DA PALERMO LE AMBASCIATE DI PACE PER UN MEDITERRANEO DISARMATO ED UNITO DALLA CULTURA DELL'UMANITA'
a cura di Francesco Lo Cascio - portavoce della Consulta per la pace del Comune di Palermo
La Consulta per la pace di Palermo ha organizzato una quattro giorni, dal 29 settembre al 2 ottobre 2018, sul tema del “Mediterraneo mare di pace” per lanciare il progetto di una “Rete delle ambasciate di pace”. Tale Rete è stata considerata uno strumento fondamentale per realizzare il sogno di un bacino di popoli non squassati da conflitti distruttivi, ma costruttori di ponti di dialogo, di scambi, di libera circolazione di persone impegnate in un lavoro comune . Primi promotori della Rete, oltre alla Consulta, saranno i Disarmisti esigenti, la WILPF Italia, l’IPRI, PeaceLink.
Nella ricca discussione sono intervenuti i protagonisti delle esperienze nonviolente in Sicilia.
Le Ambasciate di pace, ha sottolineato il portavoce della Consulta Francesco Lo Cascio, nascono dall’esperienza nei conflitti dell’Iraq e dei Balcani (fondamentale il ruolo di Alberto L’Abate nella loro ideazione e sperimentazione); ed il convegno ha inteso delinearne una forma innovativa adatta a mettere in relazione i soggetti della società civile già impegnati nella risoluzione nonviolenta dei conflitti, favorendo lo scambio di esperienze al fine di inserire più facilmente nel conflitto locale l’aggancio con una prospettiva globale di diritto internazionale.
Tale progetto, come è scritto nel Manifesto che il Convegno ha adottato all’unanimità , troverà una occasione di diffusione con la Marcia Mondiale della Nonviolenza, che nel suo percorso italiano farà tappa a Palermo. Un grosso contributo alla diffusione internazionale della Rete sarà dato dal coinvolgimento di WILPF Internazionale, assicurato dalla presidente onoraria della sezione italiana Giovanna Pagani.
Il convegno ha espresso la sua adesione al progetto di pace per la Siria, proposto da Operazione Colomba; all’ICE “Welcome Europe”; alla campagna “Salva Acquarius e il soccorso in mare”.
Ha deciso di impegnarsi in una mobilitazione perché Turi Vaccaro, attivista No MUOS attualmente in carcere, ottenga la grazia; e ha fatto proprio un appello, presentato nella giornata dedicata all’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica, relatori Alfonso Navarra e Gianni Silvestrini, perché sia valorizzata ed imitata in Italia la decisione dello Stato di California di supporto al Trattato di proibizione delle armi nucleari anche in vista della mobilitazione per la COP24 in Polonia.
L’incontro ha deciso di promuovere un nuovo Convegno sul “diritto alla pace” nei suoi vari aspetti (disarmo, ecologia, diritti umani, equo cosviluppo) i giorni in cui la marcia mondiale passerà per Palermo.
Il Convegno ha infine proposto che Palermo si gemelli con la capitale della California, Stato all’avanguardia nella lotta contro la minaccia climatica ed insieme nucleare; e di candidare la città a sede della Conferenza internazionale tra Unione Europea ed Unione Africana di cui si è parlato nella sessione del Parlamento Europeo convocata per le sanzioni all’Ungheria.
Il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha ricevuto gli organizzatori del convegno ribadendo che ritiene “criminale” l’intenzione di fare dell’Europa una fortezza blindata e che il respingimento di uomini e donne che esercitano il loro diritto umano alla migrazione è passibile di un “processo di Norimberga”. Orlando ha ricordato di aver già presentato alla Procura della Repubblica di Roma, al presidente della Commissione Ue, a quello del parlamento europeo e alla Corte dell'Aia nel dicembre del 2017 un esposto contro le istituzioni europee e le loro "criminogene" politiche sull'immigrazione.
IL MANIFESTO DI PALERMO
- Vogliamo affermare il Diritto alla Pace per tutta l’umanità, l’ONU ha sancito questo diritto con le dichiarazioni 71/189, vogliamo che sia applicato ai nostri popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente.
- Vogliamo che questo diritto abbracci i diritti sanciti dalla Carta della Terra, dall’Accordo di Parigi (COP21), dalla Carta di Palermo e dalla Dichiarazione di Barcellona.
- Vogliamopertanto che il diritto alla Pace sia in primo luogo riaffermazione della necessità del disarmo – a cominciare dalla proibizione delle armi nucleari – e della facoltà di obiezione a tutte le guerre. Vogliamo che il diritto alla Pace includa l’Ecologia nei rapporti tra gli esseri umani e la Natura[.
- Sogniamoun Mediterraneo libero da conflitti, libero da armi di distruzione di massa, libero da muri, frontiere, vigilanze armate, libero nella circolazione delle persone e delle idee, ponte di dialogo tra persone impegnate in un lavoro comune, Mare di Pace e non di conflitti.
- Vogliamoche la zona libera dalle armi nucleari dell’Africa si estenda a tutto il Mediterraneo e all’intero Medio Oriente.
- Vogliamo farci Ambasciatori della Pace, in modo organizzato e non soltanto simbolico.
- Il convegno “Mediterraneo, Nonviolenza Pace”, promosso dalla Consulta della Pacedel Comune di Palermo, lancia il progetto per una Rete di Ambasciate di Pace – sostenitrice del Diritto alla Pace e delle campagne che lo promuovono – collegandosi con le principali reti nonviolente europee e internazionali.
- Le Ambasciate di Pace nascono dall’esperienza maturata nei conflitti dell’Iraqe dei Balcani, oggi vogliamo proporle in Europa e nel Maghreb. Il transito della 2a Marcia Mondiale della Nonviolenza sarà occasione per la loro diffusione, coinvolgendo realtà istituzionali e di base che operano per l’affermazione dei Diritti Umani, della Solidarietà, dello Stato di Diritto, della Giustizia.
- Chiediamoa codeste realtà di esporre le insegne di “Ambasciata di Pace” e di condividere in rete il proprio operato in vista della promozione di un convegno internazionale nella città di Palermo.
- Auspichiamo un comune eco-sviluppo euro-africano, attingendo ai finanziamenti resi disponibili dal green climate found, che possa soppiantare gli interventi aggressivi con logica da vecchie e nuove potenze coloniali.
- Vogliamo che Palermo e la Sicilia siano gemellate con le città all’avanguardia nella lotta contro la minaccia climatica e nucleare, come Sacramento, Los Angeles e la California.
- Vogliamo che Palermo sia candidata a sede di una prossima Conferenza internazionale tra Unione Europea ed Unione Africana.
Appello sostenuto da:
- Consulta per la Pace, la Nonviolenza, i diritti umani, il disarmo del Comune di Palermo
- IPRI CCP italian Peace research Institute
- WILPF
- Disarmisti Esigenti
- PeaceLink
Una presa di posizione del Coordinamento dei Disarmisti Esigenti, tra i promotori della Rete delle Ambasciate di Pace, sulla “Conferenza per la stabilizzazione della Libia”
(5 ottobre 2018)
Apprendiamo dalla stampa che il 12 e 13 novembre 2018 si terrà a Palermo, per iniziativa del Ministero degli Affari Esteri - MAE, la conferenza internazionale sulla Libia.
Il comunicato del ministro Moavero ricorda che “Palermo è una importante città italiana vicina allo scenario libico”, situata nel contesto Mediterraneo, “sul quale l’Italia ha una proiezione geografica, storica e politica naturale che le assegna un ruolo di primo piano per la stabilizzazione del Paese nordafricano”.
Moavero assicura che in Sicilia saranno invitati gli attori più importanti, sia a livello internazionale che regionale. Tra gli altri, ci saranno rappresentanti di Paesi come Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Francia, Germania, Spagna, Marocco, Tunisia, Gran Bretagna, Canada, Ciad, Algeria, Cina, Giordania, Malta. Ma anche rappresentanti dell’Unione Europea, dell’Onu, della Lega araba e dell’Unione africana. E, sempre secondo quanto riferito dal ministro, avrebbe confermato interesse a partecipare alla conferenza anche il generale libico Khalifa Haftar, uomo forte del governo cirenaico di Tobruk.
Sulla base delle posizioni espresse dal nostro Manifesto politico-culturale, frutto della 4 giorni di dibattito dal 29 settembre al 2 ottobre 2018 dalla Consulta di Palermo per la pace, possiamo da subito formulare alcune osservazioni ed avanzare alcune proposte.
Dovremmo seriamente riflettere sul ruolo che può giocare la diplomazia popolare di base partendo da un assunto fondamentale: non dobbiamo, noi italiani, alimentare guerre per procura con la posta del petrolio e del gas (= ENI contro TOTAL) né aspirare, come Paese, al ruolo di media potenza che punta neocolonialmente a controllare il destino del territorio libico.
La Libia è un crocevia di interessi internazionali di vecchio stampo, noi dovremmo provare a prospettare l'interesse nuovo ad un cosviluppo comune di tutta l'area all'insegna della conversione energetica ed ecologica. E questo senza temere che i discorsi sull’”economia verde” possano risultare ostici o addirittura improponibili per i libici.
La Libia, che, come tutti, ha come grande, vera ricchezza il sole e la terra (ed il lavoro degli uomini), ha aderito all’accordo di Parigi sul clima globale, come del resto Israele (e tutti nel mondo tranne gli USA di Trump che si sono ritirati).
L’accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016 (30 giorni dopo la ratifica del 55% degli Stati parte “carichi” contemporaneamente del 55% delle emissioni di CO2).
(Per lo stato delle ratifiche si vada su: https://unfccc.int/process/the-paris-agreement/status-of-ratification)
Per essere precisi, Israele ha ratificato (il 26 novembre 2016) mentre la Libia ha solo firmato (il 22 aprile 2016).
Quando si parla di riconciliazione e di pace tra gruppi umani squassati da lotte distruttive sembra logico partire da ciò che gli attori in conflitto hanno già di condiviso.
Il processo di conversione alle energie rinnovabili riguarda anche e soprattutto gli Stati carboniferi e petroliferi: si parla però nelle COP del percorso di Parigi di “giusta transizione”.
Una gradualità, con il gas risorsa ponte, che deve considerare anche il lavoro e il reddito di chi è impiegato nel settore fossile.
Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, nella sessione del nostro convegno che il 1 ottobre ha svolto con il portavoce dei Disarmisti esigenti Alfonso Navarra su minaccia climatica e minaccia nucleare - da contrastare insieme! - ha ricordato che i Paesi sviluppati nel 2050 dovranno azzerare le emissioni mentre i Paesi in via di sviluppo dovranno solo dimezzarle.
Questi risultati dovranno essere raggiunti attraverso le rinnovabili, l’efficienza ed il risparmio energetico.
L’accordo di Parigi, stipulato nel dicembre 2015, impegna i Paesi sviluppati ad aiutare i Paesi in via di sviluppo nella conversione energetica attraverso il “Green Climate Found”.
Entro il 2020 dovranno essere raccolti ed investiti allo scopo 100 miliardi di dollari. Da lì in poi verrà stabilita una cospicua cifra annuale che potrà essere considerata anche “restituzione del debito ecologico” accumulato dai “ricchi” che hanno sfruttato le risorse dei “poveri”.
Noi, al convegno di Palermo, abbiamo proposto di coinvolgere questo Fondo in un Piano per l’Africa ed abbiamo anche candidato la città ad un vertice tra UE ed Unione Africana con l’obiettivo di un ecosviluppo comune.
Il fatto che siamo tutti sulla stessa barca dell’emergenza climatica, espressione del conflitto principale tra società e natura, non è uno slogan ma una drammatica realtà cui ci richiama la scienza ufficiale dell’IPCC.
Che non è onnisciente, ha sicuramente i suoi limiti, ma come metodologia per affrontare i problemi è sicuramente meglio dell’affidarsi all’oscillazione del pendolino…
L’obiettivo di “attuare Parigi”, cioè di attuare l’accordo di Parigi (nel momento in cui paradossalmente è proprio la Francia a minare l’accordo che di fatto bandisce i combustibili fossili), può, a ben vedere, lo spiegheremo meglio in seguito, favorire le condizioni per una denuclearizzazione del Mediterraneo, al momento impraticabile (anche se dobbiamo continuare ad esigerla!) per tutta una serie di fattori ostativi che ora andiamo ad elencare.
- Esistono nell’area Stati dotati di armi nucleari: la Francia ed Israele.
- Insiste nell’area una alleanza nucleare: la NATO. Vi sono quindi Paesi direttamente coinvolti nella “condivisione nucleare NATO”: l’Italia e la Turchia, che ospitano caccia e bombe atomiche programmati per l’impiego nucleare.
- Esistono “Stati con capacità nucleari”, vale a dire che, già impegnati in programmi di nucleare “civile”, con un po’ di sforzo potrebbero procurarsi la Bomba. Riportiamo in proposito l’elenco dell’IAEA: Algeria, Egitto, Iran, Spagna;
- Esistono Stati che si stanno buttando ora nella costruzione di centrali nucleari che possono coprire ambizioni militari. Citiamoli: Arabia Saudita, Bahrein, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Yemen. I progetti attualmente allo studio riferiscono di 90 reattori nucleari posti in 26 siti in tredici Paesi dell’area, il tutto entro il 2030.
Il nucleare, apprezzato per il doppio uso civile-militare cui consente di fare capo in quanto tecnologia intrinsecamente ambigua, quindi è ben presente e fa da retrovia alle contese politiche che squassano l’area.
E’ anche possibile, per tale motivo, che diventi presto il pretesto per l’innesco di una guerra regionale ad ampia scala, generalizzata, non più solo “a pezzetti”, considerato il contenzioso che in materia, con posta l’egemonia regionale, oppone Israele e l’Iran e gli orientamenti assunti da Netanyahu che si è trascinato dietro Trump.
Non a caso Limes intitola la sua copertina del luglio 2018: “Attacco all’Impero persiano”.
E’ un fatto gravissimo che Trump abbia denunciato il JPCOA (l’accordo sul nucleare) firmato da Teheran con il P5+1 (le 5 permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania) e che abbia scelto il “falco” John Bolton a consigliere della sicurezza nazionale USA. Il consiglio del nuovo consigliere è semplicissimo: appoggiare Israele in un attacco preventivo contro il nucleare iraniano che dovrebbe ripetere i precedenti di quelli contro l’Iraq nel 1981 e contro la Siria del 2007.
Lo “Stato ebraico” (ormai si autodefinisce così) si percepisce come “ostaggio strategico” di un Iran che avrebbe raggiunto la situazione di “soglia” rispetto alle capacità nucleari militari e che si starebbe allargando troppo con il suo “fronte sciita”, che governa l’Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein, e comprende l’Azeibagian, la Siria dell’alauita Assad, il Bahrein, il Libano con gli Hezbollah, gli Houthy in Yemen; ed ha arruolato Hamas a Gaza.
In opposizione, schierato al fianco di Israele, l’Arabia saudita ha creato un “fronte sunnita” che comprende Emirati arabi, Qatar, Kuwait, Egitto, Giordania.
Potenze “sunnite” interessate a giocare un ruolo nell’area sono anche Turchia, Pakistan e Afghanistan. E, a ben vedere, lo giocano con eserciti schierati che in questo momento stanno sparando (vedi ingerenze turche in Siria contro i Kurdi)!
Questo incandescente guazzabuglio geopolitico, che vede l’intervento sul campo anche delle grandi potenze militari come USA e Russia e delle medie potenze europee (Francia, Gran Bretagna e Italia!) non è sgrovigliabile prendendo di petto fattori che incidono direttamente sugli equilibri militari di potenza.
Ecco perché è facile dedurre che non è il momento adatto per la realizzabilità di obiettivi di denuclearizzazione proposti in modo separato da un contesto complessivo e percepiti come “destabilizzanti” mentre bisognerebbe gettare acqua sul fuoco su conflitti che vanno a polarizzarsi sul polo attrattivo Israele contro Iran.
E’ la strada che proponiamo di fare leva sull’unica vera “buona notizia”, basata sulla reazione al rischio climatico coinvolgente tutta l’umanità, che possiamo registrare in un mondo che sembra andare alla deriva, tra nuove recessioni globali in arrivo, massicci riarmi nucleari e convenzionali, conflitti pronti a generalizzarsi su scala regionale, crescite esplosive del sovranismo nazionalistico e razzista in grandi e piccoli Paesi.
Ci riferiamo alla “secessione verde” della California, che ha deciso di supportare il Trattato di proibizione delle armi nucleari (risoluzione AJR 33, approvata dalle camere congiunte il 28 agosto del 2018), nel momento stesso in cui propone una rivoluzione energetica ed ecologica, esplicitamente indirizzata contro l’amministrazione Trump, e supportata dalla prospettiva di un “New Green Deal”.
Nel “Manifesto” lanciato dalla 4 giorni di Palermo abbiamo proposto il gemellaggio tra la capitale siciliana e la capitale dello Stato della California.
Questa proposta può assumere il significato dell’indicazione di una via di pace globale fondata sulla ricerca di un “diritto alla pace” che deve poggiare sulle intese già ufficialmente concordate dalla comunità internazionale.
In questa ottica possiamo considerare l’utilità di aggregare, per il 12 e 13 novembre a Palermo, non la solita adunata protestataria no-global e no-tutto, ma un momento di riflessione ed organizzazione regionale di coloro che, nell’intento di promuovere la Rete delle ambasciate di pace, intendono combinare l’opposizione alle guerre (e alle guerre per il petrolio, come in Libia) ai programmi costruttivi tipo il citato Piano per il Medio Oriente e per l’Africa.
Comunicato del M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) in riferimento alla Conferenza di Palermo sulla Libia (13 novembre 2018)
“Vogliamo affermare il Diritto alla Pace per tutta l’umanità, l’ONU ha sancito questo diritto con le dichiarazioni 71/189 vogliamo che sia applicato ai nostri popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente”.