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INVESTIRE NEL FUTURO ATTUANDO L’ACCORDO DI PARIGI SUL CLIMA

INVESTIRE IN MODO RAGIONEVOLE NEL FUTURO DI TUTTI

100 miliardi almeno che sprechiamo in opere nocive potremmo reindirizzarli nell’occupazione “verde-rosa”, attuando l’accordo di Parigi sul clima

 Editoriale di Alfonso Navarra – direttore responsabile de "IL SOLE DI PARIGI" (www.ilsolediparigi.it)

No alle formule magiche - Si alle proposte concrete per la giustizia ecologica e sociale

L’economia “verde” genera posti di lavoro in quantità ed è una svolta necessaria per la sopravvivenza dell’intera umanità. La comunità internazionale la postula attraverso tutti gli accordi giuridici nei quattro “campi” in cui si articola il “diritto alla pace”: disarmo, ecologia, diritti umani, giusto sviluppo. Il problema da porsi non è quindi semplicemente la creazione di reddito e di occupazione, ma come garantire reddito ed occupazione ai lavoratori dei settori economici nella fase della transizione. Questo è, nell’essenziale, il problema della “giusta transizione”.

La svolta è necessaria tuttavia non è facile perseguirla: perché gli imprenditori, siano singoli lavoratori autonomi, siano cooperative, siano ditte di varie dimensioni che impiegano salariati, devono cambiare paradigma ed adottare nuovi modelli di business, possibilmente trovando un mercato regolato dai poteri pubblici in tal senso.

L’accoppiata tra grande burocrazia di Stato e profitti delle Corporations multinazionali spesso rema contro, all’insegna di cortine fumogene che nascondono la sostanza delle vecchie logiche e dei vecchi comportamenti.

Si adottano come dei mantra formule retoriche confuse e persino fuorvianti: della serie “sviluppo sostenibile” ed “economia circolare”.

Se qualcuno ci tiene, le usi pure, queste che sono spesso usate come formule magiche, ma quello che va messo in chiaro sono alcune cose che attengono alla corrispondenza tra i concetti e la realtà:

-         non basta che si riciclino gli scarti produttivi, quando è meglio evitare in partenza le emissioni nocive;

-         il “privato” è una cosa, altra cosa è l’appropriazione indebita da parte degli oligopoli di risorse (e beni comuni);

-         si deve poter misurare una “prosperità”, una situazione florida di appagamento duraturo, che ha da coincidere non con l’accumulazione di cose ma con il benessere psico-fisico delle persone e con la loro socializzazione conviviale;

-         diventa quindi determinante detronizzare il PIL dal trono in cui è stato posto. Ma anche in questo caso, come si può intuire da quanto si è affermato nel punto precedente, al dogma della “crescita” non bisogna contrapporre una altrettanto ideologica smania della “decrescita”! (Anche questa ultima  espressione, per molti mantrica, chi vuole la usi, purché non si resti schiavi delle parole!).

Quello di cui comunque bisogna prendere atto, con uno sguardo pragmatico è che già oggi il mercato è “libero” solo fino ad un certo punto e la logica della potenza lo condiziona pesantemente.  I movimenti dei capitali sono controllati, i dazi sono applicati, i lavoratori sono contingentati, le risorse sono spesso estorte con la violenza, le leve monetarie e fiscali sono usate a vantaggio di pochi. Dall’altro lato, pur in un ambiente sfavorevole, c’è, tra gli operatori economici,  chi pensa ai profitti senza voler danneggiare il prossimo e c’è anche chi, nel sociale – molti di più di quanto non si pensi -, si dà da fare secondo la logica del dono!

Dobbiamo, se possibile, evitare di essere ingabbiati in categorie che ci separano dalla complessità e contraddittorietà del reale.

La società, se la intendiamo  come la maggioranza dei membri che la compongono, non è guidata già oggi dalla “ricerca del massimo profitto monetario” e non può essere guidata domani con lo spirito (che era di San Francesco, ma oggi nemmeno francescano, a ben guardare) del “do tutto senza voler ricevere nulla in cambio”.

La verità è che i soldi sono importanti per tutti ma solo per alcuni “fuori di testa” (gli “affamati e folli” secondo l’invito di Steve Jobs) sono l’unica cosa che conta nella vita. Quello che dobbiamo evitare è che i “fuori di testa”, i dominati dall’avidità accumulatoria, siano al posto di comando della società, come oggi per lo più e disgraziatamente succede.

Detto e precisato questo, possiamo rivolgerci al “mondo economico” che vuole ragionare e prosperare “con giudizio” perché usi l’ultima crisi da cui veniamo come occasione di un profondo ripensamento verso uno “sviluppo” equilibrato e duraturo, che riconcilii l’antagonismo che abbiamo creato tra società e natura.

Il “bando ai combustibili fossili” che abbiamo adottato a Parigi con l’accordo sul clima, che perfezioneremo alla COP24 di Katowice, dobbiamo prenderlo sul serio e dobbiamo accompagnarlo, per le stesse ragioni di sopravvivenza, al “bando nei confronti del nucleare”. Quella proibizione giuridica che dopo il 7 luglio del 2017 con un voto dell’ONU a New York è ora a portata di mano come ci dimostra il supporto ricevuto nientepopodimenoché  dallo Stato USA della California il 23 agosto 2018.

Un decalogo di investimenti pubblici per l’occupazione ambientalmente e socialmente utile

Finora abbiamo stampato tanta moneta per immetterla nel circuito di una distorta finanza mondiale imperniata sulla centralità del dollaro. Si parla di 20.000 miliardi, mica noccioline! Da oggi un po’ di denaro pubblico, qui in Italia per cominciare, dove in seguito alle politiche del 4 marzo abbiamo mandato su un “governo del cambiamento”(speriamo non in peggio), faremmo bene magari a crearlo, ma soprattutto ad impiegarlo, per investimenti, trainanti i privati, con l’obiettivo della conversione energetica ed ecologica.

Questi investimenti dobbiamo attivarli non solo perché guardiamo ai loro vantaggi a breve termine, che pure indubbiamente esistono. Ma anche e soprattutto perché ormai – ce lo dicono gli scienziati dell’IPCC – non abbiamo alternative. Comunque è sempre bene stare attenti a che “sprechi verdi” non subentrino a “sprechi bruni” e che si indirizzino i soldi a ciò che più risparmia inquinamento, moltiplica giri economici, promuove innovazione, cioè saggio uso di nuove conoscenze.

Abbiamo un decalogo virtuoso di misure da implementare:

1-   convertire il più possibile i cannoni in mulini perché la preparazione della guerra è il processo più distruttivo per l’ambiente che possiamo immaginare

2-   sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, riqualificare energeticamente abitazioni, scuole, uffici, fabbriche, sviluppare un modello energetico democratico e decentrato

3 - puntare sulla mobilità elettrica riequilibrando verso il trasporto pubblico e verso il ferro contro la gomma

4-   risistemare le città e ripopolare le campagne con una agricoltura deindustrializzata, rafforzando le produzioni biologiche e sostenibili

5-   sviluppare riutilizzo e riciclo dei rifiuti, ma anche prevenire la loro formazione

6-  intervenire per la riduzione del rischio idrogeologico mettendo in sicurezza i territori

7-   bonificare i siti inquinati e contaminati, a partire da quelli devastati dall’eredità  delle scorie radioattive

8-   riqualificare il sistema idrico nazionale nel rispetto del referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua

9-  tutelare e valorizzare beni comuni e pubblici: il suolo e i paesaggi, ma anche le strutture per poter rendere effettivi i diritti alla casa, alla salute, allo studio, alle pari opportunità per uomini e donne

10-    potenziare ed orientare ricerca, istruzione e formazione verso la conversione energetica ed ecologica e verso il “diritto alla pace”.

Questo decalogo può benissimo rimanere una serie di slogan vuoti. Per passare a piani concreti, ai fatti, abbiamo bisogno del sincero contributo di mente e di cuore delle donne e degli uomini di buona volontà. E del riferimento a situazioni concrete, con tanto di bei numeri stimabili e calcolabili in operazioni ben precise di addizioni e sottrazioni sul bilancio dello Stato. Uno sforzo in questo senso, ad esempio, è stato fatto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile durante gli “Stati generali dell’economia verde”, svoltisi a Rimini lo scorso novembre nell’ambito della Fiera “ECOMONDO”.  Il presidente Edo Ronchi ha proposto investimenti e misure per raddoppiare entro 5 anni l’attuale occupazione nei settori ambientali portandola a 6,5 milioni di unità.

I Disarmisti esigenti, con i loro partner WILPF, Accademia Kronos, Energia Felice, PeaceLink, pensano invece ad un più radicale gruppo di lavoro per l’occupazione verde-rosa. La proposta, ribadita durante l’assemblea di SI’-AMO LA TERRA (Roma 11 novembre 2018), è quella di convertire ad opere ambientalmente e socialmente utili (vedi decalogo sopra riportato) i 100 miliardi circa ricavabili dai risparmi sulla legge Gentiloni che individua 24 opere prioritarie nocive, dai tagli sulle spese militari incostituzionali (riarmo atomico a Ghedi ed Aviano, F35, MUOS...), dallo stop a nuovi oleodotti/gasdotti e pozzi petroliferi, dall'abolizione degli incentivi alle fonti fossili...

La WILPF Italia, con il suo progetto “PACE FEMMINISTA IN AZIONE”, dovrebbe garantire quell’innovativo approccio di genere capace di sviluppare proposte per un nuovo lavoro in una nuova società con le donne protagoniste.

La verità della Grande Rapina va sostituita alla narrazione fake della Grande Invasione

A dire il vero, guardando a come si è messa la politica italiana, sia di “cambiamento”, sia di “opposizione”, abbiamo l’impressione che, per quanto pieni di buona volontà, resteremo voci declamanti al vento: forse dovremmo, come italiani,  rimettere il cervello al primo posto perché con la pancia abbiamo già dato.

Sembra, nel nostro dibattito pubblico sconclusionato e del tutto surreale, che il principale problema da fronteggiare sia una inesistente “invasione degli immigrati” che ci condurrebbe ad una “sostituzione etnica e culturale”: l’Italia rischierebbe di diventare addirittura musulmana!

La risposta efficace, a detta di chi scrive, non è contrapporre al “cattivismo” dilagante un “buonismo” ebete ed a volte anche peloso dell’”accogliamo tutti perché noi siamo umani e gli altri no” (il giorno delle manifestazioni in cui indossiamo le magliette rosse, perché gli altri giorni si ritorna agli affari usuali).

La mia convinzione è che dobbiamo contrapporre alla falsa narrazione dell’invasione musulmana che staremmo subendo una capacità di ricondurre l’attenzione sui problemi veri che ci affliggono e bellamente ignoriamo, cioè ci fanno ignorare con le balle di distrazione di massa propinate a tutto spiano.

Ne elenco due.

La finanziarizzazione imperniata sul dollaro (l’euro è subalterno) insieme all’appropriazione da parte dei proprietari dei grandi mezzi di produzione del progresso tecnologico “digitale” hanno operato una grande redistribuzione della ricchezza dai redditi da lavoro a favore dell’1% già più facoltoso. Per fare un esempio, se si guadagnano 1.600 euro al mese, che pare sia lo stipendio medio in Italia, avendo perso, dal 2008 al 2018, un terzo del potere di acquisto grazie al trasferimento di ricchezza sopra richiamato (dati Banca d’Italia), ci si dovrebbe lamentare per i 2.400 euro che si dovrebbero percepire e invece non si percepiscono!

La narrazione della “Grande Invasione” dovrebbe, insomma, essere soppiantata dalla narrazione della “Grande Rapina” subita!

Questa Grande Rapina spiega, ad esempio, perché il vero problema dell’Italia non è la Grande Invasione, che non c’è, ma la Grande Emorragia dei giovani che scappano, specialmente dal Sud,  e scappano dalle province periferiche alle città e soprattutto all’estero!

Per farla breve, prendiamo per buone le cifre che spara il Ministro Salvini: abbiamo, in Italia, 5 milioni di stranieri e 500.000 clandestini, su una popolazione di 60,5 milioni di abitanti. Allora, entrano 150.000 stranieri l’anno, con tendenza alla diminuzione (quest’anno se ne prevedono solo poco più di 100.000, di cui 20.000 dal mare),  ma quanti sono gli italiani che abbandonano il loro paesello? Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 elaborato dal centro studi e ricerche IDOS e Confronti registra che oggi gli emigrati italiani sono tanti quanti erano nell’immediato dopoguerra. In numero ufficiale, oltre 250.000 l'anno, di cui 150.000 con la valigia per l’estero.

A emigrare - sottolinea il report - sono sempre più persone giovani con un livello di istruzione superiore: 1/3 circa laureati. Un laureato che va all’estero è costato allo Stato italiano la bellezza di 200.000 euro per formarlo! Queste cifre, poi, udite udite!, dovrebbero essere aumentate di almeno di 2,5 volte perché, ad esempio, le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti nei registri pubblici tedeschi e britannici!

Morale della favola, stiamo subendo, specialmente nel Meridione, da decenni, uno spopolamento intellettuale e giovanile, un vero e proprio dissanguamento, ed invece nei talk show televisivi non si fa che dibattere se respingere o accogliere quelli che a paragone potrebbero essere considerati quattro gatti!

Il Paese rapinato, devastato e vessato è quello che subisce in silenzio l’emorragia dei suoi giovani senza speranza incazzandosi invece in modo inconsulto contro gli immigrati che, per quanto “cattivi” –  gli spacciatori nigeriani al servizio della ‘Ndrangheta calabrese, ad esempio – possono fare un danno sicuramente sensibile ma tutto sommato modesto!

Quello che allora dovremmo fare è trovare le risorse per gli investimenti pubblici nell’economia verde anche dalla restituzione da parte dei ricchi felloni dell’1% e dei loro maggiordomi politici e professionali (il 10%) di quanto ci hanno sottratto.

Se ci preoccupiamo di restituire la speranza ai giovani di casa nostra avremo anche la credibilità per portare avanti il giusto discorso della solidarietà con gli immigrati. Magari ricordandoci che la libertà di circolazione e di residenza è un diritto umano fondamentale (art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, di cui ricorre quest’anno il 70esimo anniversario).

Quando proponiamo un muro contro lo straniero in realtà stiamo rinchiudendo noi stessi dentro una prigione che riteniamo fortezza difensiva: sono le nostre libertà e sono i nostri diritti a cui per paura rinunciamo e questo non dovremmo dimenticarlo. Mai e poi mai.

 

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