desiderata, frenato da pesanti catene. Signor Presidente, colleghi e colleghe, troppe vite spezzate, troppe rovine, troppe sofferenze frutto di atroce disegno di conquista devono spingere tutti fino a togliere il sonno alla ricerca del cessate il fuoco, ma sapendo bene una cosa, ossia che non ci può essere pace se essa è disgiunta dalla parola sorella “libertà” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Non vive in pace un popolo se non è libero; in quel caso, c’è un altro nome: “schiavitù”. Libertà e pace: questi sono i doni che abbiamo ricevuto da donne e uomini coraggiosi, saggi e illuminati all’indomani della Seconda guerra mondiale e su cui è nata l’Europa ed è questo quindi il destino che anche noi dobbiamo contribuire a restituire al popolo ucraino (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. Saluto una delegazione dell’Assemblea nazionale francese, che è in visita in Italia e che sta assistendo ai lavori dell’Aula dalle tribune del pubblico. Benvenuti (Applausi). Saluto anche i docenti e gli studenti dell’Istituto d’istruzione superiore Arturo Prever, di Pinerolo, Torino. Grazie e benvenuti (Applausi). Ha chiesto di parlare l’onorevole Gardini. Ne ha facoltà.
ELISABETTA GARDINI (FDI). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, oggi votiamo la conversione in legge del decreto -legge n. 200 del 21 dicembre 2023. È un atto, per Fratelli d’Italia, di particolare importanza, mentre ci avviciniamo al secondo tragico anniversario dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Sì, sono passati ormai due anni dal 24 febbraio 2022, quando la storia è tornata a bussare alle nostre porte e noi abbiamo il dovere di dimostrarci all’altezza delle sfide che ci vengono poste. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia non hanno avuto esitazioni, hanno subito condannato l’invasione della Russia, si sono subito schierati dalla parte dell’Ucraina, dalla parte dell’aggredito, dalla parte di chi difende democrazia e libertà e questo abbiamo fatto dai banchi dell’opposizione come, coerentemente, dai banchi della maggioranza. Non possiamo dire lo stesso per altri che, a seconda degli scranni su cui siedono, cambiano orientamento o perdono la memoria (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d’Italia). Signor Presidente, oggi siedono all’opposizione ma, allora, in maggioranza, dicevano: non si tratta di usare le armi per aggredire, si tratta di dare la possibilità a un popolo di difendersi e ha dell’incredibile l’appello che abbiamo ascoltato di nuovo ieri e ancora oggi a non sostenere l’Ucraina, a non inviare armi che permettano agli ucraini di difendersi e di così negoziare una pace giusta. Oxana Pachlovska, docente di ucrainistica all’università Sapienza, ha scritto su Limes, riferendosi proprio a questa specificità tutta italiana di marce per la pace, con l’appello a cessare l’invio di armi all’Ucraina, che una tal presa di posizione manca di visione strategica sulle sue conseguenze geopolitiche e mette sullo stesso piano aggressore e aggredito, per cui la violenza russa viene giustificata e il diritto all’autodifesa negato. É interessante leggere anche quanto scrive, invece, la stessa docente del Presidente Meloni. Scrive, infatti, che la società ucraina ha guardato con timore alle ultime elezioni in Italia - chissà perché, chissà che cosa avevano letto, chissà che cosa avevano sentito, chissà quali becere insinuazioni e da parte di chi - ma che, poi, è avvenuto qualcosa di estremamente interessante, la ferma e decisa posizione della Premier italiana nei confronti dell’Ucraina che ha cambiato non solo l’immagine della politica ma dell’Italia tutta e, oserei dire, non solo agli occhi dell’Ucraina ma della parte più solida delle democrazie occidentali. Si può dire, senza esagerare, che la Meloni ha cambiato l’immagine dell’Italia, vista ora come uno Stato forte e coerente. Tantissime persone in Ucraina seguono con attenzione e ammirazione il Governo italiano. Da quei banchi vedono e parlano solo di armi, di soldi e ancora di armi, ma non è così. Ieri, un altro autorevole giornale, The New York Times, ha definito Giorgia Meloni leader credibile e influente e ha pubblicato un articolo nella sezione World News, dedicata alle più importanti notizie del panorama mondiale, nel quale sottolinea l’autorevolezza sempre maggiore di Giorgia Meloni in Europa, un lungo articolo nel quale si ricostruisce l’azione del Presidente Meloni per convincere Orbán sugli aiuti all’Ucraina. È stato un grande momento per l’Europa ma è stato anche un grande momento per Meloni, che ha suggellato la sua credibilità come persona in grado di svolgere un ruolo influente ai massimi livelli tra i leader europei. Quindi, grazie proprio a questo lavoro di mediazione di Giorgia Meloni, si sono sbloccati i fondi europei per l’Ucraina per i prossimi quattro anni e, grazie al lavoro del Presidente del Consiglio italiano, l’altro ieri abbiamo letto il comunicato stampa del Consiglio europeo che annunciava proprio che Consiglio e Parlamento hanno trovato l’accordo sulla creazione di un nuovo strumento per sostenere la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione dell’Ucraina. Quindi, si tratta di 50 miliardi che non vanno alle armi, signor Presidente, lo riferisca all’opposizione. Lo strumento per l’Ucraina avrà un budget, appunto, di 50 miliardi di euro, per il periodo 2024-2027. Come vedete, si lavora su più fronti e da tempo. Non può essere sfuggito a nessuno che il Presidente Meloni, lo scorso maggio, ha partecipato al 4° vertice del Consiglio d’Europa a Reykjavik, in Islanda. In quell’occasione è stata presa la storica decisione di istituire il registro dei danni causati dalla guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina, sotto l’egida del Consiglio d’Europa. Avrà sede all’Aja, con un ufficio satellite in Ucraina, e sarà la base per istituire un meccanismo di risarcimento per le vittime dell’aggressione russa. È già al lavoro, conformemente al diritto internazionale. Certo, la contabilità dei danni di guerra è sempre deprimente, ma necessaria. La guerra non è solo una immane tragedia umana ma fa anche danni giganteschi ed è proprio sul piano della ricostruzione che si vince la pace, ossia con la possibilità di dare un assetto il più possibile sicuro e stabile una volta terminata la guerra. Ci sarà molto da ricostruire, i danni arrecati alle infrastrutture fisiche, secondo la Banca Mondiale, sono stimati in 135 miliardi di dollari - anzi, sono stime già superate - concentrati soprattutto nelle oblast dove si combatte di più, nomi che ci sono, ahimè, diventati familiari: Donetsk, Kharkiv, Kherson, Luhansk, Kiev. Ricostruzione vuol dire anche rimozione delle macerie, bonifiche dei terreni, sminamento. A questo proposito, il Ministro Crosetto, nell’informativa del 10 gennaio scorso, ha già dato delle cifre, ha parlato di oltre 8 milioni di mine. Pensiamo a cosa vorrà dire liberare il territorio dalle mine che sono state disseminate, 8 milioni. Ma come potremo mai porre rimedio alla perdita di vite umane, al danno demografico, al mancato ritorno di una quota della massiccia emigrazione? L’Ucraina, oggi, dipende totalmente dall’estero, per questo l’aiutiamo. Tutti abbiamo sperato che non accadesse, anche contro gli avvertimenti che dicevano che sarebbe accaduto. Dice l’ambasciatore della Repubblica italiana in Ucraina che se le operazioni militari non hanno avuto successo bisogna dire che la Russia è riuscita a distruggere l’economia ucraina, che oramai dipende interamente dagli aiuti internazionali, siano questi provenienti dagli americani, dagli istituti finanziari internazionali o dalla stessa Unione europea. Anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha agito su un altro tema, drammaticamente attuale: l’urgente necessità di affrontare la situazione dei bambini ucraini trasferiti con la forza nei territori temporaneamente occupati dell’Ucraina, della Federazione russa e della Bielorussia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d’Italia). Ad oggi, la piattaforma Children of War - ascoltate bene, Presidente, ascolti e riferisca perché è una cosa terribile - ha raccolto informazioni su quasi 20.000 bambini segnalati come trasferiti con la forza da varie località e di questi, ad oggi, solo 388 sono tornati a casa. Tornando alle istituzioni dell’Unione europea, ieri, l’Alto rappresentante Borrell, in visita a Kiev, ha ribadito al Primo Ministro ucraino che per l’Unione europea l’Ucraina rimane una priorità assoluta, perché questa guerra influisce direttamente anche sulla nostra sicurezza. Ha dovuto, purtroppo, porgere le condoglianze al Primo Ministro, perché nella notte, come abbiamo appreso anche noi dai media, c’erano state altre vittime civili, a seguito di altri attacchi indiscriminati da parte dei russi. L’Alto rappresentante ha, poi, fornito alcuni dati che smentiscono le cifre che vengono continuamente date dai banchi dell’opposizione. L’Unione europea - parole dell’Alto rappresentante - ha dato all’Ucraina un sostegno, negli ultimi due anni, di circa 88 miliardi di euro e, di questi 88 miliardi di euro, solo 28 miliardi sono stati dati in sostegno militare. A questi vanno aggiunti i 50 miliardi di cui abbiamo detto, che saranno probabilmente, anzi, sicuramente, votati definitivamente entro la fine del mese. Ebbene, mi sembra chiaro, e concludo, che nostro dovere, anche, forse prima di tutto, verso noi stessi, sia sostenere l’Ucraina. Come ha detto il Ministro Crosetto, questo Governo prosegue nel solco del precedente Esecutivo e pone la classifica di segretezza sugli aiuti inviati a Kiev, ma il Governo ha confermato che anche questo ottavo pacchetto di aiuti militari è costituito da equipaggiamenti e sistemi d’arma volti a rafforzare,solo e soltanto, le capacità difensive delle Forze armate ucraine. E permettetemi proprio di chiudere con le parole del Ministro Crosetto, pronunciate in quest’Aula: “C’è una Nazione che ogni giorno, ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera, è attaccata e si deve difendere da centinaia di bombe che cadono su obiettivi civili e militari e questo da quasi due anni. Quando saranno passate 24 ore senza che questi attacchi partano e arrivino, potremo iniziare a parlare di pace. In attesa che questo accada, dobbiamo impedire a quelle bombe di cadere sui territori, di cadere sugli asili, sugli ospedali, sugli obiettivi civili ucraini (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d’Italia). Ed è quello che abbiamo fatto in questi due anni, fornendo pacchetti che hanno salvato migliaia di vite ucraine da un attacco russo. Per questo, ringraziando il Governo e il Presidente Meloni per la ritrovata centralità dell’Italia negli scenari internazionali, annuncio il voto favorevole del gruppo di Fratelli d’Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d’Italia).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale. (Votazione finale ed approvazione - A.C. 1666) PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale. Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 1666: S. 974 - "Conversione in legge del decreto-legge 21 dicembre 2023, n. 200, recante disposizioni urgenti per la proroga dell'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina" (Approvato dal Senato). Dichiaro aperta la votazione. (Segue la votazione). Dichiaro chiusa la votazione. La Camera approva (Vedi votazione n. 1).
Votazione n.1 Nom. DDL 1666 - VOTO FINALE 
260 presenti - 260 votanti - 0 astenuti - 131 maggioranza richiesta - 218 voti favorevoli - 42 voti contrari - 70 deputati in missione - Decreto Approvato

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