ANTONIA SANI in dialogo con Alfonso Navarra (ed altri interventi)
Antonia Sani
Non riesco ad adattarmi all'uso sempre più frequente del termine "guerra", abbinato alla lotta contro il coronavirus.
"Siamo in guerra", "dobbiamo vincere questa guerra". Espressione usata anche recentemente da Trump.
Tutti trasformati in guerrieri, anzi in militari, armi alla mano per sconfiggere il nemico.
L'emergenza non coincide con la guerra.
Credo che chi ha più di 80 anni non possa che opporsi all'uso di questa parola, sperimentata ahimè sulla propria pelle, parola che ai più giovani può inculcare la voglia di combattere, suffragata dai videogames, una chiamata alle armi, addirittura sollecitata dagli adulti, applicata a uno scenario estraneo alla guerra, dominato da Scienza e Tecnologia.
Non è un caso che negli USA appena diffusasi la notizia del contagio ci sia stata una corsa ai negozi di armi...
Noi bambini uscivamo dalle nostre abitazioni di "sfollati", avvolti in coperte tra le braccia di nonni e zii, di corsa verso "il rifugio" più vicino per sfuggire al bombardamento annunciato da spaventose sirene. Avevamo fame e la paura di vendette di cui sentivamo parlare senza rendercene conto.
Il nemico non era un virus ma un essere umano, pronto a massacrarci, ben altra cosa di un involucro amorfo entrato involontariamente nelle nostre vite.
Ai nostri giovani noi insegniamo la Pace tra i popoli, il rifiuto delle armi, l'accoglienza di coloro che in fuga dalle guerre cercano ospitalità nel continente europeo....
Come possiamo usare la parola "guerra" in senso positivo, come se l'eliminazione, il superamento di un'epidemia potesse essere paragonato a una "vittoria riportata in guerra" , sia pure battezzata come "guerra santa", in cui consapevolmente i potenti del mondo mandavano al massacro intere popolazioni, costringendole ad affrontarsi l'un l'altra, divenute all'improvviso nemiche.?
Questa era, è, a tutt'oggi, la guerra. Non esportiamone le perverse rievocazioni su un terreno improprio.
ALFONSO NAVARRA COMMENTA L'INTERVENTO DI ANTONIA
Sto riflettendo su cosa sostituire, quando si parla di contrasto all’epidemia da covid19, alla abusata e debordante metafora della guerra, in cio' sollecitato dall'intervento di Antonia Sani, sopra riportato.
Come concepire questa crisi non usando la parola guerra?
Non mi convince la soluzione trovata da Erri De Luca, come la ha proposta su Il Fatto Quotidiano del 22 marzo 2020.
Scrive De Luca: “Definisco la condizione attuale uno stato di assedio attenuato. Si sta come dentro Sarajevo degli anni ’90, ma senza piogge di granate, senza cecchini e senza penurie alimentari”.
Ecco, a me pare che anche lo stato d’assedio sia pur sempre collegato alla guerra e al suo immaginario.
Proviamo invece a pensare che siamo su una nave in piena tempesta e dobbiamo vincere la sfida della sopravvivenza.
Siamo persone in uno spazio angusto e angoscioso, sovrastato da una enorme minaccia della natura che si manifesta nella sua potenza.
Ci conviene attaccarci spasmodicamente ai parapetti se no la furia del vento può buttarci in mare. E ingegnarsi a sapere armeggiare con vele e timone o affidarci e sostenere coloro che lo sanno fare.
Una ondata più alta e improvvisa, ma sempre attesa e temuta, può rovesciarci e sommergerci lasciandoci senza vita…
Non è una guerra, allora, è un tifone e dobbiamo sapere guidare bene la barca su cui stiamo tutti per uscirne il più possibile indenni nel sentimento condiviso di fare parte della medesima comunità.
Possibilmente spodestando chi ci ha guidato su una rotta sbagliata che ci ha condotto nel mare delle tempeste…
Ho avuto uno scambio di opinioni con Antonia e a lei la metafora del tifone, della barca sotto assedio che resiste alla tempesta, e che approda in un porto sicuro, piace…