ALL’ITALIA, DIETRO IL CARRO DELLA NATO, NON PIACE IL TRATTATO SULLA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI
articoli di Alfonso Navarra, di Luigi Mosca, di Angelo Baracca, di Ilaria Cagnacci, di Elena Camino, di Gabriella Colli, di Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica...
L’Italia ha perso la grande occasione di dire addio alle armi nucleari USA sul proprio territorio – Ilaria Cagnacci
In Italia ci sono almeno 40 testate nucleari. Non sorprende quindi che non abbia firmato il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, appena entrato in vigore. Eppure l’opinione pubblica è contraria e altri Paesi, come il Canada, ci dicono che si può far parte della NATO pur essendo contrari al nucleare.
Lo scorso 22 gennaio è entrato in vigore il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), il primo trattato applicabile a livello globale che proibisce categoricamente l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari. L’ultimo paese a ratificare il trattato è stato l’Honduras il 24 ottobre 2020 con il quale è stata raggiunta la soglia di 50 Paesi firmatari necessaria per la sua entrata in vigore.
Nessuna delle potenze nucleari (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord) ha firmato il trattato e soltanto sei stati europei lo hanno ratificato: Austria, Irlanda, Malta, San Marino, Liechtenstein, Città del Vaticano.
L’Italia non ha né firmato né sottoscritto il trattato così come Germania, Belgio e Paesi Bassi che, come il nostro Paese, condividono accordi di ‘nuclear sharing’ con gli Stati Uniti.
Sul nostro territorio nazionale si stima la presenza di 40 testate nucleari di cui 20 presso la base di Ghedi (Brescia) e le restanti 20 nella base di Aviano (Pordenone) mentre negli altri Paesi europei se ne stimano circa 20 a testa. Non si può parlare di numeri certi in quanto in linea con la politica della NATO “né confermare né smentire” la presenza di ordigni nucleari l’Italia si avvale del vincolo di riservatezza e secondo il ministero della Difesa, più volte interpellato a rilasciare informazioni a riguardo, si tratterebbe di informazioni che i cittadini italiani non sono tenuti ad avere. Gli accordi bilaterali con gli USA non solo prevedono ‘la condivisione nucleare’ bensì anche una partecipazione attiva in caso di guerra, circostanza nella quale i nostri cacciabombardieri dovrebbero essere pronti a sganciare queste armi. Molti commentatori non esitano a dire che questa situazione va chiaramente in contrasto con quanto previsto dal Trattato di non proliferazione nucleare che l’Italia firmò e ratificò il 2 maggio 1975 e dove si impegnò alla via del disarmo, della distensione internazionale e della pace…
Da oggi le armi nucleari sono illegali – Angelo Baracca
Oggi 22 gennaio 2021 il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN, in inglese TPNW) entra in vigore come norma del diritto internazionale. Ad oggi è stato firmato da 86 Stati (gli Stati aderenti all’ONU sono 194), e ratificato da 51. Molti sono i commenti pubblicati (https://www.pressenza.com/it/2020/10/la-proibizione-delle-armi-nucleari-diventa-norma-internazionale/; raccomando anche A. Pascolini, Un anno dal bando delle armi nucleari: un trattato peculiare, Il Bo-Live, 7 luglio 2018, https://ilbolive.unipd.it/it/blog-page/bando-armi-nucleari-trattato-tpnw-proibizione) e non è il caso di riprendere qui tutte le argomentazioni.
Rammentiamo come sintesi le disposizioni dell’art. 1 del trattato (il testo completo si trova per esempio in https://www.avvenire.it/c/mondo/Documents/trattato%20ITA.pdf). Il TPWN obbliga ogni Stato che vi aderisca a «non: (a) Sviluppare, testare, produrre, oppure acquisire, possedere o possedere riserve di armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari; (b) Trasferire a qualsiasi destinatario qualunque arma nucleare o altri dispositivi esplosivi nucleari o il controllo su tali armi o dispositivi esplosivi, direttamente o indirettamente; (c) Ricevere il trasferimento o il controllo delle armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari, direttamente o indirettamente; (d) Utilizzare o minacciare l’uso di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari; (e) Assistere, incoraggiare o indurre, in qualsiasi modo, qualcuno ad impegnarsi in una qualsiasi attività che sia vietata a uno Stato Parte del presente Trattato; (f) Ricercare o ricevere assistenza, in qualsiasi modo, da chiunque per commettere qualsiasi attività che sia vietata a uno Stato Parte del presente Trattato; (g) Consentire qualsiasi dislocazione, installazione o diffusione di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione o controllo».
Mi limiterò a richiamare l’origine, e il valore, del TPAN e del movimento della società civile che ha portato ad esso, e il corrispettivo di qualche limite che anche per questo sconta, aggiungendo qualche modesta considerazione sul futuro degli armamenti nucleari.
Come e perché si è giunti al TPAN?
In primo luogo vi è una differenza di fondo fra il Trattato di Non Proliferazione (TNP) del 1970 e il TPAN. Il TNP fu voluto e negoziato solo dalle 5 (allora) potenze nucleari (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia, Cina: anche se Israele aveva già l’atomica, ma ancora oggi non lo ammette ufficialmente) preoccupate unicamente di sbarrare la strada della bomba ad altri paesi. Tant’è vero che “concessero” il famoso Art. VI con la “promessa di marinaio” di proseguire “trattative in buona fede” per arrivare a un accordo di disarmo completo. Ipocrisia che è stata confermata da 9 Conferenze quinquennali di Riesame (quella del 2020 è stata rinviata a causa della pandemia), nelle quali gli Stati non nucleari hanno inutilmente chiesto l’avvio effettivo del processo di disarmo. Proprio dalla constatazione della pervicace determinazione degli Stati nucleari a non rinunciare a queste armi, nacque 16 anni fa nella società civile la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), la quale riuscì a presentare la questione all’ONU, che promosse il negoziato che il 7 luglio 2017 approvò il testo del TPAN. La partecipazione della società civile al negoziato ONU costituì una grande novità, ma anche la partecipazione di tutti gli Stati dell’ONU che lo volessero costituì una differenza abissale rispetto ai negoziati per il TNP.
Punti di forza del TPAN…
Anzi, la genesi del TPAN è stata letteralmente antitetica rispetto a quella del TNP, dal momento che gli Stati nucleari, come pure i “satelliti” della NATO, hanno sdegnosamente rifiutato di prendere parte al negoziato. Questo ha fatto sì che il negoziato si sia concluso in pochi mesi, mentre i negoziati per il TNP richiesero anni. Fra gli Stati che hanno ratificato il TPAN vi sono molti paesi minuscoli, che forse molti di noi non conoscevano neanche prima d’ora: come Antigua and Barbuda, Comoros, Fiji, Kiribati, Palau, Saint Kitts and Nevis, Tuvalu, Vanuatu. Ma qui sta anche la grossa novità: Stati che finalmente hanno avuto voce in capitolo a dispetto dell’arroganza delle potenze nucleari (1). Un fattore basilare di democrazia, come nell’Assemblea Generale dell’ONU, uno Stato un voto.
. . . e qualche punto debole
Ci sono comunque nel TPAN un paio di punti deboli non trascurabili. Il primo è che fra gli Stati che hanno partecipato al negoziato è prevalsa la posizione di consentire lo sviluppo della tecnologia nucleare per usi civili. Un secondo punto è stato molto più controverso, il riconoscimento della possibilità per gli Stati che aderiranno al TPAN di recedere da esso se sono a rischio «interessi supremi di un paese» (art. 17): si ammette così implicitamente che le armi nucleari possano essere indispensabili, contraddicendo così la loto proibizione ed eliminazione per sempre. Ma è stato chiaro nel corso del negoziato che senza questa clausola di recesso molti Stati non avrebbero approvato il TPAN. Giova ricordare che il TNP riconosce esplicitamente il diritto di recesso con tre mesi di preavviso senza nessuna condizione: è quanto fece la Corea del Nord, al colmo delle minacce degli Stati Uniti, realizzando così in tre anni la bomba.
I difficili rapporti con gli Stati nucleari per un processo di disarmo
Non vi è dubbio che qualora gli Stati nucleari avessero partecipato al negoziato le cose sarebbero state molto più complesse, lente e contrastate: nessuno dei paesi che hanno partecipato possedeva armi nucleari e doveva assumere impegni per eliminarle. In un articolo con Elio Pagani abbiamo cercato di affrontare la complessità di un processo di eliminazione totale delle armi nucleari: https://www.pressenza.com/it/2020/08/se-tutti-i-9-stati-nucleari-firmassero-il-tpan-come-avverrebbe-leliminazione-delle-armi-nucleari/. In estrema sintesi, è irrealistico pensare che una potenza nucleare decida unilateralmente di eliminare le proprie armi nucleari, se non altro perché verrebbe a trovarsi in condizioni di estrema vulnerabilità rispetto alle altre, in geopolitica non valgono la lealtà e la buonafede: sarà necessario un negoziato specifico ed estremamente complesso fra tutti gli Stati nucleari (che al più potranno accettare prevedibilmente “spettatori” senza diritto di voto), per stabilire un’eliminazione bilanciata con stretti sistemi di controllo. Del resto è quello che è avvenuto dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica e del Blocco comunista, con laboriose trattative per i Trattati di Riduzione delle Armi Strategiche (START I, II, e Nuovo START), sebbene non si siano affatto posti l’obiettivo della totale eliminazione. A tale proposito, è particolarmente preoccupante un’osservazione piuttosto perentoria di Alessandro Pascolini nell’articolo su Bo-Live che ho citato, perché contrasta con la premessa del TPAN, «che porti alla loro totale eliminazione», e con la percezione comune del trattato: «Per i paesi con armi nucleari che intendano aderire al trattato sono previste delle condizioni che prevedono un trattamento punitivo e delle procedure che difficilmente potranno essere accettate anche dagli stati che intendano rinunciare ai propri armamenti nucleari, per cui il TPAN è praticamente privo di effetti reali come strumento per il disarmo nucleare, anche perché non mira a creare le precondizioni necessarie per un mondo privo di tali armi» (2).
Cruciali le decisioni dei paesi della NATO
Vista la feroce opposizione al TPAN da parte delle potenze che detengono un proprio arsenale nucleare, sarebbe cruciale per rompere il fronte stimolare l’adesione dei paesi europei che “ospitano” testate nucleari statunitensi, e in generale dei paesi che aderiscono all’Alleanza Atlantica. Anche se la NATO continua a ribadire l’affidamento dell’Alleanza sugli armamenti nucleari (di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna), non vi è nessun impedimento reale perché uno Stato che non detiene armi nucleari proprie firmi il TPAN: soprattutto Stati che non “ospitano” armi nucleari potrebbero ottemperare in modo relativamente facile alle norme del TPAN, ovviamente pur di avere la dignità di sottrarsi al “Washington consensus” che è il vero collante della NATO, poiché in realtà gli Stati aderenti litigano su tutto! Vi sono molte spinte in questo senso. Il 16 gennaio 2020 il Parlamento del Belgio (che “ospita” 20 testate nucleari statunitensi) votò su una Risoluzione presentata dalla Commissione Esteri del Parlamento che richiedeva l’eliminazione degli ordigni NATO dal territorio e l’ingresso del Belgio nel TPAN: la Risoluzione fu respinta per un margine strettissimo – 66 voti favorevoli e 74 contrari – 5 soli voti per ottenere la maggioranza (https://www.peacelink.it/disarmo/a/47222.html). Sulla lista di ICAN circolano vari messaggi sulle crescenti pressioni di varie forze politiche in vari paesi. Si ha l’impressione di una pentola che sta per scoppiare. E il baratro che segna la crisi irreversibile della politica e della società degli Stati Uniti (con la minaccia concreta che un Presidente possa innescare una guerra nucleare) dovrebbe consigliare proprio di dissociarsi dalla dipendenza da quel paese: perfino i topi fuggono da una nave che sta affondando!
I futuri passi degli Stati aderenti al TPAN
Il trattato contempla che gli Stati aderenti al TPAN tengano la prima riunione ad un anno dalla sua entrata in vigore, e questa è già programmata a Vienna per il gennaio 2022: auspicabilmente per quella data il numero di Stati aderenti avrà superato il numero di 51. Il Monitor del trattato contiene già una serie di proposte, ovviamente preliminari e non ufficiali, per un piano d’azione per l’implementazione del trattato (https://banmonitor.org/news/recommendations-for-the-first-meeting-of-states-parties-to-the-tpnw).
È interessante la prima di esse: il piano d’azione dovrebbe richiedere agli Stati nucleari di avviare negoziati, bilaterali o/e multilaterali, per porre fine alla corsa agli armamenti nucleari e avviare un processo generale di disarmo, sottolineando la partecipazione ai negoziati della società civile e delle organizzazioni internazionali.
La sfida che ci aspetta
Affido queste considerazioni alla riflessione collettiva. Il problema mi sembra che vada al di là del TPAN: da oggi la proibizione delle armi nucleari diventa norma del diritto internazionale. Questo è indubbiamente un fatto di grande rilevanza, tuttavia sappiamo bene che l’applicazione di una norma dipende dai rapporti di forza a livello della società, in questo caso a livello geopolitico. Ma si deve assolutamente rivendicare che il diritto è l’opposto della legge del più forte, e la democrazia, quella reale, si misura in primo luogo dai diritti che hanno le minoranze. Oggi, dopo 76 anni, il diritto di piccoli paesi, e piccoli popoli, diventa norma internazionale, a dispetto della volontà delle grandi e tronfie potenze. Dalla dichiarazione dei diritti alla loro conquista spesso il passo è molto grande, alcuni diritti fondamentali sono ancora lontani dall’essere realizzati, altri sono costantemente messi in discussione (basta pensare alla legge sull’aborto). A me viene spesso alla mente il famoso detto «Datemi un punto d’appoggio e solleverò in mondo»: ecco, oggi il punto d’appoggio lo abbiamo, sollevare il peso delle armi nucleari sarà un processo ancora lungo e difficile, dipenderà dalla consapevolezza e la determinazione dei popoli della Terra pretendere che un divieto diventi realtà! Assumiamo la data di oggi come un buon auspicio.
Note:
(1) A chi non lo conoscesse (senza dubbio i giovani) raccomanderei la visione di un capolavoro di satira del lontano 1959, il film Il ruggito del topo, in cui il grande Peter Sellers interpreta 4 o 5 personaggi diversi. Il tema è il minuscolo Ducato di Grand Fenwick la cui unica fonte di ricchezza è l’esportazione del famoso vino omonimo. Allorché questo viene fabbricato anche dagli Stati Uniti le finanze del Ducato subiscono un tracollo irreparabile. Viene allora adottato il piano di dichiarare guerra agli Stati Uniti, perderla, poi ottenere delle sovvenzioni finanziarie. La dichiarazione di guerra viene cestinata dal Dipartimento di Stato, mentre un gruppo di soldati armati di corazze, archi e frecce, s’imbarca su di un battello. Giunti a New York, trovano la città deserta poiché è in corso un’esercitazione antiatomica. I guerrieri girano per le ampie strade deserte e pensano che gli Stati Uniti siano in allarme per il loro sbarco, ma vagano in cerca di qualcuno che possa vincerli, perché questa è la loro missione. Così s’imbattono nel professor Kokinz, che incurante dell’allarme sta dando gli ultimi tocchi alla bomba Q, enormemente più potente della bomba H ma delle dimensioni di una palla da rugby. Hanno allora l’idea geniale di prendere prigionieri il professore e sua figlia, con la bomba, ed anche il generale Ship, che con quattro agenti stava cercando i guerrieri di Grand Fenwick, scambiati per marziani. Tutta la comitiva viene fatta salire sul battello, che la riporta in Europa. All’arrivo nel Ducato costernazione generale perché il compito era di perdere la guerra, ma quando si viene a sapere che il Ducato è in possesso della bomba Q, i maggiori Stati del mondo mandano i loro agenti a trattare l’acquisto, mentre gli Stati Uniti sono costretti a firmare la resa. Le finanze del Ducato rifioriscono. Ma qualcuno cerca di rubare la bomba, e si innesca una specie di partita a rugby, e la bomba ruzzola a terra: terrore generale, la bomba produce un certo rumore ma … salta fuori un topolino.
(2) L’art. 4 renderebbe molto difficile un complesso e necessario negoziato fra gli Stati nucleari per effettuare l’eliminazione controllata degli armamenti nucleari, come abbiamo delineato nell’articolo citato di Baracca e Pagani: come se uno Stato nucleare potesse decidere autonomamente l’eliminazione delle armi nucleari sottoponendosi a una rischiosissima vulnerabilità (si pensi ad esempio a India e Pakisan da sempre sull’orlo di un conflitto armato). Art. 4 comma 2: «Ciascuno Stato Parte che, in deroga all’articolo 1, lettera a), detiene, possiede o controlla qualsiasi arma nucleare o altri dispositivi esplosivi nucleari, deve immediatamente rimuoverli dallo stato operativo e distruggerli non appena possibile, ma non oltre un termine da determinare durante la prima Riunione degli Stati Parte, in conformità a un piano giuridicamente vincolante e con scadenza per l’eliminazione verificata e irreversibile del programma sulle armi nucleari di tale Stato Parte, compresa l’eliminazione o la conversione irreversibile di tutte le strutture connesse con le armi nucleari. Lo Stato Parte, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del presente Trattato per tale Stato Parte, presenta il piano agli Stati Parte o ad un’autorità internazionale competente designata dagli Stati Parte. Tale piano sarà quindi negoziato con l’autorità internazionale competente che lo sottopone alla successiva riunione degli Stati Parte o alla Conferenza di riesame, a seconda di quale sia prevista per prima, per l’approvazione in conformità con le sue regole procedurali.»
L’articolo, pubblicato su pressenza.com, viene ripreso in virtù della collaborazione tra le due testate
Dalla “non proliferazione” alla proibizione delle armi nucleari – Elena Camino
Il Trattato di non proliferazione degli armamenti nucleari, risalente al 1968, non ha arginato in modo significativo il fenomeno. Oggi, 22 gennaio 2021, entra in vigore un nuovo trattato per la proibizione delle armi nucleari. Non farà miracoli ma potrà produrre alcuni effetti importanti per un effettivo processo di disarmo nucleare
Il “Trattato di non proliferazione degli armamenti nucleari”
Il 1º luglio 1968 USA, Regno Unito e Unione Sovietica sottoscrissero un “Trattato di non proliferazione degli armamenti nucleari” (Treaty on the Nonproliferation of Nuclear Weapons (NPT) che entrò in vigore il 5 marzo 1970. Francia e Cina vi aderirono nel 1992. L’articolo IV del Trattato assicurava tuttavia a ciascuno degli Stati membri il diritto a usi pacifici della tecnologia nucleare:
«Tutti gli Stati membri hanno il diritto inalienabile a sviluppare ricerca, produzione e uso dell’energia nucleare per scopi pacifici, senza discriminazioni. […] Tutte le Parti del Trattato si impegnano a facilitare e hanno il diritto di partecipare al più completo scambio possibile di attrezzature, materiali e informazioni scientifiche e tecnologiche per gli usi pacifici dell’energia nucleare. Le Parti del Trattato in grado di farlo coopereranno anche per contribuire, da sole o insieme ad altri Stati o organizzazioni internazionali, all’ulteriore sviluppo delle applicazioni dell’energia nucleare per scopi pacifici, specialmente nei territori in cui sono presenti Stati che non possiedono armi nucleari, con la dovuta considerazione per le esigenze delle aree in via di sviluppo del mondo».
Così, dopo l’elaborazione e l’approvazione del trattato, la produzione ed emissione di radionuclidi non è cessata. Nonostante la complessità della filiera, gli enormi investimenti finanziari e i vincoli di sicurezza richiesti per la costruzione di una centrale nucleare, la produzione di energia da fonte nucleare si è diffusa in molte parti del mondo. Come segnala Stephen Herzog, l’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica(International Atomic Energy Agency – IAEA) presenta una lista di 220 reattori attualmente impiegati per la ricerca nucleare in 53 Stati, e 440 reattori per la produzione di energia, presenti in 30 Paesi.
Con il moltiplicarsi delle trasformazioni climatiche causate dall’aumento della CO2 nell’atmosfera e negli oceani, si sta cercando di ridurre l’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia, sostituendoli con altre fonti. Nel definire – all’interno dell’Unione Europea ? quali siano le fonti energetiche da finanziare prioritariamente per le loro ridotte emissioni di gas-serra, si assiste a una crescente pressione per far riconoscere l’energia nucleare come fonte “sostenibile”, giustificata dal fatto che durante il funzionamento degli impianti le emissioni di CO2 sono basse.
Il 28 marzo 2019 il Parlamento europeo ha votato sulla proposta di classificazione delle iniziative sostenibili, che avrebbe escluso il nucleare dal ricevere il timbro verde di approvazione sui mercati finanziari. Ma in questi due anni l’industria nucleare ha esercitato crescenti pressioni, anche grazie all’intervento della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE): così nel gruppo degli esperti del settore energetico sta prendendo forza una corrente di sostenitori dell’energia nucleare. Durante una riunione virtuale dei Ministri dell’Energia – nel settembre 2020 – il Gruppo dei Venti (G20) «ha riconosciuto il ruolo dell’energia nucleare nel fornire energia pulita e nell’aumentare la sicurezza energetica».
Numerosi incidenti hanno segnato la storia del nucleare civile. Quelli più noti, per la vicinanza temporale e per la gravità degli esiti, sono avvenuti in due centrali nucleari per la produzione di elettricità, a Chernobyl nel 1986 e a Fukushima nel 2011. Durante le ore e i giorni successivi agli incidenti sono stati rilasciati in atmosfera vari radionuclidi la cui presenza è stata poi rilevata a migliaia di km di distanza. Ed è risultata persistente per lunghi periodi di tempo. Sui danni provocati alle persone e ai sistemi viventi in seguito a tali incidenti non si è mai raggiunto un consenso: né sugli effetti a breve termine, né su quelli a lungo termine.
Ancora oggi, dopo decenni, non si è ancora trovato un accordo internazionale sulle effettive conseguenze, né sui rischi ancora presenti nelle aree colpite. La consapevolezza sugli effetti del rilascio di radionuclidi e la trasparenza nella comunicazione dei dati rilevati sono ancora molto scarsi. Un’analisi recente, pubblicata nel gennaio 2021, su campioni di grano e di legname raccolti tra il 2011 e il 2019 nel distretto di Ivankiv (Ukraine), in un’area 50 km a sud della centrale di Chernobyl, hanno confermato che livelli alti, radiologicamente significativi di contaminazione da stronzio (90S) persistono 34 anni dopo l’incidente. A Fukushima l’inizio dei lavori per la rimozione del combustibile nucleare fuso non sono ancora iniziati; nel frattempo il Governo sta prendendo in considerazione l’ipotesi di sversare nell’oceano l’acqua radioattiva, che in questi anni è stata stivata in grandi contenitori.
I sostenitori del “nucleare green”, oltre a non calcolare – come sarebbe corretto ? l’impatto complessivo della filiera delle centrali nucleari nella produzione di CO2 trascurano un elemento di grande rilevanza: le stesse procedure di arricchimento dell’uranio utilizzate per alimentare i reattori nucleari e generare elettricità, o produrre radioisotopi medici, possono anche produrre uranio altamente arricchito (HEU) per uso militare. Dal 1939 al 2012, 31 paesi hanno sviluppato tecniche per l’arricchimento dell’uranio o il ritrattamento del plutonio (ENR), presentando potenzialità di produzione di armi nucleari.
Questo problema non si limita al processo di arricchimento, poiché le tecnologie del ciclo del combustibile sono intrinsecamente a duplice uso e le normali operazioni dei reattori nucleari producono plutonio che potrebbe essere utilizzato anche nella produzione di armi dopo il ritrattamento. Inoltre, le informazioni tecniche per la costruzione di armi nucleari non sono più un segreto nell’era contemporanea; possono essere reperite nella letteratura open-source. All’inizio del 2019, le scorte globali di uranio altamente arricchito (HEU) erano stimate pari a circa 1335 tonnellate. La riserva globale di plutonio separato era di circa 530 tonnellate, di cui circa 310 tonnellate di plutonio civile.
Sono tuttora presenti, diffuse in numerose aree del mondo, diverse fonti di emissioni radioattive – alcune note, altre segrete o sconosciute – che costituiscono una minaccia per le popolazioni umane e l’ambiente, e contribuiscono ulteriormente a caratterizzare questo periodo geologico come “radioattivo”. Basta pensare all’intera filiera, di cui le centrali nucleari sono solo una tappa, per rendersi conto che tutto il percorso che dalle miniere porta ai depositi di scorie è caratterizzato da emissioni radioattive.
I reattori attualmente in funzione richiedono circa 67.500 tonnellate di uranio ogni anno, proveniente da miniere o da fonti secondarie (scorte commerciali, scorte di armi nucleari, plutonio e uranio riciclati dal ritrattamento di combustibili usati…). Dopo la fase di produzione di energia il combustibile nucleare resta pericolosamente radioattivo per tantissimo tempo. Il suo smaltimento è un problema ancora irrisolto. Spesso gli investimenti che richiederebbe questa fase finale non vengono contabilizzati dalle grandi imprese industriali e dai politici.
Ancora più grave è il problema dello smaltimento delle scorie nucleari prodotte dalle attività militari nel mondo, di cui non ci sono inventari disponibili su ubicazione e quantità. I costi delle operazioni necessarie per restituire le aree contaminate all’uso umano di materiale radioattivo sono enormi: alle spese immediate inoltre bisogna aggiungere il fatto che spesso i siti dovranno essere monitorati per lunghissimo tempo. Anche le competenze tecniche non sono sufficienti a trovare soluzioni definitive. Attualmente sono in costruzione vari siti, di cui almeno due – uno in Europa, l’altro negli Stati Uniti – dovrebbero ospitare le scorie radioattive più pericolose per decine di migliaia di anni.
Nelle profondità delle rocce che ricoprono l’isola di Olkiluoto, in Finlandia, è in fase di costruzione il deposito sotterraneo di Onkalo (che in finlandese vuol dire “grotta”, “luogo per nascondere”) che ospiterà le scorie radioattive delle tre centrali finlandesi per le prossime decine di migliaia di anni (su tale deposito è stato prodotto un film, Into Eternity, disponibile anche in italiano]. Il Waste Isolation Pilot Plant (impianto pilota per l’isolamento dei rifiuti) o WIPP, a sua volta, è un deposito geologico profondo situato nel Nuovo Messico, destinato a conservare per i prossimi 10.000 anni i rifiuti radioattivi che provengono dalla ricerca e dalla produzione di armi nucleari degli Stati Uniti. Si stima che il progetto abbia un costo totale di 19 miliardi di dollari.
Il “Trattato per la proibizione delle armi nucleari”
Dal 22 gennaio 2021 sarà ufficialmente in vigore il “Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari” (TPNW) che, in una certa misura, integra il “Trattato sulla non proliferazione di armi nucleari” (Treaty on Non-proliferation of Nuclear Weapons – TNP), in particolare vietando (articolo 1) l’uso, la fabbricazione, o l’acquisizione con altri mezzi di armi nucleari, o la minaccia di utilizzare armi nucleari. Esso, inoltre, introduce alcuni obblighi positivi con l’articolo 6 («Assistenza alle vittime e risanamento ambientale») e 7 («Cooperazione e assistenza internazionale»).
Secondo Maurizio Boni, esperto di questioni militari (difesa, sicurezza), ci sono alcune differenze che rendono improbabile, almeno per ora, l’adesione di molti dei membri del TNP al nuovo trattato: in particolare quella dell’obbligo di astenersi in ogni circostanza dall’assistere, incoraggiare o indurre chiunque (individui, società, organizzazioni internazionali, attori non governativi) a intraprendere ogni tipo di attività proibita dal trattato.
Sempre secondo Boni, la clausola di non assistenza porta con sé implicazioni significative per i paesi alleati di Stati possessori di ordigni atomici, come quelli che gli Stati Uniti proteggono dall’ombrello nucleare. Per i paesi non detentori di armi nucleari che hanno accesso alla tecnologia e/o al materiale nucleare per usi pacifici, o che cercano di accedervi; per gli stessi nuclear- weapon –states, che hanno bisogno dell’assistenza di molti non-nuclear-weapon-states per mantenere e modernizzare i propri arsenali e per garantirne lo schieramento e l’operatività in diverse parti del mondo (forniture di materiale fissile per l’arricchimento, di software e di tecnologie missilistiche, disponibilità di basi per i bombardieri strategici).
È chiaro che, fino a quando coloro che possiedono armi nucleari non firmeranno il trattato, il processo di disarmo nucleare effettivo faticherà a decollare. Tuttavia il TPNW può favorire l’avvio di iniziative importanti. Per esempio, i Paesi che attualmente ospitano delle armi nucleari sul loro territorio (Germania, Belgio, Italia, Olanda, Turchia), se decideranno di aderire al TPNW, dovranno allontanarle. Questo potrebbe costituire un passo importante verso il disarmo totale. Gli articoli 6 e 7, poi, obbligano i Paesi firmatari a farsi carico delle patologie umane e dei danni ambientali ancora presenti in conseguenza all’uso di materiali radioattivi. Si pensi alle responsabilità della Francia in Algeria, degli Stati Uniti in Vietnam, dell’Unione Sovietica/ Russia in Kazakistan. Potrebbe essere un passo importante verso iniziative di giustizia riparativa.
Inoltre il TPNW per la prima volta – riconoscendo l’impatto a lungo termine delle armi nucleari – sottolinea la necessità di proteggere le generazioni future anche da un punto di vista legale. Infine, l’entrata in vigore di questo Trattato può richiamare l’attenzione pubblica e dei Governi sui problemi del dual-use e sull’attuale incapacità di gestire le scorie radioattive, contribuendo così a cancellare le centrali nucleari dalla lista delle fonti energetiche “sostenibili”.
Alcune note e informazioni sul Trattato TPNW e sulla sua entrata in vigore
Punti chiave di questo risultato storico
di Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica
- Anche gli Stati che si sono rifiutati di aderire al TPNW saranno coinvolti dalla sua entrata in vigore.
- I precedenti trattati di disarmo hanno portato a un cambiamento di comportamento anche nei Paesi che si sono rifiutati di aderire.
- C’è una nuova realtà nel disarmo internazionale, ed è un mondo dove le armi nucleari sono vietate.
- Decenni di attivismo hanno raggiunto quello che molti dicevano fosse impossibile: le armi nucleari sono vietate. La democrazia ha trionfato, la stragrande maggioranza delle persone nel mondo sostiene il TPNW.
- Ora aderiranno altri Stati, come è successo con l’entrata in vigore di ogni altro Trattato di questo tipo
Cosa cambierà
Ci sono diversi modi in cui tutti gli Stati saranno interessati nei mesi ed eventualmente negli anni successivi all’entrata in vigore, non solo quelli che hanno ratificato il Trattato. L’attivismo è la chiave per far progredire questi impatti.
Cosa diventa illegale esattamente?
Il Trattato TPNW proibisce specificamente l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari. Il Trattato rende illegale per i paesi che lo firmano permettere qualsiasi violazione nella loro giurisdizione o assistere, incoraggiare o indurre qualcuno ad impegnarsi in una di queste attività. Il Trattato rafforza la norma contro le armi nucleari come primo strumento legale per vietarle.
Per ulteriori informazioni sulle implicazioni legali, leggere il documento informativo di ICAN.
Impatto sulle alleanze militari
Gli Stati che non sono parte di alleanze militari con gli Stati firmatari possono essere interessati dall’entrata in vigore del TPNW se gli Stati firmatari sono tenuti a modificare la loro cooperazione con gli Stati dotati di armi nucleari e con quelli alleati a causa dei loro obblighi derivanti dal trattato. Ad esempio, mentre i membri della NATO possono aderire senza problemi al TPNW per essere in regola una volta entrato in vigore questi Stati dovranno rinunciare all’uso di armi nucleari per loro conto.
Impatto sulla produzione e sull’uso
Gli ultimi decenni insegnano che con l’entrata in vigore di altri Trattati di proibizione di armamenti la produzione di armi vietate tra gli Stati che ne fanno parte e gli Stati che non ne fanno parte è praticamente cessata. Ad esempio aziende statunitensi che producono munizioni a grappolo negli Stati Uniti hanno cessato la produzione da quando è entrato in vigore, nonostante gli Stati Uniti non ne siano parte.
Lo stesso avviene per quanto riguarda uso e trasferimento: dopo l’entrata in vigore del Trattato sulle mine anti-persona i circa 34 Stati che hanno esportato mine terrestri hanno cessato tutti i trasferimenti (nonostante non abbiano aderito al Trattato). Gli Stati Uniti hanno modificato la loro posizione sulle mine terrestri e sulle munizioni a grappolo dopo l’entrata in vigore di questi trattati.
L’entrata in vigore di precedenti divieti su specifiche armi (ad esempio per quanto riguarda le mine anti- persona o le munizioni a grappolo) ha portato a cambiamenti concreti ed evidente anche nella produzione, nelle politiche di utilizzo e nel trasferimento di queste armi anche nell’ambito di Stati non partecipanti a tali norme internazionali. Ciò avverrà anche per il TPNW inquinato alcune aziende hanno già iniziato ad adeguarsi a questo nuovo panorama giuridico.
Cosa significa questo per gli istituti finanziari?
Poiché l’assistenza è proibita dal Trattato, per molti Stati ciò significherà come in altri casi che il finanziamento o l’investimento nella produzione di armi nucleari venga considerato una violazione. Gli istituti finanziari spesso scelgono di non investire in “attività su armi controverse”, che sono tipicamente armi proibite dal diritto internazionale. L’entrata in vigore del TPNW colloca chiaramente le armi nucleari in questa categoria e probabilmente innescherà ulteriori disinvestimenti. Inoltre, gli Stati parte possono impartire direttive alle istituzioni finanziarie sotto la loro giurisdizione per la cessione da parte di società che producono l’arma proibita in Stati non parte. In previsione dell’entrata in vigore del TPNW, alcune istituzioni finanziarie, tra cui ABP, uno dei cinque maggiori fondi pensione del mondo, hanno già deciso di non investire più in produttori di armi nucleari.
Pressione internazionale
Gli Stati parte di questo Trattato TPNW avranno ora l’obbligo di sollecitare altri Stati ad aderire e dovranno lavorare per l’universalizzazione del Trattato. Ciò significa che non solo i cittadini, ma anche la pressione dei pari da parte di altri Governi aumenterà nel tempo, durante le visite di Stato, nelle discussioni bilaterali e multilaterali, in una vasta gamma di diversi organi delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali, in altri organi e incontri di Trattati, ecc.
Anche a causa di questa crescente pressione politica e normativa, i Paesi che si oppongono a un Trattato al momento della sua adozione hanno aderito a norme internazionali dopo la loro entrata in vigore. Dato il grande sostegno pubblico al TPNW in molti paesi che non vi hanno ancora aderito (79% degli australiani, 79% degli svedesi, 78% dei norvegesi, 75% dei giapponesi, 84% dei finlandesi, 70% degli italiani, 68% dei tedeschi, 67% dei francesi, 64% dei belgi e 64,7% degli americani) anche questi Paesi potrebbero seguirne l’esempio.
Appello “Stop alle armi nucleari”. La lettera che può salvare la vita – Gabriella Colli
Il mondo cattolico bresciano si fa promotore di un’iniziativa che porta luce su un tema che si rivela fondamentale per comprendere la realtà odierna.
Riprendendo le chiare parole di Papa Francesco a Hiroshima “L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche” prende forma un documento su cui si chiede l’adesione alle varie realtà del mondo cattolico bresciano in occasione del Mese della Pace e che si sta diffondendo velocemente, abbracciando ogni realtà sensibile ai temi della pace e del disarmo.
Il documento riporta la gravità della situazione attuale sulla corsa agli armamenti e la totale assenza di consapevolezza riguardo alle lezioni della storia e delle devastazioni di Hiroshima e Nagasaki.
Ora le armi nucleari stoccate in varie parti del mondo sono in grado di distruggere più volte l’intero pianeta.
Con una lettera alla quale si può aderire i promotori chiedono al mondo politico locale e nazionale di attivarsi affinché: l‘Italia ratifichi il Trattato Onu di Proibizione delle Armi Nucleari; dal territorio del nostro paese siano eliminate tutte le armi nucleari che vi sono stanziate; siano sospesi i lavori di ampliamento della base di Ghedi.
Dispersione di risorse
Dal documento si apprende che oggi nel mondo vi sono circa 14 mila testate nucleari e nuove armi ancora più devastanti sono in fase di sviluppo. Gli Stati dotati di ordigni atomici stanno anche realizzando nuovi vettori e altri strumenti che rendano più facile il loro utilizzo. Si è così creato un equilibrio del terrore, sottile però come un filo che rischia di spezzarsi ogni giorno. Permane inoltre il problema delle conseguenze sull’ambiente dei test di questi micidiali strumenti di distruzione e di morte, mentre crescono pure i rischi legati a un errore o a un incidente di ogni tipo, anche di natura terroristica.
A tali programmi militari sono destinate enormi risorse finanziarie che in questo modo vengono sottratte al loro uso per l’istruzione, per la sanità, per l’ambiente, per lo sviluppo dei popoli più poveri.
Papa Francesco è tornato sullo scandalo delle spese militari nell’enciclica Fratelli Tutti (262) e anche nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2021, dove ha scritto: “Quanta dispersione di risorse vi è per le armi, in particolare per quelle nucleari, risorse che potrebbero essere utilizzate per priorità più significative per garantire la sicurezza delle persone, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari. Anche questo, d’altronde, è messo in luce da problemi globali come l’attuale pandemia da covid-19 e dai cambiamenti climatici. Che decisione coraggiosa sarebbe quella di costituire con i soldi che si impegnano per le armi e in altre spese militari un “Fondo mondiale” per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei paesi più poveri.”
Perché Brescia?
In Italia, nelle basi di Aviano (Pordenone) e di Ghedi (Brescia), sono presenti ordigni nucleari (B61), una quarantina circa. E nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35, ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12).
Il nostro paese si è impegnato ad acquistare 90 cacciabombardieri F35 per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i costi di manutenzione e quelli relativi alla loro operatività.
Il documento pone l’attenzione sull’evidente contrasto tra la presenza di armi di distruzione di massa sul nostro territorio e l’articolo 11 della Costituzione, che afferma che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Una goccia nell’oceano?
Appena un anno fa, insieme ad un meraviglioso gruppo di italiani impegnati nella promozione di stili di vita nonviolenti, si stava preparando il passaggio della Seconda Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, che come primo obiettivo si poneva il disarmo nucleare, sostenendo Ican (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons – Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari, realtà che ha ricevuto il Nobel per la Pace nel 2017). L’emergenza Covid ha poi fermato il suo passaggio in Italia, ma non l’impegno per la sua promozione. Numerosi enti locali hanno aderito al Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari, insieme ad associazioni e realtà del mondo cattolico e della società civile. A tutti loro ci rivolgiamo rinnovando l’appello a unirsi nuovamente per affermare la volontà di perseguire la pace a ogni livello.
Una goccia nell’oceano? Forse. E non è così scontato parlarne o scrivere.
Quando decidiamo di andare a fondo a una notizia spesso non sappiamo cosa ci aspetti e capisco che a volte si preferisca rimanere in superficie perché entrare, accendere la luce per vedere meglio può far paura, può togliere il respiro. Il coinvolgimento italiano nei conflitti internazionali con la vendita di armi a paesi in guerra o che violano i diritti umani è impressionante, ma vi invito a guardarlo perché solo affrontando la verità potremo scegliere quale sentiero prendere o quale goccia essere.